Nazioni Unite/Iraq: il Consiglio di Sicurezza ha paura di affrontare i costi umani del conflitto in Iraq



COMUNICATO STAMPA
CS19-2003


NAZIONI UNITE/IRAQ: IL CONSIGLIO DI SICUREZZA HA PAURA DI AFFRONTARE I
COSTI UMANI DEL CONFLITTO IN IRAQ


"Il Consiglio di Sicurezza ha paura di affrontare i costi umani del
conflitto in Iraq?" - ha chiesto oggi Irene Khan, Segretaria Generale di
Amnesty International.

"Il Consiglio di Sicurezza deve dare alta priorità alle conseguenze della
guerra per la situazione umanitaria e per i diritti umani. Quando si parla
di una guerra contro un paese la cui popolazione sta soffrendo a causa
delle gravi violazioni dei diritti umani commesse dal proprio governo e di
oltre dieci anni di sanzioni, la necessità di una valutazione del genere
diventa ancora più importante" - ha aggiunto Irene Khan.

Alla fine della settimana scorsa, Amnesty International ha scritto al
presidente del Consiglio di Sicurezza esprimendo il timore che il probabile
impatto sui civili di una possibile azione militare contro l'Iraq non stia
ricevendo l'attenzione che merita; l'argomento dovrebbe essere invece
esaminato in una sessione aperta, alla presenza di tutti i membri delle
Nazioni Unite.

Amnesty International ha manifestato apprezzamento per la decisione del
Sudafrica di richiedere tale dibattito: una richiesta, ha sottolineato
l'organizzazione per i diritti umani, che "è indispensabile che il
presidente del Consiglio di Sicurezza accolga. È urgentemente necessario
che il Consiglio di Sicurezza dibatta in maniera esauriente, informata ed
aperta, sulle conseguenze, per la situazione umanitaria e dei diritti
umani, di un'azione militare. Se il Consiglio di Sicurezza intende
adempiere in modo adeguato alle responsabilità derivanti dalla Carta delle
Nazioni Unite, tali conseguenze dovranno essere attentamente analizzate e
messe a confronto con la minaccia che l'Iraq si ritiene costituisca per la
pace e la sicurezza".

Amnesty International inoltre teme profondamente che l'attuale situazione
dei diritti umani in Iraq possa peggiorare in caso di un'azione militare.
In particolare, vi è il rischio di rinnovati abusi da parte delle autorità
irachene, dei gruppi armati di opposizione e di altre parti coinvolte nelle
operazioni militari, nonché quello di rappresaglie per motivi etnici o di
altra natura. Vi è dunque la necessità di verificare da vicino, avvalendosi
anche della consulenza di esperti, la situazione dei diritti umani in Iraq.
"Purtroppo, le preoccupazioni per i diritti umani in un contesto del genere
non sono state prese in esame dal Consiglio di Sicurezza", ha denunciato
Irene Khan.

"La presenza di osservatori sui diritti umani apporterebbe un significativo
contributo alla protezione dei diritti umani, non solo nelle attuali
circostanze, ma anche in ogni futuro scenario", ha aggiunto la Segretaria
Generale di Amnesty. "Il loro mandato dovrebbe riguardare gli abusi dei
diritti umani commessi da ogni parte in territorio iracheno e i loro
rapporti dovrebbero fornire al sistema delle Nazioni Unite informazioni
autorevoli sulla situazione dei diritti umani e indicazioni sui rimedi
necessari".

Amnesty International è conscia del fatto che le Nazioni Unite stanno
valutando i rischi umanitari di un conflitto in Iraq. "Il Segretario
Generale Kofi Annan ha intenzione di discutere l'impatto umano di un
conflitto in Iraq in un incontro informale del Consiglio di Sicurezza, ma
questo è un argomento troppo importante per poterlo esaminare a porte
chiuse. Ci vuole un dibattito formale, aperto e trasparente." - ha
precisato Khan.

Da oggi i soci di Amnesty International nel mondo si mobilitano per
esercitare pressione sul Consiglio di Sicurezza affinché venga svolto un
dibattito esauriente all'interno delle Nazioni Unite.

Amnesty International ha inoltre invitato il Consiglio di Sicurezza a
chiedere al Segretario Generale una relazione pubblica e urgente
sull'impatto di una azione militare sulla popolazione civile dell'Iraq e di
altri paesi.

In modo particolare, l'organizzazione per i diritti umani chiede al
Consiglio di Sicurezza di esaminare:

(a) i probabili effetti di un'azione militare sulla complessiva situazione
umanitaria e dei diritti umani della popolazione irachena, già esposta a
gravi violazioni ad opera del suo governo ed agli effetti delle sanzioni
economiche, specialmente in caso di gravi interruzioni nella distribuzione
del cibo e di danni alle infrastrutture essenziali;

(b) il rischio che l'azione militare possa provocare una crisi di
spostamenti di massa simile a quella del 1991, con la necessità di
assicurare l'apertura dei confini e la solidarietà internazionale per
fornire efficace protezione ed assistenza ai rifugiati e agli sfollati
interni;

(c) il rischio di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario,
tra cui attacchi contro civili, uso di scudi umani, attacchi indiscriminati
e attacchi contro obiettivi civili. È inoltre necessario valutare l'impatto
del possibile uso di armi chimiche, biologiche e nucleari -  armi di per sé
indiscriminate.

(d) i modi per assicurare l'immediato invio di osservatori sui diritti
umani, secondo quanto richiesto dalla risoluzione 57/232 approvata
dall'Assemblea Generale lo scorso dicembre.

Amnesty International ha apprezzato e sostenuto le iniziative assunte negli
ultimi anni dal Consiglio di Sicurezza, in cui si è sottolineata
l'importanza di garantire la massima protezione dei civili nelle situazioni
di conflitto armato e di assicurare che i responsabili degli abusi siano
chiamati a risponderne, come espresso nelle risoluzioni 1265 (1999), 1296
(2000) e 1460 (2003).

"Chiedo al Consiglio di Sicurezza di applicare alla situazione irachena,
adesso, gli standard che ha elaborato" - ha concluso Irene Khan.


Nota della Sezione Italiana di Amnesty International

Le richieste della Segretaria Generale di Amnesty International al
Consiglio di Sicurezza sono state segnalate al ministro degli Affari Esteri
e verranno presentate questa sera al governo italiano, nel corso di un
incontro che una delegazione di Amnesty International avrà con la
presidenza del Consiglio.



FINE DEL COMUNICATO
Roma, 11 febbraio 2003


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