Diario da Ankara: Intervento di Leyla Zana al processo



In aggiunta ai precedenti documenti relativi al processo a Leyla Zana e ai
deputati curdi incarcerati in Turchia, inviamo l'intervento della stessa
Leyla Zana al processo.







Ankara, 28 marzo 2003, processo a Leyla Zana e agli altri tre parlamentari
curdi in carcere dal 1994



Sintesi, da appunti, dell'intervento di Leyla Zana





Non parlo molto bene il turco. Perciò leggerò un testo scritto.

Siamo giunti al decimo anno della nostra carcerazione. Spero che il
rifacimento del processo porti ad una conclusione diversa da quella del
precedente processo. Ma il rifacimento del processo è anche un fatto molto
significativo. Non è solo un fatto processuale ma anche una riforma, in
concreto, del sistema giuridico: si tratta cioè della sanzione del diritto
al rifacimento di un processo ingiusto. Si tratta anche di un passo
importante sulla strada della democrazia: la conquista giuridica di un
nuovo diritto è una conquista duratura.

Noi qui presenti abbiamo l'onore di avere portato la Turchia a questa riforma.

L'esito che avrà questo nuovo processo sarà anche un voto sulla democrazia
in Turchia. La Turchia infatti con questo processo si è sottoposta ad un
esame. E ci sono due possibilità: che la Turchia superi l'esame di
democrazia, oppure che essa continui a far parte del novero dei paesi non
democratici.

Noi ci aspettiamo dai giudici e tutti quanti si aspettano dai giudici una
buona decisione. Una buona decisione sarà importante per i popoli della
Turchia e per l'opinione pubblica del mondo: vorrebbe dire che in Turchia
la democrazia, i diritti umani e la pace non saranno più arrestati,
torturati, condannati e privati della libertà. Vorrebbe dire che in Turchia
ci sarà finalmente la possibilità di vivere una danza collettiva
multicolore, secondo il carattere autentico della sua popolazione.

Non si tratta solo, perciò, di avere giudici giusti. Si deve poter dire
d'ora in avanti che in Turchia ci sono la giustizia e la democrazia.

Questo ci importa di più della libertà personale. A suo tempo decidemmo di
non essere profughi ma di rimanere in Turchia, quindi di andare in carcere,
di pagare un prezzo assai alto per la nostra lotta. Volevamo, come vogliamo
ancora oggi, continuare a lottare per il diritto a vivere liberi e con pari
diritti in un paese appartenente a tutta la sua popolazione.

La decisione del tribunale nove anni fa di condannarci fu una decisione in
realtà presa in sede di potere politico. Questi affermò, in concreto, che
condannarci era sua facoltà, che la nostra condanna non era di pertinenza
giudiziaria. Si trattava, disse il potere, di espellere il PKK dal
Parlamento. Quindi qualora il tribunale avesse voluto assolverci non
avrebbe potuto farlo. I giudici allora, pèiù in generale, non erano liberi.

Le accuse a nostro carico, di essere separatisti, erano del tutto false, e
del tutto false le prove. Nove anni fa il nostro paese era un lago di
sangue. Non c'era dialogo tra i suoi popoli, c'erano i morti e c'era una
grande sofferenza perché c'erano i morti. Yta i popoli della Turchia c'era
un rapporto tra sordi, tra ciechi. Ma noi volemmo essere eletti al
Parlamento perché eravamo contro questa sofferenza, perché volevamo fermare
lo scorrimento del sangue, perché volevamo rappresentare e dichiarare la
fraternità tra i nostri popoli. E fummo invece accusati di essere dalla
parte della violenza. In realtà fummo tra le vittime della violenza. Se il
potere avesse accettato che mi esprimessi in curdo in Parlamento avrebbe
capito che era questo che avevo detto. Avrebbe capito che volevo dare voce
al mio popolo, un popolo fatto di povera gente. Avrebbe capito che volevo
esprimere il cuore di un popolo che vive vicino a quello turco. Ma prima
ancora che parlassi era già stato deciso tutto, il boia al potere aveva già
deciso la nostra esecuzione.

E' stato un periodo nel quale i partiti erano sciolti, i loro membri
arrestati. E sono stata condannata anche perché donna. Molti anni fa lessi
un libro intitolato "Uccidete le donne". Vi era scritto che per annientare
gli oppositori un potere oppressivo comincia con l'ucciderne le donne. Il
boia al potere quindi aveva deciso di annullare il nostro movimento
attraverso l'eliminazione delle sue donne.

E poi in questi nove anni siamo stati sommersi dalle calunnie.

Abbiamo dunque pagato un duro prezzo personale. Ma il potere di allora
adesso è nell'immondezzaio della storia.

Io sono prima di tutto una donna, poi una madre, in ultimo una politica. Il
mio cuore è dalla parte delle madri e dei loro figli. Oggi, io penso
questo, come donna e come madre più che come politica, abbiamo bisogno in
Turchia di tolleranza e di fraternizzare. Abbiamo bisogno di fraternizzare,
in primo luogo, tra curdi e turchi. Abbiamo bisogno di essere fratelli e
sorelle con i siriani e gli iracheni e gli altri popoli che confinano con
la Turchia. Dovete abbandonare il proverbio che dice che il turco ha per
amico solo il turco. Abbiamo bisogno di distruggere i pregiudizi
nazionalisti. Dobbiamo fare ogni sforzo per capirci, per sviluppare
sentimenti di fraternità tra i nostri due popoli e per sostituirli
all'odio. Solo la fraternità potrà superare le ferite di una guerra durata
15 anni.

La Turchia ha in sé l'eredità di due grandi rami della civiltà, quello
dell'Anatolia e quello della Mesopotamia. Ha grandi tradizioni culturali.
Si tratta di una buona base per progredire. La Turchia ora sta tentando di
entrare nell'Unione Europea e non deve rinunciare a quest'obiettivo.
L'Unione Europea, a sua volta, deve fare una sforzo maggiore nel negoziato
con la Turchia, in modo da aiutarla di più a crescere democraticamente e,
in questo modo, a entrare in essa.

Se la Turchia non entrerà nell'Unione Europea la costruzione dell'Unione
Europea sarà mutilata di una parte importante. Inoltre se la Turchia
diverrà un paese democratico attirerà verso la democrazia tutto il Medio
Oriente.

Dopo la pioggia viene l'arcobaleno con i suoi colori. Nel 21° secolo noi
possiamo avere l'arcobaleno e ballare sotto i suoi colori.

Quale che sarà il risultato di questo processo, noi continueremo la nostra
lotta.






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