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Le Monde svela il piano USA per i lpetrolio irakeno
- Subject: Le Monde svela il piano USA per i lpetrolio irakeno
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Wed, 16 Apr 2003 13:09:38 +0200
«Iraq, privatizzare il petrolio» http://www.ilmanifesto.it/oggi/art25.html Ibrahim, dell'Energy Intelligence, spiega a «Le Monde» il piano Usa: «Poi i giacimenti sauditi» JOSEPH HALEVI Con il passar dei giorni l'occupazione colonialista dell'Iraq, verso un assetto politico degli anni Venti, si rivela sempre più collegata alla guerra per il petrolio ed al ruolo che questa materia prima, tuttora necessaria alla produzione della quasi totalità delle merci e dei servizi del nostro Pianeta, assume nella lotta per il mantenimento dell'egemonia del dollaro. Su Le Monde datato13-14 aprile appare una lunga intervista con Youssef Ibrahim, giornalista americano e presidente dell'agenzia specializzata Energy Intelligence, dal titolo «La vraie bataille pour le pétrole commence» (comincia la vera battaglia per il petrolio). Ibrahim è stato per 24 anni giornalista del New York Times ed ha diretto sul Wall Street Journal la rubbrica sul petrolio. Prima di assumere la presidenza della Energy Intelligence era responsabile delle relazioni pubbliche della multinazionale Bp Amoco. Molto giustamente Ibrahim interpreta il grande disegno dei falchi di Washington come la volontà di ritornare all'era del patto effettuato nel 1945 sull'incrociatore Quincy tra il Presidente Roosevelt ed il re saudita Ibn Saud in base al quale gli Stati uniti garantivano il potere della monarchia whabbita contro lo sfruttamento esclusivo dei giacimenti a prezzi ragionevoli per le società petrolifere. In effetti, aggiungiamo, per tutti gli anni Cinquanta i prezzi al produttore erano talmente bassi che le compagnie maggiori potevano caricarci un buon margine di profitto. Come già documentato da Anthony Sampson in The seven sisters : the great oil companies and the world they made (London : Hodder and Stoughton, 1975), i margini di profitto vennero rosicchiati dall'aumento dei pagamenti richiesti dai paesi produttori la cui forza contrattuale aumentò significativamente negli sessanta in seguito all'emancipazione dal colonialismo, alla formazione dell'Opec ed ai progetti di nazionalizzazione provenienti soprattutto dall'Iraq. Ulteriori colpi al controllo Usa del petrolio e del Golfo Persico vennero, secondo Ibrahim, dalla caduta dello Shah e dall'occupazione irachena del Kuwait. Qui noi dobbiamo però chiederci: controllo rispetto a chi? In nessun modo il referente poteva essere l'Unione sovietica. La questione del controllo del petrolio del Golfo si pone nei confronti dell'Europa. Ed è all'Europa che si riferiva il segretario Usa alla marina James Forrestal quando alla fine del secondo conflitto mondiale affermò: «Non m'importa quali compagnie americane sviluppino le riserve arabiche, ma affermo con la massima enfasi che debbano essere delle società americane» (citato da Stephen Shalom, «The United States and the Iran-Iraq War», accessibile presso http://www.zmag.org/zmag/articles/ShalomIranIraq.html). Ed infatti Washington procedette ad escludere sistematicamente i britannici dall'Arabia saudita e poi, dopo il colpo di stato contro Mossadeq nel 1953, dall'Iran. Tuttavia il grande disegno americano significa ritornare al 1945 in un contesto in cui gli Usa essendo i maggiori importatori di capitale non possono più agire da coordinatori del capitalismo mondiale. Nell'intervista a Le Monde Ibrahim conferisce particolare importanza alla connessione Iraq-euro: «Le sanzioni erano terribili ma egli (Saddam Hussein, ndr) continuava a sfidare gli americani, in particolare suggerendo di sostituire il dollaro con l'euro nelle transazioni petrolifere. Donde la decisione strategica di riprendere le cose in mano. Voilà il grande disegno». A questo punto i giornalisti di Le monde chiedono come il grande disegno si applichi al petrolio. La risposta merita di essere riportata integralmente: «Si tratta di imporre i `valori americani' non soltanto politici ma anche e soprattutto economici. Si tratta di ritornare all'impresa privata, di distruggere le compagnie nazionali e di privatizzare il petrolio. Il che significa che Exxon ridiventa proprietaria del suo greggio, come era negli anni Cinquanta, che le riserve appartengono ad una delle società americane e non prestate o affittate come nel caso degli attuali contratti de ripartzione della produzione». Ora questi piani avvengono e non sorgono dal nulla. Il retroterra sia geopolitico che concretamente istituzionale è fornito dalla fine dell'Urss. Infatti, dice Ibrahim: «L'esempio viene dalla Russia ove, dopo lo sprofondamento dello Stato, il petrolio è stato privatizzato». L'occupazione colonialista dell'Iraq servirà da modello: «Verrà messo in sella un governo fantoccio il cui primo compito sarà di organizzare la privatizzazione del petrolio». Il processo escluderà i paesi europei e la monetizzazione della risorsa verrà effettuata in dollari per ottenere dei prestiti da parte della Banca mondiale. Questo è il vero significato delle spese per la «ricostruzione dell'Iraq». In un secondo momento Ibrahim individua la privatizzazione forzosa dei giacimenti sauditi dato che, di fronte a società private, diventa impossibile controllare la produzione. Dalla lucida analisi di Ibrahim emerge, per contrasto, la stolta cecità dei leader di quei paesi europei che inneggiano ad un'impresa che, oltre che ad essere assassina ed illegale sotto ogni aspetto, marginalizza l'Europa. Un processo iniziato con la prima guerra del Golfo ed, ahimé, acceleratosi con i bombardamenti ulivisti della Jugoslavia.
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