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Palestina, nel labirinto del conflitto
- Subject: Palestina, nel labirinto del conflitto
- From: "Leonardo Lomartire" <lelomar at tin.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Sat, 13 Apr 2002 09:54:15 +0200
Vi invio questa buona lettura espunta da www.aprile.org . come preparazione alla iniziativa sarebbe bello che chiunque trovi qualche notizia interessante in proposito, la giri alla lista. Io lo farò. Leonardo ----------- Palestina, nel labirinto del conflitto In viaggio nelle città assediate dai carri armati. Il negoziato è l'unica soluzione Nicola Manca Palestina. 7 marzo. Con una delegazione di parlamentari europei - tra gli altri Luisa Morgantini e Gianni Pittella - ci siamo immersi per quattro giorni nello scenario di guerra della Palestina. Visti da qui, senza il filtro televisivo, le immagini, i rumori, le persone trasmettono altre sensazioni: si percepisce il dramma dei civili, la paura, lo sgomento quotidiano. La prima tappa ci porta a Ramallah con due fuoristrada dell'Unione europea. Il funzionario che ci accompagna ci fa firmare un foglio che li solleva da ogni responsabilità su quanto può accaderci. Da Gerusalemme a Ramallah il viaggio è breve: colpisce l'estensione degli insediamenti dei coloni. Ci rechiamo da Abu-Ala (presidente del consiglio legislativo palestinese): lamenta l'isolamento, l'impossibilità concreta di riunire il parlamento. Vediamo Arafat a Ramallah, poche ore dopo i bombardamenti. Le preoccupazioni sono le stesse di Abu-Ala. In questi anni di conflitto - ci dice Arafat - la perdita di vite umane e i danni economici sono enormi, incalcolabili. 8 marzo. Il pomeriggio a Gerusalemme, in Paris Square, si svolgono due manifestazioni: una dei pacifisti di Peace now, l'altra - a pochi metri dalla prima - dell'estrema destra. Impensabile, da noi, nella stessa piazza due manifestazioni così diverse e opposte negli obiettivi. Le macchine che passano intorno alla piazza segnalano il consenso agli uni o agli altri. I giovani della destra ripetono ossessivamente contro le donne in nero e i militanti di Peace now i loro slogan : "Uccidete i vostri fratelli", "Volete la morte di Israele". A Gerusalemme est, nella parte araba, i segni della crisi si fanno sentire più che altrove. Molte botteghe restano aperte in attesa di clienti, ma sono pochi i turisti che si incontrano nel quartiere. La sera, le tv arabe trasmettono in continuazione le immagini degli scontri e dei rastrellamenti. Dall'albergo che ci ospita sentiamo il rombo degli F-16, il rumore delle pale degli elicotteri, le sirene delle ambulanze. Si contano i morti, gli attentati: l'ultimo in un bar vicino alla casa del premier Ariel Sharon. Le vittime sono giovani, inermi, civili. 9 marzo. Arrivati a Betlemme ci rendiamo conto che lo sbarramento è impressionante: carri armati lungo la strada e al check point. Possiamo procedere solo a piedi, percorrendo unicamente la strada principale. Passa i controlli con noi una donna palestinese smarrita e terrorizzata dalla visione dei carri armati. Si vedono i segni dei bombardamenti, il centro sanitario della Croce rossa palestinese è distrutto, le macerie sono lungo tutta la strada. Non incontriamo nessuno per i primi cento metri, il coprifuoco è totale. Fino alla piazza della Natività, le sole presenze sono quelle dei bambini, che incuranti di tutto si raggruppano per strada. Solo più avanti incontriamo qualche palestinese armato e poi macchine della tv araba che percorrono le strade velocemente. Cerchiamo il nostro contatto con i cellulari, non sappiamo se andare avanti o fermarci. Finalmente arriva una rappresentante dell'Autorità nazionale palestinese e possiamo continuare con più tranquillità. La giovane palestinese, militante della prima Intifada, ha perso tutto: la famiglia, la casa. Dopo due anni di carcere, si occupa del recupero dei bambini e coordina le attività di assistenza per le donne. Incontriamo nella sede del municipio le diverse autorità: il sindaco e il capo della polizia. Sono esasperati, ma non rassegnati. Sono esausti per i continui bombardamenti, chiedono un impegno forte a noi europei. Nella piazza gruppi di poliziotti e milizie armate presidiano e si muovono in diverse direzioni cercando di mantenere la loro rete di contatti. Ci avvisano che alcune case sono occupate dai cecchini israeliani e di conseguenza dovremmo muoverci con i taxi o con macchine della polizia per recarci all'ospedale. Quest'ultimo, costruito dalla cooperazione italiana, è una delle poche strutture ancora funzionanti. All'ingresso decine di persone attendono notizie dei feriti. C'è un clima di composta e grande sofferenza: alcuni pregano, alcuni aspettano in silenzio. All'interno troviamo molti feriti. Un gruppo di persone sta portando via con una barella a spalla un giovane morto nella notte, colpito dal fuoco degli elicotteri. Parte il corteo funebre e noi lasciamo l'ospedale per fare ritorno negli uffici del comune. Nel pomeriggio è previsto il rientro a Gerusalemme in taxi. Passaporti ben visibili in mano e braccia alzate, avanziamo lentamente verso il check point. 14-15-16 marzo. A cinque giorni dalla prima missione, torno in Palestina con Marina Sereni, responsabile esteri dei Ds. A Tel Aviv si tiene la riunione del Simec (Comitato per il Medioriente dell'Internazionale socialista). I lavori si svolgono in due momenti distinti: la mattina del 14 a Ramallah con la presenza dell'Autorità nazionale palestinese e di Fatah: sono presenti Arafat, Rabbo, Al-Hassan, Ilan-Halevi. Arafat auspica un'iniziativa americana che consenta il ritiro immediato di Israele dai territori. L'incontro si svolge in modo concitato, interrotto dalle telefonate che arrivano ad Arafat da Barcellona. Lo stesso Zinni, inviato del presidente Bush in Medioriente, è arrivato da poche ore a Gerusalemme. Non ci sono i laburisti israeliani, non è stato possibile garantirne la sicurezza. Due i punti cardine per la delegazione palestinese: l'iniziativa saudita ed il vertice di Beirut della Lega araba. L'ultima risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che ribadisce il diritto dei palestinesi ad uno Stato è salutata con favore. Rabbo - ministro dell'informazione palestinese - definisce la situazione del suo popolo non dissimile da quella vissuta dalla popolazione di Sarajevo e lamenta l'assenza di un'opposizione reale al governo di Sharon. Nel pomeriggio incontriamo Yossi Belin, uomo di punta della coalizione israelo-palestinese, che spinge per un dialogo ed è critico con il suo partito al governo. Belin rovescia il ragionamento di Shimon Peres, che l'indomani ci dirà che la presenza dei laburisti israeliani al governo è utile per non spingere ancora più avanti il conflitto, contenere la spinta a destra del Likud e di Sharon, lasciare aperto un margine per il negoziato. Belin, al contrario, ritiene la presenza al governo dei laburisti una copertura e una legittimazione della politica di Sharon. Sostiene che senza l'appoggio dei laburisti Sharon non avrebbe spinto così avanti l'escalation militare. Il punto essenziale dell'iniziativa della "coalizione israelo-palestinese" è il ritiro dai territori occupati. Le stesse cose vengono ripetute da Yossi-Sarid (presidente del Meretz) la mattina dopo, in apertura della sessione del comitato dell'Internazionale socialista a Tel-Aviv. Considera grave - ripercorrendo le vicende del recente passato - la non accettazione degli accordi di Taba da parte di Arafat, "Il terreno del confronto era buono". Quella rottura - sostiene Sarid - ha consegnato il paese nelle mani di Sharon. Fa risalire al 1967 la gravità della situazione, sostiene che l'occupazione e gli insediamenti dei coloni sono degli errori gravi che alimentano il terrorismo. La delegazione laburista, prima con Benjamin Ben Eliezer e poi con Shimon Peres, ribadisce la linea della presenza al governo ritenendola essenziale per non consegnare il paese alle destre. La discussione è difficile, in forme diverse si manifestano da parte dei partiti socialisti dubbi e perplessità su questa scelta. Le difficoltà del Partito laburista sono evidenti, se la situazione non dovesse mutare potrebbe accentuarsi uno scontro durissimo e dagli esiti incerti. Nella mattinata del giorno dopo incontriamo, all'università di Gerusalemme, Sari Nusseibeth. E' un esponente della coalizione israelo-palestinese che cerca di mantenere aperto il dialogo nella società civile, è tra coloro che ritengono fondamentale questo dialogo: si tratta di un investimento per il futuro. In mattinata, abbiamo visitato Betlemme con il console italiano e con il padre francescano Ibrahim. Siamo stati dalle suore che vivono vicino al campo profughi, poco lontano da un insediamento di coloni. Quella zona, come tutta Betlemme, è occupata dai carri armati. Abbiamo visto in prossimità del convento una casa dove due famiglie palestinesi "convivono" con una pattuglia militare israeliana che alla nostra vista si affaccia facendo cenno di allontanarci. Questa è la nostra ultima tappa, prima della partenza. Ci restano pochi minuti per salutare le suore, padre Ibrahim e tornare all'albergo American Colony a Gerusalemme. Nel cortile soleggiato dell'hotel, sotto gli alberi di frutta, consumiamo un piccolo pasto e un profumato caffè arabo. Poche ore dopo, sull'aereo che ci riporta a Roma, non posso fare a meno di sentirmi paradossalmente sollevato. Abbiamo lasciato alle spalle una situazione tragica, dove la vita di ognuno resta in pericolo se non ci saranno due Stati e due popoli con reciproche garanzie di sicurezza e stabilità. L'Europa, l'Italia e la sinistra europea devono fare la loro parte per riaprire il dialogo tra israeliani e palestinesi. ______________________________________________________________________ Indirizzi della comunita': Scrivete messaggi a : bar at dsmellone.it Per iscriversi: sezmell-subscribe at onelist.com Per cancellarsi: sezmell-unsubscribe at onelist.com Per scrivere a Leonardo: info at dsmellone.it Home Page Mellone: http://www.dsmellone.itL'utilizzo, da parte tua, di Yahoo! Gruppi è soggetto alle http://it.docs.yahoo.com/info/utos.html
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