polizia, magistratura, violenza



Polizia, magistratura, violenza
TUTTI POSSIAMO SBAGLIARE

    "Tutti possiamo sbagliare" ha detto Casini a proposito degli arresti di
poliziotti a Napoli. Ciò vale per i magistrati come per i poliziotti. Vale
anche per Casini, come per chi scrive qui. Ma se la polizia fa violenza su
inermi, non sbaglia ma delinque. Chiamare errore l'abuso della forza
pubblica equivale al chiamare "compagni che sbagliano" i terroristi, i quali
non sbagliano ma delinquono. L'errore è scusabile, la violenza no. Ogni
persona arrestata è inerme, affidata alla forza pubblica, che ha il compito
di fermare la violenza quando è in atto e non vendicarsi dopo, di difendere
tutti, anche i colpevoli, e non ha mai assolutamente il compito di punire.
E' più grave la violenza di chi ha il compito di impedirla, così come la
pena di morte statale è peggiore dell'omicidio privato, perché lo stato, che
esiste anzitutto per ridurre la violenza, deve essere - come minimo - meno
violento del delinquente.
    Centinaia di testimonianze immediate da Napoli e da Genova ci dicono che
violenza poliziesca ci fu. La magistratura accerterà. Anch'essa può
sbagliare, nel vedere ciò che non c'è o nel non vedere ciò che c'è. Ma se
procede regolarmente ha regole di autocorrezione, su istanza propria o di
chi è interessato. E' necessario che la magistratura abbia l'ultima parola,
nei limiti della verità processuale e della giustizia umana, perché è
interesse generale che i conflitti si chiudano.
    La maggiore popolarità (così pare) delle forze dell'ordine non significa
un loro primato, né può far dimenticare la necessità che la cultura di cui
sono permeate (certo, senza affatto generalizzare) sia riformata nel senso
di imparare un molto maggiore autocontrollo personale. Il potere su di sé è
più importante e più difficile del potere sugli altri conferito dalla forza
materiale. E' ciò che ricerca il progetto di legge (primo di molti firmatari
Occhetto) per la formazione nonviolenta del personale della forza pubblica,
depositato dopo i fatti di Genova.
    Enrico Peyretti