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(Fwd) [Forumtrieste] Fwd: Re: [fori-sociali] Lettera di dimissinoni a Colin Powell di John Brady Kiesling, ambasciatore USA a T
- Subject: (Fwd) [Forumtrieste] Fwd: Re: [fori-sociali] Lettera di dimissinoni a Colin Powell di John Brady Kiesling, ambasciatore USA a T
- From: "Davide Bertok" <davide at bertok.it>
- Date: Mon, 10 Mar 2003 19:03:00 +0100
- Priority: normal
------- Forwarded message follows ------- John Brady Kiesling Diplomatico degli Stati Uniti Lettera di dimissioni al Segretario di Stato Colin L. Powell Atene, Giovedì 27 febbraio 2003-03-04 Signor Segretario, Le scrivo per presentarLe le mie dimissioni dal Ministero degli Esteri degli Stati Uniti e dalla mia posizione di Consigliere politico all'Ambasciata degli Stati Uniti di Atene, a far data dal 7 marzo. Lo faccio con un peso sul cuore. Il bagaglio della mia formazione comprendeva il dovere sentito di restituire qualcosa al mio paese. Servire come diplomatico degli Stati Uniti è stato un lavoro meraviglioso. Ero pagato per capire lingue e culture straniere, per trovare diplomatici, politici, studiosi e giornalisti e persuaderli che gli interessi degli Stati Uniti e i loro fondamentalmente coincidevano. La mia fede nel mio paese e nei suoi valori era l'arma più potente nel mio arsenale diplomatico. Era inevitabile che durante i vent'anni che ho trascorso al Dipartimento di Stato io sia diventato più sofisticato e più cinico nei confronti dei motivi burocratici ristretti ed egoisti che plasmano la nostra politica. La natura umana è quello che è, e capire la natura umana era il motivo per cui sono stato ricompensato e promosso. Ma fino al tempo di questa Amministrazione è stato possibile credere che tenere alta la politica del mio presidente significava anche tenere alti gli interessi del popolo americano e del mondo. Non lo credo più. La politica che ci si chiede ora di portare avanti è incompatibile non solo con i valori americani ma anche con gli interessi americani. La nostra fervida ricerca della guerra con l'Iraq ci conduce a sperperare il patrimonio di legittimazione che è stata la più potente arma americana sia di offesa che di difesa dai giorni di Woodrow Wilson. Abbiamo cominciato a smantellare la più vasta ed efficiente rete di relazioni internazionali che il mondo abbia mai conosciuto. Il nostro corso presente porterà instabilità e pericolo, non sicurezza. Il sacrificio degli interessi globali a favore della politica interna a degli interessi burocratici auto-referenziali non è niente di nuovo e non è certo un problema unicamente americano. E tuttavia non avevamo visto una tale sistematica distorsione dell'intelligenza e una tale sistematica manipolazione dell'opinione americana dai tempi del Vietnam. La tragedia dell'11 settembre ci ha lasciati più forti di prima, in grado di riunire intorno a noi una vasta coalizione internazionale per cooperare per la prima volta in modo sistematico contro la minaccia del terrorismo. Ma invece di mettere all'attivo questo successo e costruire su di esso, questa Amministrazione ha scelto di fare del terrorismo uno strumento politico interno, arruolando un'Al Quaeda dispersa e largamente sconfitta come proprio alleato burocratico. Seminiamo terrore sproporzionato e confusione nella mente della gente, allacciando arbitrariamente i problemi sconnessi del terrorismo con l'Iraq. Il risultato, e forse la ragione, è giustificare la allocazione di una ricchezza pubblica sempre più ristretta nelle mani dei militari e indebolire le salvaguardie che proteggono i cittadini americani dalla mano pesante del governo. L'11 settembre non ha fatto tanto danno al tessuto della società americana quanto sembriamo determinati a fare noi stessi. Davvero la Russia dei Romanov è il nostro modello, un egoistico impero che si agita in direzione della propria auto-distruzione nel nome di uno status quo condannato? Dovremmo chiederci perché non siamo riusciti a persuadere gran parte delmondo che la guerra con l'Iraq è necessaria. Negli ultimi due anni abbiamoesagerato nel ripetere ai nostri partners mondiali che gli interessi ristretti e mercenari degli Stati Uniti devono passare sopra ai valori che sono cari ai nostri partners. Anche quando i nostri fini non erano in questione, la nostra coerenza faceva problema. Il modello dell'Afghanistan è di poco conforto per i nostri alleati che si chiedono su che base pensiamo di ricostruire il Medio Oriente, ad immagine e nell'interesse di chi. Siamo davvero diventati ciechi, come la Russia è cieca sulla Cecenia, come Israele è cieco sui Territori occupati, per nostro stesso suggerimento, ciechi sul fatto che la soverchiante potenza militare non è la risposta al terrorismo? Dopo che il macello dell'Iraq si sarà unito al macello di Grozny e di Ramallah, sarà coraggioso lo straniero che si metterà insieme alla Micronesia per seguirci dove andiamo a parare. Abbiamo ancora una coalizione, ed è solida. La lealtà di molti dei nostri amici è impressionante, un tributo al capitale morale americano accumulato in più di un secolo. Ma la persuasione dei nostri più stretti alleati riguarda meno il fatto che la guerra sia giustificata, e più il fatto che sarebbe pericoloso lasciare che gli Stati Uniti scivolino in un completo solipsismo. La lealtà dovrebbe essere reciproca. Perché il nostro Presidente tollera l'approccio spavaldo e sprezzante nei confronti dei nostri amici ed alleati che questa Amministrazione promuove, inclusi i funzionari più anziani? Davvero "oderint dum metuant" - ci odino, purché ci temano - è diventato il nostro motto? La scongiuro di ascoltare gli amici dell'America in giro per il mondo. Anche qui in Grecia, riferito focolaio di anti-americanismo, abbiamo amici in numero e intensità maggiore di quanto i lettori dei giornali possano mai immaginare. Anche quando si lamentano dell'arroganza americana, i Greci sanno che il mondo è un posto difficile e pericoloso e vogliono un forte sistema internazionale, con gli Stati Uniti e l'Unione europea in stretta collaborazione. Quando i nostri amici temono noi e non per noi, è tempo di preoccuparsi. Ed ora sono spaventati. Chi dirà loro in modo convincente che gli Stati Uniti sono, come erano, un faro di libertà, di sicurezza e di giustizia per tutto il pianeta? Signor Segretario, ho un enorme rispetto per il Suo carattere e per la Sua abilità. Lei ha preservato più credibilità internazionale nei nostri riguardi di quanto la nostra politica meriti, e ha recuperato qualcosa di positivo dagli eccessi di un'Amministrazione ideologica e orientata su se stessa. Ma la Sua lealtà verso il Presidente va troppo in là. Stiamo forzando al di là dei suoi limiti un sistema internazionale che abbiamo costruito con tanta abilità e cura, una rete di leggi, trattati, organizzazioni e di valori condivisi che hanno posto limiti ai nostri nemici molto più efficacemente di quanto sia stata sollecitata l'abilità dell'America nel difendere i propri interessi. Mi dimetto perché ho cercato, e ho mancato, di riconciliare la mia coscienza con la mia abilità nel rappresentare l'attuale Amministrazione degli Stati Uniti. Ho fiducia che il nostro processo democratico sia in grado in ultima analisi di auto-correggersi, e spero che in misura limitata io possa contribuire dall'esterno a plasmare una politica che serva meglio la sicurezza e la prosperità del popolo americano e del mondo che condividiamo. John Brady Kiesling (traduzione di Franco Giampiccoli) ------- End of forwarded message -------
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