Cola war, il frizzante della guerra



Cola war, il frizzante della guerra

Tra i musulmani delle città europee furoreggia la Mecca cola, rivale della
più nota bevanda gassata. Un esempio del boicottaggio contro i prodotti usa
che non esclude il mondo dell'informazione

di MARCO D'ERAMO

Non bere stupido, bevi impegnato», dice lo slogan della Mecca Cola, la
bevanda gassata che fa furore nei quartieri musulmani delle città europee.
La lattina ha lo stesso colore rosso e la stessa scritta bianca del suo più
celebre modello. La bevanda è un po' meno zuccherosa, ma altrettanto
gassata, con gli stessi ingredienti di tutte le bollicine: acqua gassata,
zucchero, sciroppo di glucosio e fruttosio, un po' di caffeina, un pizzico
di acido fosforico, e colorante color caramello E150D. A lanciarla a Parigi
è stato un rappresentante di commercio tunisino, Tawfik Mathlouthi, che ha
ripreso l'idea dalla iraniana ZamZam Cola (vedi scheda accanto). «Ha lo
stesso prezzo della Coca», ha detto Mathlouthi a Le Monde, «allora se
possiamo evitare di dare tutta la nostra grana a Bush perché attacchi ancora
un po' gli arabi, tanto vale farlo. In ogni caso, è quello che dico ai miei
clienti». E infatti un altro slogan recita: «Non un centesimo per le guerre
di Bush». Il proprietario promette che il 10% dei profitti andrà a
organizzazioni caritatevoli e opere pie europee (tra cui quella dell'abbé
Pierre) e un altro 10% ad aiutare i bambini palestinesi, il tutto attraverso
la «Fondazione Mecca Cola» che possiede un quinto del capitale azionario
della società. Il lancio della bevanda è avvenuto a ottobre e le prime
consegne agli inizi di novembre per sfruttare «l'effetto Ramadan», il mese
del digiuno musulmano. Dopo la prima settimana, Mathlouthi aveva già venduto
160.000 bottiglie da un litro e mezzo; alla fine di gennaio erano già
divenute 3 milioni di bottiglie e altri 16 milioni erano in ordinazione. Le
previsioni stimano una produzione di 250-300 milioni di bottiglie entro
l'anno. All'inizio la Mecca Cola si è diffusa nei ghetti musulmani di
Francia, da Barbès e Belleville a Parigi, alla Cité des Indes a
Sartrouville, a Vaulx-en-Velin nella banlieue di Lione, a Val-Fourré a
Mantes, alla Casbah di Marsiglia. Poi si è diffusa nelle comunità islamiche
in Belgio, Olanda, Germania. Infine, questo prodotto della diaspora
musulmana ha trovato sbocco nel mondo islamico, in Marocco, in Libia, negli
Emirati del Golfo, in Arabia Saudita, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, dove
il suo successo, come quello di Zamzam, è dovuto soprattutto al boicottaggio
delle bevande gassate americane, da CocaCola, a PepsiCola, Fanta, Sprite...
Il boicottaggio riguarda non solo le bevande, ma anche McDonald's, Nike,
Starbucks: e tutte queste corporations ammettono di subire l'impatto del
boicottaggio. Un funzionario statale marocchino stimava al 50% il calo delle
vendite di Coca nel nord del paese, che è un caposaldo dei fondamentalisti.
Negli Emirati arabi, le vendite della locale Star Cola sono aumentate del
40%. In tutta l'area, il calo delle vendite di CocaCola è stimato intorno al
40%. Secondo il quotidiano arabo al-Watan, il boicottaggio delle bevande
americane prende sempre più piede, mano mano che l'amministrazione Bush
appoggia in modo sempre più incondizionato la politica israeliana di Ariel
Sharon e si prepara ad invadere l'Iraq di Saddam Hussein. Secondo il
presidente del gruppo Zamzam, Ahmad Taheri, il successo di bevande come la
ZamZam, la Star Cola (e ora la Mecca Cola) «è dovuto in gran parte al
boicottaggio arabo e musulmano che ha colpito i marchi americani». Certo,
questo tipo di boicottaggio è solo una puntura di tafano per un colosso come
la CocaCola, il cui capitale azionario vale circa 130 miliardi di euro. Ma
anche i tafani fanno male, tanto che in questi paesi la CocaCola cerca di
distanziarsi dalla politica dell'amministrazione Bush. Paradossalmente, la
prima guerra combattuta -ha scritto la stampa anglosassone -non è quella sul
campo lungo il Tigri e l'Eufrate, ma la cola war nei chioschi e baracchini
del Medio oriente e dei ghetti islamici nelle metropoli europee. È quasi una
nemesi storica che sia l'americanissima CocaCola la prima vittima
dell'offensiva dei falchi dell'amministrazione, il vicepresidente Dick
Cheney, il ministro e viceministro della difesa, Donald Rumsfeld e Paul
Wolfowitz, la consigliera per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice.
Quello che è interessante -avveniva da decenni ma è diventato più visibile
dopo l'11 settembre 2001 -è come l'Islam si sta costruendo una sua
americanità islamica in chiave antiamericana. Quello che si sta rivelando è
che, anche nei consumi, la globalizzazione sta subendo un processo di
differenziazione, come una lingua che viene diversamente pronunciata nei
vari dialetti. Oggi c'è una «Mecca Cola», ma tutto fa pensare che domani ci
sarà in India una «Kharma Cola» (che è già il titolo di un libro di Geeta
Metha sull'occidentalizzazione indiana). Magari un BigAli sostituirà il
BigMac: in un certo senso, è il processo inverso a quello che tentano i
dirigenti della McDonald's quando lanciano in Egitto il MacFalaffel: la
MeccaCola pone un marchio locale su un prodotto globale, mentre il
MacFalaffel imprime un marchio globale su una tradizione culinaria locale. E
le tecniche mass-mediatiche di cui gli Usa sono stati i pionieri, vengono
replicate, «tradotte» negli idiomi locali, e i serial tv come Miami Vice
vengono via via spodestati dai vari La Piovra, Distretto di polizia, Il
commissario Montalbano (persino la trasmissione di maggiore successo degli
ultimi anni, Il grande fratello, viene dall'Olanda e non dagli Usa): tanto
che di recente il New York Times si lamentava perché le esportazioni di
serial e di telefilm Usa sono in calo, e comunque anche se acquistate, non
vengono più trasmesse in prima serata. C'è quindi il tentativo di
«inventare» una modernità islamica, di importare alcuni prodotti, beni di
consumo, senza necessariamente adottare tutti i sistemi di vita e gli
assunti ideologici dell'occidente. Sarebbe una prova che, contro Karl Marx,
aveva ragione lo storico Fernand Braudel quando (in Grammaire des
civilisations) sosteneva che la civiltà industriale esportata dall'Occidente
è solo uno degli aspetti della civiltà occidentale; e, accogliendo la
civiltà industriale, «il mondo non per questo accetta l'insieme della
civiltà occidentale, al contrario». In fondo, Al-Jaizira è la copia conforme
della Cnn, solo versione araba: e Al-Jaizira è solo la prima ad essere
entrata in questo settore del mercato tv, l'informazione 24 ore su 24. Come
ha scritto il Financial Times, altri gruppi islamici stanno lanciando
concorrenti ad Al-Jaizira. Il quotidiano finanziario londinese ne cita
almeno tre. La rete al-Arabia lanciata dal gruppo saudita Middle East
Broadcasting (MBC), una algerina, e una formata dalla joint-venture della
Lebanese Broadcasting Company e del quotidiano panarabo (finanziato dai
sauditi) al-Hayat. E d'altronde lanciare una televisione -Tele-Liberté, con
programmi in arabo, francese e inglese -è il grande sogno del brevettatore
della Mecca Cola, Tawfik Mathlouthi, che già possiede una radio, Radio
Mediterranée (ascoltabile in Francia sulla frequenza 88,6 megahertz in FM)
che ha fondato nel 1992, che dirige e da cui, tra una pubblicità e l'altra
di coraniche bollicine, lancia attacchi virulenti contro Ariel Sharon. La
stessa storia di questo personaggio mostra i viavai tra assorbimento della
globalizzazione e affermazioni identitarie. Le monde racconta che, nato nel
1956 a Kala Kebira in Tunisia da un padre insegnante e imam della sua
moschea, negli anni `90 Tawfik Mathlouthi riesce a ottenere l'esclusiva
della rappresentanza in Tunisia del corriere internazionale Dhl, esclusiva
soffiatagli da un genero del presidente tunisino. Quest'estromissione lo
spinge, unico di nove fratelli, a emigrare in Francia e a naturalizzarsi
francese nel 1998. In Francia è stato consulente per il Porto di Marsiglia,
Air Corse, Al Amri International Group, ha fondato un magazine finanziario
(poi rivenduto a buon prezzo), due stazioni radio, associazioni, ha lanciato
un premio per l'infanzia e persino, nel 2001, un partito politico, il
Partito della Francia plurale, oggi inattivo. Infine l'avventura di Mecca
Cola, lanciata solo perché son o stati vani i suoi tentativi di contattare i
dirigenti di ZamZam per ottenerne la rappresentanza in Francia: così
l'estate scorsa, dice, si fa prestare 22.000 euro, deposita il brevetto del
marchio e si rivolge a una fabbrica di bevande gassate, per scoprire che
,delle 22 fabbriche esistenti in Francia, 18 appartengono alla Coca o la
Pepsi. Una delle restanti quattro accetta il suo ordine iniziale di 160.000
bottiglie, poi il successo, persino inatteso. Come si vede, nulla lo
distinguerebbe da un frenetico, iperattivo, un po' volubile, maneggione
nostrano. Solo che Mecca Cola è spuntata fuori al momento giusto,
all'interno di una tendenza più generale. Nel suo piccolo è un'altra
dimostrazione che nel mondo attuale la modernità è declinata al plurale: non
moderno contro antico, ma una modernità accanto e, a volte, contro l'altra.

Fonte : Il Manifesto 18-02-03