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Notte palestinese 18.09.02
- Subject: Notte palestinese 18.09.02
- From: "Fabri Bellini" <ibrizie at hotmail.com>
- Date: Fri, 20 Sep 2002 08:39:58 +0200
Notte palestinese 18.09.02 La notte fra il 16 e il 17 settembre è stata una nottata un po' movimentata nella Striscia di Gaza e in particolare nella municipalità di Khan Yonis. Molti hanno voluto parlare di tre italiani trattenuti da alcuni armati che pretendevano la reintegrazione nelle forze di sicurezza palestinesi, naturalmente non conta il fatto che gli italiani non sono mai stati minacciati dai rapitori, non conta che tutti in Palestina si siano mossi per risolvere al più presto la situazione: questa è la notizia in Italia e fuori dalla Palestina. Ma a noi capita, come sempre, di incontrare dei singoli pezzi di una storia che sui richiami di agenzia sono spesso liquidati con un freddo: "incursione israeliana nella Striscia di Gaza, colpiti alcune officine sospettate di costruire ordigni esplosivi, ventitré persone arrestate e case di alcuni famigliari di attentatori suicidi abbattute per rappresaglia". Dietro queste frasi fredde, date da anni di scontri, vittime e soprusi, oltre che da una consumata freddezza e impersonalità delle notizie e di chi le scrive, ci sono sempre volti storie pianti di bimbi e emozioni, polvere, rabbia e molte altre cose. Noi, invece, vogliamo sapere cosa c'è dietro quelle esplosioni che abbiamo sentito di notte. Girando, non da giornalisti, ma da persone normali venute ad osservare quello che succede ci imbattiamo questa mattina in una serie di volti e storie; ci siamo imbattuti in persone che la notte scorsa non hanno dormito. La prima tappa è sulla strada principale, siamo a pochi chilometri da casa nostra, c'è un officina meccanica, o meglio c'era, in un piazzale al quale si accede attraverso un cancello sfondato dal peso dei tank si vedono delle macchine utensili annerite e contorte da un esplosione ci sono delle persone che cercano di fare qualche cosa, di recuperare il ricuperabile, ci raccontano che i soldati sono arrivati a mezza notte, vediamo le tracce dei cingoli sull'asfalto della strada, hanno perquisito un appartamento qui di fronte poi sono entrati nell'officina, probabilmente hanno cercato di capire se realmente si fabbricassero armi, non importa che sia un sospetto, che sia vero o che sia falso: l'officina finisce in un botto: boom! A quanto pare i carri armati rimangono in posizione fino all'alba perché l'officina sulla strada principale nel villaggio di Qararah è solo una delle vittime di questa notte che, in Israele e nel resto del mondo, viene liquidata con un appellativo che qui suona sinistro "operazione anti terrorismo". I carri armati, e sono molti, si dispongono di modo da "chiudere" l'area. Seconda tappa del nostro tour dentro la notizia lo facciamo infilandoci in una stradina che si apre sulla parte principale di fronte alla prima officina, da questa parte della strada le case fanno parte della periferia di Khan Younis nel quartiere chiamato "Satar". Entriamo in una casa dalla porta rossa, ci accolgono tre donne e qualche bambino, ci raccontano di aver incominciato a sentire rumori sospetti fin dalla mezza notte, pare che i soldati fossero entrati in una casa vicina portandosi via oro e soldi oltre che tre uomini tratti in arresto. All'una di notte i soldati circondano la casa, sono silenziosi, i rumorosi carri arati arrivano più tardi quando i soldati attraverso dei megafoni hanno intimato agli uomini della casa di uscire con le mani in alto e con la maglietta alzata per non nascondere eventuali cinture esplosive. Gli uomini, tre, padre e due figli uno dei due sposato con prole, vengono legati con le mani dietro la schiena e bendati. Caricati su di un tank saranno arrestati e portati nel vicino insediamento le cui serre si vedono a poche centinaia di metri da qui. Dopo gli uomini è il turno delle donne e dei bambini, sono nove in tutto e devono uscire dalla casa in piena notte per permettere ai soldati di perquisirne l'interno. Ci sono dei cani con i soldati, uno ringhia verso un bambino e lui si mette a piangere. I soldati perquisiscono la casa, un cane li segue, sfondano qualche porta ma la casa si salva. Le donne e i bambini aspettano due ore seduti per terra prima di rientrare in casa, un bimbo dagli occhi vispi ci dice che i soldati erano tutti giovanissimi. I tre arrestati vengono picchiati e trattenuti nel tank, poi dopo dieci ore i due figli vengono liberati, il padre è ancora trattenuto dalle forze di sicurezza. Anche da qui i soldati se ne vanno all'alba, alle cinque. Ancora poca strada con la macchina e arriviamo davanti ad un capannone, anche qui un'officina meccanica con macchinari anneriti e segni di esplosioni. Qui i soldati hanno giocato d'ingegno, hanno utilizzato delle bombole del gas trovate proprio nell'officina per poter far esplodere il tutto. Lo stabile è danneggiato, l'azione è durata dalle quattro di mattina fino alle cinque, anche qui tutto finisce in un grosso botto. Ancora poca strada, lo stesso quartiere, quarta tappa, un altra officina meccanica trasformata in un mucchio di metallo nero e contorto. Su di un muro ci sono alcuni manifesti raffiguranti combattenti palestinesi morti sullo sfondo della moschea di Omar, al loro fianco sorride, sempre da un manifesto, un Arafat mezzo bruciacchiato e annerito dalle fiamme. Qui si facevano e si riparavano attrezzi agricoli, la dimensione dello stabile è quella di un garage. Anche qui i soldati dimostrano creatività, l'esplosione, infatti, è stata provocata utilizzando delle bombole di gas prese in un negozio vicino, inoltre hanno fatto una specie di miccia con del liquido infiammabile, anche questo probabilmente recuperato nel negozio, l'abitante della casa ci mostra le tracce che attraversano l'atrio della sua abitazione. Nel cielo svolazzano dei supertecnologici aeri da guerra. Ora basta officine, siamo ormai diventati esperti di torni e presse contorte. Altri pochi chilometri e siamo di fronte all'ennesimo pezzo di storia di una notte movimentata. In fondo ad una via sabbiosa si arriva ad uno slargo contornato di palme dove sorgevano tre case. Ora una delle tre è completamente distrutta mentre le altre due sono gravemente danneggiate. Una palma si è appoggiata alle rovine, vittima della stessa esplosione. Sull'altro lato un ragazzo spazza il porticato di una casa che mostra evidenti le ferite causate dalla vendetta israeliana, c'è un grosso squarcio su di una parete, l'entrata e la scalinata che porta al secondo piano sono danneggiate. Un po' più in là, ai piedi delle macerie della prima casa, ci sono delle persone sedute in cerchio, sono loro ad accoglierci e ha raccontarci i fatti. Pare che i soldati abbiano iniziato il loro dispiegamento sul territorio a partire dalle 0:30 ma solo alle 1:30 hanno bussato alla porta della prima casa. Gli abitanti della casa, un uomo, la moglie e i loro quattro figli hanno visto i soldati entrare in casa, forse hanno tentato di protestare, forse no, comunque i soldati hanno lanciato tre bombe sonore. Nella seconda e terza casa niente bombe la gente è uscita da sola, un ragazzo di diciassette anni ha, però, dovuto fare da apripista ai militi che gli hanno intimato di aprire tutte le porte e di accendere tutte le luci. Niente luci, la corrente elettrica è saltata quando il cavo è stato tranciato dall'arrivo di due grossi carri armati che si posizionano lungo la via. Agli abitanti della casa più grande, che sta al centro, vengono dati dieci minuti per prendere il possibile, la sorte della casa è segnata. I minuti sono solo cinque dopo di che vengono piazzate delle cariche esplosive. Le donne e l'anziano padre vengono fatti allontanare, i sei uomini vengono legati con le mani dietro alla schiena e caricati su di un carro armato. Il carro si allontana e i prigionieri sentono un conto alla rovescia, poi...un esplosione, la casa non c'è più! I sei legati e con una benda sugli occhi vengono trattenuti per tre ore a bordo del tank dopo di che condotti all'insediamento di Neve Dekalim dove si trova la base della sicurezza per tutta l'area. Qui i prigionieri arrivano alle sette e mezza, vengono interrogati uno ad uno, poi, dopo l'interrogatorio, di nuovo bendati e legati, questa volta in maniera più "comoda", con le braccia avanti. Vengono caricati su di un autobus e condotti presso l'insediamento di Netzer Hazani da dove, verso le otto e trenta vengono liberati, non tutti, però, un fratello e un cugino del nostro interlocutore, un ragazzo sui venticinque anni che scopriamo essere un dipendente dell'amministrazione palestinese, sono ancora trattenuti, e non si hanno notizie di loro. La casa è stata distrutta perché della famiglia che vi abitatava faceva parte un ragazzo che sei mesi fa è andato a farsi saltare da qualche parte in Israele. Ad un crimine efferato l'esercito risponde con la vendetta e non con la giustizia, credendo così di fermare gli attentatori, non capendo, però, che così facendo i gruppi terroristici si rafforzano. I soldati hanno distribuito nell'area volantini che dicevano che l'incursione armata era dovuta al sospetto, nei confronti di alcune persone, di collaborare con gruppi terroristici. Guardando negli occhi gli operai e gli artigiani delle officine, il bambino che ha pianto per il ringhio del cane e gli abitanti della casa, mi rendo conto sempre di più dell'assurdità del termine "azione anti terrorismo" e di quanto lo stesso terrorismo trovi terreno fertile proprio lì dove l'IDF ara con i suoi bulldozer e carri armati.
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