Da "Qui", una proposta



Oggi è il 7 marzo e forse, quando riceverete questa lettera, o ancora
prima, quando avrò finito di scriverla, sarà già scoppiata. Le guerre,
infatti, scoppiano: uccidono, distruggono da un momento all'altro.
Centomila persone che ora sono vive - prevede chi è addetto a prevedere -
fra un po', se la guerra all'Iraq scoppierà, non lo saranno più.

Ma, prima di scoppiare, e dopo, e anche durante l'esplosione, la guerra -
la sua idea, la sua minaccia, la sua previsione, la sua realtà - si fa
posto e strada, molto più lentamente, nei pensieri e nelle parole, nel
senso di sé e degli altri. Nel senso dello spazio, il mondo, e del tempo,
il futuro. Nel senso della sicurezza, quindi della propria vita privata e
del proprio modo di vivere, della propria casa, dei propri cari. Quindi
dell'egoismo e dell'altruismo. Si fa posto e strada anche fra le abitudini,
fra le presenze consuetudinarie. Diventa una nostra compagna.

Stiamo attenti al suo muoversi fra di noi e in noi: questo è l'invito che
vi e mi rivolgo. Ed è anche - veramente, si parva licet... - la mia
proposta per il prossimo e ottavo numero di "Qui".

Perché? Perché, oltre a che cosa sta succedendo, bisogna che cerchiamo di
capire che cosa ci sta succedendo. Perché, per giungere subito all'estremo,
a un esempio estremo, da un certo momento in poi diventa impossibile capire
- l'ha insegnato la Iugoslavia - come persone prima pacifiche, con il
lavoro, i soldi, la famiglia, o le donne, o gli uomini, il divertirsi, in
testa ai loro pensieri, diventino, poi, non solo disposte, ma spesso
ansiose di farsi Ôattori della Storia', o burattini degli Stati. Da un
certo momento in poi, sembra un mistero. Bisogna capirlo prima.

Cominciamo allora - questa è la proposta - registrando. Registrando giorno
per giorno parole che udiamo o leggiamo, atteggiamenti, comportamenti che
notiamo, episodi cui assistiamo, pensieri, sensazioni che ci attraversano,
riconducibili alla guerra: il Ôclima di guerra', si potrebbe dire.

Ma a questa condizione: di escludere quello che della guerra viene già
detto Ôin pubblico', non solo da giornali e telegiornali, ma anche da
organizzazioni pacifiste e movimenti, da politici, partiti politici ecc., e
ogni parola, sia pure Ôprivata', che ne sembri una ripetizione, un'eco. E
di astenersi, sulla guerra, da analisi politiche, economiche, ideologiche
ecc. Questo, è vero, renderà probabilmente il compito più difficile, ma più
utile. A che cosa servirebbe ripetere quanto è detto abbondantemente
altrove? A che cosa, presentare su "Qui" analisi cui si dedicano, con
maggiori e migliori strumenti, tante altre pubblicazioni?

Andiamo, invece, a cercare e riconoscere la guerra dove è più nascosta,
nelle pieghe dei discorsi, delle attività, dei pensieri quotidiani.
Facciamolo per due mesi, fino al 15 maggio 2003, qualunque cosa in questi
due mesi avvenga. E facciamolo giorno per giorno, datando tutte le nostre
osservazioni: che il risultato sia una sorta di diario collettivo,
un'occasione, per chi lo leggerà, di ritornare e riflettere su quel che
sarà avvenuto. Per chi lo scriverà potrà essere, tra l'altro, un esercizio
di attenzione. Aspetto quindi, man mano o entro la metà di maggio, i vostri
testi. Se, intanto, vorrete forwardare questa lettera, grazie.

Massimo Parizzi, per "Qui - appunti dal presente", via Bastia 11, 20139
Milano, tel.-fax 57406574, e-mail massimoparizzi at tin.it, url
http://web.tiscali.it/rivistaqui.

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