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guerra preventiva
- Subject: guerra preventiva
- From: "Enrico Peyretti" <peyretti at tiscalinet.it>
- Date: Sun, 29 Sep 2002 09:35:49 +0200
Oggi 29 settembre Scalfari su Repubblica e Barbara Spinelli sulla Stampa scrivono a proposito della "guerra preventiva" cose interessanti, ma arrivano entrambi (se non ho inteso male dalla rassegna di Primapagin, poco fa) ad ammettere una possibilità, sebbene estrema, una volta accertato seriamente il pericolo, di una guerra preventiva degli Usa, data la debolezza dell'Onu. Mi permetto di proporre un passaggio della lezione "La ragione delle ragioni contro la guerra" (ragione che individuavo nel principio primo del "non uccidere" come fondamento di ogni possibile convivenza umana), lezione che fui invitato a tenere all'Università di Roma, il 18 aprile scorso, nel quadro dell'iniziativa "Orizzonti di pace", come riflessione etico-politica su una ipotesi analoga a quella che oggi si dibatte riguardo all'Iraq. Sia Scalfari che Spinelli (se non ho inteso male) non dicono che la ragione essenziale della guerra preventiva oggi voluta da Bush non è il pericolo delle armi irakene (altrimenti dovrebbe far guerra a tanti altri paesi, anche "amici"), ma la conquista di quella terra petrolifera e la posizione strategica in Asia in vista della futura contesa con la Cina per l'egemonia mondiale. Se non si dice questo, si continua a restare imbambolati dalla falsità della ragion di stato bushiana. Comunque, la riflessione che ripropongo cerca di smontare proprio gli argomenti accampati da quella propaganda di copertura. Un altro momento di riflessione necessaria consisterà nel rivedere e ripensare le alternative alla guerra, che già il pensiero della pace aveva indicato di fronte alle guerre del "decennio perduto" (Gorbaciov). Infatti, rifiutare la guerra obbliga a studiare e indicare le alternative ad essa per la trasformazione e soluzione vitale, non mortale, dei conflitti. Quste alternative ci sono! Enrico Peyretti, Torino ------------------ 3 - Certamente può essere anche ucciso (se davvero, ma proprio davvero, non c'è nessun altro mezzo per fermarlo) chi sta in quel momento per uccidere altri. Colui che sta per essere ucciso può anche rinunciare ad uccidere per la propria difesa, se sente, come chi è arrivato alla più grande nonviolenza, maggiore ripugnanza ad uccidere che a morire (lo dice Simone Weil, La prima radice, ed. Leonardo 1996, pp.142-143), perché sa che si nega e si deforma la propria umanità non nel morire ma nell'uccidere. Ma senza dubbio bisogna difendere altri, anche al costo estremo di uccidere l'omicida potenziale nel momento immediato in cui sta per uccidere. In quel momento, e non dopo, quando non è più in grado di offendere, altrimenti è vendetta, non è difesa. E la vendetta non toglie alcun male, ma soltanto e sempre aggiunge male a male. 4 - Se si dà veramente il caso di dover addirittura uccidere chi è nell'atto di uccidere altri, questo lo può giudicare solamente la persona che si trova a potere e dovere agire in quella sciagurata circostanza. Nessun altro può decidere sostituendosi alla coscienza personale in un caso talmente grave. Nessuno può ordinare ad altri di uccidere. Questo chiaro principio distrugge la possibilità morale, cioè la compatibilità con la decenza umana, di qualunque esercito. Infatti, un esercito riduce gli esseri umani a strumenti per uccidere. Il gen. Carlo Jean, allora presidente del Centro Alti Studi della Difesa, parlando a studenti delle scuole superiori, a Torino, il 29 marzo 1996 (ero presente e prendevo appunti) disse letteralmente: «Nell' esercito è necessaria la disciplina (...) perché combattere significa uccidere. Occorre l'esecuzione automatica dell'ordine». Ora, dove c'è esecuzione automatica, non c'è più un uomo, ma un automatismo, un automa, un uomo svuotato della prima qualità umana, la responsabilità. Dove c'è esercito, cessa l'umanità. Può darsi che sia sciaguratamente necessario uccidere chi sta per uccidere, ma questo non può comandarlo nessuno. L' esercito è l'apparato che comanda di uccidere, persino sotto pena di morte per chi non obbedisce. L'esercito è moralmente impossibile. E' l'antitesi della morale fondamentale. 5 - A questo proposito, si può fare il caso della lotta armata nella Resistenza al nazifascismo, e di ogni simile lotta. Quello era, se vogliamo, un "esercito" veramente di volontari, non di leva, non di professionisti, non una struttura militare autoritaria stabile. Meglio, la Resistenza fu un movimento soprattutto politico (sia armato sia non armato; e ben più ampio e lungo del periodo 1943-45), e non militare: l'uso delle armi era puramente strumentale e non fondativo, come è nei movimenti militari o militaristici (cfr Lidia Menapace, Alcuni ricordi e riflessioni, in Centro Studi Difesa Civile, La Resistenza non armata, Sinnos editrice, Roma 1995, p. 103; Enrico Peyretti, Studi sulla Resistenza non armata, in Rocca, 1 agosto 1995). Tuttavia, proprio l'esperienza della Resistenza dimostra che, quando si usano le armi, o perché non si vede alternativa (allora era quasi nulla la cultura della nonviolenza attiva), o non la si crede possibile, quell'uso può facilmente indurre ad una progressiva insensibilità per la vita umana. Pur giusta nei suoi fini e giustificabile nei suoi mezzi, la lotta di Resistenza diede luogo anche ad alcuni episodi non giustificabili (uccisioni gratuite, vendette), ad uno dei quali io assistetti da bambino, come ho raccontato e scritto più volte. Ciò dimostra non l'ingiustizia della Resistenza, ma l'abbassamento morale facilmente indotto dalla pratica dell' arma che uccide. 6 - Si può forse uccidere in anticipo chi si teme o si sospetta che cercherà di uccidere altri? E' il caso di chi fa guerra, cioè vuole uccidere, il potenziale terrorista; è il caso degli omicidi politici di Israele contro i sospetti di terrorismo. Nessuna legge civile lo permette. Attribuirsi un tale potere sovrastante distrugge ogni convivenza, permette ogni abuso, mette tutti in pericolo. Se lo permettono la "ragion di stato", la "licenza di uccidere" dei vari servizi segreti, il potere militare, ma basta avere un po' di ragione e di pietà umana per vederne l'orrore e la forza distruttiva di ogni rapporto sociale umano. Questa licenza scatena la gara a chi uccide per primo. Ogni tentativo compiuto dal diritto per addolcire la durezza dei rapporti va perduto. Ogni sicurezza è diminuita, lungi dall'essere assicurata. 7 - Ma se si sa con certezza che uno sta preparando l'uccisione di altri? Minacciare violenza è già violenza. Preparare effettivamente violenza è già violenza. Allora il potere pubblico deve arrestare chi fa questo, esibendo subito le prove in un processo legale, con tutte le garanzie, ma assolutamente non può ucciderlo, pena, oltre l'ingiustizia, quel degrado sociale che abbiamo appena visto. 8 - Ma dove, come nella società internazionale di oggi, non c'è alcun potere pubblico autorizzato e riconosciuto, e dove, contro i patti sottoscritti - la Carta dell'Onu che è il nuovo diritto internazionale di pace, diritto vigente e violato sistematicamente - regna ancora di fatto l'anarchia e la legge della forza, può forse, in questo caso, chi ne ha la forza e i mezzi punire preventivamente, fermare anche con la morte, chi è accertato che sta preparando omicidi? Il caso è serio, senza dubbio. E' il caso accampato da chi ha deciso la guerra seguita all'11 settembre. La risposta non è facile. Direi almeno questo: come un cittadino qualunque, senza essere pubblico ufficiale, può arrestare un ladro colto in flagrante, non certo per ucciderlo o farlo linciare, ma solo per consegnarlo alla giustizia per un regolare processo, così ha una legittima competenza ad agire sul piano internazionale, stante quella situazione di anarchia, chi opera per fare evolvere questa situazione selvaggia nella direzione di una organizzazione più civile e legale della convivenza tra i popoli, e non mantiene soltanto, a vantaggio della propria maggiore forza, tale situazione di assenza di legge. Se gli Stati Uniti, che sono il 5% dell'intera umanità, lavorassero per l'autorità dell'Onu, per il tribunale penale internazionale, per la giustizia economica planetaria, per la salvaguardia dell'ambiente naturale di tutta l'umanità (che essi inquinano più di tutti), allora la loro azione di necessità contro i crimini internazionali sarebbe credibile e scusabile. Ma davvero non è questa la loro linea. La regola superiore della loro azione è il loro interesse particolare, economico, energetico, culturale, politico. Non sono degni, neppure nell'emergenza provvisoria, di governare e giudicare il mondo. Indegni come sono, governano e giudicano il mondo. -----------------------------
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