interpellanza urgente E. Deiana-contingente militare italiano



Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 306 dell'8/5/2003

(Compiti operativi e regole di ingaggio del contingente militare italiano
che sarà inviato in Iraq - n. 2-00735)

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua
interpellanza n. 2-00735 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, la nostra interpellanza trae origine da
un giudizio sul dopoguerra in Iraq che ovviamente è, per così dire, un
elemento di contesto relativamente agli impegni (direi alle chiacchiere)
che il Governo ha assunto sull'invio di militari italiani con scopi
umanitari.
Si tratta di un contesto di dopoguerra di occupazione molto pesante dal
punto di vista dell'impatto con le popolazioni locali, al di là della
propaganda bellica degli Stati Uniti e del Pentagono. È un dopoguerra che
significa un'occupazione militare con l'obiettivo di instaurare un
protettorato angloamericano, come stanno a dimostrare le dinamiche di
presenza di consiglieri, esperti e manager dell'Amministrazione Bush o
vicini ad essa.
L'obiettivo dichiarato della guerra era questo e lo dimostrano molti fatti.
Innanzitutto, il rifiuto degli Stati Uniti di far intervenire con funzione
politico-istituzionale centrale e strategica l'ONU e l'Europa: vi è stata
l'esclusione di una dimensione multilaterale per restaurare non solo una
situazione di reale pacificazione, ma di sottrazione dell'Iraq al suo
destino di diventare un protettorato americano. Lo dimostra il fatto - su
cui, tra l'altro, comincia a chiedersi spiegazioni anche l'opinione
pubblica statunitense - della mancanza della prova provata: le armi di
distruzione di massa. Inoltre, lo comprovano una serie di episodi che
definisco di vera e propria criminalità bellica di cui sono state
protagoniste le truppe americane. Tali episodi non hanno sollevato da parte
del Governo italiano alcuna obiezione, critica, giudizio negativo o
preoccupazione umanitaria.
I fatti sono noti, nell'interpellanza ho elencato quelli più importanti. Mi
riferisco ad una serie di episodi verificatisi all'indomani dell'arrivo a
Bagdad, a Mosul, a Fallujah in presenza di popolazioni inquiete o
arrabbiate, come si suppone possa succedere facilmente in un contesto di
violenza bellica e di spaesamento provocato da un cambiamento così
radicale, brusco e violento. Tali episodi avrebbero richiesto un
comportamento completamente diverso, se effettivamente le intenzioni delle
truppe occupanti fossero state quelle sbandierate dalla propaganda bellica
sulla democrazia e sulla libertà. Gli episodi a cui mi riferisco hanno
avuto come elemento centrale il fuoco contro la popolazione civile: ciò ha
provocato morti e feriti. Vi sono stati 12 morti e 100 feriti nel primo
episodio di questo genere a Mosul; 6 morti e numerosi feriti nel secondo;
15 morti e 50 feriti e poi ancora 30 morti nei due episodi di Fallujah; 14
morti e 50 feriti a Bagdad nella distruzione di un container di esplosivi
(evidentemente quest'ultima operazione è stata fatta senza curarsi della
sicurezza della popolazione locale).
Un'organizzazione non governativa belga «Medici per il terzo mondo»,
attraverso il suo legale Jan Fermon, ha avanzato una denuncia per crimini
di guerra alla magistratura belga a carico dell'Amministrazione
statunitense.
I suddetti episodi, il reiterato rifiuto di restituire all'ONU la sua
centralità e l'indifferenza mostrata verso le richieste avanzate, anche da
parte di paesi che hanno appoggiato la guerra, di chiarire che fine ha
fatto la causa scatenante del conflitto, cioè le armi di distruzione di
massa, configurano un pacchetto di prove assolutamente dirimenti sulla vera
natura della guerra.
L'interpellanza da noi presentata si sofferma, in particolare, sugli
aspetti della violenza militare indifferenziata. Le truppe di occupazione
nei confronti della popolazione civile irachena hanno tenuto un
atteggiamento incurante dei diritti fondamentali della gente a partire dal
diritto primario alla vita, alla sopravvivenza.
A me non risulta che il Governo abbia segnalato il proprio giudizio, non
dico negativo, perché chiederei troppo al Governo Berlusconi e al ministro
Frattini, ma, insomma, perlomeno qualche perplessità e disagio per i modi
così militareschi e criminogeni, con cui le truppe americane hanno
governato, e stanno governando, una fase difficile per sua natura
intrinseca, perché evidentemente, essendoci stata una situazione militare
di estrema violenza, il rapporto con la popolazione dovrebbe essere
completamente diverso. Chiedo, pertanto, quale passo politico-diplomatico
il Governo abbia compiuto o intenda compiere.
In questo contesto, evidentemente, tutta la problematica prima sollevata
dall'onorevole Melandri, nello svolgimento della precedente interpellanza,
assume un particolare rilievo, perché l'intenzione di inviare un
contingente italiano a scopi umanitari sarebbe una copertura ideologica, a
mio modo di vedere - per invogliare l'opinione pubblica italiana, che
continua ad essere largamente ostile alla guerra e all'occupazione militare
di quel paese -, di fronte al fatto che il Governo nulla ha detto su questi
aspetti che così radicalmente riguardano i diritti umani e il trattamento
umanitario della popolazione che subisce l'occupazione.
Detto questo, vi è poi tutto quello che è successo negli ultimi giorni,
quelli che definisco i balletti, cioè le differenze evidenti che ci sono
fra i tentativi del ministro Frattini di mantenere il punto sulla natura
umanitaria della missione ed invece l'interpretazione che ne ha dato il
ministro Martino di ruolo di stabilizzazione democratica, che a mio modo di
vedere è un'espressione politicamente corretta per coprire in realtà una
politica di partecipazione all'occupazione e ai dividendi della guerra.
Vorremmo, quindi, sapere quale ruolo il Governo intende assegnare al
contingente di forze italiane, che è un contingente di notevole quantità.
Infine, alla luce di tutto quello che è successo in Iraq e alla luce delle
difficoltà del Governo ad inviare un contingente di truppe italiane che,
per la natura delle cose che lì sono successe e che stanno succedendo, non
potrebbe che essere interno alla belligeranza (in quel paese, infatti, c'è
stata una guerra e continua una guerra, nella logica che l'ha determinata:
logica comprovata da tutto quello che ho detto e in particolare dal fatto
che gli Stati Uniti vogliono essere i soli a decidere i destini del paese),
vorremmo sapere se il Governo non ritenga più utile soprassedere ed avviare
piuttosto, in Parlamento, una discussione seria, su quale debba essere
effettivamente il ruolo dell'Italia, anche in vista del semestre di
Presidenza europeo: cioè un ruolo effettivamente di concorso ad una
soluzione di transizione effettivamente democratica e pacifica, in
concomitanza con un rilancio del ruolo dell'ONU e dell'Europa, rispetto a
quanto avvenuto in Iraq.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, onorevole Berselli,
ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BERSELLI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Si ritiene di
dover sottolineare preliminarmente come non possano essere condivise le
osservazioni scritte degli onorevoli interpellanti, nonché le osservazioni
verbali dell'onorevole Deiana, volte a presentare le operazioni in Iraq
come una guerra di conquista e la permanenza in quel territorio delle forze
della coalizione come un'occupazione cruenta e oppressiva, attuata contro
la volontà della popolazione civile.
Le ragioni e gli scopi del conflitto sono stati più volte oggetto di
dibattito in Parlamento e, pertanto, nel confermare la posizione del
Governo al riguardo, non si ritiene necessario soffermarsi ulteriormente se
non per sottolineare il fatto che, proprio grazie a quelle operazioni, un
pericoloso, sanguinario e destabilizzante regime è stato abbattuto ed un
popolo ha finalmente ritrovato libertà.
Ciò detto, si può assicurare che, in tutti i contatti mantenuti con le
autorità di Washington nel corso delle operazioni militari in Iraq, il
Governo italiano ha costantemente richiesto - ripeto: costantemente
richiesto - che venisse garantita ogni tutela alla popolazione civile,
ricevendo esaurienti assicurazioni al riguardo.
Per alcuni di quegli episodi - ricordati dagli interpellanti - che hanno
coinvolto la popolazione civile irachena, le responsabilità potranno essere
accertate ed, in alcuni casi, lo sono già state, dalla giustizia militare
statunitense.
Per quanto attiene, poi, alla consistenza, agli obiettivi e alle modalità
operative della missione italiana, rimane confermato quanto illustrato dal
ministro Frattini nel suo intervento alle Camere del 15 aprile scorso,
ottenendo in quella sede l'avallo del Parlamento.
In particolare, si tratta di una missione che coinvolgerà diverse
amministrazioni, in un contesto integrato e coordinato di mutuo sostegno,
sia per assicurare alla popolazione irachena gli aiuti umanitari necessari,
sia per realizzare le opere immediate ed urgenti di ripristino della
funzionalità delle infrastrutture e di quei servizi che servono, appunto, a
garantire agli iracheni le migliori condizioni di vita possibile.
Nell'intervento complessivo italiano la componente militare dovrà, in
maniera quanto più possibile unitaria e integrata, garantire quella cornice
di sicurezza senza la quale ogni intervento potrebbe rivelarsi velleitario
o addirittura impraticabile.
Essa è e rimane, quindi, una missione volta a facilitare le operazioni di
emergenza umanitaria e di ricostruzione del paese, favorendo la tempestiva
costituzione di un Governo iracheno provvisorio e non finalizzata, come
affermato dagli interpellanti, al «controllo militare del territorio».
Tali iniziative sono coordinate in seno alla task force interministeriale
costituita presso la Farnesina e si avvarranno del sostegno in loco di una
missione diplomatica italiana.
Peraltro, una prima frazione del contingente militare italiano è già
impegnato a Baghdad a protezione delle strutture e del personale
dell'ospedale da campo della Croce Rossa italiana con compiti, quindi,
evidentemente umanitari, conformemente a quanto sinora annunciato dal
Governo, che intende continuare a tener fede all'impegno di riferire
regolarmente al Parlamento sugli sviluppi della situazione in Iraq. Al
riguardo - come l'interpellante, onorevole Deiana, certamente sa - sono già
state fissate le date della prossima settimana per le comunicazioni alle
competenti Commissioni di Camera e Senato. In particolare, il ministro
della difesa riferirà sugli aspetti più propriamente militari, i cui
dettagli sono ancora in corso di definizione.
Alla luce di quanto illustrato, si conferma la volontà di procedere con la
missione italiana, che non si configura affatto come un'avventura
illegittima ed illegale ma, al contrario, come un impegno coerente con la
tradizione di umanità e di civiltà che le missioni italiane hanno sempre
saputo interpretare.

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non posso che esprimere la mia profonda
insoddisfazione in quanto, da parte del Governo, continua una litania
incredibile, attraverso risposte assolutamente campate in aria, che
contrastano e contraddicono tutto ciò che la stampa, le dichiarazioni degli
esponenti dell'Amministrazione Bush e quanto sta avvenendo concretamente in
Iraq dimostrano in ordine a quanto sta accadendo in quei territori.
La guerra contro l'Iraq è stata mossa non dalle ragioni che il
sottosegretario Berselli ci ha qui ribadito ma da ragioni che sono
assolutamente chiare, se si considera ciò che sta avvenendo in quel paese,
vale a dire l'instaurazione di un meccanismo di controllo del territorio,
di consolidamento della presenza americana in Medio Oriente e nel centro
Asia e di sfruttamento delle risorse petrolifere, di cui l'Iraq è
notoriamente ricchissimo. Questi sono i fatti.
Ribadisco che la mancanza della prova provata, vale a dire del rinvenimento
delle armi di distruzioni di massa, è al centro delle preoccupazioni
dell'opinione pubblica, anche nei paesi cobelligeranti o, almeno, di una
parte dell'opinione pubblica, quella meno addomesticata e meno disposta ad
accettare uno stravolgimento dell'ordine internazionale all'insegna dello
sfrenato e criminale unilateralismo degli Stati Uniti. Dunque, l'opinione
pubblica più avvertita, che magari ha sostenuto la guerra per le ragioni
della propaganda bellica, oggi è preoccupata per il fatto che non si
trovino le famose prove, che avrebbero dovuto dimostrare che Saddam
Hussein, oltre ad essere un sanguinario dittatore del suo paese, era un
pericolo pubblico per l'intera comunità internazionale.
Di fronte alla mancata prova, una parte dell'opinione pubblica, sia negli
Stati Uniti sia in Inghilterra, si mostra preoccupata: il re è nudo e
vengono fuori le ragioni reali. Quindi, il Governo dovrebbe smettere di
raccontarci le favole su questo fatto e sulle conseguenze che l'invio delle
truppe italiane avrebbe, nel partecipare ad un'occupazione militare: siamo
di fronte ad una guerra che è stata illegittima ed illegale e, quindi, di
conseguenza ad un dopoguerra che ha tutte le caratteristiche della guerra
stessa, vale a dire l'illegalità, l'illegittimità dal punto di vista del
diritto internazionale e dei meccanismi preposti a tenere insieme la
comunità internazionale. Siamo tutti in grado di leggere e di informarci;
di conseguenza, occorre discutere di questi fatti.
Non è che si possa slittare e parlare d'altro. No. Noi parliamo di
occupazione. Ne parla la Croce rossa internazionale. Il Presidente del
comitato internazionale della Croce rossa, pochi giorni fa, ha richiamato
la potenza occupante in Iraq, vale a dire gli angloamericani, ai doveri
imposti dalle leggi internazionali. Il Presidente del comitato
internazionale della Croce rossa, dottor Jakob Kellenberger, tutt'altro che
un esponente di una sinistra arrabbiata e pacifista, ha ricordato che tali
doveri prevedono, innanzitutto, l'instaurazione di legge, ordine, sicurezza
e benessere per la popolazione, proteggendo le infrastrutture vitali come
gli ospedali e non sparando sulla popolazione civile.
Quindi, è incontrovertibile il fatto che si sia trattato di una guerra di
occupazione e che continui un'occupazione militare, manifestatasi anche con
episodi di vera e propria criminalità militare. Non so come il nostro
codice penale militare di guerra chiamerebbe episodi di questo genere,
quali, per esempio, sparare a freddo sulla popolazione civile.
Quindi, questi sono fatti assolutamente incontrovertibili, come sono
incontrovertibili - sono sui giornali - tutti gli elementi di
contraddizione presenti nella politica del Governo relativamente all'invio
di truppe italiane. Il Parlamento ha approvato un ordine del giorno al
quale eravamo contrari; in particolare, siamo contrari al fatto che una
parte del centrosinistra abbia avallato la favola bella dell'invio di
militari per ragioni umanitarie e abbia legittimato il fatto che, in questo
contesto - nel contesto che ho descritto - e con una politica del Governo
che slitta continuamente nel gioco delle tre tavolette, si possa, a cuor
leggero, inviare un contingente di militari italiani in Iraq di militari.
A maggior ragione, tutto questo diventa pieno di segni abbastanza
inquietanti alla luce delle contraddizioni che ci sono all'interno del
Governo. Infatti, il ministro Martino si è precipitato a incontrare il
ministro della difesa Rumsfeld per offrire i servizi italiani in Iraq -
servizi italiani: in pratica, funzione e destinazione del contingente
italiano -, il che è in contraddizione anche con la mozione approvata dal
Parlamento - in sostanza, con il tentativo di mascherare tutto attraverso
gli aiuti umanitari -, mentre Martino ha parlato esplicitamente di compiti
di stabilizzazione democratica, che nel linguaggio politicamente corretto
della nuova politica internazionale significa sostanzialmente controllo
militare del territorio, quindi scopi militari. Questo, ovviamente,
aprirebbe un problema gravissimo dal punto di vista del profilo
costituzionale, visto che il comitato nazionale della difesa aveva
stabilito quella specie di passaggio strettissimo per quanto riguarda la
volontà di appoggio dell'Italia espressa dal Governo alla guerra in Iraq:
in altre parole, l'appoggio senza la belligeranza diretta. Evidentemente,
in un caso come questo l'invio per la stabilizzazione democratica
significherebbe una partecipazione alla belligeranza, perché una guerra
come quella in Iraq mantiene le sue caratteristiche, le sue ragioni e le
sue finalità, sia durante la fase di guerra guerreggiata, sia durante la
fase di guerra di occupazione.
Pertanto, non sono per niente soddisfatta e invito il Governo, per quello
che è nelle sue possibilità, a una maggiore serietà. Si può essere in
disaccordo radicale, ma non si possono venire a raccontare chiacchiere per
tentare di stornare l'opinione pubblica, a partire dal Parlamento della
Repubblica.



Allegato A
Seduta n. 306 dell'8/5/2003

(Sezione 2 - Compiti operativi e regole di ingaggio del contingente
militare italiano che sarà inviato in Iraq)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri degli affari esteri e
della difesa, per sapere - premesso che:
il dopoguerra in Iraq si configura chiaramente come un'occupazione cruenta
e oppressiva nei confronti della popolazione civile, già duramente colpita
dalle bombe intelligenti dell'aviazione statunitense;
il giorno 15 aprile 2003, nella città irachena di Mossul, mentre si
svolgeva un comizio dell'aspirante governatore della città, Mashan al
Juburi, ritornato in Iraq con l'aiuto degli Usa e del comando
angloamericano, le truppe statunitensi, stanziate nelle vicinanze a
protezione del palazzo del governatore e del medesimo candidato, hanno
aperto il fuoco con i fucili mitragliatori sulla folla che manifestava la
sua opposizione al nuovo governatore, causando 12 morti ed un centinaio di
feriti;
sempre a Mosul, il 28 aprile 2003, i militari statunitensi, posizionati in
due punti presso la sponda occidentale del Tigri, facevano fuoco sulla
popolazione che festeggiava il compleanno di Saddam Hussein, provocando, da
quanto riportato dalle agenzie, almeno sei morti e numerosi feriti;
il 29 aprile 2003 nella città di Fallujah, durante una pacifica
manifestazione di popolo, che manifestava il suo dissenso contro il
perdurare della presenza americana in Iraq, i militari Usa aprivano il
fuoco compiendo una strage: 15 i morti e 50 i feriti;
il 30 aprile 2003, per il secondo giorno consecutivo, le truppe americane
aprivano il fuoco durante una manifestazione, sempre a Fallujah, e anche in
questo caso, come ha sottolineato il maggiore statunitense Michael Marti,
«sono stati colpi ben mirati»: infatti, secondo fonti ospedaliere, due
persone sono rimaste uccise e almeno quattro ferite;
tutti questi episodi e altri, non ultima la strage di Bagdad del 26 aprile
2003 (14 morti e oltre 50 feriti, tra gli abitanti del quartiere),
provocata dalle operazioni di distruzione di esplosivi all'interno di un
deposito di munizioni sequestrato dalle truppe americane, dimostrano come
l'esercito Usa abbia messo in atto un'occupazione dell'Iraq, dove il
dominio e il controllo militare vengono esercitati con modalità che sempre
più chiaramente appaiono come atti di vera e propria criminalità bellica,
rivolta essenzialmente contro la popolazione civile;
una denuncia contro tali crimini di guerra che si stanno perpetrando in
Iraq è stata avviata dalla magistratura belga - che prevede la possibilità
di imputare chiunque compia atti di criminalità bellica, anche al di fuori
del territorio nazionale - da un legale, Jan Fermon, che ha raccolto le
accuse che provengono da decine di civili iracheni e da un'organizzazione
non governativa belga, «Medici per il terzo mondo» (il Manifesto 30 aprile
2003): tale inchiesta coinvolgerà direttamente il generale Tommy Franks,
comandante in campo dell'esercito Usa in Iraq;
in questo quadro politico-istituzionale e militare, segnato pesantemente
dalla coda velenosa di un dopoguerra che si mostra, invece, come il volto
cruento e oppressiva di un'occupazione attuata contro la volontà della
popolazione civile, l'invio in Iraq di un contingente militare italiano di
notevoli dimensioni, proposto inizialmente a scopo umanitario, ma poi
sempre più collegato, anche nelle dichiarazioni di esponenti del Governo, a
compiti di controllo militare del territorio, rischia di configurarsi come
una partecipazione attiva ad una guerra ancora in atto -:
quale passo politico-diplomatico abbia compiuto o intenda compiere il
Governo italiano presso gli Usa per protestare contro episodi tanto
drammatici e gravi, che vedono la popolazione civile coinvolta in continui
episodi di aggressione e di sangue;
con quali tempi il Governo intenda chiarire i compiti operativi del
contingente militare italiano, nonché i rapporti tra il comando italiano e
quello americano in un contesto tanto drammatico, dove le operazioni di
ogni genere - ordine pubblico, ricostruzione materiale dei danni bellici,
transizione verso nuovi assetti statuali - sono rigorosamente sotto il
comando americano, senza che in nessuna sede siano stati chiariti i
rapporti tra le truppe anglo-americane di occupazione, le operazioni
militari di peace-enforcing delle unità italiane e le regole di ingaggio
per queste unità;
se, alla luce di tutto questo, non si ritenga più opportuno soprassedere
sulla missione della Msu in Iraq e riesaminare complessivamente il ruolo
dell'Italia in un'operazione che rischia di trascinare illegalmente il
Paese in un'avventura militare sempre più illegittima e illegale.
(2-00735)
«Deiana, Giordano, Russo Spena».
(6 maggio 2003)