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missioni italiane all'estero-E. Deiana
- Subject: missioni italiane all'estero-E. Deiana
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it>
- Date: Fri, 12 Apr 2002 19:01:09 +0200
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 117 del 18/3/2002 Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Ascierto; Molinari; Migliori; Lavagnini: Disposizioni concernenti il trattamento giuridico ed economico del personale delle Forze armate e dei Corpi armati dello Stato impiegati in operazioni di pace, per esigenze di ordine pubblico, in occasione di pubbliche calamità e in servizio all'estero (1038-1108-1142-1514)(ore 15,33). ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, il gruppo di Rifondazione comunista è contrario alla proposta di disciplina giuridica ed economica del personale militare impiegato in missioni internazionali. La finalità dichiarata dalla proposta in esame è quella di definire un quadro normativo uniforme per la disciplina dei profili attinenti al trattamento giuridico, assicurativo, retributivo e previdenziale del personale impegnato in ciascuna missione. In questo modo si intende rispondere alla necessità di una disciplina stabilmente applicabile alle missioni. Necessità che è stata più volte sottolineata nei pareri resi dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, in occasione dei diversi decreti-legge che hanno presieduto all'invio delle missioni italiane. Il Comitato ha anche lamentato il fatto che la partecipazione di contingenti italiani a tali missioni, al di fuori del territorio nazionale, non sia oggetto, nel nostro ordinamento, di una specifica ed organica disciplina normativa. Non crediamo che una tale materia possa rimanere confinata in un ambito meramente tecnico-burocratico, senza fare i conti con la necessità di una discussione ampia sul contesto politico e strategico odierno in cui la proposta viene avanzata. Si rischia di introdurre un elemento di razionalizzazione della prassi di inviare missioni italiane all'estero, un automatismo vincolante per la regolazione di missioni rispetto alle quali - noi pensiamo - occorrerebbe un dibattito a tutto campo, ovvero una rimessa in discussione delle ragioni che sono state all'origine di questa escalation della partecipazione italiana alle missioni. Un passo avanti su questa scia, senza un dibattito parlamentare adeguato - e non c'è nessun dibattito parlamentare adeguato -, costituisce per noi il rischio di un'ulteriore deriva acostituzionale in cui è stata spinta, ormai da diversi anni, l'intera materia dell'uso della forza militare e del concetto di difesa. Come deputati del gruppo di Rifondazione comunista siamo contrari a questo passaggio parlamentare proprio per le ragioni che ho dianzi espresso. Riteniamo che sull'insieme di questa materia non si possa procedere come si sta facendo, attraverso aggiustamenti successivi, adattamenti che paiono di routine, quali la disciplina dei diritti patrimoniali dei militari, sotto il pretesto di rendere razionale una materia che sfugge oramai a qualsiasi razionalità di politica internazionale, o perlomeno che risponde ad una razionalità che noi non condividiamo affatto. Con le missioni italiane all'estero - questo è il nostro giudizio -, concorriamo oramai apertamente a legittimare e sostenere un contesto internazionale segnato drammaticamente dalla rottura di ogni regola e di ogni vincolo del diritto internazionale e dall'affermarsi del primato della guerra come strumento di regolazione dei conflitti, dall'evidenziarsi di nuove gerarchie e gerarchizzazioni tra paesi e zone del mondo, foriera di dinamiche devastanti, di contrapposizioni, di scontri e di nuovi conflitti. La logica delle missioni è quella di portare la pace dopo aver fatto la guerra: è una logica nefasta e micidiale! Non si tratta di pace: sono azioni di controllo del territorio che noi riteniamo radicalmente negative. Dopo la guerra in Afghanistan, mentre prosegue l'operazione Enduring freedom col suo carico inquietante di sempre nuovi esiti bellici contro altre zone del mondo, si dovrebbe avvertire in questa sede parlamentare la necessità urgente ed improcrastinabile di una seria pausa di riflessione, cercando di non attivare altri automatismi di tipo militare e bellicistico, e di bloccare invece quelli che già stimolano le logiche di guerra. Tutto quello che riguarda l'impegno italiano, in politica internazionale, dovrebbe essere oggi sottoposto ad un severo giudizio: ci si dovrebbe sforzare di capire se le cose vadano nel senso giusto e se alle parole, alle intenzioni dichiarate, corrispondono i fatti. Per l'operazione di partecipazione italiana ad Enduring Freedom è stata approvata una legge che ripristina il codice penale militare di guerra. Nella proposta di legge in discussione oggi, un emendamento del Governo ha cancellato l'articolo 2, che collocava le missioni sotto il codice penale militare di pace. Vorremmo una spiegazione: non si fa riferimento al codice di guerra, ma il vuoto giuridico che si è aperto è inquietante o, perlomeno, non rassicurante. Il contesto internazionale - a nostro giudizio anche prima dell'11 settembre, ma, dopo l'attentato alle Torri gemelle di New York, in modo paradigmatico e ineludibile - conferisce al nostro impegno militare all'estero, qualsiasi siano le intenzioni formalmente dichiarate, le iniziative, le attitudini e le azioni che i militari italiani realizzano laggiù (alcune delle quali - quasi tutte - possono essere anche ispirate da nobili sentimenti), il carattere della complicità con le strategie di guerra messe in atto e minacciate dagli Stati Uniti e appoggiate, in misura certo diversa, ma sostanzialmente convergente, da tutti i grandi paesi occidentali, Italia compresa. Si tratta di complicità con la guerra e con una politica della difesa che non ha più nulla a che vedere con le caratteristiche che ad una tale politica attribuiva la Costituzione italiana - attribuisce, almeno fino a quando resterà in vigore -, ma si trasforma in uno strumento di intervento, utilizzato per subentrare dopo la guerra: guerra e dopoguerra, all'insegna della forza militare, per presidiare, controllare e colonizzare i territori su cui prima è stata scatenata la guerra. Siamo nel quadro di una ormai avvenuta metamorfosi negativa del concetto nobile di difesa, che provvedimenti come quello oggi in discussione non fanno che assecondare e potenziare ulteriormente, depotenziando il controllo parlamentare sull'uso della forza militare e contribuendo all'assuefazione dell'opinione pubblica sull'uso militare come normale strumento di intervento nelle faccende internazionali. In tal modo, i concetti di difesa e di guerra subiscono, inevitabilmente, un continuo slittamento di senso, oltre che di pratica concreta: la difesa non è più tale, ma è intervento attivo sulla scia della guerra, giustificata con la solita bugia sistematica «perché non ci sono alternative». Dieci anni di guerra alle spalle ci dicono che le cose stanno esattamente così. Come si fa ad approvare questo provvedimento, se non è chiaro come finirà in Afghanistan, se il Governo non ci dice nulla su una guerra che è finita, ma che continua, violando tutti i diritti internazionali, tutti gli articoli che fino a ieri presiedevano alla salvaguardia di una minima civiltà delle relazioni internazionali tra i paesi e tra le diverse zone del mondo? Soprattutto, come si fa ad approvare questo provvedimento se non sappiamo - perché il Governo continua a tacere - se ci sarà nei prossimi mesi una missione italiana che si recherà a Baghdad per un'operazione di peacekeeping? Noi non crediamo che possano essere presi provvedimenti di nessun tipo in questa materia se prima non si chiarisce il complesso della materia strategica e politica entro cui decisioni italiane di questo genere possano essere assunte. Per tutte queste ragioni preannunciamo il nostro voto sarà contrario. Forum delle donne di Rifondazione comunista Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma Tel. 06/44182204 Fax 06/44239490
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