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Treni e azioni dirette nonviolente contro la guerra
- Subject: Treni e azioni dirette nonviolente contro la guerra
- From: "Filippo Ciardi" <filciar at inwind.it>
- Date: Wed, 26 Feb 2003 10:48:30 +0100
Carissimi, vorrei farvi partecipi di questa mia riflessione inviata al glt nonviolenza della Rete Lilliput, dove è in corso una discussione sull'azione diretta del blocco dei treni e sulle altre possibili forme di mobilitazione contro la guerra. Vorrei sapere come la pensate. Mi faccio vivo di nuovo dopo un po' di tempo, dal letto di casa mia dove sono confinato con un gesso al bacino fino al 21 marzo, dopo un incidente stradale. E' chiaro quindi che anche volendo non potrò partecipare per un po' a nessuna azione diretta nonviolenta, ed è difficile esprimere quindi in questa situazione un giudizio sulle azioni di blocco dei treni di questi giorni o su altre azioni dirette da intraprendere. Vorrei dire però anch'io la mia. Mi sembra innanzitutto che se di blocco di treni "armati" si debba trattare, questo non può che essere fatto seguendo scrupolosamente la prassi nonviolenta. Un esempio di indicazioni utili possono essere quelle fornite da Peppe Sini, e studiarsi le tecniche e le azioni promosse dai vari "maestri" della nonviolenza o quelle più recenti messe in atto anche in Italia. Credo che, seppure sia da apprezzare la spontaneità con cui tanti si sono messi sui binari e hanno preso anche le botte animati da giustissime motivazioni, sia doveroso studiare e preparare bene un'azione come questa, da parte di chi la compie, perchè non si tratta di un gioco. Ma credo che ci siano delle riflessioni da farsi ancora prima di queste. Interpretando la buona fede e la buona volontà di attivisti di chi le ha preparate, mi sembrano un po' rischiose alcune conclusioni ed esortazioni a nome della Rete di Lilliput a proposito del blocco dei treni. Mi lascia un po' perplesso invocare una generale partecipazione dei lillipuziani al blocco dei treni, e sostenere che la disobbedienza civile è nonviolenza, perchè quest'equazione non regge sempre, non può essere la norma, anche se poi giustamente nel comunicato del glt si precisa che la la disobbedienza è solo una delle possibili forme di azione della nonviolenza, come una delle sue pratiche più estreme, il che appunto è diverso dal dire che la disobbedienza è sempre nonviolenza. Se a noi interessa la giustizia e facciamo il passo ulteriore di voler difendere l'art. 11 della Costituzione, la violazione della legge è auspicabile solo quando mediante questo si voglia contrastare un comportamento, un'azione o una norma profondamente ingiusta, come il transito illegale e ingiusto dei treni carichi di armi. E' questo che giustifica l'azione, perchè di per sé la violazione di norme non è un valore assoluto. E' forse un valore il fatto che un metronotte sia passato con il rosso, mi abbia preso in pieno e mi abbia reso temporaneamente invalido? Ovviamente so benissimo che chi ha scritto sa bene ed ha anche precisato poi tutto quello che sto ribadendo io, ma è sempre meglio cercare di essere molto attenti quando si esorta ad un certo tipo di atti. Proprio perchè la disobbedienza civile è una delle ultime tappe, una delle più forti, di un percorso di lotta nonviolenta, una rete di persone e associazioni come Lilliput secondo me non può permettersi di invocarla a cuor leggero se non si è sicuri di aver fatto essenzialmente due cose, che forse non si sono perseguite abbastanza da parte della generalità dei lillipuziani, ed è per questo che ho queste perplessità sulla posizione invocata per tutti noi: 1) aver percorso insieme le altre fasi dell'agire nonviolento; 2) aver valutato attentamente il rapporto mezzi-fini dell'azione specifica e aver valutato e praticato anche altre possibili forme di lotta nonviolenta, sempre in termine di mezzi-fini (o di rapporto costi-benefici, se preferite). Sul punto 1), cioè sulle tappe dell'azione nonviolenta, a me non sembra che si possa generalizzare pensando che la Rete di Lillput nel suo insieme le abbia percorse tutte abbastanza attentamente. Quindi, solo alla coscienza e all'esperienza individuale si può lasciare di valutare se e come partecipare a questa o ad altre azioni, coordinandosi con un gruppo di persone con cui ci sia almeno una certa affinità, per evitare l'improvvisazione. Siamo sicuri poi di aver fatto tutti un'analisi approfondita dell'ingiustizia contro cui si vuole lottare? Conosciamo attentamente gli "avversari", le loro logiche, le loro possibili mosse e i valori condivisi con chi collabora con la macchina bellica e con quale precisa responsabilità, in modo da interpellarlo perchè si cerchi di dissuaderlo dal proprio gesto, che sia l'ordine dato ad un treno o ad una nave, o la guida di un treno, o il carico di un mezzo, o la repressione dei manifestanti, ecc..? Ci preoccupiamo di comunicare con le terze parti, con la gente che vive nei territori dove si prepara la guerra? E poi, un'azione diretta non credo si possa preparare senza che si siano preparati dei gruppi, sia da un punto di vista interiore che esteriore. Ci siamo poi preoccupati del dialogo e del negoziato, ad esempio con i comandanti delle basi militari, con i politici, con le forze dell'ordine, e con le terze parti, con la gente, e con chi è vicino alle nostre posizioni? Fatto anche questo, abbiamo pensato alla non collaborazione, cioè ad esempio far leva sui civili (e anche sui militari, perchè no?) che potrebbero efficacemente mettere in crisi le operazioni militari non fornendo il proprio appoggio? Nel comunicato della Rete Lilliput si dice che tutte le altre tipologie di azione si sono rivelate inadeguate, come se si fossero veramente perseguite con forza, meravigliandosi se dopo la manifestazione di Roma il governo continui per la sua strada. In verità fino ad ora si è manifestato il dissenso verso la guerra e poco più, e anche se questo è stato fatto da milioni di persone, non si sono ancora percorse con convinzione e da parte di molte persone le altre tappe dell'agire nonviolento, precendenti o comunque conviventi con la disobbedienza civile, che avrebbero potuto veramente mettere in difficoltà la macchina bellica, e non si è preparato ancora efficacemente e in modo diffuso la disobbedienza civile stessa, l'azione di boicottaggio, lo sciopero generale, in modo da minacciarli sapendo di averli organizzati in modo efficace, prima di metterli in atto. Siamo ancora all'inizio di azioni di boicottaggio e di riduzione di consumi petroliferi, siamo ancora all'inizio nella diffusione di campagne di obiezione generalizzata come "scelgo la nonviolenza", siamo ancora all'inizio nel dialogo con i responsabili delle azioni militari e con i civili che lavorano più vicini a queste e potrebbero efficacemente non collaborare con esse. Forse su tutti questi e su altri punti dovremmo insistere di più ed è ottimo il contributo del glt nonviolenza in cui si riepilogano tutte le possibilità di azione contro la guerra. Anche se è vero, dei treni carichi di armi si muovono nel nostro paese, e noi vorremmo che così non fosse. Tutto questo mi porta a riflettere sul punto 2), e cioè sul fatto se sia veramente quella del blocco dei treni l'azione più efficace per fermare la macchina bellica, considerati anche i rischi e le conseguenze su chi la mette in pratica direttamente e sui risvolti mediatici e sulla gente che potenzialmente potrebbe fare qualcosa contro la guerra. C'è da constatare poi che anche chi si è incatenato ai binari è stato facilmente allontanato e che è difficile mobilitare un numero tale di persone da pensare di bloccare per molto varie tratte ferroviarie contro l'intervento delle forze dell'ordine, anche se è vero che ad esempio gli operai della Fiat hanno paralizzato per giorni alcune vie di comunicazioni, ma questa è un'altra storia. Se i rifornimenti militari partiranno in gran parte da Camp Darby attraverso il porto di Livorno, non sarebbe ad esempio meglio ingegnarsi a trovare un modo, attraversando tutte le fasi dell'azione nonviolenta, perchè sia lì che si concentri l'impegno della gente che vuole impedire questa partenza? Già ad esempio una parte dei portuali si dicono indisponibili alla collaborazione con i militari. Poi, scusate, ma in alcuni comunicati si parla di una manifestazione a Pisa prevista per oggi, mercoledì 26, con blocco simbolico dei binari per mezz'ora, un'ora, concordato con la polizia. Ma allora, o si sceglie di fare una manifestazione, restando nella legalità e auspicando di coinvolgere il maggior numero di persone, o si fa un'azione di blocco dei binari vera, accettandone le conseguenze legali, il che certo prevede la massima pubblicità e il dialogo con le forze dell'ordine, ma che è cosa diversa da un'inutile oretta di gloria di fronte alle telecamere. A cosa serve poi l'autodenuncia? Io credo che con la legge non si debba scherzare, e che in questo caso chi fa queste azioni lo faccia per cercare di ristabilite un principio di legalità. Addossarsi provocatoriamente e da soli un presunto reato è cosa ben diversa dall'essere pronti ad accettare le conseguenze legali del proprio gesto che voglia ristabilire una giustizia superiore e dal comunicare a tutti le finalità dellla propria azione, che al contrario è di denuncia dell'illegalità di altri e non della propria. Starà a chi di dovere accertare responsabilità e sarà allora che si solleverà il caso, e si discuterà se sia veramente perseguibile chi ha partecipato all blocco temporaneo di un treno "armato". Ma cercare provocatoriamente il procedimento giudiziario non mi sembra abbia un effetto positivo ne su chi lo cerca, nè sull'azione stessa e sulla lotta nonviolenta in generale. Per concludere, valutiamo attentamente come spendere le nostre forze perchè siano efficacemente indirizzate verso la non collaborazione e l'ostacolo alla macchina bellica, e per far aumentare il consenso della gente verso queste pratiche e il cambiamento delle stesse persone che alla guerra per ora collaborano. E non ci dimentichiamoci del "programma alternativo e costruttivo", per il quale la Rete di Lilliput è impegnata da tempo, come parte dell'agire nonviolento. Un caro saluto, e che tutti in coscienza e con saggezza possiamo fare del nostro meglio per la pace. Filippo Ciardi.
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