E. Deiana-intervento in aula su invio contingente italiano in Iraq del 15/marzo



Martedì 15 aprile 2003
Comunicazioni del Governo in merito ad un intervento di emergenza
umanitaria in Iraq.

(Dichiarazioni di voto)

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, il ministro Frattini con la sua
relazione ha cercato di rubare il mestiere alle organizzazioni umanitarie;
ha cercato di far credere all'opinione pubblica del nostro paese che gli
Stati Uniti e i paesi volenterosi loro alleati - i cosiddetti willing State
- hanno a cuore salute, sicurezza, diritti del popolo iracheno sconquassato
dalla guerra.
Il ministro vuol mandare un contingente di forze militari in Iraq, mentre
la guerra dura e si moltiplicano le contraddizioni e i problemi in quel
territorio. A Nassiriya migliaia e migliaia di sciiti protestano contro la
riunione - programmata per la giornata odierna - dei principali gruppi di
opposizione al regime di Saddam; tale riunione è stata patrocinata dagli
Stati Uniti e i gruppi sono tutti amici di Bush. Le cose non saranno
affatto facili nel cosiddetto dopoguerra e pare che non tutto il popolo
iracheno sia intenzionato a festeggiare la liberazione imperiale.
Cari signori del Governo, ci troviamo in un dopoguerra di guerra, irto di
questioni irrisolte e legate strutturalmente al Medio Oriente che possono
esplodere da un momento all'altro: basti pensare ai curdi del nord Iraq e
alle tensioni con la Turchia. Tali questioni - compresa quella palestinese
- si trascinano nella tragedia quotidiana, a vergogna di tutti gli
occidenti.
La guerra preventiva dell'Amministrazione Bush non si ferma affatto: siamo
già all'attacco - per il momento solo verbale e sanzionatorio, ma già
inquietante - contro la Siria, uno dei tanti paesi facenti parte
dell'elenco dei rogue State stilato dalla Casa Bianca. Le accuse sono le
stesse - ripeto, le stesse - che hanno portato all'invasione dell'Iraq:
complicità con i nemici degli Stati Uniti, connivenza con il terrorismo,
produzione di armi di distruzione di massa. Gli stessi sono anche i metodi:
disprezzo delle regole internazionali, arroganza unilateralista,
presunzione ideologica di muoversi nel solco della giustizia infinita,
quella di Dio. «Giustizia infinita», così venne chiamata in un primo
momento la guerra all'Afghanistan, antefatto istruttivo di ciò che poi ad
essa sarebbe seguito, ma nessuno ormai vuole istruirsi a partire dai fatti.
Contro la Siria i falchi e le colombe di Washington insieme sparano bordate
di massima grandezza e minacciano sanzioni e ritorsioni di ogni tipo, forti
di trovarsi ormai là - come lucidamente ha spiegato Powell -, a ridosso
della Siria e padroni dell'Iraq.
Persino il Primo ministro britannico, cobelligerante d'eccellenza, riesce a
dire in queste ore qualcosa di diverso per smarcarsi di qualche millimetro
dall'onnivoro cannibalismo bellico di Bush.
Invece, il ministro Frattini e, a maggior ragione, Berlusconi, non riescono
a dire nulla, a differenziarsi in nulla dal grande alleato; riescono
soltanto a precipitarsi in Parlamento per far partecipare il Governo al
banchetto di guerra. Siamo in guerra, signori del Governo, la guerra
globale, preventiva, infinita ed indefinita degli Stati Uniti d'America e
la richiesta del Governo di inviare forze militari italiane in Iraq non è
soltanto un atto servile verso l'America, ma una richiesta di
coinvolgimento politico del nostro paese nella guerra. Un altro attacco
all'articolo 11 ed alla carta delle Nazioni unite.
La missione italiana serve a sancire, anche sul piano politico e
diplomatico, la vittoria statunitense sul terreno militare, a depotenziare
la grande protesta civile dell'opinione pubblica pacifista, a dire ed a far
dire che era giusto fare la guerra.
In questo contesto noi siamo contrari - è stato già affermato dalla collega
De Simone - nel modo più assoluto all'invio, in qualsiasi forma e per
qualsiasi scopo, di personale italiano militare e civile in Iraq. Noi
chiediamo, invece, che il Governo italiano, in tutte le sedi, si faccia
carico di chiedere il ritiro immediato e senza condizioni delle truppe
angloamericane e l'avvio di un processo di pacificazione e di riassetto
politico istituzionale dell'Iraq, affidato esclusivamente all'ONU, con un
ruolo di primo piano della parte araba delle Nazione unite. Solo così sarà
possibile che il più rapidamente possibile l'Iraq diventi padrona del
proprio destino e si blocchino le dinamiche di destabilizzazione dell'area
che la guerra ha pericolosamente innescato.
Sarebbe veramente grottesca, se non avesse a che fare con un problema così
drammatico come la guerra, l'ossessione del Governo Berlusconi di mettersi
in pole position per arrivare primo al tavolo dei vincitori. Perché volete
essere tra i primi, anzi i primi? Per guadagnare altre entrature presso la
grande potenza amica, come si addice ad un Governo subalterno fino al
ridicolo come il vostro o perché fiutate aria di affari, l'immondo mercato
delle commesse post belliche e volete sedervi in tempo per guadagnare
qualche briciola della torta, alla faccia di qualsiasi dignità nazionale?
La vostra fretta si manifesta oltre ogni decenza, mentre nelle città
irachene si moltiplicano le code velenose di una velenosissima guerra,
mentre l'Europa continua ad essere divisa e l'ONU è messa ripetutamente
nell'angolo dall'arroganza dell'amministrazione Bush (che vuole
definitivamente toglierla di mezzo, riducendola a ruolo di agenzia degli
aiuti umanitari, dopo aver cercato di ridurla esclusivamente a fungere da
sistematico appaltatore di guerre e da forzato distributore di legittimità
bellica) e mentre ancora l'orizzonte internazionale si oscura di nuove
minacce di guerra preventiva, questa volta contro la Siria, come abbiamo
visto, poi si vedrà.
Lunga è la lista degli Stati canaglia.
La guerra ad invasione ed occupazione neocoloniale dell'Iraq, per i modi
come è stata preparata, veicolata mediaticamente e agita militarmente sul
campo, segna davvero un punto di non ritorno, una cesura storica che
rischia di essere radicale ed irreversibile rispetto al quadro
istituzionale, giuridico e diplomatico che il mondo aveva faticosamente
costruito nel secondo dopoguerra. I neoconservatori che sostengono
l'amministrazione Bush e che hanno guadagnato posti di prestigio e di primo
piano nella stessa amministrazione dichiarano, ad ogni pie' sospinto - loro
lo dichiarano - che siamo entrati nella IV guerra mondiale (la terza è
stata la guerra fredda) e che sarà una guerra di lunga durata, globale,
preventiva ed indefinita, come ha detto, ossessionandoci, Bush, per
stabilire un nuovo ordine mondiale all'insegna delle bandiere americane.
Il National security strategy - il documento degli Stati Uniti d'America
reso noto il 17 settembre 2002 - è un documento che dovrebbe essere
discusso a fondo prima di blaterare sul ruolo liberatore degli Stati Uniti
d'America in Iraq getta una luce, ed è una luce assai sinistra, su questa
prospettiva bellica di lungo periodo, che si profila radicalmente eversiva
non solo della carta delle Nazioni Unite, ma dell'intero diritto
internazionale generale, così come esso si è consolidato nei secoli della
modernità, ristabilendo, la nuova dottrina militare americana, il principio
barbarico del diritto del più forte ad imporre la legge ed unendo le due
prerogative nelle mani dello stesso soggetto, come si addice ad un capo
barbaro. Punire chi si sottrae alla legge del più forte fa parte di questa
nuova strategia difensiva degli Stati Uniti d'America insieme all'idea di
esercitare ogni forma di pressione e di condizionamento possibili sulla
comunità internazionale per indurla ad accettare le proprie richieste e
veicolare l'idea che soltanto quello che fanno gli Stati Uniti d'America è
giusto, legittimo e degno di futuro.
Fa parte di questa stessa strategia la pretesa degli Stati Uniti d'America
della controproliferazione, cioè del diretto intervento militare per
disarmare i potenziali avversari in possesso o sospettati di possedere armi
nucleari. Nello stesso tempo, tuttavia, questa dottrina si accompagna alla
cancellazione di ogni impegno da parte degli Stati Uniti d'America a
ridurre il proprio arsenale militare, come stabiliva il trattato di non
proliferazione a cui gli Stati Uniti si sono sottratti. Al contrario, essi
dichiarano il proposito di aumentare e stabilizzare il loro assoluto
primato anche in termini di armamenti nucleari.
Noi non vogliamo affatto che la vittoria militare degli Stati Uniti
d'America si trasformi anche in una loro vittoria politica ed in una
legittimazione di questa orrenda strategia di morte e di distruzione. Il
nostro «no» all'invio dei militari italiani è un «no» a tutto ciò che
legittima e promuove questa prospettiva (Applausi dei deputati del gruppo
di Rifondazione comunista - Congratulazioni)