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A che cosa serve la diplomazia americana?
- Subject: A che cosa serve la diplomazia americana?
- From: "Assopace per Palestina" <assopacexpalestina at tiscalinet.it>
- Date: Thu, 18 Apr 2002 18:56:22 +0200
A che cosa serve la diplomazia americana? di Farshid Nourai Mentre i carri armati, gli Apaches e gli F-16 israeliani seminano morte e distruzione, nei Territori Occupati, fallisce mestamente anche il tentativo diplomatico dell'inviato americano. Il monito americano agli israeliani di abbandonare i Territori Occupati trova solo una pernacchia da parte israeliana. Il presidente USA sorprendentemente vede il fallimento come una mezza vittoria e lancia un severo avvertimento agli Europei: "solo gli americani hanno la potenza e la possibilità di intervenire: gli altri contano poco". Un rozzo ragionamento, lapidario, che affossa i principi della libertà e della democrazia su cui lo stesso ordinamento americano è basato. Mentre tutte le organizzazioni internazionali occidentali denunciano le atroci violazioni dei diritti umani nei T.O., mentre il Segretario Generale dell'ONU e la Comunità Europea riconoscono la necessità vitale dell'invio di una forza internazionale per proteggere i civili, mentre il mondo intero vede scorrere le immagini atroci dell'ecatombe che è diventato il Campo profughi di Jenin, mentre la preoccupazione di ampliamento della guerra opprime gli animi, gli americani vantano la loro politica e la loro autorevolezza di mediazione. Un atteggiamento profondamente vile e superficiale. Se la diplomazia non riesce a salvare le vite degli innocenti, se non ha la capacità di imporre la ragione, se non trova elementi per ostacolare i conflitti, se non può costruire la conciliazione, se non difende i deboli, allora a che cosa serve? Vedendo i risultati della politica americana nel Medio Oriente non è difficile riconoscere, per l'osservatore imparziale, la loro totale incapacità e il loro fallimento. Che cosa facciamo con una politica di supremazia e prepotente? A cosa serve una diplomazia che difende unilateralmente i suoi interessi in primis e gli interessi dei suoi alleati a costo di infliggere grandi ingiustizie? E ciò sacrificando le vite dei bambini, donne, uomini innocenti con l'unica colpa di essere nati nella parte sbagliata del globo. La verità è che nessuno può placare l'ira del Primo Ministro israeliano, neanche il suo alleato più potente. La verità è che gli israeliani hanno bisogno di tempo per liquidare i "terroristi" palestinesi. L'esercito israeliano avrà a disposizione il tempo necessario, non importa quale sia il costo delle vite umane. Questo è l'unico risultato del viaggio dell'inviato americano: Non importa che alla base di questa necessità giace un giudizio arbitrario in cui l'accusatore, il giudicante e il giustiziere sono sempre la stessa identità. Quale è il ragionamento perverso che si allinea con i principi della democrazia cosi giustamente vantata? La diplomazia americana sempre più assomiglia ad "un cane i cui movimenti sono stati comandati dalla sua coda israeliana". Nel frattempo l'esercito israeliano mantiene Arafat nel suo carcere e vanta l'arresto di Marvan Barghuti, segretario generale di Al-Fatah in Cisgiordania. Non c'è nulla di nuovo nell'atteggiamento israeliano ma, ciò che stupisce, è come il mondo occidentale accetti incondizionatamente la legge del più forte e legittimi le sue ragioni senza un minimo dubbio e accusi quelli che resistono davanti a questa logica: parziale e unilaterale. Se i palestinesi avessero avuto il potere di chiudere Sharon nel suo palazzo e magari arrestare il Generale Mufaz, il Capo di Stato Maggiore israeliano, per i crimini commessi nel campo profughi di Jenin, quale sarebbe stata la reazione occidentale? Avrebbero accettato senza condizioni o avrebbero avuto qualche dubbio? Noi, che siamo stati in Palestina, ancora dopo giorni sentiamo la voce del bambino, che invoca disperatamente aiuto al telefono, chiuso in una casa di Bethlehem, con i cadaveri della madre e del fratello maggiore. Un grido d'aiuto dirompente che ha dilagato nell'inettitudine nelle nostre anime. Abbiamo bene presente la sensazione di impotenza che abbiamo provato dinanzi ad una guerra feroce contro civili, l'ingiustizia che abbiamo vissuto e l'aria di disperazione che abbiamo respirato. Siamo stati sommersi dalle centinaia di voci che chiedevano aiuto. Non avevamo né forza né un mandato per un vero intervento. E' frustrante ricevere la richiesta di aiuto ed essere incapaci di intervenire. Fa molto male rappresentare una speranza negli occhi degli oppressi e non poter superare gli ostacoli. Aggrappati al telefono abbiamo urlato, minacciato, pregato, implorato e supplicato le organizzazioni internazionali presenti nel luogo, di intervenire. Ma, la potente ira dell'esercito israeliano ostacolava anche loro, malgrado essi siano protetti dalle convenzioni internazionali. Non ci è stato possibile portare i feriti all'ospedale, liberare i bambini dalle macerie, fornire medicinali, distribuire cibo e acqua ai diseredati civili, rimasti sotto un coprifuoco permanente per giorni. Portare una medicina, per salvare la vita di un bambino dal campo profughi di Aida all'ospedale della Caritas, ad una distanza di 1 km, è stato oggetto di 5 ore di trattative. Alla fine, solo il coraggio degli attivisti internazionali, a rischio della loro vita, è riuscito a compiere la missione. Ciò che ci ha sconvolto in questa aggressione, oltre alle numerose vittime, è l'inaudita violenza, applicata indiscriminatamente ai civili, di fronte alla quale, la quarta Convenzione di Ginevra è solo un ricordo misero e calpestato dai carri armati, che, per scovare chi cercano, non esitano a distruggere interi palazzi sulla testa di abitanti inermi. Tra le macerie, i feriti muoiono lentamente, attendendo invano le ambulanze che, però, non arriveranno mai. I bambini si spengono nel loro silenzio, terrorizzati dal rombo dei carri armati e dal frastuono degli elicotteri Apaches. Malgrado tutto ciò non abbiamo mai pensato di avere la chiave della verità. Comprendiamo anche lo stato d'anima dei civili israeliani. Una società ferita martoriata che fatica a raccogliere le idee, schiava di una propaganda seviziante coltiva l'odio senza una vera ragione. Le orrende bombe suicide, i corpi dilaniati affossano la ragione nell'oblio. Il pensiero dominante presenta nemici da per tutto e estremizza la questione tra la morte e la vita. Utilizza la storia come l'arma del ricatto e brucia il dialogo prima dell'inizio. In questo scenario, l'intelligenza umana perde la sua raffinatezza nel distinguere i colori, come se fosse tutto nero o bianco. Solo pochi riescono ad attraversare il muro dell'odio e a giungere alla verità della causa. Essi rappresentano la vera speranza. Se la diplomazia mondiale non riesce a creare i punti di contatto, a mediare, a plasmare una clima di conciliazione, a difendere i diritti universali dell'uomo e la legalità internazionale, allora siamo all'inizio del declino dell'intera civiltà.
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