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Tre donne si fanno scudo contro Sharon
- Subject: Tre donne si fanno scudo contro Sharon
- From: "kowalski" <kowalski at informationguerrilla.org>
- Date: Sat, 27 Jul 2002 19:41:17 +0200
Tre donne guidano nei Territori occupati le azioni del «Movimento internazionale di solidarietà ai palestinesi». Con una convinzione: gli scudi umani sono l'unica, vera arma che può battere Sharon MICHELE GIORGIO Arrivano a Gerusalemme a gruppetti, con zaino e sacco a pelo in spalla. In buona parte sono giovani europei e americani ma anche giapponesi, australiani e israeliani. Tra loro talvolta si scorge la barba bianca di qualche maturo attivista di movimenti no-global e internazionalisti. Il «Movimento internazionale di solidarietà con il popolo palestinese» (Ism) è tutto qui. Niente di più. Poche decine di persone entrate in contatto grazie ad internet che raggiungono i Territori Occupati allo scopo di offrire protezione ai civili palestinesi e registrare, grazie alla loro presenza in campi profughi, città e villaggi, gli abusi e le violazioni dei diritti umani compiute dalle forze di occupazione. Ma sono tutti molto motivati, pronti a trascorrere settimane tra difficoltà e disagi enormi pur di portare a compimento la loro missione. Huwaida Arraf, palestinese «Ai nostri attivisti chiediamo soltanto una cosa: impegnarsi nella difesa passiva e pacifica della popolazione civile palestinese. A nessuno viene chiesto di correre rischi» dice Huwaida Arraf, 26 anni, palestinese nata e vissuta tra New York e l'Illinois, che da quasi due anni svolge la funzione di coordinatrice dell'Ism. Huwaida, l'israeliana Neta Golan e l'irlandese Caoimhe Butterly in questi ultimi mesi hanno visto più volte i loro nomi sulle pagine dei giornali di tutto il mondo. Neta e Caoimhe (nome gaelico che si pronuncia Cuiva) non hanno esitato lo scorso aprile ad entrare nella Muqata, il quartier generale dell'Anp a Ramallah, per impedire, con altri pacifisti internazionali, un attacco israeliano contro l'ufficio del presidente palestinese Yasser Arafat (Neta ne uscirà solo al termine dell'assedio durato oltre un mese). Huwaida invece architettò il blitz di Betlemme che consentì ad una dozzina di attivisti dell'Ism di entrare nella Basilica della Natività e di portare importanti aiuti ai palestinesi e ai frati che vi erano asserragliati. Huwaida e altri giovani pacifisti attirarono l'attenzione dei soldati sulla Piazza della Mangiatoia sotto coprifuoco mentre i suoi compagni si infilavano nella chiesa beffando l'esercito. Una azione che costò alla giovane palestinese la detenzione (seguita da quattro giorni di sciopero della fame all'aeroporto di Tel Aviv) e infine l'espulsione. Huwaida è tornata a metà giugno a Gerusalemme, grazie ad un passaporto israeliano (il padre è un «arabo-israeliano» originario della Galilea) ottenuto qualche settimana fa. Il suo impegno è, come sempre, incessante. Ogni mattina tiene corsi di resistenza passiva in un ostello della zona araba della città per i nuovi arrivati dell'Ism. «L'autodisciplina è fondamentale - spiega con voce ferma ma calma - quando ci si trova di fronte ad un carro armato israeliano è necessario mantenere sangue freddo e non lasciarsi prendere dal panico». Nei mesi scorsi Huwaida ha guidato decine di attivisti dell'Ism ai posti di blocco israeliani o durante manifestazioni contro la confisca delle terre. Non ha esitato a stendersi davanti ai cingoli di carri armati e bulldozer per impedirne il passaggio. «E' un rischio calcolato - afferma - anche se ho paura. Tutti noi abbiamo paura perché le macchine di guerra sono terrificanti». Allo stesso tempo Huwaida è certa dell'efficacia di queste iniziative pacifiche. «Sono contro gli attentati che colpiscono i civili israeliani - prosegue - ma riconoscono pienamente il diritto della mia gente, sancito dalle leggi internazionali, di ribellarsi anche in armi all'occupazione. Tuttavia ritengo che una Intifada pacifica, fatta di manifestazioni popolari non violente sia più efficace dei fucili. Israele è abile nello sfruttare a suo vantaggio i mezzi d'informazione. La violenza viene presentata dai media a senso unico, contro i palestinesi, mentre l'occupazione militare non cessa e la vita della mia gente è un inferno. Un movimento popolare e pacifista opposto ad un esercito potente avrebbe un impatto notevole, il mondo avrebbe di fronte agli occhi, in modo inequivocabile, un popolo indifeso che lotta per la libertà e una occupazione durissima». Neta Golan, 33 anni, è l'anima dell'Ism dove non mancano giovani ebrei. Sono però quasi sempre cittadini di altri paesi mentre lei è israeliana (oltre che cittadina canadese) e ogni giorno è costretta a sfidare la legge militare che vieta in modo categorico agli israeliani di entrare nelle zone autonome palestinesi. Ogni volta che entra nei Territori Occupati rischia l'arresto e un condanna severa. «Ormai sono abituata e non ho più timori» dice. Neta si è traferita da alcuni mesi a Nablus, la città del marito Nizar (sposato in Italia lo scorso ottobre), dove guida un manipolo di attivisti dell'Ism che con la loro presenza cercano di impedire demolizioni di case e abusi a danno dei civili. Neta Golan, israeliana Per tre settimane Neta e altri giovani si sono stabiliti nelle abitazioni delle famiglie dei kamikaze palestinesi minacciati dall'esercito di deportazione a Gaza. «La mia maturazione politica è stata lenta ma continua - racconta Neta - quando ero una ragazzina avevo la testa piena di propaganda. Soprattutto avevo paura, paura degli arabi, dei palestinesi. Mi era stato detto che sono fanatici, sanguinari, che vogliono tagliarci la gola soltanto perché siamo ebrei. Sono diventata adulta senza conoscere nulla dei palestinesi e soprattutto dei motivi che li spingeva e ancora li spinge a ribellarsi a Israele». L'inizio della prima Intifada (1987) aprì gli occhi a Neta che scelse la fuga in Canada (dove aveva vissuto da bambina) al servizio militare. «Non potevo far parte di un esercito che non difendeva il Paese come mi avevano detto ma invece opprimeva un altro popolo». La famiglia accolse con stupore e disappunto quella decisione. «Qualche settimana prima dell'inizio del servizio di leva convinsi mio padre a lasciarmi partire per una breve vacanza in Canada - prosegue Neta - invece ci rimasi due anni nonostante gli appelli dei miei genitori a far ritorno in Israele. Nella mia famiglia molti sono di destra, e non mancano alti ufficiali dell'esercito e persino coloni. Il mio gesto perciò fece scandalo». Tornata a Tel Aviv e risolti, a caro prezzo, i problemi con l'esercito, Neta si diplomò (dopo un viaggio in India) in medicina alternativa. «Una delle esperienze di vita piu' importanti è stata il mese trascorso nell'ufficio di Arafat - ricorda - un mese di privazioni, disagi, vissuto nel timore di un attacco dell'esercito. Ma è stato anche un mese nel quale ho potuto conoscere Arafat che si preoccupava che i pacifisti asserragliati nel suo ufficio avessero sempre cibo e acqua». L'ultima volta che abbiamo parlato con Neta, qualche giorno fa, era diretta al campo profughi di Balata, tra i più colpiti dall'offensiva militare israeliana in Cisgiordania. I profughi sono la preoccupazione principale di Caoimhe (Cuiva) Butterly, che da mesi vive tra Jenin, Nablus e Ramallah. Caoimhe fu la prima, sotto il fuoco dei mezzi corazzati israeliani, a portare soccorso ai poliziotti palestinesi feriti a fine marzo nel quartier generale di Arafat. «Mi legò stretto un laccio attorno ad una gamba fermando l'emorragia, non la dimenticherò mai perché mi ha salvato la vita» ci disse lo scorso aprile nell'ospedale «Sheikh Zayed» di Ramallah Tawfiq Yazji, un poliziotto che era di guardia all'ufficio del leader palestinese. Dalla Muqata assediata la giovane irlandese uscì un pomeriggio di fine aprile aggirando le postazioni israeliane. Non per concedersi qualche giorno di riposo ma per andare a Nablus. Cuiva Butterly, irlandese Da tre settimane è nel campo profughi di Jenin. Alta, capelli rossi tipici della sua terra, di una bellezza aspra, cattolica praticante, Caoimhe incarna lo spirito internazionalista dell'Ism. Figlia di un economista dell'Onu, la giovane irlandese ha aiutato bambini malati di aids in Zimbawe, disabili in Canada, «homeless» a New York, i contadini del Chiapas zapatista dove ha anche imparato un po' Tzeltal. «Il mio cuore oggi è nei campi profughi palestinesi» spiega Caoimhe «e nei campi che si sente e si vive il dramma di questo popolo che non ha più nulla, che è stato privato di tutto a cominciare dalla terra». E' convinta come Huwaida, Neta e tutti i suoi compagni che la difesa passiva, la resistenza pacifica siano la vera «arma» a disposizione dei palestinesi «contro la brutalità dell'occupazione e la negazione del diritto». «Lo scudo umano è l'antitesi del kamikaze» aggiunge «l'impegno di tanti esseri umani indifesi, disarmati, ma uniti, forti delle loro motivazioni, può sconfiggere un esercito potente come quello di Israele. Non è retorica pacifista ma azione concreta che noi attuiamo ogni giorno con risultati importanti e che la popolazione apprezza». Dei giorni di aprile trascorsi nell'ufficio di Arafat, Caoimhe ricorda le telefonate di addio fatte dai poliziotti a mogli e figli nelle notti in cui credevano di dover morire tutti nell'attacco israeliano che si riteneva imminente. «La fame invece non mi spaventava» aggiunge «ad ottobre ho fatto dieci giorni di sciopero della fame per protestare contro la decisione del governo irlandese di consentire il rifornimento all'aeroporto di Shannon degli aerei da trasporto americani diretti verso l'Afghanistan». Fonte: http://www.ilmanifesto.it
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