gan-re: Auto-riduzione contro la guerra



Riceviamo e rigiriamo:

Cari amici,
avendo mezzo pomeriggio "libero", ho scritto queste note che sto facendo

circolare. Ci riguardano.
   Un caro saluto a tutti.
Pasquale

Auto-riduzione contro la guerra.
Riflessione in 11 punti sulla guerra e il nuovo movimento per la pace


1. In uno dei pochi testi disponibili in lingua italiana sul tema,
Jeremy
Rifkin scrive: "Nuove ricerche suggeriscono che la produzione globale di

petrolio raggiungerà il picco fra il 2010 e il 2020 (secondo alcuni
addirittura prima del 2010). In altre parole, in quell'arco di tempo
metà
delle riserve stimate disponibili del pianeta sarà consumata. Una volta
raggiunto il picco, i prezzi del petrolio cominceranno a crescere
inarrestabilmente, mentre nazioni, aziende e consumatori faranno a gara
per
procurarsi la rimanente metà delle riserve" (Idrogeno, mondadori). A
quel
punto, spiega il fisico Alberto Di Fazio, "il gettito (del petrolio)
comincia a diminuire per poi discendere progressivamente a zero.
Infatti,
proseguendo l'estrazione ad un costo energetico sempre crescente, arriva
un
momento in cui per estrarre un barile di petrolio bisogna impiegare una
quantità di energia maggiore o uguale a quella contenuta nel barile
stesso.
A quel punto l'estrazione viene arrestata, in quanto senza ormai più
senso
energetico e quindi economico (Le grandi crisi ambientali globali, in
"Contro le nuove guerre", Odradek)".
2. L'alba del nuovo secolo si è aperta con i conflitti armati alla
conquista - in Cecenia, in Afghanistan, in Iraq -  degli ultimi
giacimenti
petroliferi utilizzabili prima del raggiungimento del  "picco definitivo

della produzione del petrolio". Ed essi non avranno termine fino a che
un'
ultima goccia di greggio sarà utilizzabile: dopo l'Iraq sarà la volta
dell'
Iran, se non, direttamente, di un conflitto mondiale tra le potenze in
spietata concorrenza energetica. Già nel giugno del 2000 Di Fazio
continuava
il suo saggio scrivendo "la stessa potenza militare degli Stati Uniti -
come
quella delle altre grandi potenze - è estremamente dipendente dal
petrolio,
e il fatto che le riserve strategiche USA non possano durare molti mesi
la
dice lunga sui rischi di guerra. Ciò che distingue le potenze orientali
dagli USA - a proposito di forniture belliche di petrolio - è che
probabilmente gli USA avranno più problemi a rifornirsi, a meno di non
accettare un conflitto generalizzato con Cina, India e Russia, magari
scatenato dalla conquista americana dei pozzi mediorientali"
3. Non è un caso infatti che in questa precisa fase storica il governo
statunitense sia guidato da una vera e propria "junta petrolifera" nella

quale, come scrive D. Caveli (citato da M. Chossudovski in "Guerra e
globalizzazione", EGA), "la famiglia del presidente George W.Bush ha
gestito
compagnie petrolifere fin dal 1950. Il vicepresidente Dick Cheney ha
trascorso la seconda metà degli anni Novanta come chief executive offier

della Halliburton, la maggiore fornitrice di servizi per le industrie
petrolifere. Condoleezza Rice, consigliere per la Sicurezza nazionale,
ha
fatto parte del consiglio di amministrazione della Chevron, che ha
battezzato con il suo nome una petroliera. Il segretario del commercio
Donald Evans è stato per più di dieci anni chief executive offier della
Tom
Brown Inc., una compagnia che possiede giacimenti di gas naturale in
Texas,
Colorado e Wyoming. Ma i legami non si esauriscono a livelo personale.
La
famiglia bin Laden e altri membri della ricchissima élite saudita (che
deve
il proprio patrimonio al petrolio) hanno partecipato a numerose imprese
d'
affari della famiglia Bush, proprio mentre l'industria energetica
americana
contribuiva all'elezione di Bush. Dei 10 principali finanziatori di
sempre
di George W., sei provengono dal settore petrolifero o hanno legami con
esso".
4. Come da manuale si saldano dunque i vertici del triangolo della
violenza:
strutturale, un sistema economico fondato sulla crescita continua per la

quale è necessaria, come una droga, una  sempre crescente dose di
carburante; culturale, la mistificazione dei costi sociali e ambientali
del
sistema - a cominciare dal sistema dei trasporti centrato
sull'automobile -
e la giustificazione delle guerre per l'appropriazione delle fonti
energetiche; diretta, della guerra che, pur ammantandosi di volta in
volta
di nuove trovate pubblicitarie - l'ultima è la guerra preventiva contro
il
terrorismo - è la sporca guerra di sempre, necessaria a garantire
qualche
altro anno di cieca crescita all'Occidente prima della crisi sistemica
globale.
5. D'altro canto, la lunga preparazione della guerra all'Iraq ha messo
in
moto un movimento mondiale per la pace di enormi dimensioni, trasversale

alle diverse appartenenze politiche e religiose, inglobante cittadini
non
militanti. Le quasi due milioni di bandiere arcobaleno distribuite in
Italia
e i 110 milioni di manifestanti globali del 15 febbraio sono segno
concreto
di una enorme mobilitazione diffusa dal basso. E' uno di quei momenti in
cui
il movimento per la pace raggiunge il picco quantitativo di attivismo:
era
già successo, seppure in minori dimensioni, negli anni '80 per le
mobilitazioni contro gli euromissili e nel '91 contro la prima guerra
della
Golfo. Oggi, nonostante tutti gli sforzi contrari della propaganda
bellica,
il convincimento dell'ingiustizia della guerra è finora prevalente nell'

opinione pubblica.
6. Da un lato, la grande mobilitazione di massa ha indotto il movimento
per
la pace in Italia a moltiplicare e differenziare le iniziative volte a
fermare la guerra: dalle telefonate in prefettura ai grandi cortei,
dalle
bandiere ai balconi ai presidi sui binari dei treni militari a molte
altre
ancora. Questa articolazione consente a chiunque di esprimere il proprio

dissenso dalla politica di guerra del governo, impegnandosi nella
modalità
che sente più vicina.
7. Dall'altro lato, l'opposizione di massa alla guerra fornisce ai
movimenti
nonviolenti che - senza impennate in occasione degli eventi bellici, ma
senza riflusso in assenza di questi - lavorano con perseveranza alla
eliminazione delle cause strutturali delle guerre, una grande occasione
per
incidere sui processi profondi che generano questo ciclo senza fine di
guerre imperiali, ossia sul bisogno crescente di petrolio - in regime di

scarsità definitiva del combustibile fossile - nell'organizzazione
economica, sociale e tecnologica della nostra società. E, in
particolare,
nel nostro stile di vita e di movimento.  Anche di tutti coloro che si
dicono - e sono - contrari alla guerra, ossia la maggioranza delle
persone
che abitano il Nord del mondo le quali, con il proprio consumo di
greggio e
dei suoi derivati alimentano la causa strutturale della guerra contro la

quale, magari, scendono in piazza a manifestare. Poichè "le guerre
scoppiano
a valle, contro la guerra cambia la vita" esortava già nel 1991 Alex
Langer,
proprio in occasione della prima guerra del Golfo.
8. In questo senso rivestono un'importanza centrale e una dimensione
strategica, all'interno di questo grande movimento per la pace, gli
sforzi
volti a collegare la violenza strutturale, del bisogno di petrolio, e la

violenza diretta, della guerra per conquistarselo, volti a depotenziare
la
prima per rendere inutile la seconda. Un'importanza centrale, perché
cercano
di convincere chi è contro la guerra a fare un passo in più operando
delle
rinunce personali sul piano dei consumi petroliferi. Una dimensione
strategica perché cercano di affrontare questa guerra all'interno del
quadro
generale della questione energetica attuale, operando contemporaneamente
in
funzione preventiva della prossima.
9. Non a caso questo tipo di approccio strutturale alle cause della
guerra
nasce proprio in ambito nonviolento e lillipuziano e si articola
attualmente
in alcune campagne attive: Scelgo la nonviolenza - campagna promossa da
MIR,
Movimento Nonviolento e Rete Lilliput -  nella quale si associa la
dichiarazione di obiezione alla guerra ad una scelta personale anche di
"consumo critico ed economia nonviolenta"; StopEssoWar  - campagna
promossa
da Greenpeace, Rete Lilliput, Centro Nuovo Modello di Sviluppo,
Associazione
Botteghe del Mondo Bilianci di Giustizia - che propone di diminuire i
consumi di carburante e di boicottare le pompe della Esso,
multinazionale
fornitrice di carburante all'esercito USA. Campagne sulle quali l'
investimento complessivo dei movimenti nonviolenti e lillipuziani,
dentro il
più vasto movimento per la pace, è stato finora in realtà piuttosto
modesto
e sicuramente non all'altezza della loro portata strategica.
10. Infine, è nata in questi mesi, all'interno di alcuni Gruppi di
Azione
Nonviolenta - e si sta diffondendo a macchia d'olio dal basso e per
passa-parola - la progett/azione nonviolenta "In bici contro la guerra
del
petrolio". Non si tratta di una campagna vera e propria ma di un
progetto di
azioni continuative in bicicletta volte a esplicitare il nesso tra il
consumo, anche individuale, di petrolio e le guerre, inducendo al
cambiamento dei comportamenti nella mobilità personale. Le biciclettate
nonviolente, portano le bandiere arcobaleno, issate sulle biciclette,
giù
dai balconi per strada, in centro e nel traffico; esplicitano l'invito,
ripetuto e ben in vista sulle bici e sui banchetti informativi, "contro
le
guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili"; si rivolge in
particolare a chi ha già maturato la propria contrarietà alla guerra
proponendo il conseguente piccolo/grande  "sacrificio" personale di
auto-riduzione; attuano in se stesse il programma costruttivo mostrando
l'
alternativa all'automobile, possibile e praticabile fin da subito.
Insomma
cercano di realizzare quella gandhiana "dissociazione, ossia tagliare il

legame strutturale con il repressore e/o lo sfruttatore" (uno dei
quattro
elementi della trasformazione nonviolenta dei conflitti strutturali,
come ci
ricorda J. Galtung in "Pace con mezzi pacifici", Esperia), indicando la
via
nonviolenta dell'autosufficienza nei trasporti. Insomma, con l'impegno
di
tutti gli amici della nonviolenza e dei lillipuziani, la bicicletta può
veramente diventare il simbolo del nuovo movimento nonviolento per la
pace -
contro tutte le guerre per il petrolio - come l'arcolaio lo fu per il
movimento gandhiano d'indipendenza.
11. Concludo con le parole con le quali concludeva Di Fazio: "Lamentarsi
che
ci sono i cattivi non serve. Bisogna usare un metro di analisi più
ampio,
che permetta d'inquadrare i singoli conflitti nel quadro generale a cui
appartengono: quello della lotta per il dominio delle risorse. (.).
Concludo
ricordando che - nei peggiori casi tra quelli descritti - siamo di
fronte a
impatti potenzialmente distruttivi, con tempi scala nell'ordine di 10
anni.
Non ci si può perdere in chiacchere o riflessioni filosofiche: abbiamo
poco
tempo."  Né ci si può permettere di correre il rischio di disperdersi,
aggiungo, in una miriade d'iniziative che - seppur riuscissero a
rallentare
la guerra - trascurano di fatto la contraddizione fondamentale che la
prepara. Anche le campagne citate, come le altre iniziative in corso,
probabilmente, purtroppo, non fermeranno questa guerra, ma almeno -
soprattutto le biciclettate nonviolente - se diffuse capillarmente e
condotte con costanza e persuasione,  avranno portato a galla il
conflitto
fondamentale tra i nostri convincimenti e i nostri comportamenti,
aiutando
tutti noi a non essere più complici della "necessità" delle guerre per
il
petrolio. E magari a prevenire con l'auto-riduzione, almeno in parte, la

prossima.
      Prima che la stanchezza e il riflusso abbiano il sopravvento su
molti
compagni di strada oggi disponibili a mettersi in gioco.

         Pasquale Pugliese
         Movimento Nonviolento,  Reggio Emilia
         puglipas at interfree.it

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La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento
di
una società inadeguata.

Aldo Capitini

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