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novità edizioni punto rosso: Guerra Globale
- Subject: novità edizioni punto rosso: Guerra Globale
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso at puntorosso.it>
- Date: Thu, 5 Sep 2002 22:23:51 +0200
Novità Edizioni Punto Rosso AA.VV. Guerra Globale Globalizzazione e militarizzazione del mondo. Le alternative dei movimenti sociali La guerra sta diventando uno strumento per rispondere alla crisi economica, politica, culturale e sociale del neoliberismo. Una crisi di consenso che si manifesta nella grande crescita del movimento dei movimenti e nel suo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre. Così la guerra diventa guerra globale permanente contro i popoli del mondo, sotto lo schermo ideologico della lotta al terrorismo, con il ruolo soverchiante dell'egemonismo-imperialismo Usa. Il libro contiene vari saggi sul rapporto tra neoliberismo, guerra e possibili alternative e gli atti del convegno internazionale tenutosi a Milano il 23-24 novembre 2001, organizzato dall'Associazione Culturale Punto Rosso, dal Forum Mondiale delle Alternative e da Attac-Italia. Collana libri/FMA 5, pp. 232, ¥ 13. Indice Introduzione. La guerra è la politica. Alcune note sparse di Giorgio Riolo Saggi Il capitalismo transnazionale e la guerra: il movimento sociale per una alternativa di Wim Dierckxens L'incubo orwelliano di George Bush di Philip Golub L'armamento del sud nel quadro unipolare dopo la fine della guerra fredda di François Houtart Fondamenti ideologici della guerra mondiale in corso: alle radici del consenso popolare di Giulio Girardi Interventi al convegno di Milano (23-24 novembre 2001) Samir Amin, Bernard Cassen, Toni Negri, Giulietto Chiesa, Cristophe Aguiton, Giorgio Cremaschi, Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Carla Casalini, Marco Bersani, Pierluigi Sullo, Luciano Muhlbauer, Emilio Molinari Appendice José Saramago Immanuel Wallerstein Intervista a Samir Amin: Il terrorismo politico, il grande alibi Documento dei Movimenti Sociali dal Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre 2002 In allegato l'introduzione al libro di Giorgio Riolo. Infine vi segnaliamo sulla questione basca, sulla storia, la politica e la cultura della lotta del popolo basco per l'autodeterminazione, il libro di Luis Nunez Astrain, La Ragione Basca, Edizioni Punto Rosso, 2001 (seconda edizione riveduta e aggiornata), pp. 229, ¥ 13. ---------------------------------------------------------------------------- ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO puntorosso at puntorosso.it FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE fma at puntorosso.it LUP - LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE lup at puntorosso.it EDIZIONI PUNTO ROSSO edizioni at puntorosso.it VIA MORIGI 8 - 20123 MILANO - ITALIA TEL. 02-874324/72006264/72016642 FAX 02-875045 http://www.puntorosso.it ---------------------------------------------------------------------------- Giorgio Riolo La guerra è la politica. Alcune note sparse Globalization is us (la globalizzazione siamo noi) (80% degli statunitensi interpellati in un sondaggio nel 2000) Bush "Noi siamo un paese pacifico". Così ora lo sappiamo. I maiali sono cavalli. Le bambine sono maschietti. La guerra è pace. Arundhati Roy E alla fine il provvidenziale 11 settembre arrivò. Come sappiamo, per amara esperienza, la verità poli-tica immediatamente proclamata a gran voce, da chi si oppone, abbisogna poi della verità giudiziaria o storiografica. Da Portella della Ginestra a Piazza Fontana, due dei tanti episodi del sovversivismo delle classi dominanti, italiane e straniere, attendiamo ancora la verità non solo sui mandanti, ma anche su tutti gli esecutori, come a Portella. Forse sapremo cosa è veramente accaduto attorno al fatidico 11 settembre tra 30 o 40 anni, se esisterà ancora la terra o la democrazia. Tuttavia la cosa è avvenuta. Vale anche qui la dialettica suprema: al contempo, "tutto è come prima" e "niente è più come prima". La guerra al terrorismo inaugura la guerra permanente globale, la guerra infinita, la guerra flessibile. Gli Usa Gli Usa sono un paese eufemisticamente curioso. Al cinismo spudorato, alla brutalità da cow boy, sen-za freni inibitori, associano il candore da eterni bambini alla ricerca della giustificazione morale di ogni loro azione. La guerra santa al terrorismo fornisce finalmente la base, la legittimazione delle loro strategie da tempo elaborate. Con Reagan, all'inizio degli anni Ottanta, il neoliberismo teorico si incarna in politiche reali e concrete. Gli Usa messi in difficoltà negli anni Settanta (sconfitta in Vietnam, egemonia sfidata da Europa e Giappone), riprendono in mano il dominio nel mondo. Il principio posto da Reagan e divenuto il faro delle politiche Usa (e per estensione di tutto il mondo occidentale) "il livello di vita dell'americano medio non è contrattabile, non è messo in discussione", significa assicurarsi le risorse mondiali tali da garantire questo principio. Con il crollo del Muro di Berlino, la fine del socialismo reale e del cosiddetto campo socialista, e quindi della guerra fredda, invece che pace e democrazia universali, proclamati in ogni angolo del pianeta, si inaugura l'unilateralismo Usa. O, altrimenti detto, una nuova fase dell'egemonismo-imperialismo Usa, fondato sullo strapotere militare. Le guerre unipolari che seguono, la guerra del Golfo nel 1991 contro Saddam e l'Iraq, la guerra dei Balcani contro ciò che rimaneva della vecchia Federazione Jugoslava e Milosevic, furono guerre contro stati-nazione precisi, contro entità precise, secondo lo schema classico. Con l'11 settembre, l'indefinita categoria "terrorismo" si prestava a introdurre finalmente la flessibilità, l'infinitezza, la globalità.Oggi in Afghanistan, domani in Iraq, posdomani contro un altro "nemico" fabbricato ad arte. Sulla manipolazione e sul consenso a tale ributtante scenario si vedano le profonde riflessioni di Girardi. Terrorismo Sotto la vasta categoria di terrorismo è possibile sussumere l'universo-mondo. Ogni atto deviante, in-subordinato, critico viene rubricato in questa voce. Così il movimento contro la globalizzazione neoli-berista, in grande espansione e contestante i poteri mondiali, viene ulteriormente criminalizzato perché oggettivamente fiancheggiatore del terrorismo a misura dei suoi attacchi alle multinazionali-transnazionali, a maggioranza statunitensi, alla sua messa in discussione delle cosche mafiose mondiali che vanno sotto il nome di G8, Fmi. Banca Mondiale, Wto ecc. Ricordiamo, come microstoria nostrana, l'intervista alla tv della moglie di quel poliziotto fascistoide Rambo che a Napoli, in occasione del Global Forum, prova generale sotto il centro-sinistra di Genova, ha picchiato selvaggiamente, lui pale-strato e mastino, ragazzi inermi, la quale difendeva il marito esclamando con stupore, parlando dei ma-nifestanti, "ma come! Questi sono terroristi!". L'11 settembre: Bush e la moglie del poliziotto italiano. Neoliberismo e guerra Così come il neoliberismo è il principio dissolutore dei vincoli, delle rigidità, dei limiti, e tende a can-cellare la politica sostituendovi il mercato autoregolatore, la guerra deve diventare a sua immagine e somiglianza. Karl von Clausewitz, generale prussiano, a metà dell'Ottocento, espresse la grande verità secondo la quale "la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi". La guerra oggi diventa la continuazione del neoliberismo con altri mezzi. La guerra diventa la politica. La guerra è la politica. La politica essendo un intralcio, una nozione e una cosa da destrutturare, frantumare a misura dei voleri dei poteri mondiali, come sottrazione di sovranità dai molti ai pochi: multinazionali, esecutivi, G8 ecc. E' saltata la condizione precedente. Esisteva un mondo bipolare o multipolare (almeno sulla carta) e pertanto la mediazione si imponeva. Si imponeva la politica come arte della mediazione, del contratto, della conciliazione degli interessi e delle posizioni. Il dominio unilaterale trova nella guerra il fine e il mezzo perfetti. Infine la guerra ha consentito di occultare la ormai manifesta crisi del neoliberismo. La crisi nel terreno suo d'elezione, l'economia. La recessione, il crollo dell'Argentina, dell'Uruguay, del Paraguay ecc., gli scandali Enron, Worldcom, Vivendi, le accuse alla banda Bush-Cheney di insider trading, la debacle dei principi e delle istanze economiche che dovevano assicurare il migliore dei mondi possibili. Il capitalismo-neoliberismo, si affermava, procura sì sofferenze sociali (darwinismo sociale discriminante, polarizzante, ricchezza da una parte, miseria dall'altra) e sofferenze ambientali sempre più catastrofiche, e per questo contestato e combattuto dal movimento antiliberista su scala mondiale, ma è in fin dei conti razionalità economica. Oggi la debacle è iuxta sua principia, sul terreno economico. Che cos'è la guerra? La guerra non è solo guerra guerreggiata. Non sono solo eserciti, generali, truppe, vettovagliamenti, commesse statali (qui lo stato-nazione serve e funziona bene) per la McDonnel-Douglas, per la General Dynamcs, per la Oto Melara, la Beretta ecc., non è solo keynesismo militare. Non è solo lo scandalo dei 535 miliardi di dollari del bilancio militare Usa. Non sono solo tattiche, strategie, bombe, accozzaglia di malfattori, associazione a delinquere non perseguibile per legge, morti, ferite, dolori, distruzioni ecc. La guerra è la fine dei dibattiti. E' la fine del pensiero critico. La guerra è la più grande politica di destra. Non ci si occupa più di questioni sociali. La guerra è l'allineamento, l'inquadramento. La guerra è l'orgia mediatica fatta di tonnellate di retorica, di falsità, di ipocrisia, di cinismo (i giornalisti, con le dovute lodevoli e numerose eccezioni, sono della specie umana la frazione più atta a mettersi l'elmetto, tanto, come dice Galeano, "nella guerra tra Bene e Male a metterci i morti è sempre il popolo"). La guerra è il trionfo della logica binaria. La negazione definitiva dello sviluppo della complessità e della ricchezza umane. Vero-falso, zero-uno, o con me o contro di me. O con la civiltà occidentale, o con la barbarie. E' la fine del pensiero. E' lo stato d'eccezione per eccellenza. E lo stato d'eccezione permanente è la condizione perfetta per chi deve dominare. La guerra infine è pedagogica. Insegna a stare al proprio posto, a non disturbare, a essere comandati, a essere manipolati. Il vero Eden capitalistico, gerarchico, zoologicamente fissato. Razzismo Giustamente in molti ci siamo rifiutati di fare il minuto di silenzio a ricordo delle vittime dell'11 set-tembre (peraltro molte erano coloured). Il senso di giustizia e di compartecipazione al dolore di tutte le vittime, ci impediva di dimenticare che nessun minuto di silenzio si è fatto per il quasi milione di indo-nesiani, comunisti e non, massacrati tra il 1965 e il 1966, mandanti gli Usa, per il quasi milione di ruandesi fatti a pezzi, per i 200.000 poveri contadini Maya massacrati in Guatemala (secondo il rap-porto ufficiale Onu, e Clinton ha dovuto chiedere scusa per le responsabilità Usa come mandanti, ese-cutori i soliti locali aguzzini), per i cileni ammazzati, torturati, fatti sparire dopo il vero 11 settembre quale tornante della storia (Kissinger "Non dobbiamo mica accettare che un paese diventi marxista per l'irresponsabilità del suo popolo"), per i nicaraguensi ecc. L'elenco è molto lungo. Il razzismo secondo il quale un bianco Usa, o europeo, debba essere ricordato, mentre gli altri sono, come diceva Sartre, nella prefazione a I dannati della terra di Fanon, tutti "indigeni", entità trascurabili, storicamente insi-gnificanti, fa il paio con il razzismo insito nel fatto che un bianco Usa abbia il diritto di consumare e-nergia (e quindi di inquinare) quanto due tedeschi, tre svizzeri, 60 indiani, 1100 ruandesi (dati ufficiali Onu inizio anni Ottanta, oggi?). Quanta "impronta ecologica". E quanto razzismo. Fondamentalismo Vari autori, giornalisti e studiosi, hanno spiegato molto bene l'uso criminale, da apprendisti stregoni, che gli Usa hanno fatto del fondamentalismo islamico e di Osama bin Laden al tempo della sporca guerra contro l'Urss, dal 1979 in avanti in Afghanistan, e poi in Cecenia, Bosnia, Kosovo ecc. Alimentati, foraggiati, addestrati, denominati Freedom Fighters (combattenti per la libertà). Tagliagole tribali, in perenne lotta tra loro e che la stupidità sovietica compì il miracolo di coalizzarli e di metterli assieme. Capi tribù afghani ai quali si raccontò che i vari Karmal, Najibbulah ecc, non solo erano atei e comunisti (in realtà nazionalisti modernizzatori), ma addirittura avevano avuto l'ardire di fare la riforma agraria e di introdurre l'obbligo scolastico per le bambine. Guerra santa ci voleva. L'occidentalissimo Bzrezinsky in un incontro con costoro affermò solennemente che "Allah è con voi". Bin Laden, in affari con la famiglia Bush, si prodigò molto, anche perché motivato dalle promesse Usa di compartecipare al potere in Arabia Saudita. Promessa non mantenuta alla fine della guerra. Anzi, con la guerra del Golfo, in sovramercato, truppe americane si installavano in permanenza in suolo saudita, nei luoghi santi dell'Islam. Da qui la sua personale guerra, santa o meno, agli Usa. Il fondamentalismo islamico, come ogni chiusura identitaria, etnica, religiosa, nazionalistica ecc. è stato il risultato dello speculare fondamentalismo occidentale, il fondamentalismo cattolico, il fondamentalismo del mercato e poi il fanatismo del neoliberismo, dell'omologazione dei consumi, degli stili di vita su scala mondiale. "Macworld" non è versus (contro) "Jihad", secondo il celebre titolo del libro di Barber, ma Macworld e Jihad si reggono a vicenda. Come Bush con Bin Laden. Il fanatismo occidentalocentrico alimenta il, e a sua volta è alimentato dal, fanatismo antioccidentale. Come fanno osservare molti studiosi, in primo luogo Samir Amin, il fondamentalismo non esaurisce la complessità e la vastità dell'Islam politico. Fenomeno storicamente rimarchevole. Così, dopo il 1955 e l'avvio dell'era di Bandung, l'era del sorgere e svilupparsi di un polo mondiale dei movimenti di libe-razione nazionale e del movimento dei paesi non-allineati, gli Usa, sempre attraverso i fedeli alleati A-rabia Saudita e Pakistan, favoriscono nel 1958 il sorgere del Congresso Islamico Mondiale che inizia una capillare penetrazione nei paesi a maggioranza mussulmana, fondandovi istituti di cultura, centri di assistenza per i poveri, centri di assistenza medica, scuole coraniche ecc. Ricordiamo che, poco prima dell'11 settembre, un giornalista del Wall Street Journal sottolineava la bontà di quel tipo di scuole. Sinistra Uno dei paladini della guerra come politica mondiale è il laburista Toni Blair. Il blarismo era stato in-dicato a suo tempo come incarnazione della "terza via", tanto cara a D'Alema e Fassino. Una sinistra guerrafondaia che ha fatto in prima persona la guerra nei Balcani, umanitaria per giunta, che ha arrecato morti e distruzioni in un'area sventurata e ha permesso agli Usa di mettere in riga i già proni europei e di installarsi con basi in una regione strategica per il controllo delle vie del petrolio, della droga, del Medioriente ecc. Ora le cose, per i Ds italiani sono cambiate, non essendo più al governo, e molto ravvedimento si è avuto nella sua base. Non così ai vertici. Con le nobili eccezioni di parlamentari che si sono astenuti o hanno votato contro, questi vertici hanno dato il triste spettacolo del cosiddetto "voto bipartisan" sulla questione della guerra in Afghanistan. Bipartisan è il nome nuovo del trasformismo, della perdita di valori, della fine della politica persino nell'accezione classica liberale, dove esiste un'opposizione che si contrappone a una maggioranza. E' l'eutanasia della politica. Blair con il suo si-nistro sorriso modernizzatore, progressista, cinico, disincantato, è l'emblema della sinistra neoliberista, è l'ammonimento vivente della necessità di ridefinire la gloriosa nozione di sinistra. Quella nozione che discriminava campi di emancipazione, da una parte, e campi di de-emancipazione e di oppressione, dall'altra. Asia Centrale e i Great Games mondiali La guerra in Afghanistan è servita agli Usa per conseguire vari fini. In primo luogo, installarsi stabil-mente in un'area per il controllo delle risorse strategiche (gas, petrolio, acqua). Con il controllo e la co-struzione di oleodotti e gasdotti, senza i quali la vastità delle riserve strategiche tra il Mar Caspio e la Siberia rimane solo potenziale (i talebani erano stati avvertiti già ad agosto 2001 che se non avessero raggiunto l'accordo sull'oleodotto voluto dalla Unocal "sarebbero stati rasi al suolo", promessa mante-nuta dopo il provvidenziale 11 settembre). Ma quella è la regione nella quale già nell'Ottocento impero zarista e impero britannico furono contendenti nel Great Game, la grande partita per il controllo delle vie d'accesso dell'India, della Cina, della Russia, della Persia-Iran. Oggi in particolare queste basi co-stituiscono una minaccia, una pressione nei confronti della Cina, l'unica vera potenza concorrente degli Usa. E finora questi ultimi hanno già installato 13 basi militari tra il Caucaso e l'Asia centrale ex so-vietica. Un'altra area strategica che si profila è quella amazzonica a partire dal Plan Colombia. Non solo le riserve strategiche dell'Amazzonia (quasi il 25% dell'acqua dolce e quasi la metà del patrimonio genetico del pianeta), ma la necessità per gli Usa di tenere in iscacco paesi-chiave (Colombia, ma poi soprattutto Brasile e Venezuela). Civiltà e barbarie Gli zelanti esecutori italiani del governo Berlusconi si sono mossi subito nell'arruolamento mondiale contro la barbarie terroristica. Il ministro dell'istruzione Letizia Moratti inviò subito dopo gli attentati una lettera a studenti e insegnanti esortandoli, cosa inaudita, a discutere e approfondire valorizzando la civiltà occidentale e indicando nell'Europa la culla della civiltà, della tolleranza ecc. In realtà, l'Europa ha creato il "pericolo bianco", già con le Crociate, ma poi con gli stermini predatori nelle Americhe, in Asia, in Africa dal XV secolo in avanti. Il problema sorge con lo sterminio interno. Con il nazismo, l'europeo si comporta con altri europei così come si era comportato e continuerà a comportarsi nelle periferie del mondo. Altro che culla della civiltà e della tolleranza! Tuttavia, la dialettica storica agisce anche qui. Nel mentre fuori si commettevano orrori, nel cuore stesso dell'Europa, dal XV secolo in avanti, si veniva elaborando il giusnaturalismo, il filone liberatorio del diritto naturale, da Grozio, Althusius e Pufendorf a Spinoza e Rousseau. Si elaborava la dottrina e al filosofia dei diritti inalienabili dell'individuo, premessa delle correnti democratiche e rivoluzionarie tra Ottocento e Novecento. Oggi l'alternativa tra civiltà e barbarie è all'ordine del giorno. L'analogia che si impone è Roma, il tardo impero romano e l'incipiente fine del mondo antico. Le continue guerre per assicurarsi il dominio, il prelievo tributario e la sopravvivenza del regime schiavistico, le legioni impegnate nella guerra perma-nente globale da una parte all'altra dell'impero, sono un potente richiamo simbolico. L'analogia è pre-gnante e suggestiva. Allora l'esito fu catastrofico. Forse oggi un altro esito è possibile. Con un'annotazione finale: nel passato ci furono ondate di civilizzazione umana foss'anche come eterogenesi dei fini, non direttamente volute dalle classi dominanti, dalla borghesia, poiché lo sviluppo allora concepito conteneva per forza di cose una promessa universalistica, di benessere per tutti (anche se poi i costi storici erano le cosiddette "montagne di cadaveri"). Si potevano avere, confinandoci semplice-mente nella sfera culturale, un Thomas Mann e i Buddenbrook, per citare a caso. Oggi imperversa una borghesia su scala mondiale cinica, rapace, volgare, incolta. Gli Hängstrom-Berlusconi, per esempio. Senza progetto di civiltà, senza respiro. Apres nous le deluge. Il paradigma Porto Alegre: l'alternativa dello "spirito di Porto Alegre" contro lo spirito di morte di Davos-Washington Su scala mondiale è in atto un processo di costruzione di alternative al corso dominante del neoliberi-smo, della guerra, del profitto, della dilapidazione delle basi materiali della vita. Le tante culture, i tanti soggetti impegnati nel movimento contro la globalizzazione neoliberista, lavorano in questo grande ci-mento della "convergenza nella diversità" per elaborare e realizzare alternative afficaci all'ordine iniquo e mortale. La sfida è per questo movimento ,sempre in espansione, precisare e strutturare la costruzione di queste alternative. Con la costruzione delle forme organizzative che diano efficacia alla sua azione. Così come il capitalismo è, ricordano Michel Beaud e François Houtart, "movimento organico inglo-bante", polarizzante, assimetrico, ineguale, gerarchico, che ha in orrore il vuoto, e tutto ingloba e meta-bolizza, così deve essere il movimento nella sua capacità di attrarre sempre più vaste masse, di inglobare strati sociali, classi, esseri umani in rivolta etica contro gli espropriatori del mondo che ci appartiene. In questo senso il movimento è naturalmente, spontaneamente contro la guerra. Esso eredita la gloriosa tradizione del vecchio pacifismo. Il nuovo pacifismo che esso veicola è il risultato della critica radicale del neoliberismo e della sua programmatica sostituzione della politica con la guerra. Questo movimento è impegnato in un grande lavoro di rifondazione della politica, ha un orizzonte di tempi lunghi, con il metodo della coscientizzazione, della politica come bene comune, come politeia, che riguarda tutti e non solo un ristretto gruppo di specialisti. Le classi dominanti nella storia agiscono e impongono spesso i tempi brevi. I gravi problemi del mondo contemporaneo impongono risposte a breve termine. E basta una guerra per azzerare tutto. In questo iato, in questo ricatto sta la sfida che occorre raccogliere. Ve-ramente, e in questo caso sì, non esiste alternativa alla continua elaborazione politica e culturale e alla continua mobilitazione per colmare questo iato. E' l'unico caso positivo della sindrome Tina (There Is No Alternative). Il libro raccoglie gli atti del convegno tenuto a Milano il 23-24 novembre 2001 dal titolo Contro la guerra globale. Verso Porto Alegre 2002 e altri saggi.da noi ritenuti importanti per la completezza della trattazione.
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