Prima classificata: Israele



UNO. Risoluzioni violate, di francesco iannuzzelli francesco at peacelink.org
DUE. 75
TRE. Neve su Gerusalemme, di don Bruno Ghiroldi
QUATTRO. Hebron citta' di terrorismo, di RanHa Cohen
CINQUE. A chi pensa che la maggior parte dei palestinesi siano terroristi (Operazione Colomba) 
SEI. GROUND ZERO, TRA LE MACERIE DI JENIN (Il Manifesto)

UNO. Risoluzioni violate
Stephen Zunes, professore all'universita' di San Francisco, ha compilato un 
elenco parziale delle risoluzioni violate in questo momento da paesi diversi 
dall'Iraq.
Il suo articolo originale e' disponibile sul sito di Foreign Policy in Focus
http://www.fpif.org/commentary/2002/0210unres.html

Sono in tutto 91 le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU
attualmente violate da stati diversi dall'Iraq. Considerando le 16
risoluzioni violate dall'Iraq, e' possibile stilare la seguente "classifica":

Israele: 31
Turchia: 23
Marocco: 18
Iraq: 16
Cipro: 10
Croazia: 6
Armenia: 4
Indonesia: 4
Sudan: 3
India: 1
Pakistan: 1
Russia: 1

(NB: il totale fa piu' di 107 perche' alcune risoluzioni riguardano piu' di
uno stato)

Nel computo non sono incluse le risoluzioni che condannano una specifica
azione, o quelle ambigue o troppo generiche.
Non sono incluse neanche le risoluzioni che sono state violate per molti anni
ma che oggi non sono piu' valide (Indonesia in Timor Est, Sudafrica in
Namibia, Israele in Libano). Includendo anche queste ultime, il totale
sarebbe raddoppiato.

Infine da ricordare che le risoluzioni passano se approvate dalla maggioranza
del Consiglio di Sicurezza, composto da 15 stati dei quali 5 (USA, Russia,
Cina, Francia e Regno Unito) permanenti, gli altri che ruotano ogni due anni.
I 5 membri permanenti hanno il diritto di veto; dal 1970, gli Stati Uniti
hanno usato il veto circa 50 volte, piu' di tutti gli altri messi insieme.

francesco iannuzzelli francesco at peacelink.org
associazione peacelink http://www.peacelink.it
 
DUE. 75
Nel pomeriggio del 4 marzo Abdullah Shehadeh Al Ash'hab, un no
 cercava della legna
nella sua proprieta' e' stato ucciso da un israeliano con tre colpi sul collo.
La vittima era di una citta' vicino a Gaza City situata nelle vicinanze dell'insediamento 
illegale di Netzarim.
http://www.palestinemonitor.org

TRE. Neve su Gerusalemme di don Bruno Ghiroldi
 
Non eravamo le 9 porzioni di bellezza o saggezza o sofferenza di cui Gerusalemme, secondo l'antico Midrsh,
 e' stata dotata dal Creatore: eravamo semplicemente 9 persone, con storie, responsabilita' ed aspettative diverse,
 che Gerusalemme ha ricevuto fra le sue mura in questi ultimi giorni di febbraio. Siamo stati messi insieme 
da un unico proposito: salire a Gerusalemme. Per alcuni un sogno finalmente realizzato, per altri un ritorno
 alle sorgenti, o un bisogno di spiritualita'. Per tutti una chiamata e un segno. Il tutto e' maturato nel giro di un mese,
 anche se da tempo se ne parlava. "Perche' lei va' a Gerusalemme proprio ora che c'e' la guerra?" mi chiede il 
giovane israeliano della compagnia aerea El Al incaricato di verificare la non pericolosita' del nostro viaggio. 
"Vado con questi amici per un pellegrinaggio di pace sui luoghi santi" rispondo deciso e tranquillo.
 La signorina, che assisteva il giovane nell'estenuante interrogatorio, annui' con un sorriso incoraggiante. 
I testi forniti da don Emilio prima della partenza e le appropriate letture bibliche sui luoghi santi con 
le celebrazioni e le puntuali e provocanti riflessioni di don Tonino, guida esperta e decisa del gruppo, 
ci hanno costantemente richiamato le finalita' del nostro viaggio. 
Fra qualche giorno sara' disponibile a chi ne fara' richiesta un diario dettagliato dell'esperienza;
 ora mi preme sottolineare un avvenimento che per la sua straordinarieta' puo' assurgere a segno: la neve a Gerusalemme.
 "Gerusalemme, il cui nome evoca tanti misteri, colpisce l'immaginazione, sembra che tutto debba essere 
straordinario in questa straordinaria citta'" (Chateaubriand, Itineraires de Paris a Jerusalem) .
 Anche la neve e' str
a poco, ma perche' questa abbondante
 nevicata e' stata come una pioggia di silenzio sulla guerra in atto. 
A Gerusalemme la guerra non la vedi, la respiri nel silenzio della gente. Non c'e' piu' il vociare chiassoso
 delle piazze e del such (il mercato della citta' vecchia i cui negozi in gran parte sono chiusi), 
il correre dei bambini ad ogni angolo di strada; la gente va di fretta, non si formano crocchi sulle vie.
 La citta' e' presidiata dalla Polizia, dalle telecamere piazzate ovunque,, da centinaia di giovani 
rivestiti di tute e di armi, che li rendono seri, autorevoli e tristi. Sembra che della guerra si debba tacere,
 anche se di tanto in tanto l'autista del nostro taxi ci indicava i luoghi dove ci sono stati attentati e stragi.
 Si tace anche la poverta' in cui tante famiglie sono precipitate, soprattutto a Betlemme e nei cosi' detti territori.
 Un giovane frate francescano ci ha portato presso una delle tante famiglie di cristiani davvero provati dalla 
malattia e dalla miseria. Le suore Carmelitane di Betlemme e le "Piccole sorelle" di Ch. De Foucould a Gerusalemme, 
che abbiamo incontrato e con le quali siamo in contatto, vivono sulla loro pelle questa miseria: siamo alla fame! 
Anche la Chiesa, che a Gerusalemme raccoglie il 2% della popolazione, preferisce il silenzio. La stessa occupazione
 della Basilica della Nativita' da parte di circa duecento Palestinesi - ci confermavano i Fratelli di Bose, 
presso i quali abbiamo riparato per un'oretta in un pomeriggio rigido e nevoso, e' stata ufficialmente presentata
 dal Patriarcato come l'evangelica offerta di una disponibilita' di luogo riparato e sicuro. Non s'e' detto poi 
in che condizioni e' stata ridotta l'antica Basilica. 
Intanto Israele e' determinato nel suo intento di erigere mura e baluardi a difesa delle proprie posizioni: 
un muro con tanto di filo spinato e di fossati laterali, di cui a Betlemme e a Genin si vedono gia' le proporzioni,
 che segnera' i confini di stato per circa 150 Km. 
I cristiani poi che vengono a 
mo, non vengono informati
 ne' sulla storia ne' sulla realta' di questa singolare "chiesa di Gerusalemme", ne' invitati in qualche luogo per 
celebrazioni comuni che attestano l'universalita' della chiesa ed una univoca supplica per la Pace. 
Certo a Gerusalemme piu' che altrove la neve copre ed ammanta di splendore: spettacolo che tanti desidererebbero contemplare. 
Noi, non piu'! Non vorrei cedere alla retorica ma questa Gerusalemme cede il passo a Babilonia. 
"Babel scrive A. Chouraqui nel suo libro Vivre pour Jerusalem- del 1973 - esulta nei depositi dove 
si ammassano le armi atomiche, che domani devasteranno la mirabile liturgia della creazione". 
Ai trionfi di Babel che prolificano ovunque nel mondo, Gerusalemme assiste impotente, 
avvolta nella sua bianca canizie. Gerusalemme, citta' del Sacrificio e dell'Incontro, 
incatenata ora in una intifada che non da' speranza di arresto, rimane comunque per il pellegrino che
 l'attraversa un richiamo all'offrirsi, al dono di se'. Questa vocazione conduce il pellegrino fuori Gerusalemme,
 la' dove la vita lo impegna a promuovere quei valori per i quali s'e' messo in cammino. 

QUATTRO. Hebron citta' di terrorismo di RanHa Cohen

Gli "analisti della sicurezza" israeliani descrivono la citta' palestinese
di Hebron come una "citta' di terrorismo". E' vero: in nessun altro luogo il
terrorismo di stato israeliano e' piu' brutale. Se volete vedere la pulizia
etnica al lavoro, dovete cominciare da qui.
I coloni ebrei di Hebron sono estremisti fanatici persino per gli standards
israeliani. Regolarmente saccheggiano i negozi palestinesi, tagliano i fili
dell'elettricita' e le condotte idriche, sfasciano le automobili ed
attaccano gli scolari.
Il funerale di Netaniel Ozeri, un colono di Hebron assassinato da
combattenti palestinesi un mese fa, da' un'ottima dimostrazione del profilo
dei coloni. Il 34enne Ozeri fu ucciso nella sua casa di un avamposto
illegale. Membro del gruppo razzistico fuorilegge Kach, Ozeri era appena
tornato a casa dopo aver t
ver
attaccato un poliziotto israeliano durante le turbolenze dello scorso
luglio.

Il suocero di Ozeri e' un ex-membro del gruppo clandestino ebraico,
condannato all'ergastolo nel 1985 per aver ucciso alcuni palestinesi di
Hebron e graziato subito dopo. La Corte Suprema aveva ordinato piu' volte ad
Ozeri ed ai suoi colleghi di sgomberare l'avamposto illegale, confiscato e
sottratto ai legittimi proprietari palestinesi, ma l'esercito e la polizia
israeliani, di solito cosi' efficienti quando si tratti di demolire le
abitazioni palestinesi, non hanno mai reso operativa la decisione della
Corte.
Le 15 ore di processione funebre sono state marcate da una serie di
scaramucce tra la famiglia e i seguaci di Ozeri sul luogo in cui il colono
dovesse essere sepolto. I "pii" seguaci di Ozeri hanno issato il corpo su
una lettiga coperta dello scialle bianco-azzurro della preghiera,
respingendo all'indietro la copertura sicche' il suo volto fosse visibile,
in chiara violazione della legge religiosa ebraica - uno spettacolo definito
"disgraziato" dal rabbino capo.
Prima e dopo la processione, i compagni di Ozeri sono stati impegnati nel
perpetuare, all'interno della stessa Hebron, l'eredita' del defunto.
L'Independent descrive "le orde di coloni che hanno imperversato in Hebron
ieri, sfasciando finestre delle case palestinesi e dando fuoco alle
automobili" (20/1/03). Persino il filo-israeliano New York Times ha
menzionato in maniera molto soft "gli attacchi indiscriminati alle
proprieta' palestinesi. Gli aggressori hanno rotto le finestre con sbarre
d'acciaio e, ad un certo punto, una giovane mamma con un neonato legato al
petto ha lanciato un grosso masso contro una casa palestinese. Ci sono state
zuffe allorche' l'esercito e la polizia hanno cercato di intervenire, e la
folla ha aggredito la polizia, lanciando insulti" (21/1/03).
TERRORISMO DEI COLONI, TERRORISMO DI STATO
Non vi lasciate impressionare da quel "l'esercito e la polizia hanno cercato
di intervenire", come prudentemente scrive il 
ni di Hebron
possono contare sul supporto di circa 4000 soldati israeliani, i quali sono
li' per proteggere i coloni, non i palestinesi. Da meta' novembre, dopo il
combattimento con membri del Jihad Islami che lascio' sul terreno 12
militari israeliani, l'esercito tiene la citta' sotto coprifuoco continuo,
alleggerito solo per poche ore in piu' di due mesi per permettere i
rifornimenti di cibo e medicinali. Quando osano uscire, in queste rare
occasioni, i palestinesi sono molestati dai coloni.
Sono gia' stati approntati piani per la costruzione di un "passaggio di
sicurezza", una "passeggiata per i coloni" che colleghera' l'insediamento di
Kiryat Arba al fianco orientale della Citta' Vecchia come un cuneo infilato
nel cuore della citta', mediante la confisca di 64 appezzamenti di
proprieta' privata palestinese e la demolizione di almeno 15 abitazioni.
Come ha recentemente riportato la giornalista di Ha'aretz, Ada Ushpiz, "Il
progetto della passeggiata turistica non e' mai stato confermato
dall'esercito, ma ogni capriccio dei coloni diventa presto una necessita'
militare. La distruzione di 15 case palestinesi per proteggere i coloni
sembra un prezzo apparentemente basso" (27/12/02).
Ad essere demolite saranno alcune tra le piu' antiche case palestinesi della
Citta' Vecchia. Bimkom, una nuova NGO di architetti e professionisti
collegati, mette in guardia contro questo attacco fatale ad una delle piu'
antiche citta' al mondo. Diversamente da quanto accaduto per le statue dei
Buddha distrutte dai Talebani in Afghanistan, pochissime persone in
occidente sembrano preoccuparsi della distruzione di questo retaggio
culturale internazionalmente riconosciuto. La Corte Suprema ha, intanto,
ordinato all'esercito di riconsiderare i suoi piani; ma l'esperienza ci
dimostra che, a lungo termine, tutte le decisioni della Corte riguardanti i
Territori Occupati sostengono le azioni dell'esercito o sono ignorate da
esso.
I coloni ebrei di Hebron, dunque, sono una banda di criminali attivamente
curati dal
remamente pericoloso non solo per i
palestinesi ma per lo stesso Israele. Per essere precisi, e' proprio la
giunta israeliana a nutrire e supportare questi elementi criminali
organizzati e pesantemente armati. Molti, in Israele, vedrebbero con favore
l'estirpazione di questo nido criminale, soprattutto dopo il massacro
compiuto nel 1994 da un colono newyorkese contro i fedeli in preghiera nella
Moschea di Abramo. Ogni governo israeliano, pero', da Rabin alla giunta
Sharon, si e' rifiutato persino di prendere in considerazione l'evacuazione
forzata della colonia di Hebron.
CRIMINI DI GUERRA
La Associated Press (20/12/02) ha recentemente riportato le denunce di
alcuni palestinesi di Hebron, secondo cui "la polizia di frontiera
israeliana obbligava i detenuti palestinesi a scegliere quale membro
volevano fosse loro fratturato tra naso, braccio e gamba". Rujdi al-Jamal ha
raccontato all'AP che scelse la mano, e questa gli fu spezzata con un colpo
secco del calcio del fucile. Uno studente universitario arrestato in una
differente occasione racconto' a Yediot Aharonot: "Ho scelto il naso perche'
non c'e' niente di piu' doloroso di un braccio o di una gamba fratturati".
Mentre tali casi possono essere fin troppo facilmente liquidati come
"eccezioni", non e' un caso che l'esercito venga ripetutamente accusato
della criminale politica tesa ad opprimere deliberatamente la popolazione
civile, in chiara violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Quando l'esercito ha invaso Hebron durante la prima settimana di febbraio,
con carriarmati e blindati su scala senza precedenti, uno dei militari che
guidavano l'invasione, un tenente-colonnello identificato solo con il nome,
Eran, ha affermato, durante le news serali su entrambi i canali televisivi
israeliani: "E' nostra intenzione applicare una forte pressione sulla
popolazione sicche' essa sia costretta ad espellere i "terroristi" dal suo
seno" (Ha'aretz, 6/2/03). Il giorno successivo, un altro dirigente
israeliano ha rivelato, al Canale 1 che "
 e'
accidentale, ma parte di un lungo processo" per pressare la popolazione.
Pressare significa: "bloccare le strade di Hebron con montagne di terreno o
blocchi di cemento, distanti gli uni dagli altri circa 100 metri, tagliando
effettivamente la citta' in una serie di enclavi isolate; la chiusura
completa di stazioni radio-televisive locali, proprio quando la popolazione,
imprigionata in casa a causa dei coprifuoco, ne avrebbe piu' bisogno;
l'invasione, da parte dei militari, degli uffici civili dell'Autorita'
palestinese, i quali svolgono funzioni puramente civili, vitali per la
popolazione, la distruzione di computers e mobilio, espulsione dello staff e
sigilli agli ingressi; la demolizione del mercato della verdura di Hebron,
con la distruzione di centinaia di banchi per la vendita e di gran parte
della merce in una citta' gia' impoverita; la "spianatura" di ventidue case
in un solo giorno, gran parte delle quali costruite su territorio adocchiato
dai coloni per espandere i loro insediamenti illegali ed armati" (lettera di
Gush-Shalom al Giudice difensore generale dell'esercito israeliano, 4/2/03).
PULIZIA ETNICA AL LAVORO
Finora, la politica della giunta si e' dimostrata efficace. A causa dello
strangolamento economico e della violenza dei coloni, i 12.000 palestinesi
che abitavano il cuore della citta' vecchia si sono ridotti a 5.000. La
scorsa settimana, il Canale 1 israeliano ha stimato che circa 20.000
palestinesi hanno lasciato le loro case. Le telecamere hanno mostrato file
di abitazioni palestinesi con i vetri fracassati nel pieno del rigido
inverno, chiara evidenza del successo della politica di pulizia etnica. Le
case abbandonate vengono prese dai coloni, che hanno cosi' la possibilita'
di cominciare ad importunare la fila successiva di case palestinesi.
Raffigurando Hebron come una citta' puramente ebraica, le mappe dell'Ufficio
Esteri israeliano sono quindi non solo una distorsione della realta': esse
esprimono il desiderio e la realta' della pulizia etnica, portata a t
in questa terrorizzata citta' palestinese.
PS: Sono ben consapevole della propaganda standard israeliana, quindi i
lettori anti-palestinesi non si disturbino a ricordarmi le decine di ebrei
assassinati ad Hebron nel 1929, nel pieno della conquista sionista della
Palestina. Possano riposare in pace. I loro figli e nipoti (nessuno dei
quali fa parte dell'orda colonica che oggi ha invaso la citta') hanno
ripetutamente condannato le atrocita' perpetrate dai coloni, che sostengono
di essere eredi degli uccisi ma che, in realta', ne dissacrano la memoria
con i loro crimini
 
CINQUE. A chi pensa che la maggior parte dei palestinesi siano terroristi. 
Di Piergiorgio
 
Non so cosa accade esattamente tra Israele e popolo palestinese; ne so come e' esattamente la realta' che mi circonda. 
Ma una cosa credo di averla colta; una sola.
I palestinesi non sono un popolo di terroristi; non sono un gruppo di persone dedite alla vendetta.
 
E aggiungo che con tutto quel che stanno subendo trovo incredibile che il numero dei fanatici o dei disperati 
sia ancora cosi basso; 
trovo incredibile che la maggior parte della gente vuole la pace, ora e subito, e non la vendetta; 
che tutti siano in grado di scherzare tra loro sulle vessazioni che subiscono; 
che tutti siano disposti ad accoglierti in casa al di la' della tua nazionalita', americani compresi; 
che chi vive nelle case sotto tiro dai soldati non si sia ancora stancato di stuccare i buchi dei proiettili o
di cambiare il serbatoio dell'acqua sul tetto distrutto per la terza volta; 
che non si sia ancora stancato di sperare che suo figlio di12 anni, con una pallottola nella schiena, possa essere operato; 
che ci siano israeliani che telefonano ad amici palestinesi per sapere cosa accade veramente nella Striscia, come si vive
 nella grande prigione; che chi e' stato anni detenuto nelle carceri israeliane in quanto palestinese, 
possa credere in uno Stato comune, per entrambi i popoli.
 
E tutto questo e' vero, e' reale. Sembra incredibile. E forse e' p
o raccontano;
 per fare a noi quello che con altri metodi vogliono fare ai palestinesi oggi, nel 2003.
Togliere la speranza. 
 
"Per quanto tempo ancora?" 
 
24 febbario 2003 - Qararah, 
"Sachen usaadi u bi ebbu."  "Mi sta a cuore chi mi sta di fronte."
www.operazionecolomba.org

SEI. GROUND ZERO, TRA LE MACERIE DI JENIN
REPORTAGE 

Nel campo profughi 14mila persone vivono isolate e nel terrore di nuove rappresaglie
Vauro inviato a Jenin

Baka Shakir, mazzo di fiori, e' il nome della cittadina palestinese tagliata in due dalla linea di demarcazione 
oltre la quale iniziano i territori occupati, cosi' c'e' un mazzo di fiori ovest e un mazzo di fiori est.
 Non e' certo profumo di fiori quello che emana dai tubi di scappamento dei camion e delle auto bloccate in
 una lunga coda in attesa di oltrepassare il check point dell'esercito israeliano per entrare nell'area di Jenin. 
Avvicinandosi al posto di blocco le costruzioni, basse e piatte, delle case ai lati della strada scemano sostituite 
da vecchi containers divenuti botteghe di un misero bazar, fino a scomparire in una distesa di lamiere contorte,
 cio' che resta di quello che era un mercato ortofrutticolo distrutto mesi fa dai bulldozer dell'esercito di Israele. 
Una grigia torretta di guardia protetta da sacchetti di sabbia si erge sui blocchi di cemento posti sull'asfalto a 
bloccare l'accesso, insieme ai mitra puntati dei soldati, ma oggi si puo' passare e dopo una occhiata ai documenti, 
i militari ci fanno cenno di proseguire, facendo lo slalom tra i blocchi di cemento. Dopo poche centinaia di metri, 
di nuovo uomini armati, proteggono il lavoro dei bulldozer impegnati a preparare il terreno alla costruzione del muro 
di paura e cemento che Israele sta costruendo per imprigionare, insieme ai palestinesi, se stesso.
 Lo stretto nastro di asfalto che conduce verso Jenin si dipana tra colline costellate dall'argento degli ulivi
 e dal bianco delle case di piccoli villaggi. E' l'apparizione invadente ed improvvisa di due enormi carr
si immettono, con fragore di motore e cingoli, sulla strada a rompere brutalmente la 
dolcezza del paesaggio.

Non sono molti i chilometri che ci separano da Jenin, ma sotto l'occupazione le distanze sono variabili. 
L'esercito chiude regolarmente con pezzi di roccia le strade che collegano i centri palestinesi e i palestinesi, 
appena possono, regolarmente li rimuovono. Cosi' dobbiamo chiedere quanto dista oggi Jenin: i pochi minuti di auto 
sulla strada principale o ore sulle vie traverse? La citta' appare declinante sulla collina fino a fondersi nel 
grande campo profughi che ne e' l'appendice, sprofondato nella valle occupa un'area di circa 10 chilometri quadrati.
 Nel marzo-aprile scorso 450 carri armati israeliani hanno attaccato, occupato ed isolato il campo dal mondo per 11 giorni.
 Oggi tutto il campo sembra avvolto da una nebbia che da' contorni incerti alle case, e' nebbia fatta di polvere,
 della polvere che il vento leggero alza dai cumuli di macerie, conseguenza di quegli 11 giorni terribili. 
Le pareti delle case ancora in piedi sono butterate di fori di proiettili, in alcune si apre lo squarcio 
quasi perfettamente circolare provocato dall'ingresso del colpo di carro armato che esplodendo ne ha sventrato gli interni.
 Tra un gruppo di abitazioni e l'altro si aprono improvvise spianate di calcinacci e terra battuta a marcare di piu' 
il vuoto delle case completamente distrutte. Di quello che era il centro del campo non resta che un vasto spazio vuoto
 colmato soltanto da mattoni polverizzati e terra pressata dai bulldozer a cancellarne financo l'immagine di 
distruzione per sostituirla con quella dell'annullamento totale. Un posto che gli abitanti del campo hanno ribattezzato
 ground zero.

Sono 478 le abitazioni completamente distrutte nel campo e nessuna e' stata risparmiata dal danneggiamento. 
Eppure qua e la' si possono scorgere timidi segnali di ricostruzione: "Quello che e' molto difficile da ricostruire 
e' la psiche dei bambini traumatizzati da quei giorni di paura e m
 di riabilitazione motoria - prima non si vedevano bambini giocare al kamikaze con la fascia intorno alla testa
 e l'arma giocattolo in mano, adesso purtroppo e' uno dei giochi piu' frequenti tra di loro. Non sara' facile estirpare 
il senso della violenza dal loro animo". Eccole li', le foto dei "martiri" combattenti o suicidi, sorridere, 
in pose marziali, mitra alla mano, da piccoli manifesti un po' sbiaditi, attaccati su cancelli arrugginiti o muri sbreccati.
Uno solo, diverso dagli altri, non sfoggia armi ma ha tra le braccia un neonato, probabilmente suo figlio, 
quasi ad affermare una volonta' di futuro a prescindere dalla sua scelta di morte. "La vita nel campo non e' mai stata facile 
- racconta un anziano - ma quegli 11 giorni di occupazione hanno lasciato ferite insanabili". Racconta di come i soldati 
siano entrati rastrellando le persone casa per casa per usarle come scudi umani a proteggere l'avanzata dei tanks nel campo, 
delle abitazioni fatte esplodere o abbattute a volte con le famiglie ancora dentro. "Li' sotto - dice indicando un punto 
nella spianata di terra pressata - devono esserci almeno cinque corpi fatti sparire dai bulldozer insieme alle macerie della loro casa.
 Altri corpi giacevano nella strada, anche per intere giornate, nessuno poteva raccoglierli perche' i soldati sparavano a qualsiasi 
cosa si muovesse".

Una piccola folla si accalca ed ognuno ha da raccontare il suo piccolo pezzo di orrore, come se il fatto di 
a conoscenza di altri fuori dal campo potesse in qualche maniera rompere l'isolamento nel quale ancora la gente di Jenin
 e' costretta a vivere, con l'angoscia costante che quei fatti si ripetano, tenuta viva dalle frequenti incursioni dei carri
 armati nel campo e nella citta'. Nel campo vivono 14mila persone di cui circa 5mila sono bambini al di sotto dei 16 anni.
 Il prezzo che il campo di Jenin ha pagato alla seconda Intifada e' di 114 morti, dei quali 62 negli undici giorni 
dell'occupazione di marzo-aprile. "Pensavamo fossero molti di piu' - mi di
 di tali proporzioni e violenza, era difficile fare un bilancio, eravamo costretti nelle case, 
senza luce, acqua, telefono, alla merce' delle incursioni dei soldati che passavano di abitazione in abitazione sfondando
 le pareti interne delle case. L'unico modo che avevamo per avere notizie di quello che ci stava accadendo intorno 
era qualche radio a transistor, le stesse fonti dell'esercito israeliano parlavano di 250 morti. Poi ci sono voluti 
mesi per accertarne il numero, tra chi era ucciso o arrestato e quelli di cui i bulldozer intervenuti con i tank a 
spianare le macerie, avevano fatto sparire per sempre il cadavere". Come Omar il farmacista anche il mondo in quei
 giorni ha pensato che le vittime fossero di piu', prima di girarsi dall'altra parte e dimenticare. Chissa' quante 
vite annullate servono per definire un massacro e non rimuoverlo dalla coscienza. Certo non potranno dimenticarlo 
gli abitanti del campo di Jenin e non bastera' il profumo del caffe' aromatizzato con il cardamomo che ci offrono a 
sciogliere il sapore acre della polvere delle macerie che satura l'aria che respirano.

Manifesto 20 febbraio 2003 
distribuito da Donne in Nero Milano
sanvitomarinella at libero.it