IL SILENZIO, LA PARRESIA, LA GUERRA E ALCUNI EPISCOPI



PER CONOSCENZA A TUTTI GLI AMICI

CIRCA IL "RESTARE SILENZIO" CHE ALCUNI EPISCOPI AUSPICANO (SPECIE IN
RELAZIONE ALLA GUERRA IN IRAK) PERSONALMENTE MI E' DIFFICILE ESSERE
D'ACCORDO.
HO SEMPRE IN MENTE LE PAROLE DEL VESCOVO DON TONINO BELLO E DI DON MILANI
CHE TRASCRIVO QUI DI SEGUITO (VEDI ANCHE ALLEGATO)

DON TONINO BELLO: Quello che oggi stiamo vivendo è il tempo per parlare. E
voglia il cielo che tutti ci persuadiamo di questa verità: che delle nostre
parole dobbiamo rendere conto davanti al tribunale della storia, ma dei
nostri silenzi dobbiamo rendere conto davanti al tribunale di Dio.

don Tonino Bello, vescovo

DON MILANI
"MI DOMANDO SOLO SE SIA GIUSTO SEGUITARE A SANTIFICARSI NEL SILENZIO QUANDO
SUL PIANO TERRENO QUESTO NON FA CHE AUMENTARE IL GIÀ TANTO PROFONDO SDEGNO
DEI POVERI VERSO LA GERARCHIA ECCLESIASTICA. FINO ALL'ANNO SCORSO PENSAVO
CHE FOSSE SANTITÀ. DA QUALCHE TEMPO IN QUA TEMO CHE SIA CORREITÀ"
DON MILANI

SHALOM-SALAAM A TUTTI, MA PROPRIO A TUTTI!
DOMENICO MANARESI


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Bologna, 1° Maggio 2001
Sia in campo ecclesiale, sia in campo civile-politico, queste splendide
parole dell'amico don Tonino Bello appaiono (più che mai oggi alla vigilia
delle elezioni del 13 maggio 2001) attuali e profetiche: credo che se
ognuno di noi - a cominciare naturalmente dal sottoscritto - cercasse di
"viverle", beh forse allora le cose andrebbero meglioŠ cosa ne pensate?
Shalom a tutti, ma proprio a tuttiŠe buon 1° maggio!!
Domenico Manaresi, assieme alla pazientissima moglie Luciana

Mitt. Domenico Manaresi - e-mail: bon4084 at iperbole.bologna.it

Parresia, o il parlar chiaro
don Tonino Bello, vescovo  (da "Nigrizia" di luglio-agosto 1992)
 A dire il vero, la letteratura popolare, quella che si esprime in aforismi
e in detti sapienziali, non ci aiuta molto. Anzi, a furia di ripetere che
la parola è d'argento mentre il silenzio è d'oro, finisce col persuaderci
che, davvero, a tacere non si sbaglia mai.
Dal canto loro, gli anziani in vena di sentenze ci avvertono che la natura
ha messo la bocca tra due orecchie, e che la lingua ha dapprima la barriera
dei denti e poi quella delle labbra: sicché, perfino da queste collocazioni
geofisiologiche siamo indotti a guardare la parola con un alto tasso di
sospetto. Se poi al massimario corrente si dà la veste latina, il gioco è
fatto: "Dixisse aliquando poenituit, tacuisse nunquam" esclamava non so
chi. Che vuol dire: "Qualche volta mi son pentito di aver parlato; di aver
taciuto, mai".
Come si vede, il discorso che porta acqua al mulino del silenzio potrebbe
continuare all'infinito, e con argomentazioni che vanno dalla filosofia
alle citazioni bibliche. Ci accorgeremmo alla fine che il tacere, nei
convincimenti comuni dettati dal buon senso, guadagna ai punti sul parlare.
La qual cosa mi sembra anche giusta. Peccato, però, che in questa partita
qualcuno finisca col parteggiare a tal punto per uno dei due contendenti da
non riconoscere per nulla i meriti dell'altro.
"Nella bocca chiusa, non entrano mosche" diceva Miguel Cervantes. Il quale,
però, non s'è pronunciato sulla opportunità di tener chiusa la bocca se,
per preservarsi dalle mosche, si è costretti ad ingoiare rospi. Eccoci,
allora, alla domanda cruciale: il tacere è sempre una virtù?
La Bibbia non sembra di questo avviso. Non solo perché, al capitolo terzo
del Qoelet, ci avverte che "c'è un tempo per tacere e un tempo per
parlare", ma anche perché ha introdotto una categoria che costituisce
l'antitesi del pavido silenzio di fronte alla verità e alla giustizia: la
parresia
Che cos'è la parresia? E' il parlar chiaro, senza paura e senza
tentennamenti di fronte alle minacce del potere. Gli apostoli erano stati
precettati più volte di non parlare di Gesù nazareno. Ma di fronte ad un
comando del genere, pur consapevoli delle torture con cui avrebbero pagato
la loro disobbedienza, non se la son sentita di tacere e hanno proclamato
con coraggio la verità. "Annunciavano il Regno di Dio e insegnavano le cose
riguardanti il Signore Gesù con tutta franchezza e senza impedimento". E'
il versetto finale degli Atti degli Apostoli.
Con tutta franchezza. Senza peli sulla lingua, cioè. Senza sfumare le
finali, per amor di quieto vivere. Senza mettere la sordina alla forte
prorompente della ve-rità. Senza decurtare la Parola, per non recar
dispiacere a qualcuno. Senza ambiguità dettate da prudenze carnali. Senza
le furbizie escogitate dalla preoccupazione di salvare la pelle. Senza gli
stratagemmi del defilarsi nei momenti della prova, per timore di
compromettersi troppo.
Oggi dovremmo chiedere al Signore la grazia della parresia. Anzitutto per
le nostre chiese. Perché riscoprano la loro missione profetica e non
tacciano di fronte alle violenze perpetrate sui poveri. Perché sappiano
intervenire con coraggio ogni volta che vengono violati i diritti umani.
Perché non tremino di fronte alte minacce e parlino con franchezza, senza
operare tagli sull'interezza della Parola e senza praticare sconti sul
prezzo di copertina, quando i diritti di Dio vengono subordinati agli
interessi degli innumerevoli idoli che pretendono il suo posto.
E poi, dovremmo implorare il dono della parresia per tutti gli uomini che
amano la verità. Perché con i loro pretestuosi silenzi non interrompano gli
esiti della giustizia. Perché non vestano di apparente virtù il loro
pauroso tacere. Perché usino la lingua come una spada a doppio taglio,
quando si tratta di recidere i legami adulterini con i poteri mafiosi.
Perché comprendano che l'omertà, oltre che connotare di vigliaccheria colui
che non parla, consolida quelle sotterranee strutture di peccato che
avviliscono la storia e rallentano il cammino della pace. Perché si rendano
conto che la connivenza di chi tace di fronte ad un delitto, di cui conosce
le trame genetiche, ha la stessa gravità morale di chi quel delitto stesso
ha architettato e portato ad esecuzione. Perché le "madri coraggio"
infittiscano dei loro nomi i calendari laici, così come i santi
infittiscono della loro testimonianza cristiana il martirologio romano.
Perché chi viene taglieggiato dai rackettari si renda conto che possiede
un'arma di difesa più potente di qualsiasi bomba al plastico che metta in
pericolo la sua azienda: la parola. Perché chi, per un triste destino o per
solidarietà di parentela, ha conosciuto l'oscena economia sommersa della
droga sappia che una parola di denuncia pareggia i benefici di dieci case
di accoglienza per tossicodipendenti. Perché la verità deposta nei segreti
del cuore e impedita di esplodere nella pienezza della luce apra finalmente
crateri improvvisi sulle fiancate del silenzio, e sgorghi come colata
lavica fino a bruciare tutte le resistenze dettate dalla paura.
E' vero: c'è un tempo per tacere e c'è un tempo per parlare. Quello che
oggi stiamo vivendo è il tempo per parlare. E voglia il cielo che tutti ci
persuadiamo di questa verità: che delle nostre parole dobbiamo rendere
conto davanti al tribunale della storia, ma dei nostri silenzi dobbiamo
rendere conto davanti al tribunale di Dio.
don Tonino Bello, vescovo

Mitt. Domenico Manaresi - e-mail: bon4084 at iperbole.bologna.it


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Bologna, 17 Agosto 2001
 Sto leggendo il libro "I CARE ancora" : è una raccolta di lettere di don
Lorenzo Milani.  Testo splendido, fa riflettere.
Splendida e induce a riflettere anche e soprattutto la presentazione che -
di questo libro - ne fa padre Alex Zanotelli.
Come ho già scritto, anche queste mi sembrano parole molto belle e
coraggiose, espresse con grande evangelica "parresia", con quella
franchezza cioè che rifiuta ogni ossequio servile e che quindi non si
rifugia nel silenzio, anzi lo condanna.
Lo stesso  don Lorenzo Milani infatti, a pag. 75 di questo stesso testo (I
care ancora - EMI 2001) scrive
 "Šspero proprio che la Chiesa vorrà almeno farmi il garbo di prolungare un
po' questa vita che non le è parso di usare se non per esiliarla. Ho sempre
pensato che lo stare in esilio sia un'elevata funzione ecclesiastica. MI
DOMANDO SOLO SE SIA GIUSTO SEGUITARE A SANTIFICARSI NEL SILENZIO QUANDO SUL
PIANO TERRENO QUESTO NON FA CHE AUMENTARE IL GIÀ TANTO PROFONDO SDEGNO DEI
POVERI VERSO LA GERARCHIA ECCLESIASTICA. FINO ALL'ANNO SCORSO PENSAVO CHE
FOSSE SANTITÀ. DA QUALCHE TEMPO IN QUA TEMO CHE SIA CORREITÀŠ" Parole di
questo tipo,  su cui concordo in toto, fanno bene sperare che la
chiesa-istituzione possa nuovamente vivere appieno quello spirito di
"profezia" che le compete in modo - se non erro - del tutto peculiare.
Shalom a tutti, ma proprio a tuttiŠanche e in particolare a chi dà credito
all'"uomo della Provvidenza", all'"unto del Signore" e a cosette simili.
Domenico, assieme alla pazientissima moglie Luciana

Mitt. Domenico Manaresi - e-mail: bon4084 at iperbole.bologna.it

Dal libro: LORENZO MILANI "I CARE a n c o r a"
Lettere, progetti, appunti e carte varie inedite e/o restaurate
a cura di GIORGIO PECORINI - presentazione di ALEX ZANOTELLI
EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA
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