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operazione colomba in medio oriente, Hebron
- Subject: operazione colomba in medio oriente, Hebron
- From: operazione colomba <operazione.colomba at libero.it>
- Date: Tue, 5 Mar 2002 12:49:43 +0100
ASSOCIAZIONE COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio Civilmente riconosciuta con D.P.R. 5-7-'72 - n. 596 Iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche presso il Tribunale di Rimini al n.16 OPERAZIONE COLOMBA Corpo Civile e Nonviolento di Pace DOVE OPERATION Non-violent Peace Corps Via della Grotta Rossa n.6 47900 Rimini, Italia Tel. ++39 0541 751498 Fax. ++39 0541 751624 operazione.colomba at libero.it www.geocities.com/opcol Un giorno a Hebron di Andrea Pagliarani , Operazione Colomba Z. l'abbiamo incontrata ad Hebron, è una donna palestinese come se ne vedono tante in giro, piccola, robusta e col velo in testa. C'è qualcosa di particolare però nella sua voce, nel suo modo di sorridere, negli occhi penetranti e tranquilli. Il quartiere di Hebron in cui vive è una delle realtà più allucinanti del conflitto israelo-palestinese.Il 20 per cento della città è presidiato militarmente dai soldati israeliani, a causa dell'insediamento che ospita 400 coloni ebrei piazzato in pieno centro storico. Nella stessa zona vivono anche più di 20.000 palestinesi costretti a sottostare ad una serie di ingiunzioni che servono alla sicurezza dei coloni, la più dura ed inaccettabile di queste è quella del coprifuoco, appena succede qualcosa, appena succede un incidente dalle parti di Hebron, a tutta la popolazione del quartiere viene imposto un coprifuoco di 24 ore su 24: vuol dire che nessuno pur uscire dalle proprie case ne per andare al lavoro, ne per fare la spesa, spesso nemmeno per andare a scuola o per motivi medici. Z. è una di queste persone. Provare a mettere per iscritto e descrivere l'atmosfera è impossibile, le strade sono deserte, i negozi sprangati, si vedono solo militari e coloni in giro. sembra quasi un quartiere semidisabitato, non si direbbe che dietro alle finestre, al di là delle porte chiuse, all'interno di quelle mura con i portoni sbarrati ci siano migliaia di persone, esattamente come cento metri prima dei blocchi di cemento, dove la città è sotto controllo palestinese e ferve con la confusione del mercato, le urla dei venditori, i clacson dei taxi. Ogni tanto sbuca da un balcone o da una finestra sbarrata il volto di un bambino che ci saluta o ci indica di fare attenzione perché più avanti i militari hanno fermato un'ambulanza o hanno picchiato e arrestato qualcuno. Pensiamo che questo è il dodicesimo giorno consecutivo di coprifuoco, dodici giorni in cui quei bambini non sono usciti a giocare, dodici giorni di prigione. Entriamo nella casa di Z. assieme a dei volontari americani che sono li da anni e che cercano di essere dei deterrenti alla violenza e di promuovere iniziative nonviolente. Z. ci offre il tè, e comincia a parlare con tono tranquillo, senza melodrammi. ci racconta del famoso massacro del 1994 a opera di un colono, in cui 29 palestinesi intenti a pregare nella moschea sono stati falciati da raffiche di mitra, e soprattutto ci racconta della quotidianità, dei coloni che non sono semplicemente fanatici religiosi convinti di difendere la loro terra sacra (Hebron è il luogo in cui secondo la tradizione è nato il popolo ebraico, con la manifestazione di Dio ad Abramo), sono persone abituate ad uccidere, criminali comuni. Ci parla del suo rapporto con i militari, che spesso e volentieri le sono entrati in casa e addirittura non le permettevano di stare sul tetto della sua casa, dove lei aveva improvvisato un piccolo orticello; il militare sul suo tetto la maltrattava ogni volta che saliva a innaffiare le piante, dicendole cose volgari e umilianti, poi ha iniziato ad urinare dentro le taniche dell'acqua, quell'acqua che serve per uso domestico. Lei gli ha detto di smetterla, ma senza risultato, fino al giorno in cui gli ha detto che se non l ' avesse finita e non le avesse permesso di pulire la tanica lo avrebbe sbattuto giù dal tetto; il soldato è andato a lamentarsi con i superiori, dicendo che era stato minacciato e lei, ridendo del fatto che un soldato armato fino ai denti potesse sentirsi minacciato da una donna, ha accettato di farsi interrogare, di mettere per iscritto le sue dichiarazioni per denunciare il comportamento del soldato, che evidentemente violava ogni forma di regola di comportamento. Non mollava Z., chiedeva la punizione per quel militare , è una donna istruita che conosce le leggi e i propri diritti, e quella volta aveva messo proprio in difficoltà i suoi interlocutori. Si è risolto tutto con un chiedere scusa, dire che in fondo era un bravo ragazzo, e che non voleva fare niente di male; il suo commento è stato:" vedete, se uno non conosce i priori diritti o non è abbastanza energico per farli valere, può solo tacere e subire; io che sono istruita e testarda ho ottenuto solo che il soldato venisse trasferito : questa è la nostra situazione". Continua "Giorni dopo l'ho incontrato di nuovo in strada, stava maltrattando un ragazzo, e mi sono fermata ad osservare. Anche in quell'occasione sono stata insultata e umiliata, ma io non ho mollato, non stavo facendo nient'altro che osservare; il soldato, pur di non farmi tornare dal superiore, e ripetere l'esperienza della volta precedente, mi ha chiesto scusa, e non mi ha più importunato". Z. ci porta poi sul tetto della sua casa, a dare un 'occhiata e vediamo qualcosa che non ci saremmo aspettati: tutte le persone che per strada non si vedono, tutti i reclusi, sono sui tetti a prendere il sole, chiacchierare, ascoltare musica; i bambini vanno da un tetto all'altro (le case sono tutte attaccate e col tetto a terrazza) e giocano. Z. ci mostra i militari appostati più in alto, che ci guardano col binocolo e osservano tutti. Ogni tanto le urlano "va in casa, va in casa" e lei gli urla di rimando "sono già a casa". Come quella volta che avevano barricato l'ingresso della sua via con sbarre di ferro, reti e filo spinato e lei con indifferenza ha iniziato a smontare tutto; i militari le hanno urlato "sei pazza! come ti permetti? cosa stai facendo?" e lei "sto semplicemente andando a casa, come volete voi". La nostra visita è finita, Z. ci accompagna alla porta e ci fa strada per cinque metri lungo la via. Subito arrivano i soldati, sono arrabbiati, la chiamano e le dicono di avvicinarsi. Sostengono che lei ha violato il coprifuoco, perché è uscita dal portone. Inizia il dialogo, e troviamo conferma ai racconti ascoltati poco prima, veramente non molla mai questa donna, in questo caso le sarebbe bastato annuire e rientrare in casa per evitare problemi, ma vuole evidentemente approfittare della nostra presenza per renderci partecipi dal vivo di quello che ci ha raccontato. Il militare le parla in ebraico, e la nostra presenza gli da chiaramente fastidio. Z. lo sa bene, ogni frase che il soldato le dice subito la traduce a noi. ''sta dicendo che io non posso ricevere visite perché sono sotto il coprifuoco'' e ancora "sostiene che i bambini non possono andare a scuola perché c'è il coprifuoco" e via cosi. Vanno avanti a parlare, il soldato sempre più in difficoltà, forse si trattiene anche perché ci siamo noi stranieri, lei sempre tranquilla. Alla fine i soldati se ne vanno, danno l'impressione di conoscerla bene quella donna che crea sempre un sacco di grattacapi, e lei non perde neanche quest'occasione e dice loro in inglese, di modo che possiamo capire anche noi: "scusatemi, mi dispiace crearvi sempre così tanti problemi" poi, voltandosi verso di noi "sono così contenta di averlo fatto" noi la salutiamo e allontanandoci commentiamo che forse ha esagerato, forse non dovrebbe provocare così sfacciatamente. Pensandoci bene però sono contento che ci siano persone come Z. che amano "fight nonviolently (combattere in modo nonviolento)" come dice lei, e che sono un esempio per chi crede in questo tipo di lotta, una speranza per chi è schiacciato dall'oppressione e non trova la forza di reagire, e un monito per tutti coloro che credono nella violenza come strumento di lotta sia essa di oppressione o di liberazione. Z. ha promesso che ci manderà i suoi articoli, ha intenzione di raccontare quello che succede, le storie della gente. Noi aspettiamo fiduciosi, e speriamo di trovare qualcuno disposto a pubblicare qualche articolo un po' "scomodo".
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