Hebron



UNO. Atti vandalici contro una mostra di Medici Senza Frontiere sulla situazione in Palestina
DUE. VATICANO-ISRAELE
TRE. Distruzione di case storiche a Hebron (Da Luisa  Morgantini)
QUATTRO.  LA STRISCIA DI GAZA - UNA TERRA NEGATA - Iniziativa a Firenze
CINQUE. Petizione per la sospensione degli aiuti militari a israele
SEI. "JENIN, JENIN": CRONACA DI UN MASSACRO, PER NON DIMENTICARE    

UNO. Atti vandalici contro mostra di Medici Senza Frontiere sulla situazione in Palestina
Roma, 11 dicembre 2002. Medici Senza Frontiere denuncia con rammarico
l'episodio avvenuto oggi nella Libreria Mondatori in v. S. Vincenzo 10 a
 Roma. Un gruppo di persone non identificate ha rimosso le fotografie e
i  pannelli esplicativi di una mostra sulla grave condizione della
popolazione  civile palestinese e sulle attivita' dei volontari di Medici
Senza Frontiere  nei Territori Occupati. Un atto premeditato perche' sono
stati tagliati i  cavi d'acciaio che sostenevano le foto e i pannelli e
forse annunciato dal  clima di tensione creatosi intorno alla mostra nei
giorni scorsi.
"Siamo allibiti. Non riusciamo a spiegarci le motivazioni di una simile
violenza e di gesti che fin troppo somigliano a vandalismo. Da quando la
 nostra mostra sulle attivita' di MSF in Palestina e' arrivata a Roma sono
 state numerose le telefonate di condanna e le accuse di parzialita' da
parte  di persone qualificatesi come ebrei. Fin qui, e' nelle norma.
Siamo abituati  a ricevere critiche per il nostro lavoro che ci porta
nei contesti piu'  difficili. Ma arrivare a manifestare cosi'
esasperatamente il proprio  dissenso e' inaccettabile" sono le parole del
presidente di MSF, dott.  Pierluigi Susani "soprattutto perche' il nostro
e' un impegno umanitario che  nulla ha di parziale giacche' si svolge
accanto ad una popolazione civile  privata di  mezzi di sopravvivenza
propri e che conta oramai solo  sull'aiuto di organizzazioni umanitarie.
Oltre ad essere dimenticata dalle  cronache che invece raccontano
sovente le sofferenze degl
stra, che sta girando il mondo, e' stata inaugurata in settembre a
Tel  Aviv e Gerusalemme. I nostri referenti israeliani conoscono bene il
lavoro  di MSF nei Territori Occupati e apprezzano il nostro impegno
accanto alla  popolazione civile palestinese che, in alcune aree, non ha
accesso  all'assistenza medica di base. La mostra e' gia' stata nelle
capitali di vari  paesi europei senza ostacoli di sorta; idem nella
prima tappa italiana,  Milano, il mese scorso.
"Ci stupisce che proprio a Roma, da dove molte iniziative rivolte al
dialogo delle parti in conflitto in Medioriente sono state lanciate, ci
sia  una tale esacerbazione degli animi" continua Susani "ed una
evidente  difficolta' ad accettare che un impegno umanitario si svolga
accanto a chi  ne ha bisogno".
L'impegno di MSF in Palestina non ha il senso di una scelta di parte,
come  in nessun altro contesto di conflitto: si tratta di una
valutazione dei  bisogni reali che non esclude in nessun modo la
condanna per gli atti di  violenza omicida di cui sono vittime gli
israeliani.
Medici Senza Frontiere e' in Palestina dal 1989. Ha lavorato con le
piccole  vittime della prima Intifada, con i neonati malnutriti e con le
loro madri  e, dal settembre del 2000, con i bambini e le famiglie nel
cuore dell'attuale conflitto israelo-palestinese a Gaza e a Hebron.
Per ulteriori informazioni, Ufficio Stampa. 06.44.86.921 - 335.8489761

DUE. VATICANO-ISRAELE. VERDI: GRATI AL PONTEFICE PER LE SUE PAROLE DI PACE
Un reale contributo alla pace, impossibile dal nostro governo
"Siamo grati al Pontefice per le sue parole sagge ed opportune anche perche'
arrivano subito dopo le farneticanti affermazioni del presidente del
Consiglio su Arafat". Lo sostiene il Verde Mauro Bulgarelli a commento
della storica visita tra il papa e il presidente israeliano. "L'appello di
Giovanni Paolo II per l'esistenza e la collaborazione fra due Stati per la
rapida conclusione del conflitto in corso e per il libero accesso a
Betlemme rappresenta un autorevole ed impo
dialogo ed
alla pace: proprio cio' che il governo italiano non ha voluto fare in questi
mesi".
(Da Stefania Limiti)

TRE. Distruzione di case storiche a Hebron (Da Luisa  Morgantini)
Carissimi tutte e tutti,
la situazione ad Hebron si fa di giorno in giorno piu’ drammatica. Il 29 novembre l`esercito israeliano ha emesso un decreto per spianare una strada larga da 6 a 12 metri, che connette la colonia di Qiriat Arba con la moschea di Abramo a Hebron, luogo di culto per musulmani ed ebrei.
Il decreto comporta la demolizione di un gruppo di abitazioni storiche nel quartiere Jaber, porta meridionale della citta’ vecchia di Hebron. Il Comune di Hebron ha pubblicato una dichiarazione in risposta alla emissione del decreto militare israeliano, per mettere in guardia sulla gravita' delle conseguenze di tale atto, evidenziando tre punti in particolare: 
1.Il grande valore storico delle case che verranno demolite (mammalucche e ottomane)
2.Il fatto che molte famiglie perderanno la loro unica sistemazione abitativa in seguito alla demolizione
3.Il fatto che il piano per costruire la nuova strada impedira' ai cittadini che vivono in alcune zone coinvolte e in aree adiacenti di usare la strada in questione, complicando ulteriormente le loro vite 
Sin dall’inizio degli insediamenti israeliani a Hebron nel 1968, la citta' non ha mai conosciuto un solo giorno di tranquillita'. Moshe Dayan, 20 anni fa, dichiaro’ che lo scopo degli insediamenti era quello di espellere gli abitanti dalla citta', come prima tappa di una piu’ generale espulsione del popolo palestinese dal paese. Lewinger, Goldstein e i loro successori non hanno mai mancato di eseguire una lunga serie di provocazioni per realizzare quello scopo.
Oggi Sharon dichiara finiti gli accordi e si appropria dell'area limitrofa il luogo di culto. 
Il decreto 2/61/T del 29 novembre scorso, arrivato in risposta all’attentato della Jihad islamica in cui sono state uccise  12 persone - tra soldati e personale delle sicurezza dei coloni - costituisce la punta dell'ice
di questo piano. 
[...]
Giovedi 19 dicembre p.v., durante la sessione plenaria del parlamento europeo a Strasburgo, presenteremo una risoluzione di urgenza in cui chiediamo al Governo israeliano l'immediata sospensione del decreto di demolizione; questo tipo di azione risulterebbe senza dubbio piu’ efficace se parallelamente si riuscisse ad attivare una pressione anche sui parlamenti e sui governi nazionali, cercando di coinvolgere anche le associazioni che si occupano di salvaguardia del patrimonio culturale. 
Per una documentazione piu’ precisa trovate in allegato la lista completa degli edifici palestinesi che, secondo il decreto, dovrebbero essere demoliti, una documentazione fotografica degli stessi e un breve rapporto dell' Hebron Rehiabilitation Committee inviatoci in italiano da morgana at gmx.it.
Grazie a tutte/i. 
Vi abbraccio,   
Luisa  Morgantini

QUATTRO. LA STRISCIA DI GAZA - UNA TERRA NEGATA
Questo piccolo fazzoletto di terra e' una zona ad altissima densita' popolare.
Qui vivono circa 1.200.000 palestinesi concentrati in alcune citta' (Gaza
City, Khan Younis, Rafah) e villaggi, ma soprattutto in otto Campi Profughi
(Jabalia, Bureij), nei quali trova rifugio il 55% circa della popolazione.
Questi ultimi provengono principalmente da quella parte della Palestina
occupata nel 1948 ed universalmente riconosciuta come Israele. Le condizioni
di vita, gia' di per se' molto gravi, sono precipitate negli ultimi due anni.
Lo Stato di'Israele, oltre ad aumentare il numero dei suoi insediamenti 
illegali,
ha diviso la presenza palestinese in tre zone completamente distinte. Tutti
gli accessi (compreso quello via mare) sono sotto il diretto controllo 
dell'esercito
israeliano. I coloni ed i militari compiono le peggiori atrocita' senza essere
disturbati. Il massacro del 7 di dicembre costato la vita a dieci civili
palestinesi e' solamente l'ultimo episodio.
Il COMITATO PALESTINA FIRENZE
LUNEDi' 16 DICEMBRE 2002 ORE 21.30
ORGANIZZA L'INCONTRO CON
ABDEL HALIM AL-G'UL
cittadino della Stris
 della Sinistra Palestinese
direttore della ONG Palestinese BADR (Associazione per la Ricostruzione
e lo Sviluppo)
ORE 20.30 CENA DI SOLIDARIETA'
C/O CPA FI-SUD VIA VILLAMAGNA 27 A - FIRENZE
comitato_palestina_firenze at hotmail.com

CINQUE. Petizione per la sospensione degli aiuti militari a israele
http://www.dude.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=123&mode=thread&order=0&thold=0

SEI. "JENIN, JENIN": CRONACA DI UN MASSACRO, PER NON DIMENTICARE    
Milano, dicembre - Il regista palestinese Mohammed Bakri e' in Italia per un tour di presentazione del documentario "Jenin, Jenin" realizzato la scorsa primavera nell'omonimo campo profughi palestinese preso d'assalto dagli israeliani. Bombe e bulldozer hanno ridotto in polvere il campo e massacrato i suoi abitanti. Su tale crimine di guerra pesa la fondamentale responsabilita' di Sharon che proprio in questi giorni ha replicato la sua impresa nel campo profughi di Al Bureij, a Gaza, compiendo una strage fra gli abitanti sotto gli occhi di una sostanziale indifferenza dei governi internazionali. 
Roma, Nuoro, Cagliari, Paderno Dugnano (Milano), Firenze e Torino sono le tappe italiane che sta percorrendo Bakri e che si aggiungono a un calendario di proiezioni gia' concluso in varie citta' europee e arabe. Ovunque, al termine della proiezione, la reazione del pubblico e' stata la stessa: un lungo, interminabile minuto di silenzio di piombo, la difficolta' di rompere quel silenzio con le domande sollecitate dagli organizzatori. Solo a Tel Aviv e a Padova (in quest'ultima citta' su pressioni della Curia locale) l'opera di Bakri e' stata vietata. Arabmonitor ha visto il documentario insieme al regista; le parole non possono sostituire quello a cui abbiamo assistito e per la cui realizzazione il produttore, vecchio amico del regista, ha perso la vita sotto il fuoco israeliano. Ma proviamo a raccontarlo per i nostri lettori, con una premessa: il film e' realizzato con una pura tecnica documentaristica, le interviste sono raccolte a caldo, a quattr
i dal disastro, fra i civili che si aggirano fra le macerie alla ricerca dei corpi dei loro cari.
Il regista non fa alcuna concessione agli artifici cinematografici. L'opera, per l'alto livello qualitativo e per il coraggio della testimonianza, e' stata premiata all'ultimo festival del Cinema di Chartage. Sulla vicenda grava una vergogna internazionale: "Per far luce sul massacro tramite una commissione delle Nazioni Unite - dice un testimone - il mondo ha dovuto elemosinare il consenso di Israele. Che ha detto no, e la commissione Onu non e' stata inviata. Che Bush celebri pure la sua vittoria con il suo amico sanguinario…" conclude sottovoce alludendo a Sharon. "Tre battaglioni in piena notte hanno preso d'assalto il campo" - racconta un uomo di 72 anni, gambe e braccia ingessati - ."Le case erano piene di gente; stavo dormendo quando ho sentito gli altoparlanti che ordinavano di uscire dalle case per radunarci in una scuola. Era il caos. Nella fretta sono caduto e un soldato mi ha ordinato di alzarmi. Non ce la facevo, e gliel'ho detto". Fa una pausa per ricacciare indietro lacrime di umiliazione e di rabbia, poi continua: "con disprezzo - dice - mi colpisce a una gamba e me la spezza, eccola. Hanno distrutto tutto, e noi ricostruiremo tutto, che lo vogliano o no". 
Il suo racconto continua: "vedete quelle ruspe che raccolgono montagne di stracci?" - chiede. E spiega: "quelli sono gli abiti di civili palestinesi umiliati fino alla morte. Vedevo mucchi di abiti per strada e mi chiedevo cosa significassero, poi l'ho capito quando un soldato mi si e' avvicinato ordinandomi di spogliarmi. Ho dovuto farlo, lui mi derideva. Mi sono rivestito dicendo che alla mia eta' per nessuna ragione sarei andato in giro nudo, a costo di pagare con la vita. Mi ha picchiato; poi ho visto e ho capito: gruppi di palestinesi, uomini, donne, bambini, bambine, vecchi e giovani venivano denudati e smistati per essere lanciati come scudi umani verso le porte di abitazioni da sfondare. Vedevo i bambini disperati darsi da fare al massimo
ebbero avuto salva la vita. Ma poi, dopo aver sfondato le porte, i soldati sfondavano le loro teste prendendole e battendole ripetutamente contro i muri…" "Per il resto della sua vita Sharon dovra' fare i conti con quel che ha combinato nel campo di Jenin", parola di una bellissima bambina palestinese di dodici anni sopravvissuta al massacro; "darei la mia vita per il campo - dice con fermezza- e non importa se lo hanno distrutto. Per me il campo e' tutto e lo ricostruiro'". 
La piccola e' una grande speranza per il futuro Stato di Palestina; parla con tono adulto di come non perdonera' mai a  Sharon quel che ha fatto. E' una bambina che non piange, ma una volta lo ha fatto: "Quando ho saputo che Sharon sarebbe venuto in ricognizione al campo - dice - mi sono sentita cosi' insultata che ho pianto. Avrei voluto vendicarmi, io non ho paura degli israeliani perche' la loro vigliaccheria e' leggendaria." Ma un cedimento momentaneo tradisce i suoi dodici anni quando sottovoce dice: "Dopo tutto quello che ho vissuto, che senso posso dare alla mia vita?". La bambina parla camminando sulle macerie di uno scenario allucinante, quello del grande campo di Jenin ridotto in briciole dai bulldozer e dalle bombe. C'e' sangue ovunque. I sopravvissuti si aggirano salendo e scendendo cumuli di distruzione, alla ricerca di persone e oggetti. Un'anziana donna racconta di come ha visto uccidere il comandante Abu Jendal, che ha guidato la resistenza palestinese nella durissima battaglia di Jenin. "Lo hanno legato e gli hanno sparato", dice evidenziando come si comportano i soldati di David con i prigionieri di guerra.
"Gli israeliani - racconta il direttore dell'ospedale di Jenin - impedivano ai medici e alle ambulanze di entrare nel campo. L'odore dei cadaveri era fortissimo, abbiamo chiesto spiegazioni e ci hanno risposto che quella parte del campo profughi doveva ancora essere disinfestata. Poi, dal numero di cadaveri disseminati nei pochi metri di visibilita' che avevamo, abbiamo capito che per loro disinfestare significava elim
inua - e' toccato all'ospedale. Lo hanno bombardato. Ogni tre minuti i caccia sparavano missili che cadevano all'interno. Se qualche missile non esplodeva era solo grazie a dio. Un nostro medico e' stato colpito nella sua auto e ridotto a un ammasso di dieci chili. Ho visto un cecchino sparare su un ragazzino di dieci anni terrorizzato, che non riusciva a trascinare il suo corpo; lo ha ucciso." "Hanno colpito mio figlio - racconta un uomo sui sessant'anni - e mi hanno chiamato. Ma io, padre e medico, non ho potuto fare nulla per lui. Mi e' morto fra le braccia." 
Quasi tutti gli intervistati hanno un unico ricordo ossessivo di quella notte; non riguarda la violenza israeliana bensi' l'impotenza verso chi, morente, chiedeva loro disperatamente aiuto. E un dispiacere apparentemente secondario ma carico di significati simbolici: gli alberi distrutti dai bulldozer, ulivi e limoni divelti con disprezzo dagli israeliani. "Non riusciranno a sradicarci ne' ad intaccare la nostra identita' - dice un uomo sui cinquant'anni, con quindici anni di torture subite nelle carceri israeliane alle spalle, che spinge il passeggino della sua bambina fra tutta quella desolazione - . Compenseremo le perdite subite facendo piu' figli, i vedovi si risposeranno. Io e mia moglie ne abbiamo gia' tre, ne faremo nascere presto altri due." Quando ci fu l'occupazione, nel 1967, aveva nove anni............... 
 (Emma ha a disposizione la VHS)