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Prima classificata: Israele
- Subject: Prima classificata: Israele
- From: "Palestina Libera" <palestina_libera at libero.it>
- Date: Sun, 9 Mar 2003 17:01:38 +0100
UNO. Risoluzioni violate, di francesco iannuzzelli francesco at peacelink.org DUE. 75 TRE. Neve su Gerusalemme, di don Bruno Ghiroldi QUATTRO. Hebron citta' di terrorismo, di RanHa Cohen CINQUE. A chi pensa che la maggior parte dei palestinesi siano terroristi (Operazione Colomba) SEI. GROUND ZERO, TRA LE MACERIE DI JENIN (Il Manifesto) UNO. Risoluzioni violate Stephen Zunes, professore all'universita' di San Francisco, ha compilato un elenco parziale delle risoluzioni violate in questo momento da paesi diversi dall'Iraq. Il suo articolo originale e' disponibile sul sito di Foreign Policy in Focus http://www.fpif.org/commentary/2002/0210unres.html Sono in tutto 91 le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU attualmente violate da stati diversi dall'Iraq. Considerando le 16 risoluzioni violate dall'Iraq, e' possibile stilare la seguente "classifica": Israele: 31 Turchia: 23 Marocco: 18 Iraq: 16 Cipro: 10 Croazia: 6 Armenia: 4 Indonesia: 4 Sudan: 3 India: 1 Pakistan: 1 Russia: 1 (NB: il totale fa piu' di 107 perche' alcune risoluzioni riguardano piu' di uno stato) Nel computo non sono incluse le risoluzioni che condannano una specifica azione, o quelle ambigue o troppo generiche. Non sono incluse neanche le risoluzioni che sono state violate per molti anni ma che oggi non sono piu' valide (Indonesia in Timor Est, Sudafrica in Namibia, Israele in Libano). Includendo anche queste ultime, il totale sarebbe raddoppiato. Infine da ricordare che le risoluzioni passano se approvate dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza, composto da 15 stati dei quali 5 (USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) permanenti, gli altri che ruotano ogni due anni. I 5 membri permanenti hanno il diritto di veto; dal 1970, gli Stati Uniti hanno usato il veto circa 50 volte, piu' di tutti gli altri messi insieme. francesco iannuzzelli francesco at peacelink.org associazione peacelink http://www.peacelink.it DUE. 75 Nel pomeriggio del 4 marzo Abdullah Shehadeh Al Ash'hab, un no cercava della legna nella sua proprieta' e' stato ucciso da un israeliano con tre colpi sul collo. La vittima era di una citta' vicino a Gaza City situata nelle vicinanze dell'insediamento illegale di Netzarim. http://www.palestinemonitor.org TRE. Neve su Gerusalemme di don Bruno Ghiroldi Non eravamo le 9 porzioni di bellezza o saggezza o sofferenza di cui Gerusalemme, secondo l'antico Midrsh, e' stata dotata dal Creatore: eravamo semplicemente 9 persone, con storie, responsabilita' ed aspettative diverse, che Gerusalemme ha ricevuto fra le sue mura in questi ultimi giorni di febbraio. Siamo stati messi insieme da un unico proposito: salire a Gerusalemme. Per alcuni un sogno finalmente realizzato, per altri un ritorno alle sorgenti, o un bisogno di spiritualita'. Per tutti una chiamata e un segno. Il tutto e' maturato nel giro di un mese, anche se da tempo se ne parlava. "Perche' lei va' a Gerusalemme proprio ora che c'e' la guerra?" mi chiede il giovane israeliano della compagnia aerea El Al incaricato di verificare la non pericolosita' del nostro viaggio. "Vado con questi amici per un pellegrinaggio di pace sui luoghi santi" rispondo deciso e tranquillo. La signorina, che assisteva il giovane nell'estenuante interrogatorio, annui' con un sorriso incoraggiante. I testi forniti da don Emilio prima della partenza e le appropriate letture bibliche sui luoghi santi con le celebrazioni e le puntuali e provocanti riflessioni di don Tonino, guida esperta e decisa del gruppo, ci hanno costantemente richiamato le finalita' del nostro viaggio. Fra qualche giorno sara' disponibile a chi ne fara' richiesta un diario dettagliato dell'esperienza; ora mi preme sottolineare un avvenimento che per la sua straordinarieta' puo' assurgere a segno: la neve a Gerusalemme. "Gerusalemme, il cui nome evoca tanti misteri, colpisce l'immaginazione, sembra che tutto debba essere straordinario in questa straordinaria citta'" (Chateaubriand, Itineraires de Paris a Jerusalem) . Anche la neve e' str a poco, ma perche' questa abbondante nevicata e' stata come una pioggia di silenzio sulla guerra in atto. A Gerusalemme la guerra non la vedi, la respiri nel silenzio della gente. Non c'e' piu' il vociare chiassoso delle piazze e del such (il mercato della citta' vecchia i cui negozi in gran parte sono chiusi), il correre dei bambini ad ogni angolo di strada; la gente va di fretta, non si formano crocchi sulle vie. La citta' e' presidiata dalla Polizia, dalle telecamere piazzate ovunque,, da centinaia di giovani rivestiti di tute e di armi, che li rendono seri, autorevoli e tristi. Sembra che della guerra si debba tacere, anche se di tanto in tanto l'autista del nostro taxi ci indicava i luoghi dove ci sono stati attentati e stragi. Si tace anche la poverta' in cui tante famiglie sono precipitate, soprattutto a Betlemme e nei cosi' detti territori. Un giovane frate francescano ci ha portato presso una delle tante famiglie di cristiani davvero provati dalla malattia e dalla miseria. Le suore Carmelitane di Betlemme e le "Piccole sorelle" di Ch. De Foucould a Gerusalemme, che abbiamo incontrato e con le quali siamo in contatto, vivono sulla loro pelle questa miseria: siamo alla fame! Anche la Chiesa, che a Gerusalemme raccoglie il 2% della popolazione, preferisce il silenzio. La stessa occupazione della Basilica della Nativita' da parte di circa duecento Palestinesi - ci confermavano i Fratelli di Bose, presso i quali abbiamo riparato per un'oretta in un pomeriggio rigido e nevoso, e' stata ufficialmente presentata dal Patriarcato come l'evangelica offerta di una disponibilita' di luogo riparato e sicuro. Non s'e' detto poi in che condizioni e' stata ridotta l'antica Basilica. Intanto Israele e' determinato nel suo intento di erigere mura e baluardi a difesa delle proprie posizioni: un muro con tanto di filo spinato e di fossati laterali, di cui a Betlemme e a Genin si vedono gia' le proporzioni, che segnera' i confini di stato per circa 150 Km. I cristiani poi che vengono a mo, non vengono informati ne' sulla storia ne' sulla realta' di questa singolare "chiesa di Gerusalemme", ne' invitati in qualche luogo per celebrazioni comuni che attestano l'universalita' della chiesa ed una univoca supplica per la Pace. Certo a Gerusalemme piu' che altrove la neve copre ed ammanta di splendore: spettacolo che tanti desidererebbero contemplare. Noi, non piu'! Non vorrei cedere alla retorica ma questa Gerusalemme cede il passo a Babilonia. "Babel scrive A. Chouraqui nel suo libro Vivre pour Jerusalem- del 1973 - esulta nei depositi dove si ammassano le armi atomiche, che domani devasteranno la mirabile liturgia della creazione". Ai trionfi di Babel che prolificano ovunque nel mondo, Gerusalemme assiste impotente, avvolta nella sua bianca canizie. Gerusalemme, citta' del Sacrificio e dell'Incontro, incatenata ora in una intifada che non da' speranza di arresto, rimane comunque per il pellegrino che l'attraversa un richiamo all'offrirsi, al dono di se'. Questa vocazione conduce il pellegrino fuori Gerusalemme, la' dove la vita lo impegna a promuovere quei valori per i quali s'e' messo in cammino. QUATTRO. Hebron citta' di terrorismo di RanHa Cohen Gli "analisti della sicurezza" israeliani descrivono la citta' palestinese di Hebron come una "citta' di terrorismo". E' vero: in nessun altro luogo il terrorismo di stato israeliano e' piu' brutale. Se volete vedere la pulizia etnica al lavoro, dovete cominciare da qui. I coloni ebrei di Hebron sono estremisti fanatici persino per gli standards israeliani. Regolarmente saccheggiano i negozi palestinesi, tagliano i fili dell'elettricita' e le condotte idriche, sfasciano le automobili ed attaccano gli scolari. Il funerale di Netaniel Ozeri, un colono di Hebron assassinato da combattenti palestinesi un mese fa, da' un'ottima dimostrazione del profilo dei coloni. Il 34enne Ozeri fu ucciso nella sua casa di un avamposto illegale. Membro del gruppo razzistico fuorilegge Kach, Ozeri era appena tornato a casa dopo aver t ver attaccato un poliziotto israeliano durante le turbolenze dello scorso luglio. Il suocero di Ozeri e' un ex-membro del gruppo clandestino ebraico, condannato all'ergastolo nel 1985 per aver ucciso alcuni palestinesi di Hebron e graziato subito dopo. La Corte Suprema aveva ordinato piu' volte ad Ozeri ed ai suoi colleghi di sgomberare l'avamposto illegale, confiscato e sottratto ai legittimi proprietari palestinesi, ma l'esercito e la polizia israeliani, di solito cosi' efficienti quando si tratti di demolire le abitazioni palestinesi, non hanno mai reso operativa la decisione della Corte. Le 15 ore di processione funebre sono state marcate da una serie di scaramucce tra la famiglia e i seguaci di Ozeri sul luogo in cui il colono dovesse essere sepolto. I "pii" seguaci di Ozeri hanno issato il corpo su una lettiga coperta dello scialle bianco-azzurro della preghiera, respingendo all'indietro la copertura sicche' il suo volto fosse visibile, in chiara violazione della legge religiosa ebraica - uno spettacolo definito "disgraziato" dal rabbino capo. Prima e dopo la processione, i compagni di Ozeri sono stati impegnati nel perpetuare, all'interno della stessa Hebron, l'eredita' del defunto. L'Independent descrive "le orde di coloni che hanno imperversato in Hebron ieri, sfasciando finestre delle case palestinesi e dando fuoco alle automobili" (20/1/03). Persino il filo-israeliano New York Times ha menzionato in maniera molto soft "gli attacchi indiscriminati alle proprieta' palestinesi. Gli aggressori hanno rotto le finestre con sbarre d'acciaio e, ad un certo punto, una giovane mamma con un neonato legato al petto ha lanciato un grosso masso contro una casa palestinese. Ci sono state zuffe allorche' l'esercito e la polizia hanno cercato di intervenire, e la folla ha aggredito la polizia, lanciando insulti" (21/1/03). TERRORISMO DEI COLONI, TERRORISMO DI STATO Non vi lasciate impressionare da quel "l'esercito e la polizia hanno cercato di intervenire", come prudentemente scrive il ni di Hebron possono contare sul supporto di circa 4000 soldati israeliani, i quali sono li' per proteggere i coloni, non i palestinesi. Da meta' novembre, dopo il combattimento con membri del Jihad Islami che lascio' sul terreno 12 militari israeliani, l'esercito tiene la citta' sotto coprifuoco continuo, alleggerito solo per poche ore in piu' di due mesi per permettere i rifornimenti di cibo e medicinali. Quando osano uscire, in queste rare occasioni, i palestinesi sono molestati dai coloni. Sono gia' stati approntati piani per la costruzione di un "passaggio di sicurezza", una "passeggiata per i coloni" che colleghera' l'insediamento di Kiryat Arba al fianco orientale della Citta' Vecchia come un cuneo infilato nel cuore della citta', mediante la confisca di 64 appezzamenti di proprieta' privata palestinese e la demolizione di almeno 15 abitazioni. Come ha recentemente riportato la giornalista di Ha'aretz, Ada Ushpiz, "Il progetto della passeggiata turistica non e' mai stato confermato dall'esercito, ma ogni capriccio dei coloni diventa presto una necessita' militare. La distruzione di 15 case palestinesi per proteggere i coloni sembra un prezzo apparentemente basso" (27/12/02). Ad essere demolite saranno alcune tra le piu' antiche case palestinesi della Citta' Vecchia. Bimkom, una nuova NGO di architetti e professionisti collegati, mette in guardia contro questo attacco fatale ad una delle piu' antiche citta' al mondo. Diversamente da quanto accaduto per le statue dei Buddha distrutte dai Talebani in Afghanistan, pochissime persone in occidente sembrano preoccuparsi della distruzione di questo retaggio culturale internazionalmente riconosciuto. La Corte Suprema ha, intanto, ordinato all'esercito di riconsiderare i suoi piani; ma l'esperienza ci dimostra che, a lungo termine, tutte le decisioni della Corte riguardanti i Territori Occupati sostengono le azioni dell'esercito o sono ignorate da esso. I coloni ebrei di Hebron, dunque, sono una banda di criminali attivamente curati dal remamente pericoloso non solo per i palestinesi ma per lo stesso Israele. Per essere precisi, e' proprio la giunta israeliana a nutrire e supportare questi elementi criminali organizzati e pesantemente armati. Molti, in Israele, vedrebbero con favore l'estirpazione di questo nido criminale, soprattutto dopo il massacro compiuto nel 1994 da un colono newyorkese contro i fedeli in preghiera nella Moschea di Abramo. Ogni governo israeliano, pero', da Rabin alla giunta Sharon, si e' rifiutato persino di prendere in considerazione l'evacuazione forzata della colonia di Hebron. CRIMINI DI GUERRA La Associated Press (20/12/02) ha recentemente riportato le denunce di alcuni palestinesi di Hebron, secondo cui "la polizia di frontiera israeliana obbligava i detenuti palestinesi a scegliere quale membro volevano fosse loro fratturato tra naso, braccio e gamba". Rujdi al-Jamal ha raccontato all'AP che scelse la mano, e questa gli fu spezzata con un colpo secco del calcio del fucile. Uno studente universitario arrestato in una differente occasione racconto' a Yediot Aharonot: "Ho scelto il naso perche' non c'e' niente di piu' doloroso di un braccio o di una gamba fratturati". Mentre tali casi possono essere fin troppo facilmente liquidati come "eccezioni", non e' un caso che l'esercito venga ripetutamente accusato della criminale politica tesa ad opprimere deliberatamente la popolazione civile, in chiara violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. Quando l'esercito ha invaso Hebron durante la prima settimana di febbraio, con carriarmati e blindati su scala senza precedenti, uno dei militari che guidavano l'invasione, un tenente-colonnello identificato solo con il nome, Eran, ha affermato, durante le news serali su entrambi i canali televisivi israeliani: "E' nostra intenzione applicare una forte pressione sulla popolazione sicche' essa sia costretta ad espellere i "terroristi" dal suo seno" (Ha'aretz, 6/2/03). Il giorno successivo, un altro dirigente israeliano ha rivelato, al Canale 1 che " e' accidentale, ma parte di un lungo processo" per pressare la popolazione. Pressare significa: "bloccare le strade di Hebron con montagne di terreno o blocchi di cemento, distanti gli uni dagli altri circa 100 metri, tagliando effettivamente la citta' in una serie di enclavi isolate; la chiusura completa di stazioni radio-televisive locali, proprio quando la popolazione, imprigionata in casa a causa dei coprifuoco, ne avrebbe piu' bisogno; l'invasione, da parte dei militari, degli uffici civili dell'Autorita' palestinese, i quali svolgono funzioni puramente civili, vitali per la popolazione, la distruzione di computers e mobilio, espulsione dello staff e sigilli agli ingressi; la demolizione del mercato della verdura di Hebron, con la distruzione di centinaia di banchi per la vendita e di gran parte della merce in una citta' gia' impoverita; la "spianatura" di ventidue case in un solo giorno, gran parte delle quali costruite su territorio adocchiato dai coloni per espandere i loro insediamenti illegali ed armati" (lettera di Gush-Shalom al Giudice difensore generale dell'esercito israeliano, 4/2/03). PULIZIA ETNICA AL LAVORO Finora, la politica della giunta si e' dimostrata efficace. A causa dello strangolamento economico e della violenza dei coloni, i 12.000 palestinesi che abitavano il cuore della citta' vecchia si sono ridotti a 5.000. La scorsa settimana, il Canale 1 israeliano ha stimato che circa 20.000 palestinesi hanno lasciato le loro case. Le telecamere hanno mostrato file di abitazioni palestinesi con i vetri fracassati nel pieno del rigido inverno, chiara evidenza del successo della politica di pulizia etnica. Le case abbandonate vengono prese dai coloni, che hanno cosi' la possibilita' di cominciare ad importunare la fila successiva di case palestinesi. Raffigurando Hebron come una citta' puramente ebraica, le mappe dell'Ufficio Esteri israeliano sono quindi non solo una distorsione della realta': esse esprimono il desiderio e la realta' della pulizia etnica, portata a t in questa terrorizzata citta' palestinese. PS: Sono ben consapevole della propaganda standard israeliana, quindi i lettori anti-palestinesi non si disturbino a ricordarmi le decine di ebrei assassinati ad Hebron nel 1929, nel pieno della conquista sionista della Palestina. Possano riposare in pace. I loro figli e nipoti (nessuno dei quali fa parte dell'orda colonica che oggi ha invaso la citta') hanno ripetutamente condannato le atrocita' perpetrate dai coloni, che sostengono di essere eredi degli uccisi ma che, in realta', ne dissacrano la memoria con i loro crimini CINQUE. A chi pensa che la maggior parte dei palestinesi siano terroristi. Di Piergiorgio Non so cosa accade esattamente tra Israele e popolo palestinese; ne so come e' esattamente la realta' che mi circonda. Ma una cosa credo di averla colta; una sola. I palestinesi non sono un popolo di terroristi; non sono un gruppo di persone dedite alla vendetta. E aggiungo che con tutto quel che stanno subendo trovo incredibile che il numero dei fanatici o dei disperati sia ancora cosi basso; trovo incredibile che la maggior parte della gente vuole la pace, ora e subito, e non la vendetta; che tutti siano in grado di scherzare tra loro sulle vessazioni che subiscono; che tutti siano disposti ad accoglierti in casa al di la' della tua nazionalita', americani compresi; che chi vive nelle case sotto tiro dai soldati non si sia ancora stancato di stuccare i buchi dei proiettili o di cambiare il serbatoio dell'acqua sul tetto distrutto per la terza volta; che non si sia ancora stancato di sperare che suo figlio di12 anni, con una pallottola nella schiena, possa essere operato; che ci siano israeliani che telefonano ad amici palestinesi per sapere cosa accade veramente nella Striscia, come si vive nella grande prigione; che chi e' stato anni detenuto nelle carceri israeliane in quanto palestinese, possa credere in uno Stato comune, per entrambi i popoli. E tutto questo e' vero, e' reale. Sembra incredibile. E forse e' p o raccontano; per fare a noi quello che con altri metodi vogliono fare ai palestinesi oggi, nel 2003. Togliere la speranza. "Per quanto tempo ancora?" 24 febbario 2003 - Qararah, "Sachen usaadi u bi ebbu." "Mi sta a cuore chi mi sta di fronte." www.operazionecolomba.org SEI. GROUND ZERO, TRA LE MACERIE DI JENIN REPORTAGE Nel campo profughi 14mila persone vivono isolate e nel terrore di nuove rappresaglie Vauro inviato a Jenin Baka Shakir, mazzo di fiori, e' il nome della cittadina palestinese tagliata in due dalla linea di demarcazione oltre la quale iniziano i territori occupati, cosi' c'e' un mazzo di fiori ovest e un mazzo di fiori est. Non e' certo profumo di fiori quello che emana dai tubi di scappamento dei camion e delle auto bloccate in una lunga coda in attesa di oltrepassare il check point dell'esercito israeliano per entrare nell'area di Jenin. Avvicinandosi al posto di blocco le costruzioni, basse e piatte, delle case ai lati della strada scemano sostituite da vecchi containers divenuti botteghe di un misero bazar, fino a scomparire in una distesa di lamiere contorte, cio' che resta di quello che era un mercato ortofrutticolo distrutto mesi fa dai bulldozer dell'esercito di Israele. Una grigia torretta di guardia protetta da sacchetti di sabbia si erge sui blocchi di cemento posti sull'asfalto a bloccare l'accesso, insieme ai mitra puntati dei soldati, ma oggi si puo' passare e dopo una occhiata ai documenti, i militari ci fanno cenno di proseguire, facendo lo slalom tra i blocchi di cemento. Dopo poche centinaia di metri, di nuovo uomini armati, proteggono il lavoro dei bulldozer impegnati a preparare il terreno alla costruzione del muro di paura e cemento che Israele sta costruendo per imprigionare, insieme ai palestinesi, se stesso. Lo stretto nastro di asfalto che conduce verso Jenin si dipana tra colline costellate dall'argento degli ulivi e dal bianco delle case di piccoli villaggi. E' l'apparizione invadente ed improvvisa di due enormi carr si immettono, con fragore di motore e cingoli, sulla strada a rompere brutalmente la dolcezza del paesaggio. Non sono molti i chilometri che ci separano da Jenin, ma sotto l'occupazione le distanze sono variabili. L'esercito chiude regolarmente con pezzi di roccia le strade che collegano i centri palestinesi e i palestinesi, appena possono, regolarmente li rimuovono. Cosi' dobbiamo chiedere quanto dista oggi Jenin: i pochi minuti di auto sulla strada principale o ore sulle vie traverse? La citta' appare declinante sulla collina fino a fondersi nel grande campo profughi che ne e' l'appendice, sprofondato nella valle occupa un'area di circa 10 chilometri quadrati. Nel marzo-aprile scorso 450 carri armati israeliani hanno attaccato, occupato ed isolato il campo dal mondo per 11 giorni. Oggi tutto il campo sembra avvolto da una nebbia che da' contorni incerti alle case, e' nebbia fatta di polvere, della polvere che il vento leggero alza dai cumuli di macerie, conseguenza di quegli 11 giorni terribili. Le pareti delle case ancora in piedi sono butterate di fori di proiettili, in alcune si apre lo squarcio quasi perfettamente circolare provocato dall'ingresso del colpo di carro armato che esplodendo ne ha sventrato gli interni. Tra un gruppo di abitazioni e l'altro si aprono improvvise spianate di calcinacci e terra battuta a marcare di piu' il vuoto delle case completamente distrutte. Di quello che era il centro del campo non resta che un vasto spazio vuoto colmato soltanto da mattoni polverizzati e terra pressata dai bulldozer a cancellarne financo l'immagine di distruzione per sostituirla con quella dell'annullamento totale. Un posto che gli abitanti del campo hanno ribattezzato ground zero. Sono 478 le abitazioni completamente distrutte nel campo e nessuna e' stata risparmiata dal danneggiamento. Eppure qua e la' si possono scorgere timidi segnali di ricostruzione: "Quello che e' molto difficile da ricostruire e' la psiche dei bambini traumatizzati da quei giorni di paura e m di riabilitazione motoria - prima non si vedevano bambini giocare al kamikaze con la fascia intorno alla testa e l'arma giocattolo in mano, adesso purtroppo e' uno dei giochi piu' frequenti tra di loro. Non sara' facile estirpare il senso della violenza dal loro animo". Eccole li', le foto dei "martiri" combattenti o suicidi, sorridere, in pose marziali, mitra alla mano, da piccoli manifesti un po' sbiaditi, attaccati su cancelli arrugginiti o muri sbreccati. Uno solo, diverso dagli altri, non sfoggia armi ma ha tra le braccia un neonato, probabilmente suo figlio, quasi ad affermare una volonta' di futuro a prescindere dalla sua scelta di morte. "La vita nel campo non e' mai stata facile - racconta un anziano - ma quegli 11 giorni di occupazione hanno lasciato ferite insanabili". Racconta di come i soldati siano entrati rastrellando le persone casa per casa per usarle come scudi umani a proteggere l'avanzata dei tanks nel campo, delle abitazioni fatte esplodere o abbattute a volte con le famiglie ancora dentro. "Li' sotto - dice indicando un punto nella spianata di terra pressata - devono esserci almeno cinque corpi fatti sparire dai bulldozer insieme alle macerie della loro casa. Altri corpi giacevano nella strada, anche per intere giornate, nessuno poteva raccoglierli perche' i soldati sparavano a qualsiasi cosa si muovesse". Una piccola folla si accalca ed ognuno ha da raccontare il suo piccolo pezzo di orrore, come se il fatto di a conoscenza di altri fuori dal campo potesse in qualche maniera rompere l'isolamento nel quale ancora la gente di Jenin e' costretta a vivere, con l'angoscia costante che quei fatti si ripetano, tenuta viva dalle frequenti incursioni dei carri armati nel campo e nella citta'. Nel campo vivono 14mila persone di cui circa 5mila sono bambini al di sotto dei 16 anni. Il prezzo che il campo di Jenin ha pagato alla seconda Intifada e' di 114 morti, dei quali 62 negli undici giorni dell'occupazione di marzo-aprile. "Pensavamo fossero molti di piu' - mi di di tali proporzioni e violenza, era difficile fare un bilancio, eravamo costretti nelle case, senza luce, acqua, telefono, alla merce' delle incursioni dei soldati che passavano di abitazione in abitazione sfondando le pareti interne delle case. L'unico modo che avevamo per avere notizie di quello che ci stava accadendo intorno era qualche radio a transistor, le stesse fonti dell'esercito israeliano parlavano di 250 morti. Poi ci sono voluti mesi per accertarne il numero, tra chi era ucciso o arrestato e quelli di cui i bulldozer intervenuti con i tank a spianare le macerie, avevano fatto sparire per sempre il cadavere". Come Omar il farmacista anche il mondo in quei giorni ha pensato che le vittime fossero di piu', prima di girarsi dall'altra parte e dimenticare. Chissa' quante vite annullate servono per definire un massacro e non rimuoverlo dalla coscienza. Certo non potranno dimenticarlo gli abitanti del campo di Jenin e non bastera' il profumo del caffe' aromatizzato con il cardamomo che ci offrono a sciogliere il sapore acre della polvere delle macerie che satura l'aria che respirano. Manifesto 20 febbraio 2003 distribuito da Donne in Nero Milano sanvitomarinella at libero.it
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