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Bad news e buone iniziative
- Subject: Bad news e buone iniziative
- From: "Palestina Libera" <palestina_libera at libero.it>
- Date: Thu, 14 Nov 2002 15:04:20 +0100
UNO. Nafed Khaled Mishad DUE. Un'iniziativa a sostegno dei bambini palestinesi malati di cancro TRE. «Caro generale, non tirerò il grilletto» QUATTRO. Intervento di Fatwa Barghouti a Social Forum Europeo CINQUE. Ascanio Bernardeschi, Souvenir di Betlemme SEI. Una campagna di solidarietà politica ed economica per la vendita dell’olio palestinese. UNO. Nafed Khaled Mishad L'11 novembre i militari israeliani hanno ucciso, nei pressi di Gaza, Nafed Khaled Mishad, un bambino di due anni. Il bambino, colpito mentre si trovava tra le braccia del padre, è stato trasferito all'ospedale Abu Yousef An-Najjar di Rafah, dove è morto poco dopo. La madre, incinta di 8 mesi, è ora ricoverata nello stesso ospedale in stato di shock. For more information contact: The Palestine Monitor +972 (0)2 298 5372 or +972 (0)59 387 087 www.palestinemonitor.org DUE. Un'iniziativa a sostegno dei bambini palestinesi malati di cancro Abbiamo conosciuto lunedi’ a Gerusalemme nella sede del PARC (palestinian agricoltural relief committee) yahia abu sharif, che ha perduto un figlio di 12 anni per un cancro e che sta promuovendo una iniziativa a sostegno dei bambini palestinesi malati di cancro. potete trovare le informazioni sul sito www.zeina.cancer.org. zeina significa la bellezza della vita. prego quanti desiderano contribuire a questa iniziativa di comunicarmi la loro disponibilita'. alfredo tradardi ramallah, 12 novembre 2002 TRE. «Caro generale, non tirerò il grilletto» Buongiorno, Vi pregherei di leggere questa lettera e inviare la vostra solidarietà e protesta. Attualmente sono 12 le persone imprigionate per essersi rifiutate di prestare servizio nei territori occupati della Palestina. Yigal Bronner è stato trasferito ieri da un campo di detenzione alla prigione n. 6. Grazie Luisa Morgantini «Caro generale, non tirerò il grilletto» Lettera dal carcere ai generali israeliani del professore di sanscrito, riservista e «refusenik» Yigal Bronner: «Se i 'bisogni' militari ci inducono ra questi 'bisogni' sono terribilmente sbagliati. Quindi disobbedirò alla Vostra chiamata» * * * Il professore israeliano Yigal Bronner, studioso di sanscrito presso l'Università di Tel-Aviv, è ospite nelle patrie galere del suo paese a causa del suo rifiuto di fare la sua parte nella campagna militare interminabile contro i palestinesi, una campagna che vede ormai più di 500 riservisti «mobilitati» a dire Signornò a Sharon, a rifiutare di prestare servizo (refusenik) nei Territori occupati. Dal carcere scrive Ygal Bronner all'amico che è tramite di questo messaggio: «Cari amici, sono stato imprigionato dall'esercito israeliano per aver rifiutato di partecipare all'occupazione della Palestina. Sono stato condannato a 28 giorni di prigione militare. Le ragioni che mi hanno indotto a dire no all'umiliazione, all'espropriazione, alla riduzione alla fame di un intero popolo saranno forse ovvie a qualcuno di voi. Ciò nonostante ho voluto spiegare le mie motivazioni sotto forma di una lettera indirizzata ai miei superiori militari (...)». E conclude: «Vi prego di far circolare queste informazioni il più possibile. Voglio farvi sapere che sono forte, e che vi ringrazio per il vostro sostegno. Shalom,Yigal». La lettera di Ygal Bronner è introdotta dalla citazione dei versi di Bertolt Brecht: « Generale il tuo carro è un veicolo potente,/ abbatte foreste, schiaccia cento uomini./ Ma ha un sol difetto:/ ha bisogno dell'autista». Vi prego di inviare lettere di protesta a favore degli obbiettori a: Ministry of Defence, 37 Kaplan St., Tel-Aviv 61909, Israel. E-mail: mailto:sar at mod.gov.il or mailto:pniot at mod.gov. il Fax: 00972-3-696-27-57 / 00972-3-691-69-40 / 00972-3-691-79-15. Un altro indirizzo utile per inviare copie è quello del «Military Attorney General»: Brig. Gen. Menachem Finklestein Chief Military Attorney Military postal code 9605 IDF Israel Fax: 00972-3-569-43-70 QUATTRO. Intervento di Fatwa Barghouti a Social Forum Europeo Fatwa Barghouti, attivista per diri el Consiglio Legislativo Palestinese e Segretario Generale di Al-Fatah in Cisgiordania. a cura di infopalestina Firenze 07.11.2002 Cari amici, vorrei iniziare ringraziandovi per avermi dato l'opportunità di parlarvi oggi. A dire la verità, sono orgogliosa di essere qui oggi per portare il messaggio, non soltanto di mio marito, Marwan Barghouti, attualmente detenuto nelle prigioni israeliane, ma anche quello di altri 8.000 palestinesi detenuti in varie prigioni israeliane. Vorrei iniziare condividendo parte della mia realtà. Ogni giorno, il mio figlio più giovane, Arab, che ha dodici anni, mi chiede di suo padre. Le sue domande sono semplici, e nello stesso tempo molto difficili da rispondere. Una delle più frequenti è: "Quando torna Abui (mio padre)? Francamente questa è una domanda alla quale io non posso rispondere, e spesso mi chiedo come se la cavano le altre 8.000 madri. Il caso di Marwan Barghouti non è individuale, piuttosto è il caso di 8.000 Palestinesi prigionieri, ed anche il caso di una intera nazione. Marwan nacque nel villaggio di Kubar, vicino a Ramallah, nel 1959, durante il periodo dell'occupazione della Palestina. Come tutti gli altri, fu entusiasta e patriottico sulla liberazione della sua terra dall'occupazione. Per questo è stato nelle prigioni israeliane molte volte e venne espulso per sette anni e mezzo dalla sua terra. Nonostante ciò mio marito ha il sogno di una Palestina indipendente basata sulla legge, sulla democrazia e sull'istruzione. E, quando questa opportunità si presentò, l'afferrò con entrambe le mani. Quando iniziò il processo di pace, il sentimento generale era quello del compromesso, e Marwan usava dire che anche se le condizioni erano dure da accettare, stavamo costruendo il futuro dei bambini di Palestina. Israele ci ha fatto pagare un prezzo davvero alto, ma Marwan accettò la sfida della pace ed invitò i suoi compagni palestinesi a dare una possibilità alla pace. Non solo, ha anche partecipato, personalmente, ò mancava un partner per la pace e questo ha portato alla rivolta, che noi chiamiamo INTIFADA. La brutale reazione israeliana alla presente Intifada ha portato all'uccisione di più di duemila Palestinesi, di cui, approssimativamente, l'85% sono civili. Inoltre decine di migliaia di palestinesi sono stati feriti. Questi palestinesi sono stati uccisi ai check points che dividono la nostra terra. Essi sono stati uccisi da brutali incursioni nelle nostre città e villaggi da pesanti carri armati e da bombardamenti di apaches e di F16. Lo scopo dell'attuale Intifada è di stabilire la libertà e l'indipendenza del popolo palestinese i cui diritti umani sono stati violati sistematicamente giornalmente. I checkpoints israeliani eretti tra le città palestinesi sono lì per umiliare il popolo palestinese. I soldati israeliani che controllano questi chechpoints sono maestri di umiliazioni indiscriminate. Uomini anziani e malati, bambini e donne incinte devono sottoporsi alle loro così dette procedure di sicurezza. Così molte madri palestinesi hanno dovuto partorire ai check points, ed una gran parte di esse sono morte o hanno perso i loro neonati. Ciò che Israele sta cercando di fare è di spingere il popolo palestinese sull'orlo. Il 70% dei palestinesi vive ora al di sotto della soglia di povertà, ed una simile percentuale sono disoccupati. Perciò i palestinesi stanno perdendo la speranza per un futuro di pace. Nel mezzo di tutta questa sofferenza, Marwan Barghouthi, un membro eletto del Consiglio Legislativo Palestinese e Segretario Generale di Fatah in Cisgiordania fu rapito dalle zone autogovernate palestinesi. Arrestando Marwan e processandolo è una tremenda violazione delle leggi internazionali, delle convenzioni e delle norme. Primo, Marwan fu rapito ed arrestato da una zona considerata dagli accordi di Oslo essere una zona autogestita. Secondo, Israele ha trasferito Marwan nei suoi territori, e ciò è una violazione della quarta Convenzione di Ginevra. Terzo e più tto processo in un tribunale che non ha la giurisdizione di condannare i rappresentanti, i parlamentari ed i combattenti per la pace del popolo palestinese. Marwan ha sofferto 100 giorni successivi di interrogatori intensi e di torture impietose da parte dei suoi carcerieri israeliani. Durante gli interrogatori, hanno usato vari mezzi di crudeltà fisici e psicologici. Lo hanno privato del sonno e gli hanno inflitto un tipo di tortura chiamato SHABEH. Ciò vuol dire che è stato costretto a sedere su una sedia bassa con le mani dietro la schiena per lunghe ore. Nonostante ciò, il messaggio di Marwan per voi e che egli è ancora paziente, tranquillo e rifiuta ancora l'occupazione. Si rifiuta di cooperare, nega la legittimità dei tribunali israeliani e continua a dire che egli è un combattente per la libertà un uomo di pace e di giustizia per tutti i popoli e nazioni. Vi dice che continuerà a lottare per la libertà della sua nazione e spera che un giorno questi popoli abiteranno in pace l'uno con l'altro. Nella sua apparizione in un tribunale israeliano, Marwan ha alzato entrambe le mani legate con catene di ferro ed ha riepilogato la sua scelta politica dicendo che non c'è altra soluzione, ma per la costruzione di uno stato palestinese, a fianco di quello israeliano e che Israele non avrà pace e sicurezza finché non ne avrà il popolo palestinese. I tribunali israeliani sono un'altra faccia dell'occupazione. Potete immaginare che i tribunali di una potenza occupante siano giusti ed equi verso il popolo che essi condannano? Come può essere giusta questa occupazione che uccide, rovina, ed umilia il nostro popolo? Può mai un'occupazione essere giusta ed equa? Perciò, miei cari amici, abbiamo deciso di rifiutare questo processo a Marwan Barghouthi poichè rappresenta un processo a tutto il popolo palestinese. Israele sta cercando di attaccare la legittima resistenza all'occupazione definendola terrorismo. Infine, vi chiedo in nome di tutto il libero genere umano, di e di chiederne la fine. Mi rivolgo a voi perché siate solidali con il popolo palestinese che vuole vivere in pace ed in sicurezza che gli è stata negata per 54 anni. Mi rivolgo a voi perché lavoriate con alla costruzione di una nazione che sia orgogliosa della sua civiltà, del raggiungimento delle sue risorse umane ed intellettuali. Vi chiedo di stare dalla parte dei miei bambini e mia per fare pressione sull'autorità israeliana affinché ci permetta di fare visita a Marwan - non ci è stato permesso di farlo da quando è stato arrestato. Vi ringrazio della solidarietà con i gruppi che erano presenti al primo processo di Marwan, e mi rivolgo a voi, e a tutti gli europei di cercare di essere presenti al prossimo processo, che ci sarà nelle prossime settimane. Vi prego di essere lì per Marwan. Il mio ultimo messaggio è di speranza. Spero di vedervi presto in Palestina. In una Palestina in cui tutti noi siamo liberi, in cui le prigioni saranno svuotate dai loro prigionieri politici ed in cui i mariti, le mogli, i figli, le figlie saranno uniti alle loro famiglie. GRAZIE Fatwa Barghouti CINQUE. Ascanio Bernardeschi, Souvenir di Betlemme Nella settimana dal 13 al 20 aprile 2002 una delegazione di 39 amministratori locali, in rappresentanza di 25 enti italiani, tra comuni, province e regioni, è stata in Israele ed in Palestina a fare "diplomazia dal basso". La missione era organizzata dal Coordinamento degli Enti Locali per la Pace di Perugia, aderente al Tavolo della Pace, ed aveva la delega dell'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), dell'UPI (Unione Province Italiane) e della Federazione Mondiale delle Città Unite. Ascanio Bernardeschi, che faceva parte della missione in rappresentanza della Provincia di Pisa, ha annotato in un diario, giorno per giorno, il succo degli incontri con le diverse personalità, delle avventure, delle impressioni personali ricevute visitando "quell'immenso lager che è la Palestina". Si tratta si un resoconto "a caldo, senza forma". Ne guadagna l'immediatezza della comunicazione, molto diretta ed essenziale. Il libro costituisce anche una testimonianza che le istituzioni non sempre sono "lontane dalla gente, come un mondo senz'anima, sospeso nel cielo dell'amministrazione, e che è possibile un modo diverso di fare politica, fatto di passione e voglia di mettere un granello di sabbia nell'ingranaggio della guerra". In quella settimana si consumavano in Palestina eventi storici di rilievo: l'occupazione generalizzata della Cisgiordania, la visita del negoziatore USA Powell, l'assedio del quartier generale di Arafat a Ramallah e della Chiesa della Natività a Betlemme, i primi coprifuoco nella stessa Gerusalemme, mentre era ancora freschissimo l'orrore per le stragi di Jenin e Nablus. Una settimana a diretto contatto con suoi protagonisti, raccontata da chi "ha avuto il privilegio di essere testimone di uno spaccato importante di questa fase storica", in cui l'agenda dei più potenti ha al primo posto la guerra infinita. Nel corso della missione sono state incontrate personalità di primo piano quali il Patriarca di Gerusalemme, l'ambasciatore ed il console Italiano, rappresentanze di enti locali israeliani e palestinesi, i sindaci di Betlemme e Gaza, il Presidente del Consiglio legislativo (il parlamentino palestinese) il Custode francescano di terra Santa, il Nunzio Apostolico, parlamentari israeliani sia ebrei che arabi (Yossi Beilin, Azmi Bishara), associazioni pacifiste palestinesi ed israeliane, dalle più radicali alle più moderate, intellettuali e studiosi (Zvi Shouldiner, Sara Nusseibeh), autorità sanitarie. Di questi incontri viene presentato un resoconto piuttosto dettagliato, in cui gli interventi sono riportati con sforzo di fedeltà. Il che consente di farsi un'idea della varietà delle posizioni in campo, anche se l'autore ammette la parzialità del suo contributo, "dalla parte del popolo palestinese oppresso". Dalle testimonianze emerge anche un quadro di assoluta eme di distruzione dei servizi essenziali e delle infrastrutture civili palestinesi. Per poter parlare con alcune personalità nei territori occupati, o più semplicemente per portare la solidarietà alle popolazioni, è stato necessario entrarvi clandestinamente, in alcuni casi in maniera avventurosa. Il racconto descrive anche, all'interno della tragedia palestinese, vicende umane singolari dei protagonisti: lo stato di tensione in un campo profughi di Gaza, il colloquio telefonico di un giovane amministratore con la sua donna, sotto il cannone puntato di un carro armato, l'unico souvenir disponibile a Betlemme, città della natività e della pace: un bossolo di proiettile, da cui il titolo del libro. Fa da prefazione al libro un intervento al parlamento europeo di Luisa Morgantini: una testimonianza appassionata del dramma mediorientale, un pianto ed un lucido appello in favore dell'unica soluzione possibile per la sicurezza di tutti, il ritiro dai territori occupati. Gian Piero Migliorini editore, agosto 2002, edizione economica E 8,00, edizione con gadget, che simboleggia il souvenir di Betlemme, E 10,00. Spese di spedizione E 1,00 Per ordinazioni a.bernardeschi at sirt.pisa.it ASCANIO BERNARDESCHI è nato nel 1947 a Volterra. Impegnato fin da giovanissimo nelle file del Pci, è stato consigliere comunale dal 1970 al 1974 e Presidente del Distretto scolastico di Volterra negli anni '80. Con lo scioglimento del Pci, ha aderito al movimento per la rifondazione comunista e poi al Prc, di cui è stato suo primo segretario di Volterra. Ha collaborato con i movimenti locali per la pace e per l'ambiente, tra cui l'Associazione per la pace Ernesto Balducci, il Comitato per la Difesa della Val di Cecina e il Forum Sociale di Volterra. Dal 1999 è consigliere provinciale a Pisa e in tale veste presiede la Commissione Consiliare Affari Istituzionali e Garanzia. Lavora al Comune di Volterra dal 1975. SEI. Una campagna di solidarietà politica ed economica per la vendita dell’olio palestinese. raccolta delle olive alla quale ha partecipato un gruppo di attivisti internazionali intervenuti a protezione dei contadini nelle zone più a rischio perche’ poste vicino agli insediamenti colonici israeliani. La Palestina produce negli anni favorevoli (uno su due) circa 30-35.000 tn di olio, negli anni negativi circa 7- 8.000 tn che rappresentano il consumo interno. Quest'anno si prevede che la produzione sarà di 35.000 tn e quindi i Palestinesi devono trovare il modo di esportare il surplus, che prima dell'intifada veniva assorbito da Israele e dai paesi del golfo. Ora il problema è quello di chiudere il cerchio della solidarietà internazionale: l'olio prodotto in palestina deve trovare uno sbocco sui mercati europei e in particolare sul mercato italiano. Comperare olio palestinese dovrà diventare un atto politico di sostegno alla lotta delle donne e degli uomini di Palestina. L'olio palestinese, che costa $ 4500 alla tonnellata, è molto più caro di quello prodotto negli altri paesi del vicino oriente come la Turchia, la Siria e il Libano. Il maggior costo dell’olio palestinese è dovuto ad una serie di concause quali le enormi difficoltà di trasporto e l'alto costo dell'energia, e della vita in genere, nei territori occupati. La campagna per la promozione, l'importazione e la vendita dell'olio palestinese deve diventare quindi una campagna di solidarietà politica con il popolo palestinese, la necessaria continuazione della campagna per la raccolta delle olive di cui hanno parlato alcuni media. Abbiamo incontrato Saleem abu Ghazalah responsabile marketing dei prodotti agricoli palestinesi per il PARC (Palestinian Agricultral Relief Committee). Il PARC è un'organizzazione no profit che opera nel campo dello sviluppo rurale, della protezione ambientale e della valorizzazione del ruolo e dello status delle donne nelle campagne. Tramite CTM Altromercato il PARC esporta in Italia il cous cous, le mandorle e si propone anche di esportar oltre il PARC si occupa del trasporto, della lavorazione e del packaging (in fusti da 17.5 litri) e della spedizione via mare dell'olio proveniente dai raccolti dei contadini poveri, o i cui oliveti sono in zone minacciate dai coloni, o che hanno subito perdite - familiari caduti, feriti o imprigionati - a causa dell'occupazione israeliana. Saleem, che conosce molto bene l'Italia per esserci stato più volte negli ultimi mesi, ci ha fornito alcuni dati importanti per il lancio della campagna per l'olio della Palestina: · l'olio prodotto in Palestina costituisce circa il 1% di tutta la produzione mondiale. · il PARC si propone di esportarne 5.000 tn. · vista la piccola quantità l'olio palestinese non si pone per nulla in concorrenza con quello prodotto da altri paesi del Mediterraneo, per fare un esempio quest'anno la produzione italiana è prevista in 300 milioni di tonnellate e quella tunisina in 500 milioni di tonnellate. · la Palestina partecipa al Mediterranean Trade Agreement della Unione Europea, ma l'olio è escluso dall'accordo, pertanto su ogni chilo di olio esportato i produttori pagano una tassa di circa un dollaro. · il prezzo dell'olio all'ingrosso dovrebbe essere di circa 6 dollari al chilo, tasse incluse. · il ricavato della vendita dell'olio viene destinato dal PARC ai contadini, a rifornire i campi profughi e ad aiutare le ragazze delle campagne a proseguire gli studi fino all'università. · e' già in atto un'esperienza molto positiva in tal senso con la Svizzera dove l'olio viene importato al prezzo di $ 5 al chilo, imbottigliato da una cooperativa di ragazzi disabili e posto in vendita al prezzo di $ 13 alla bottiglia da mezzo chilo. E’ quindi un dovere, un dovere morale e politico, un dovere di quanti sono dalla parte del movimento di liberazione nazionale palestinese, contribuire alla campagna in corso di definizione: · per la promozione, l'importazione e al vendita a prezzo politico dell'olio palestinese attraverso o equo e solidale · per l’abolizione della tassa europea sull'olio proveniente dalla Palestina Adriana Redaelli, Alfredo Tradardi Ramallah, 10 novembre 2002 Per revocare la tua adesione a questa mailing list invia una email a palestina_libera at libero.it specificando nell'oggetto "unsubscribe"
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