Quirra: rassegna stampa



OGGI 21-2-02

La Nuova Sardegna ha pubblicato l'orrore che preannunciavo da tempo.
<Quirra, i numeri della paura. Escalaplano:negli anni 80 sono nati almeno
nove bambini deformi>. Scusate ma non so scaricare gl articoli.
Mariella



19\02\2002


BASI MILITARI. Denunciata anche la tragica fine di un allevatore che aveva
l'ovile vicino a Capo San Lorenzo
Uranio, altre morti sospette
Monitoraggio ambientale e screening sulla popolazione?

P.M.

VILLAPUTZU. Contaminazioni radioattive: emergono altre morti sospette. La
famiglia di un pastore con l'ovile vicino a Capo San Lorenzo ha denunciato
la sua tragica fine, ponendola in rapporto alle esercitazioni belliche.


VILLAPUTZU. I sospetti cominciano a trovare drammatiche conferme: si sono
verificati altri casi di tumore del sistema emolinfatico nell'area di
Quirra, oltre quelli denunciati nei giorni scorsi dal medico Paolo Pili.
Basta infatti solo allargare l'arco temporale di riferimento, per trovare
ulteriori conferme: intorno alla base militare di Capo San Lorenzo, è
accaduto qualcosa di terribile. Qualcosa che ha contribuito ad elevare
oltre ogni soglia statistica fisiologica, l'incidenza di leucemie e
linfomi. Come una semina maligna di dolore e di morte. Ecco, infatti,
l'ennesima denuncia.
Si tratta di un allevatore che si è spento tra atroci sofferenze nel 1986.
La diagnosi dei medici del reparto doi ematologia dell'ospedale di Nuoro
non lasciava molte speranze: leucemia. Il fatto ci è stato riferito dalla
figlia, che ha chiesto di mantenere l'anonimato. Una richiesta più che
legittima e che deve essere rispettata. Il suo racconto ci offre però
alcuni elementi, che sono estremamente utili per catalogare l'ennesimo caso
in quello che è ormai diventato il "caso Quirra".
L'uomo, infatti, viveva nella frazione di Villaputzu, a ridosso della base
militare di Capo San Lorenzo. Di più: aveva un'azienda agricola proprio
vicino alla recinzione che separa il Sarrabus dall'universo separato delle
"stellette". Oltre ai dieci casi denunciati dal dottor Paolo Pili e oltre
ai due casi accertati all'interno della base, eccone dunque ancora un
altro. La tragica contabilità è ora salita a tredici. Insomma, a questo
punto i timori del sindaco Antonio Pili sono più che giustificati.
«Io ho vissuto lì per tanti anni - dice la figlia dell'allevatore morto nel
1986 e che da anni si è trasferita lontano da Quirra - e posso assicurare
che i casi di un certo tipo di malattie, in quella zona, sono molti di più
di quelli emersi finora».
E mentre le stellette stanno ancora a guardare, il mondo della politica
regionale continua a mostrare una vergognosa indifferenza rispetto al "caso
Quirra". Nessun pronunciamento, anche di maniera. Nessun impegno di
verifica come risposta alla coraggiosa denuncia del sindaco di Villaputzu,
Antonio Pili.
E' un silenzio assordante che qualifica politicamente chi finge di non
accorgersi che, in un lembo dimenticato e disperso della Sardegna, si sta
silenziosamente consumando un dramma. Ogni altro commento è semplicemente
inutile.

 16\02\2002
Il sottosegretario alla Difesa Cicu:
«Faremo chiarezza sul poligono»
Il governo promette accertamenti su Capo San Lorenzo dopo i dodici casi di
leucemia e di linfoma a Quirra Interrogazione del senatore Malabarba a
Martino

dal nostro inviato Piero Mannironi

VILLAPUTZU. Ormai le rassicurazioni di maniera non bastano più: se non le
si puntella con i fatti, hanno solo il peso lieve delle parole. Cioé,
servono poco o nulla. Il "caso Quirra" è infatti un'inquietante eccezione
statistica che deve essere interpretata e spiegata. Davanti a dieci casi di
tumore del sistema emolinfatico in una frazione di appena 150 anime, non si
può continuare a far finta di niente.
Come se non bastasse, poi, altri due casi sono stati registrati tra il
personale militare della base di Capo San Lorenzo. E' vero: non c'è il
conforto scientifico di un'indagine epidemiologica in grado di dare il
crisma formale dell'anomalia. Ma basta un po' di buonsenso e la voce
dell'esperienza professionale di un medico di base, per capire che,
nell'area del poligono di Capo San Lorenzo, sta accadendo qualcosa di
strano. Di drammaticamente strano.
Il sospetto che in quell'area siano state usate armi all'uranio impoverito,
cioé quello che i militari chiamano depleted uranium, è oggi molto forte.
Poi, come se non bastasse, ha contribuito a diffondere una giustificata
inquietudine, la notizia che sul Monte Cardiga sono state trovate tracce di
Cesio 134 e Cesio 137. Per capire di cosa si tratta, basti dire che la
nuvola radioattiva sprigionatasi dalla centrale di Chernobyl, era composta
di Cesio 134.
E che il caso sia di estrema delicatezza, lo si capisce dalle parole del
sottosegretario alla Difesa, Salvatore Cicu. Dopo le smentite secche e
irritate dei giorni scorsi, Cicu è tornato ieri sul problema con un
atteggiamento più prudente. Forse perché la morte per leucemia, proprio
l'altro ieri, di un dipendente civile della base di Capo San Lorenzo, è
stata una crudele coincidenza che ha in qualche modo vaporizzato dichiarate
certezze.
«Per quanto riguarda i pericoli derivanti dall'utilizzo di munizionamento
all'uranio impoverito - ha detto il sottosegretario alla Difesa - al
ministero non hanno mai abbassato la guardia: le indagini e gli
accertamenti stanno proseguendo e ad aprile Mandelli fornirà altri
risultati derivanti dalle ricerche della sua commissione. Comunque, le
preoccupazioni sorte in Sardegna dopo il verificarsi di altri casi sospetti
a Quirra, meritano tutto il nostro impegno a far chiarezza con ogni
indagine esperibile in modo trasparente e rapido».
«Al momento confermo quanto ho detto a Perdasdefogu proprio la scorsa
settimana - ha continuato Cicu -. Ovvero che, esaminati i documenti
militari del poligono, non si rileva negli ultimi dieci anni nessuna
attività addestrativa e sperimentale in cui sia stato utilizzato
munizionamento all'uranio impoverito».
«Ma di questo anche la popolazione deve esserne certa e deve sentirsi
tranquillizzata - ha concluso Cicu -. Quindi, sin dai prossimi giorni,
chiederò incontri con gli esperti medici e scientifici e con i vertici
della sanità militare. E chiederò loro di poter mettere a disposizione
dell'opinione pubblica prove e ricerche che fughino ogni dubbio e facciano
chiarezza sulla situazione di Quirra».
Un impegno formale, quindi.
Ma il sottosegretario non sfiora neppure quella che è la vera
contraddizione sulla quale si è sviluppato il dibattito sull'uranio
impoverito. Il governo, infatti, mentre da una parte nega che il depleted
uranium possa essere una delle cause dell'insorgenza di tumori del sistema
emolinfatico, dall'altra afferma che l'uso di armi con questo tipo di
munizionamento è proibito nei poligoni italini. Ma come, se si sposano i
risultati della commissione Mandelli secondo la quale l'uranio non è
pericoloso, per quale motivo se ne deve vietare l'uso nelle aree di
sperimentazione e di addestramento?
Il problema vero è che nessuno nega oggi alle "stellette" il diritto di
sperimentare tecnologie innovative. D'altra parte è del tutto evidente che
i nostri soldati non possono essere inviati in scenari di guerra, senza che
venga loro garantito un certo livello di sicurezza operativa. E siccome è
notorio che molti eserciti utilizzano da anni munizionamento al depleted
uranium, è logico che venga sperimentata la tenuta delle corazzature dei
nostri carri armati (i Leopard e gli Ariete). Tra l'altro, è ormai notorio
che il sistema più efficace per contenere l'effetto devastante dei
proiettili all'uranio impoverito è proprio quello di ricorrere a
corazzature dello stesso materiale.
Il problema, quindi, è quello di un rapporto leale e trasparente con il
personale militare e con la popolazione civile. Insomma, devono esistere
dei protocolli affidabili di sicurezza che tutelino la salute di tutti. Non
un problema di ostilità ideologica nei confronti dei militari, quindi, ma
un problema di civilà e di etica, oltre che un problema politico.
Come era inevitabile, intanto, il "caso Quirra" è arrivato in Parlamento.
Dopo l'interrogazione del diessino Rossano Caddeo, ieri è stata presentata
un'altra interrogazione al ministro della Difesa Martino dal senatore di
Rifondazione Comunista Luigi Malabarba.
«Le norme che regolano l'attività dei poligoni di tiro prevedono, in
particolare per i poligoni sperimentali - scrive Malabarba -, la
sperimentazione di tutte le armi in uso, con particolare riguardo alla
valutazione della vulnerabilità dei nostri mezzi rispetto all'offesa da
parte di armi potenzialmente impegate dal nemico. Le armi all'uranio
impoverito sono ormai in uso da molti anni da parte di numerosi paesi, tra
cui Usa, Russia, Gran Bretagna ed ex Jugoslavia».
Dopo questa premessa, Malabarba chiede risposte al ministro della Difesa su
quattro punti. E cioé: 1) se sia stato sperimentato, in quanto
assolutamente doveroso, l'impiego di armi all'uranio impoverito nei
riguardi della vulnerabilità dei nostri mezzi blindati e corazzati; 2) per
quali motivi nei nostri poligoni dovrebbe essere proibito l'uso di queste
armi, visto che Forze armate italiane ritengono che l'uranio debba
ritenersi innocuo per il personale; 3) se esistono disposizioni che vietano
ai militari stranieri che utilizzano i poligoni italiani, di fare uso di
proiettili all'uranio e per quali motivi; 4) se esistono mezzi di controllo
per verificare che i paesi stranieri si attengono alle norme eventualmente
emanate dall'Italia che proibirebbero l'uso di queste armi.
Domande legittime che attendono una risposta doverosa: il "caso Quirra" fa
paura.

cuore segreto della Sardegna
Nel poligono di Perdas si sperimentano armi da mezzo secolo

Giancarlo Bulla

VILLAPUTZU. Da quasi mezzo secolo è considerata una delle aree militari più
importanti del Paese. E non solo. Perchè in questo territorio aspro e
tormentato si sono sperimentate armi di tutti i tipi. Armi del nostro
esercito, ma anche armi di nazioni alleate e, qualche volta, perfino di
nazioni che, almeno secondo la politica ufficiale dei nostri governi, erano
da considerarsi nemiche. Come la Libia.
E qui l'industria delle armi da decenni testa i suoi giocattoli di morte.
Il "Poligono sperimentale di addestramento interforze del salto Quirra"
sorge nella parte sud orientale della Sardegna, in una regione trova a
cavallo delle provincie di Cagliari e Nuoro. E' suddiviso in due grandi e
complessi sottoinsiemi: un «poligono a terra» con sede a Perdasdefogu e «un
poligono a mare», con sede a Capo San Lorenzo. Il primo occupa una
superficie di circa 12 mila ettari e si estende su tutta quella zona del
Salto di Quirra che, partendo dai confini sud-orientali dell'abitato di
Perdasdefogu, arriva quasi ai margini della baia di Capo San Lorenzo.
Il secondo occupa invece una superficie di 2000 ettari e si estende per
quasi 50 chilometri lungo il tratto orientale della costa compreso tra Capo
Bella Vista a nord (Arbatax) e Capo San Lorenzo a sud (Villaputzu).
La storia del poligono comincia nella seconda metà degli anni '50, quando i
vertici dell'aeronautica militare italiana avvertirono la necessità di
disporre di un poligono di tiro per la sperimentazione di nuove armi.
Soprattutto quelle missilistiche. Lo stato maggiore dell'Aeronautica, con
la disposizione emanata sul foglio d'ordini numero 24 del 20 agosto 1956,
costituì il «Poligono di armamento aeronautico del Salto di Quirra», che
veniva posto alle dipendenze della direzione generale delle armi e
munizioni e del comando aeronautica della Sardegna che ne curavano
rispettivamente «l'impiego e le questioni territoriali, di presidio,
logistiche, amministrative contabili e disciplinari».
Il poligono nacque essenzialmente per scopi scientifici. E più
precisamente, per le ricerche metereologiche spaziali, sperimentali e per
l'esecuzione di prove in volo di vari prototipi di missili aerobersagli e
addestrativi.
Dopo l'atto formale di costituzione, vennero avviati i lavori per
realizzare le prime strutture operative della base di Perdasdefogu. Il 25
ottobre del 1956 l'inizio delle attività, con una serie di lanci di missili
«Contraves», che si concluse 2 giorni dopo. Successivamente, lo stato
maggiore della difesa il 1º luglio del 1959 decise di rendere il poligono
di armamento «scientifico aeronautico» interforze e assunse l'attuale
denominazione.
Con dispaccio del 28 agosto 1962 lo stato maggiore aeronautico istituì,
dopo aver incorporato la baia esistente tra Capo San Lorenzo e Torre
Murtas, il distaccamento del poligono del Salto di Quirra con sede a Capo
San Lorenzo. Dopo lo scioglimento del consiglio tecnico scientifico della
difesa, fine giugno 1980, il poligono passò alle dirette dipendenze dello
stato maggiore dell'Aeronautica.

12\02\2002DALLA PRIMA PAGINA
Gli interessi militari e i diritti fondamentali dei cittadini

Piero Mannironi


I muri sono caduti. E le ideologie, che per quasi 50 anni sono state il
cemento di drammatiche divisioni, sono impallidite. Forse si sono dissolte.
Ogni giudizio su quanto è accaduto tredici anni fa, èadesso affidato alla
storia: sarà nel divenire del tempo che dovranno essere cercate le risposte
per leggere il senso e le conseguenze di questa rottura epocale. Per capire
le ragioni vere di un profondo cambiamento dello scenario internazionale e
degli equilibri di potere, che hanno portato all'affermazione di certi
valori culturali ed economici e alla repentina vaporizzazione di altri.
E' all'interno di questo contesto, dentro questa cornice, che dovrebbe
cominciare una nuova riflessione sul rapporto tra la Sardegna e le ragioni
di Stato, che hanno imposto all'Isola il peso di una presenza militare che
oggi appare antistorica. Capire cioé se è arrivato il momento di rivedere
il senso della presenza delle stellette e del loro peso nella vita delle
nostre comunità. Senza occhiali ideologici, ma con il pragmatismo che nasce
dalle nuove esigenze collettive. E che la Sardegna abbia avuto un ruolo
fondamentale nello scacchiere internazionale nel dopoguerra non è mai stato
un segreto. L'Isola era infatti considerata dal Pentagono, fin dal lontano
aprile 1954, «a pivotal geographic location». Ovvero, il cuore, il punto
critico, del sistema politico-militare, creato dall'Alleanza atlantica
nello scenario europeo.
Di più: l'accordo di reciproco impegno, firmato il 26 novembre 1956 tra il
Sifar (l'allora servizio segreto militare italiano) e la Cia era basato «da
parte statunitense, sul presupposto che i piani dello stato maggiore della
difesa italiana prevedessero l'attuazione di tutti gli sforzi per mantenere
l'isola di Sardegna». Il grande interesse di Washington per l'Isola è
confermato da una nota della Cia del 7 ottobre 1957, nella quale si legge:
«La Sardegna è considerata nei piani di guerra degli Usa».
Per comprendere a fondo la particolare attenzione per la Sardegna da parte
degli americani e del nostro stato maggiore, c'è poi il capitolo di
Stay-behind. L'Isola è stata infatti il cuore dell'armata segreta di
Gladio, la struttura clandestina, creata per fronteggiare un'eventuale
invasione delle truppe del patto di Varsavia, ma anche per combattere una
guerra non ortodossa contro la crescita comunista nel nostro Paese.
Di più: la Sardegna era considerata tanto preziosa sul piano strategico,
che era stato approntato dalla Nato un complesso piano militare, per
impedire che l'Isola finisse nelle mani dell'Armata Rossa. Sarebbe cioé
diventata l'avamposto più avanzato dell'Occidente nel quadrante
mediterraneo. Gli Stati Uniti confermarono il loro interesse per la
Sardegna, creando la base d'appoggio per sommergibili nucleari nell'isola
di Santo Stefano, nell'arcipelago della Maddalena. Nel 1972, in base a un
accordo siglato dall'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, su
un lembo di Sardegna sventolò la bandiera a stelle e strisce. E Santo
Stefano diventò così la base dei sommergibili a propulsione nucleare
«hunter killer», della classe Los Angeles: immensi squali d'acciaio, che
portano nel loro ventre i micidiali missili Slcm Tomahawk, armati con
testate atomiche.
Nel 1986 una polemica furiosa incendiò il clima politico: il trattato del
1972 non era stato ratificato dal Parlamento, come invece impone la
Costituzione. L'allora ministro della Difesa Giovanni Spadolini, sostenne
la scelta di Andreotti, arrivando a negare l'evidenza. Grossi calibri della
politica nazionale, come Mario Segni e l'attuale ministro forzista (allora
democristiano) Beppe Pisanu, scesero in campo, difendendo una posizione
politica di fedeltà al Patto Atlantico. Nonostante non potessero smentire
che la nostra norma fondamentale - la Costituzione appunto - era stata
dolorosamente ferita, si mobilitarono per mantere la segretezza di
quell'accordo con Washington. Insomma, prevalse la ragion di Stato: si
affermò la logica delle alleanze internazionali sul patto sociale e
politico, dal quale è nata l'Italia repubblicana.
Ma dietro questo scontro politico, sicuramente esasperato dalle
contrapposizioni ideologiche, emerse anche un problema delicatissimo. Un
problema che deve essere il punto di partenza della nuova riflessione da
avviare sul rapporto con l'invadente presenza dei militari. Si scoprì
infatti, che l'allora ministro della Protezione civile, Zamberletti, era
impotente davanti all'infausta possibilità che un incidente potesse
provocare un inquinamento radioattivo nell'arcipelago della Maddalena.
«Il piano di emergenza esiste - dichiarò imbarazzato Zamberletti al nostro
giornale -, ma non ne posso parlare perché è coperto dal segreto». Come a
dire: il piano c'è, ma dovendo restare chiuso in un cassetto, non serve
proprio a nulla. Detto in soldoni: come si dovrebbe comportare la
popolazione civile, nel caso si verificasse una perdita di radioattività
dai sommergibili nucleari statunitensi «hunter killer»? Una domanda che è
sempre rimasta senza risposta. E che dire della triste commedia del
monitoraggio ambientale? Per rispondere all'allarme creato dalla nascita di
alcuni bambini affetti da cranioschisi, venne istituito un sistema di
monitoraggio ambientale, che avrebbe dovuto segnalare eventuali anomalie
nel livello di radioattività nel mare dell'arcipelago. La competenza di
questo controllo venne affidata alla Provincia di Sassari. Ma il professor
Parodo, allora docente universitario di fisica e responsabile del servizio
di controllo, si dovette presto arrendere: gli americani, infatti, non
hanno mai permesso che fosse attivata la centralina posizionata proprio
vicino alla nave-officina, alla quale si appoggiavano i sommergibili
atomici.
Ecco, dunque, la sostanza del problema: possono gli interessi militari
sopravvanzare i diritti fondamentali dei cittadini sardi? Qualche decina di
posti di lavoro, l'affitto di qualche locale, un'incentivazione al piccolo
commercio e la concessione di qualche appalto a un'impresa locale, possono
«comprare» il diritto alla salute e alla sicurezza di tutti? Possono
giustificare un silenzio che è poi soprattutto una rinuncia?
L'interrogativo, poi, ha oggi un peso diverso. La guerra fredda è infatti
finita e le ideologie non costituiscono più la radice di una possibile
ostilità. E allora, perché non si riesce a costruire un rapporto più
trasparente tra stellette e civili? Tra esigenze strategiche e diritti dei
cittadini?
Il «caso Quirra» ripropone oggi drammaticamente il problema di questo
rapporto. L'anomalo aumento di tumori del sistema emolinfatico intorno alla
base di Capo San Lorenzo non può restare senza una risposta. Se una Regione
troppo lontana, persa nelle sue incomprensibili alchimie politiche, si
dimostra indifferente alle legittime paure del sindaco di Villaputzu
Antonio Pili, perché i militari non spazzano via le nebbie del dubbio
sull'uso di armi non convenzionali nei loro poligoni? Nessuno gli chiede di
rinunciare al loro dovere e ai loro compiti. Ma loro devono sentire
l'obbligo di garantire la sicurezza del loro personale e dei civili. Usando
cautele e prudenze e, soprattutto, assicurando un continuo monitoraggio
ambientale e sanitario.
I militari non possono pretendere un'apertura di credito senza condizioni,
limitandosi a smentire la presenza di scorie di uranio e di cesio nel
poligono. Prova evidente di esercitazioni pericolose per la collettività.
No, non basta più smentire. D'altra parte, nel Sarrabus, poche centinaia di
milioni di lire sono poco più di una elemosina per pagare la rinuncia dei
Comuni della zona allo sfruttamento economico di 11mila 727,4471 ettari di
territorio
  commissione Difesa a Nuoro
«A Perdas né cesio né uranio»

Antonio Bassu

NUORO. Per la delegazione della commissione Difesa del Senato, che ieri
mattina si è incontrata a Nuoro col sindaco Mario Zidda e il presidente
della Provincia, Francesco Licheri, non c'è nessun "caso Quirra" e
tantomeno c'è stato uso di cesio 134 e uranio impoverito nel poligono di
Perdasdefogu. Lo ha detto il presidente Domenico Contestabile, ribadendo
che «la procura militare di Cagliari ha formalmente chiesto i dati relativi
alle sperimentazioni fatte, fin dalla nascita, nel poligono di
Perdasdefogu, allo scopo di accertare se ci sia stato uso di armi
all'uranio e cesio. Stando alle verifiche il test è risultato negativo.
Dunque debbo credere alle assicurazioni datemi dai vertici del comando
militare. Mi stupisco, oltre a essere deluso, per le preoccupazioni
manifestate da alcuni amministratori del Salto di Quirra circa il possibile
uso, fatto in passato, di armi con munizioni contenenti uranio impoverito
nelle attività di addestramento. Così come sono deluso per la diffidenza
mostrata circa le assicurazioni che ho avuto modo di dare agli
amministratori di Perdasdefogu sulle attività nella base interforze. Non ci
sarà alcun decremento a favore del poligono di Capo San Lorenzo».
La certezza viene dal fatto che «recentemente - ha concluso Contestabile -
sono stati fatti importanti investimenti per potenziare la sala controllo e
la sala comando del poligono di Perdasdefogu. Sarebbe da pazzi, pertanto,
abbandonare tutto, in una fase successiva, per spostarsi a Capo San
Lorenzo. Ho piena fiducia nel comandante della base, soprattutto per la sua
grande professionalità».
Il presidente della Provincia Francesco Licheri, dopo l'incontro a porte
chiuse, ha detto che, dopo le preoccupazioni manifestate dalle popolazioni
e dagli amministratori di Villaputzu e Perdasdefogu l'amministrazione
provinciale chiederà ufficialmente alla commissione del ministero della
Difesa e alle autorità militari di fare totale chiarezza. Non solo sul
futuro di Perdasdefogu, ma anche sulla questione del possibile uso, nella
sperimentazione, di armi all'uranio impoverito.





12\02\2002
Quirra, escalation di linfomi e leucemie
Tracce di Cesio 134 e 137 all'interno del poligono di Perdasdefogu?
Un medico denuncia: «Dieci casi di tumore nella frazione»

dal nostro inviato Piero Mannironi

VILLAPUTZU. Prima di tutto i fatti. Dati crudi, cioé. E' la premessa
necessaria per sviluppare un'analisi che deve essere sterilizzata da
tentazioni ideologiche e da possibili riserve mentali. Nessuna pretesa,
quindi, di essere interpreti di realtà scomode e nessuna presunzione di
offrire verità, inseguendo facili suggestioni. E i fatti sono semplicemente
e drammaticamente questi: negli ultimi dieci anni, dieci persone si sono
ammalate di tumori del sistema emolinfatico in un'area molto limitata della
Sardegna.
Alcuni sono morti, altri sono guariti e altri ancora combattono una
difficile battaglia per la vita. Stiamo parlando di Quirra, una manciata di
case sparse nelle dolci campagne del Sarrabus. Neppure 150 anime. Si tratta
di numeri che fanno oggettivamente sballare ogni statistica. In parole
povere: a Quirra c'è un'anomalia nell'insorgenza e nella diffusione di
malattie come la leucemia, i mielomi e i linfomi. Ma c'è di più: il dato è
infatti purtroppo parziale. Perché in questa triste contabilità devono
essere computati altri tre casi che, pur essendosi verificati tra persone
che hanno vissuto in questa area ristretta, sono stati denunciati altrove.
Per essere più precisi, quindi, si deve parlare addirittura di tredici casi
di tumore al sistema emolinfatico. Troppi, decisamente troppi per
codificare il fenomeno in una semplice anomalia statistica, dettata dal
caso. E' perciò necessario cercare di capire, tentare di verificare se
esiste un rapporto di causa-effetto che possa spiegare l'alta
concentrazione di queste patologie nella frazione di Quirra.
Paolo Pili è uno di quei medici che sembrano appartenere a un altro tempo:
sempre con la borsa in mano, sempre pronto a correre in casa dei suoi
assistiti, con i quali ha un solido rapporto umano oltre che professionale.
E' lui che, per primo, ha denunciato il "caso Quirra". E' lui che ha
parlato pubblicamente della sua inquietudine di medico e di uomo davanti al
proliferare di leucemie e linfomi tra i suoi pazienti. Ma le sue parole,
incredibilmente, sembrano essersi perdute in una silenziosa indifferenza.
Le autorità sanitarie non hanno infatti disposto accertamenti, non hanno
fatto verifiche. Insomma, non hanno fatto proprio nulla per cercare di
capire che cosa stia accadendo nella piccola frazione di Villaputzu.
«Non sono uno specialista di igiene pubblica e di ricerca epidemiologica -
dice Paolo Pili -, ma questo non significa che non posso rilevare e
denunciare un elemento che, da medico, non può che allarmarmi. Sia ben
chiaro: io non voglio avanzare alcuna ipotesi, non voglio avventurarmi
nella ricerca di eventuali rapporti di causa-effetto legati all'insorgenza
di questo tipo di patologie. Mi limito soltanto a dire che, in dieci anni,
dieci miei pazienti si sono ammalati di tumori del sistema emolinfatico
nella sola frazione di Quirra. E per essere più precisi, i casi sono stati
riscontrati quasi tutti negli ultimi cinque anni». «L'elemento che mi ha
molto colpito - continua -, è che tutti questi casi sono stati riscontrati
in un'area molto circoscritta: si tratta di persone che vivevano e
lavoravano nel raggio di quattro chilometri intorno alla base militare di
Capo San Lorenzo. Per far capire meglio le dimensioni dell'incidenza di
questo tipo di tumori, mi sembra importante dire che, nei dieci anni
precedenti, a Quirra non sono stati diagnosticati linfomi e leucemie. Ciò
che dico, ovviamente, non ha una rilevanza statistica, ma è del tutto
evidente che ci troviamo davanti a un'anomalia che deve necessariamente far
pensare».
Per far capire ancora meglio le dimensioni del fenomeno, Pili offre un
altro elemento di riflessione: «In tutta Villaputzu, oltre cinquemila
abitanti, in casi di tumore del sistema emolinfatico nello stesso arco di
tempo, sono stati solo due. Un'incidenza, insomma, che mi sembra in linea
con la media statistica generale».
E infatti c'è un dato che, anche se indirettamente, sembra confermare
quanto dice Paolo Pili. Nei primi anni Novanta, l'Istituto di Igiene
dell'Università di Sassari pubblicò infatti una mappatura sulla diffusione
dei diversi tipi di tumore in Sardegna nel periodo compreso tra il 1984 e
il 1987. Per essere più precisi, la base di quel lavoro era il rilevamento
del tasso di mortalità e non l'incidenza delle patologie neoplastiche.
Facendo una comparazione con le altre aree dell'Isola, e adottando
l'indicatore omogeneo della mortalità da leucemie, la zona di Villaputzu,
Muravera e San Vito non presentava anomalie statistiche. Insomma, la
situazione non era diversa da quella del resto della Sardegna.
Ecco perché la denuncia di Paolo Pili appare ancora più dirompente: molti
elementi fanno infatti pensare che, negli ultimi dieci anni, in quella zona
sia accaduto qualcosa che ha favorito l'insorgenza di alcuni tumori. Come
non può sfuggire un'altra osservazione del medico: i casi sono concentrati
in un'area molto, molto ristretta. Cioé intorno alla base di Capo San
Lorenzo e alla Vitrociset, una fabbrica che produce componenti per sistemi
d'armamento molto sofisticati.
Impossibile, a questo punto, non porsi la domanda: ma c'è qualcosa, nella
base o nel poligono, che può avere concorso a questa drammatica escalation
di casi di tumore? Come è impossibile non riconsiderare le denunce fatte lo
scorso anno dall'ammiraglio Falco Accame, ex presidente della Commissione
Difesa della Camerae attualmente presidente dell'Anavafaf. Cioé
l'associazione dei familiari delle vittime arruolate nelle forze armate.
«Nei poligoni sardi - aveva detto Accame - è stato fatto uso di armi
all'uranio impoverito». I militari hanno sempre smentito, ma Accame non ha
ceduto di un millimetro: «Quello del Salto di Quirra è un poligono
sperimentale e pertanto è del tutto logico che venga verificata l'efficacia
offensiva delle nostre armi e quelle dei nostri potenziali nemici. Proprio
per questo motivo, sono convinto che nelle esercitazioni svoltesi nel
poligono siano state utilizzate armi all'uranio impoverito».
«Se le autorità militari dicono la verità - continua Falco Accame -, allora
non dovrebbero avere difficoltà ad acconsentire che, nella base e nel
poligono, venga effettuato un monitoraggio ambientale, per accertare se
esiste un inquinamento radioattivo».
Sarà un caso, ma, negli ultimi anni, anche all'interno della base di Capo
San Lorenzo sono stati registrati alcuni casi di tumori del sistema
emolinfatico. «Due impiegati civili della base - dice il dottor Paolo Pili
- sono miei pazienti, per cui sono purtroppo sicuro della diagnosi. Poi ci
sono i militari...».
E qui il problema si complica, perché poco o nulla filtra dall'«universo
delle stellette». Ma due casi sono comunque esplosi drammaticamente. Il
primo è quello di un giovane militare di leva napoletano, Roberto
Buonincontro, morto nel 1996 a soli 23 anni. Diagnosi che non lasciava
molte speranze: linfoma di Hodgkin. Prima di spirare, Roberto raccontò alla
madre e al fratello «che lavorava in una caserma piena di armi di tutti i
tipi e che, spesso, per pulirle, doveva indossare tute e maschere
speciali». Di più: il povero Buonincontro raccontò anche di «essere stato
portato per tre giorni in una vallata dell'entroterra, dove c'erano tante
armi, alcune delle quali mai viste prima». Poi, è di questi giorni il caso
di Fabio Cappellano, un giovane militare di Lamezia che, nel 1999, ha
partecipato ad esercitazioni militari nel Salto di Quirra. Anche per lui,
diagnosi terribile: cancro.

La proposta del fisico nucleare Giorgio Cortellessa
«Possibile uno screening
con un esame sui capelli»

dal nostro inviato

VILLAPUTZU. Ci sarebbe un veleno maligno sul Monte Cardiga. Silenzioso e
perfido. Un veleno che, ironia del destino, ha un nome dolce, quasi
poetico: Cesio. Sì, perché il suo nome in latino, significa "azzurro come
il cielo". Per essere più precisi, si tratta di Cesio 134 e Cesio 137. Un
nome legato, nella coscienza collettiva, alla tragedia di Chernobyl. Dalla
centrale ucraina, infatti, si sprigionò una nube carica di Cesio
radioattivo che attraversò mezza Europa.
La domanda è: come è possibile che ci sia Cesio sul Monte Cardiga? Giorgio
Cortellessa, fisico nucleare di fama internazionale e da sempre impegnato
nelle battaglie civili dell'associazione "Scienziati contro la guerra", non
crede che si tratti di tracce del fall-out di Chernobyl. «Non conosco i
dati del rilevamento - dice -, ma è evidente che, in questo caso, le tracce
di Cesio 134 e 137 dovrebbero trovarsi un po' in tutta la Sardegna e non
concentrate in un solo punto».
Cortellessa ritiene più logico pensare che, in quell'area, siano state
usate armi caricate con proiettili all'uranio impoverito. «Noi sappiamo -
dice - che l'uranio impoverito, il "depleted uranium", proviene dagli
impianti che riprocessano le barre di combustibile nucleare spento. Parlo
di barre di uranio. In quei proiettili, quindi, restano le tracce dei
prodotti di fissione. Come il Cesio, appunto. Insomma: l'ipotesi che nel
poligono del salto di Quirra siano state usate armi all'uranio impoverito
non è per niente fantasiosa».
Ma Cortellessa non esclude neppure che le tracce del Cesio 134 e 137
possano ricondurre a uno stoccaggio di scorie radioattive. «Anche questa è
un'ipotesi plausibile - dice -. D'altra parte, non è certo un segreto che
la Sardegna sia stata spesso utilizzata come un pattumiera di rifiuti
pericolosi».
E infine una provocazione. «Ho lavorato per anni all'Istituto superiore di
Sanità, dove un mio amico scienziato ha perfezionato una tecnologia che
consente di verificare, da un'analisi spettrografica dei capelli, la
presenza di alcuni elementi tossici nell'organismo. Un esame a costo zero.
Allora io propongo: facciamo uno screening sulla popolazione di Villaputzu.
Così sarà possibile sapere se qualcosa sta avvelenendo la gente».


L'INTERVISTA
«Si faccia chiarezza»
Il sindaco di Villaputzu Antonio Pili

Giancarlo Bulla

VILLAPUTZU. Inquietudine. Ma ora anche un po' di paura. Qui nel Sarrabus,
il "caso Quirra" sta confermando antichi timori. E cioè che all'interno
della vastissima area demaniale del poligono sperimentale interforze del
Salto di Quirra, siano state usate armi con munizionamento non
convenzionale. Tanto per essere più chiari: armi caricate con proiettili
all'uranio impoverito.
Il tam-tam sotterraneo si sta intensificando e ora si dice che, oltre a
scorie di uranio, sia stata trovata una concentrazione anomala di Cesio
137. Certo, finora non esiste una verifica scientifica che provi una
relazione di causa ed effetto tra la tossicità di questi materiali
radioattivi e patologie gravi, come i tumori del sistema emolinfatico. Ma
ormai, nel comune sentire, si sta consolidando la convinzione che ci sia un
nesso tra la presenza di scorie nucleari e la dozzina di patologie tumorali
riscontrata nella popolazione civile.
L'epicentro di questa escalation di leucemie e di linfomi è la piccola
frazione di Quirra (appena 150 abitanti), che si trova vincino al poligono
a mare di Capo San Lorenzo. Naturale, quindi, la domanda che ormai si
pongono tutti: esiste una correlazione diretta tra i casi di tumore
riscontrati e le attività che vengono svolte all'interno del poligono?
Altro interrogativo: cosa si deve fare per restituire la tranquillità alla
gente? Lo abbiamo chiesto al sindaco di Villaputzu, Giuseppe Antonio Pili,
che è anche medico. Sino alla fine del mese di ottobre dello scorso anno è
stato primario della prima divisione Pneumoncologica dell'ospedale Binaghi
di Cagliari.
«I casi di tumore al sistema emolinfatico accertati sono decisamente troppi
per essere attribuiti alla casualità - dice -. Tuttavia non posso affermare
che questi casi siano legati alle attività che si svolgono nel poligono.
Come, però, non posso neppure escluderlo. I casi accertati inducono una
grossa curiosità dal punto di vista clinico oltre a un interesse
scientifico».
- Che iniziative ha assunto?
«Ho più volte chiesto l'intervento dell'Asl, dell'assessorato regionale
alla Sanità e del ministero della Sanità. Finora, però, nessuno è
intervenuto».
- I militari hanno ripetutamente smentito l'uso di uranio impoverito nel
corso delle attività di sperimentazione e di addestramento. Si sente
rassicurato?
«Queste assicurazioni non mi sembrano sufficienti. Devo però prenderne
atto. Pur avendo un ottimo rapporto col comando della base, non sono a
conoscenza delle loro attività: cosa sparano e quali armi usano».
- Cosa ritiene debba essere fatto con urgenza?
«Prima di tutto deve essere fatta un'indagine epidemiologica sulla
popolazione residente e un monitoraggio ambientale permanente delle aree
militarizzate. Solo così si farà uscire la popolazione dall'incubo e si
sarà in grado di dare risposte certe».
Il sindaco Pili non dice di più. La sua preoccupazione è comunque evidente.
Al Comune di Villaputzu, che ha un'estensione complessiva di 19.103 ettari,
sono stati espropriati 2.400 ettari da destinare alle attività militari.
Cioè oltre il 12% del suo territorio. 1.544 ettari fanno parte dell'area
demaniale del poligono a terra e 866 di quella a mare. In cambio, il Comune
ha ricevuto dallo Stato, come indennità, 940 milioni all'anno per le
annualità ' 91-'94 e 600 milioni all'anno per le annualità '95-'99.
«Non sappiamo - dice Pili - quanto ci verrà corrisposto adesso. Le
contrattazioni per stabilire la quota degli indennizzi, avviene infatti tra
la Regione e il ministero della Difesa. I Comuni sono esclusi. Chiediamo
che d'ora in avanti siano i Comuni oberati da servitù militari a
contrattare direttamente l'importo degli indennizzi che sono irrisori (poco
meno 250.000 lire a ettaro), rispetto al bene che ci è stato sottratto».