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interpellanza urgente E. Deiana-contingente militare italiano
- Subject: interpellanza urgente E. Deiana-contingente militare italiano
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it>
- Date: Tue, 13 May 2003 00:41:28 +0200
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 306 dell'8/5/2003 (Compiti operativi e regole di ingaggio del contingente militare italiano che sarà inviato in Iraq - n. 2-00735) PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00735 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti). ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, la nostra interpellanza trae origine da un giudizio sul dopoguerra in Iraq che ovviamente è, per così dire, un elemento di contesto relativamente agli impegni (direi alle chiacchiere) che il Governo ha assunto sull'invio di militari italiani con scopi umanitari. Si tratta di un contesto di dopoguerra di occupazione molto pesante dal punto di vista dell'impatto con le popolazioni locali, al di là della propaganda bellica degli Stati Uniti e del Pentagono. È un dopoguerra che significa un'occupazione militare con l'obiettivo di instaurare un protettorato angloamericano, come stanno a dimostrare le dinamiche di presenza di consiglieri, esperti e manager dell'Amministrazione Bush o vicini ad essa. L'obiettivo dichiarato della guerra era questo e lo dimostrano molti fatti. Innanzitutto, il rifiuto degli Stati Uniti di far intervenire con funzione politico-istituzionale centrale e strategica l'ONU e l'Europa: vi è stata l'esclusione di una dimensione multilaterale per restaurare non solo una situazione di reale pacificazione, ma di sottrazione dell'Iraq al suo destino di diventare un protettorato americano. Lo dimostra il fatto - su cui, tra l'altro, comincia a chiedersi spiegazioni anche l'opinione pubblica statunitense - della mancanza della prova provata: le armi di distruzione di massa. Inoltre, lo comprovano una serie di episodi che definisco di vera e propria criminalità bellica di cui sono state protagoniste le truppe americane. Tali episodi non hanno sollevato da parte del Governo italiano alcuna obiezione, critica, giudizio negativo o preoccupazione umanitaria. I fatti sono noti, nell'interpellanza ho elencato quelli più importanti. Mi riferisco ad una serie di episodi verificatisi all'indomani dell'arrivo a Bagdad, a Mosul, a Fallujah in presenza di popolazioni inquiete o arrabbiate, come si suppone possa succedere facilmente in un contesto di violenza bellica e di spaesamento provocato da un cambiamento così radicale, brusco e violento. Tali episodi avrebbero richiesto un comportamento completamente diverso, se effettivamente le intenzioni delle truppe occupanti fossero state quelle sbandierate dalla propaganda bellica sulla democrazia e sulla libertà. Gli episodi a cui mi riferisco hanno avuto come elemento centrale il fuoco contro la popolazione civile: ciò ha provocato morti e feriti. Vi sono stati 12 morti e 100 feriti nel primo episodio di questo genere a Mosul; 6 morti e numerosi feriti nel secondo; 15 morti e 50 feriti e poi ancora 30 morti nei due episodi di Fallujah; 14 morti e 50 feriti a Bagdad nella distruzione di un container di esplosivi (evidentemente quest'ultima operazione è stata fatta senza curarsi della sicurezza della popolazione locale). Un'organizzazione non governativa belga «Medici per il terzo mondo», attraverso il suo legale Jan Fermon, ha avanzato una denuncia per crimini di guerra alla magistratura belga a carico dell'Amministrazione statunitense. I suddetti episodi, il reiterato rifiuto di restituire all'ONU la sua centralità e l'indifferenza mostrata verso le richieste avanzate, anche da parte di paesi che hanno appoggiato la guerra, di chiarire che fine ha fatto la causa scatenante del conflitto, cioè le armi di distruzione di massa, configurano un pacchetto di prove assolutamente dirimenti sulla vera natura della guerra. L'interpellanza da noi presentata si sofferma, in particolare, sugli aspetti della violenza militare indifferenziata. Le truppe di occupazione nei confronti della popolazione civile irachena hanno tenuto un atteggiamento incurante dei diritti fondamentali della gente a partire dal diritto primario alla vita, alla sopravvivenza. A me non risulta che il Governo abbia segnalato il proprio giudizio, non dico negativo, perché chiederei troppo al Governo Berlusconi e al ministro Frattini, ma, insomma, perlomeno qualche perplessità e disagio per i modi così militareschi e criminogeni, con cui le truppe americane hanno governato, e stanno governando, una fase difficile per sua natura intrinseca, perché evidentemente, essendoci stata una situazione militare di estrema violenza, il rapporto con la popolazione dovrebbe essere completamente diverso. Chiedo, pertanto, quale passo politico-diplomatico il Governo abbia compiuto o intenda compiere. In questo contesto, evidentemente, tutta la problematica prima sollevata dall'onorevole Melandri, nello svolgimento della precedente interpellanza, assume un particolare rilievo, perché l'intenzione di inviare un contingente italiano a scopi umanitari sarebbe una copertura ideologica, a mio modo di vedere - per invogliare l'opinione pubblica italiana, che continua ad essere largamente ostile alla guerra e all'occupazione militare di quel paese -, di fronte al fatto che il Governo nulla ha detto su questi aspetti che così radicalmente riguardano i diritti umani e il trattamento umanitario della popolazione che subisce l'occupazione. Detto questo, vi è poi tutto quello che è successo negli ultimi giorni, quelli che definisco i balletti, cioè le differenze evidenti che ci sono fra i tentativi del ministro Frattini di mantenere il punto sulla natura umanitaria della missione ed invece l'interpretazione che ne ha dato il ministro Martino di ruolo di stabilizzazione democratica, che a mio modo di vedere è un'espressione politicamente corretta per coprire in realtà una politica di partecipazione all'occupazione e ai dividendi della guerra. Vorremmo, quindi, sapere quale ruolo il Governo intende assegnare al contingente di forze italiane, che è un contingente di notevole quantità. Infine, alla luce di tutto quello che è successo in Iraq e alla luce delle difficoltà del Governo ad inviare un contingente di truppe italiane che, per la natura delle cose che lì sono successe e che stanno succedendo, non potrebbe che essere interno alla belligeranza (in quel paese, infatti, c'è stata una guerra e continua una guerra, nella logica che l'ha determinata: logica comprovata da tutto quello che ho detto e in particolare dal fatto che gli Stati Uniti vogliono essere i soli a decidere i destini del paese), vorremmo sapere se il Governo non ritenga più utile soprassedere ed avviare piuttosto, in Parlamento, una discussione seria, su quale debba essere effettivamente il ruolo dell'Italia, anche in vista del semestre di Presidenza europeo: cioè un ruolo effettivamente di concorso ad una soluzione di transizione effettivamente democratica e pacifica, in concomitanza con un rilancio del ruolo dell'ONU e dell'Europa, rispetto a quanto avvenuto in Iraq. PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, onorevole Berselli, ha facoltà di rispondere. FILIPPO BERSELLI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Si ritiene di dover sottolineare preliminarmente come non possano essere condivise le osservazioni scritte degli onorevoli interpellanti, nonché le osservazioni verbali dell'onorevole Deiana, volte a presentare le operazioni in Iraq come una guerra di conquista e la permanenza in quel territorio delle forze della coalizione come un'occupazione cruenta e oppressiva, attuata contro la volontà della popolazione civile. Le ragioni e gli scopi del conflitto sono stati più volte oggetto di dibattito in Parlamento e, pertanto, nel confermare la posizione del Governo al riguardo, non si ritiene necessario soffermarsi ulteriormente se non per sottolineare il fatto che, proprio grazie a quelle operazioni, un pericoloso, sanguinario e destabilizzante regime è stato abbattuto ed un popolo ha finalmente ritrovato libertà. Ciò detto, si può assicurare che, in tutti i contatti mantenuti con le autorità di Washington nel corso delle operazioni militari in Iraq, il Governo italiano ha costantemente richiesto - ripeto: costantemente richiesto - che venisse garantita ogni tutela alla popolazione civile, ricevendo esaurienti assicurazioni al riguardo. Per alcuni di quegli episodi - ricordati dagli interpellanti - che hanno coinvolto la popolazione civile irachena, le responsabilità potranno essere accertate ed, in alcuni casi, lo sono già state, dalla giustizia militare statunitense. Per quanto attiene, poi, alla consistenza, agli obiettivi e alle modalità operative della missione italiana, rimane confermato quanto illustrato dal ministro Frattini nel suo intervento alle Camere del 15 aprile scorso, ottenendo in quella sede l'avallo del Parlamento. In particolare, si tratta di una missione che coinvolgerà diverse amministrazioni, in un contesto integrato e coordinato di mutuo sostegno, sia per assicurare alla popolazione irachena gli aiuti umanitari necessari, sia per realizzare le opere immediate ed urgenti di ripristino della funzionalità delle infrastrutture e di quei servizi che servono, appunto, a garantire agli iracheni le migliori condizioni di vita possibile. Nell'intervento complessivo italiano la componente militare dovrà, in maniera quanto più possibile unitaria e integrata, garantire quella cornice di sicurezza senza la quale ogni intervento potrebbe rivelarsi velleitario o addirittura impraticabile. Essa è e rimane, quindi, una missione volta a facilitare le operazioni di emergenza umanitaria e di ricostruzione del paese, favorendo la tempestiva costituzione di un Governo iracheno provvisorio e non finalizzata, come affermato dagli interpellanti, al «controllo militare del territorio». Tali iniziative sono coordinate in seno alla task force interministeriale costituita presso la Farnesina e si avvarranno del sostegno in loco di una missione diplomatica italiana. Peraltro, una prima frazione del contingente militare italiano è già impegnato a Baghdad a protezione delle strutture e del personale dell'ospedale da campo della Croce Rossa italiana con compiti, quindi, evidentemente umanitari, conformemente a quanto sinora annunciato dal Governo, che intende continuare a tener fede all'impegno di riferire regolarmente al Parlamento sugli sviluppi della situazione in Iraq. Al riguardo - come l'interpellante, onorevole Deiana, certamente sa - sono già state fissate le date della prossima settimana per le comunicazioni alle competenti Commissioni di Camera e Senato. In particolare, il ministro della difesa riferirà sugli aspetti più propriamente militari, i cui dettagli sono ancora in corso di definizione. Alla luce di quanto illustrato, si conferma la volontà di procedere con la missione italiana, che non si configura affatto come un'avventura illegittima ed illegale ma, al contrario, come un impegno coerente con la tradizione di umanità e di civiltà che le missioni italiane hanno sempre saputo interpretare. PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare. ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non posso che esprimere la mia profonda insoddisfazione in quanto, da parte del Governo, continua una litania incredibile, attraverso risposte assolutamente campate in aria, che contrastano e contraddicono tutto ciò che la stampa, le dichiarazioni degli esponenti dell'Amministrazione Bush e quanto sta avvenendo concretamente in Iraq dimostrano in ordine a quanto sta accadendo in quei territori. La guerra contro l'Iraq è stata mossa non dalle ragioni che il sottosegretario Berselli ci ha qui ribadito ma da ragioni che sono assolutamente chiare, se si considera ciò che sta avvenendo in quel paese, vale a dire l'instaurazione di un meccanismo di controllo del territorio, di consolidamento della presenza americana in Medio Oriente e nel centro Asia e di sfruttamento delle risorse petrolifere, di cui l'Iraq è notoriamente ricchissimo. Questi sono i fatti. Ribadisco che la mancanza della prova provata, vale a dire del rinvenimento delle armi di distruzioni di massa, è al centro delle preoccupazioni dell'opinione pubblica, anche nei paesi cobelligeranti o, almeno, di una parte dell'opinione pubblica, quella meno addomesticata e meno disposta ad accettare uno stravolgimento dell'ordine internazionale all'insegna dello sfrenato e criminale unilateralismo degli Stati Uniti. Dunque, l'opinione pubblica più avvertita, che magari ha sostenuto la guerra per le ragioni della propaganda bellica, oggi è preoccupata per il fatto che non si trovino le famose prove, che avrebbero dovuto dimostrare che Saddam Hussein, oltre ad essere un sanguinario dittatore del suo paese, era un pericolo pubblico per l'intera comunità internazionale. Di fronte alla mancata prova, una parte dell'opinione pubblica, sia negli Stati Uniti sia in Inghilterra, si mostra preoccupata: il re è nudo e vengono fuori le ragioni reali. Quindi, il Governo dovrebbe smettere di raccontarci le favole su questo fatto e sulle conseguenze che l'invio delle truppe italiane avrebbe, nel partecipare ad un'occupazione militare: siamo di fronte ad una guerra che è stata illegittima ed illegale e, quindi, di conseguenza ad un dopoguerra che ha tutte le caratteristiche della guerra stessa, vale a dire l'illegalità, l'illegittimità dal punto di vista del diritto internazionale e dei meccanismi preposti a tenere insieme la comunità internazionale. Siamo tutti in grado di leggere e di informarci; di conseguenza, occorre discutere di questi fatti. Non è che si possa slittare e parlare d'altro. No. Noi parliamo di occupazione. Ne parla la Croce rossa internazionale. Il Presidente del comitato internazionale della Croce rossa, pochi giorni fa, ha richiamato la potenza occupante in Iraq, vale a dire gli angloamericani, ai doveri imposti dalle leggi internazionali. Il Presidente del comitato internazionale della Croce rossa, dottor Jakob Kellenberger, tutt'altro che un esponente di una sinistra arrabbiata e pacifista, ha ricordato che tali doveri prevedono, innanzitutto, l'instaurazione di legge, ordine, sicurezza e benessere per la popolazione, proteggendo le infrastrutture vitali come gli ospedali e non sparando sulla popolazione civile. Quindi, è incontrovertibile il fatto che si sia trattato di una guerra di occupazione e che continui un'occupazione militare, manifestatasi anche con episodi di vera e propria criminalità militare. Non so come il nostro codice penale militare di guerra chiamerebbe episodi di questo genere, quali, per esempio, sparare a freddo sulla popolazione civile. Quindi, questi sono fatti assolutamente incontrovertibili, come sono incontrovertibili - sono sui giornali - tutti gli elementi di contraddizione presenti nella politica del Governo relativamente all'invio di truppe italiane. Il Parlamento ha approvato un ordine del giorno al quale eravamo contrari; in particolare, siamo contrari al fatto che una parte del centrosinistra abbia avallato la favola bella dell'invio di militari per ragioni umanitarie e abbia legittimato il fatto che, in questo contesto - nel contesto che ho descritto - e con una politica del Governo che slitta continuamente nel gioco delle tre tavolette, si possa, a cuor leggero, inviare un contingente di militari italiani in Iraq di militari. A maggior ragione, tutto questo diventa pieno di segni abbastanza inquietanti alla luce delle contraddizioni che ci sono all'interno del Governo. Infatti, il ministro Martino si è precipitato a incontrare il ministro della difesa Rumsfeld per offrire i servizi italiani in Iraq - servizi italiani: in pratica, funzione e destinazione del contingente italiano -, il che è in contraddizione anche con la mozione approvata dal Parlamento - in sostanza, con il tentativo di mascherare tutto attraverso gli aiuti umanitari -, mentre Martino ha parlato esplicitamente di compiti di stabilizzazione democratica, che nel linguaggio politicamente corretto della nuova politica internazionale significa sostanzialmente controllo militare del territorio, quindi scopi militari. Questo, ovviamente, aprirebbe un problema gravissimo dal punto di vista del profilo costituzionale, visto che il comitato nazionale della difesa aveva stabilito quella specie di passaggio strettissimo per quanto riguarda la volontà di appoggio dell'Italia espressa dal Governo alla guerra in Iraq: in altre parole, l'appoggio senza la belligeranza diretta. Evidentemente, in un caso come questo l'invio per la stabilizzazione democratica significherebbe una partecipazione alla belligeranza, perché una guerra come quella in Iraq mantiene le sue caratteristiche, le sue ragioni e le sue finalità, sia durante la fase di guerra guerreggiata, sia durante la fase di guerra di occupazione. Pertanto, non sono per niente soddisfatta e invito il Governo, per quello che è nelle sue possibilità, a una maggiore serietà. Si può essere in disaccordo radicale, ma non si possono venire a raccontare chiacchiere per tentare di stornare l'opinione pubblica, a partire dal Parlamento della Repubblica. Allegato A Seduta n. 306 dell'8/5/2003 (Sezione 2 - Compiti operativi e regole di ingaggio del contingente militare italiano che sarà inviato in Iraq) I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri degli affari esteri e della difesa, per sapere - premesso che: il dopoguerra in Iraq si configura chiaramente come un'occupazione cruenta e oppressiva nei confronti della popolazione civile, già duramente colpita dalle bombe intelligenti dell'aviazione statunitense; il giorno 15 aprile 2003, nella città irachena di Mossul, mentre si svolgeva un comizio dell'aspirante governatore della città, Mashan al Juburi, ritornato in Iraq con l'aiuto degli Usa e del comando angloamericano, le truppe statunitensi, stanziate nelle vicinanze a protezione del palazzo del governatore e del medesimo candidato, hanno aperto il fuoco con i fucili mitragliatori sulla folla che manifestava la sua opposizione al nuovo governatore, causando 12 morti ed un centinaio di feriti; sempre a Mosul, il 28 aprile 2003, i militari statunitensi, posizionati in due punti presso la sponda occidentale del Tigri, facevano fuoco sulla popolazione che festeggiava il compleanno di Saddam Hussein, provocando, da quanto riportato dalle agenzie, almeno sei morti e numerosi feriti; il 29 aprile 2003 nella città di Fallujah, durante una pacifica manifestazione di popolo, che manifestava il suo dissenso contro il perdurare della presenza americana in Iraq, i militari Usa aprivano il fuoco compiendo una strage: 15 i morti e 50 i feriti; il 30 aprile 2003, per il secondo giorno consecutivo, le truppe americane aprivano il fuoco durante una manifestazione, sempre a Fallujah, e anche in questo caso, come ha sottolineato il maggiore statunitense Michael Marti, «sono stati colpi ben mirati»: infatti, secondo fonti ospedaliere, due persone sono rimaste uccise e almeno quattro ferite; tutti questi episodi e altri, non ultima la strage di Bagdad del 26 aprile 2003 (14 morti e oltre 50 feriti, tra gli abitanti del quartiere), provocata dalle operazioni di distruzione di esplosivi all'interno di un deposito di munizioni sequestrato dalle truppe americane, dimostrano come l'esercito Usa abbia messo in atto un'occupazione dell'Iraq, dove il dominio e il controllo militare vengono esercitati con modalità che sempre più chiaramente appaiono come atti di vera e propria criminalità bellica, rivolta essenzialmente contro la popolazione civile; una denuncia contro tali crimini di guerra che si stanno perpetrando in Iraq è stata avviata dalla magistratura belga - che prevede la possibilità di imputare chiunque compia atti di criminalità bellica, anche al di fuori del territorio nazionale - da un legale, Jan Fermon, che ha raccolto le accuse che provengono da decine di civili iracheni e da un'organizzazione non governativa belga, «Medici per il terzo mondo» (il Manifesto 30 aprile 2003): tale inchiesta coinvolgerà direttamente il generale Tommy Franks, comandante in campo dell'esercito Usa in Iraq; in questo quadro politico-istituzionale e militare, segnato pesantemente dalla coda velenosa di un dopoguerra che si mostra, invece, come il volto cruento e oppressiva di un'occupazione attuata contro la volontà della popolazione civile, l'invio in Iraq di un contingente militare italiano di notevoli dimensioni, proposto inizialmente a scopo umanitario, ma poi sempre più collegato, anche nelle dichiarazioni di esponenti del Governo, a compiti di controllo militare del territorio, rischia di configurarsi come una partecipazione attiva ad una guerra ancora in atto -: quale passo politico-diplomatico abbia compiuto o intenda compiere il Governo italiano presso gli Usa per protestare contro episodi tanto drammatici e gravi, che vedono la popolazione civile coinvolta in continui episodi di aggressione e di sangue; con quali tempi il Governo intenda chiarire i compiti operativi del contingente militare italiano, nonché i rapporti tra il comando italiano e quello americano in un contesto tanto drammatico, dove le operazioni di ogni genere - ordine pubblico, ricostruzione materiale dei danni bellici, transizione verso nuovi assetti statuali - sono rigorosamente sotto il comando americano, senza che in nessuna sede siano stati chiariti i rapporti tra le truppe anglo-americane di occupazione, le operazioni militari di peace-enforcing delle unità italiane e le regole di ingaggio per queste unità; se, alla luce di tutto questo, non si ritenga più opportuno soprassedere sulla missione della Msu in Iraq e riesaminare complessivamente il ruolo dell'Italia in un'operazione che rischia di trascinare illegalmente il Paese in un'avventura militare sempre più illegittima e illegale. (2-00735) «Deiana, Giordano, Russo Spena». (6 maggio 2003)
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