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Richiesta diffusione adesione appello ai sindacari in difesa della L.185/90
- Subject: Richiesta diffusione adesione appello ai sindacari in difesa della L.185/90
- From: "Elio Pagani" <elpagani at libero.it>
- Date: Thu, 28 Feb 2002 01:32:32 +0100
Richiesta diffusione/adesione appello ai sindacati in difesa della L.185/90 Mandiamo questo appello ai direttori e reddatori di giornali e riviste affinché lo diffondano e ne facilitino l'adesione: a tutte le associazioni, gruppi, collettivi, individui cui sta a cuore la difesa dei principi contenuti nella legge 185/90 per il controllo, la limitazione e la trasparenza dell'export di armi, contro le intenzioni di chi, con il DDL 1927 - il cui iter di discussione in aula inizierà ai primi di Marzo - vuole stravolgerli. Noi, lavoratori e ex lavoratori dell'industria militare, promotori dell'appello allegato, vi chiediamo di aderire allo stesso affinchè risulti più incisiva la pressione sulle organizzazioni sindacali, cosicchè esse si mobilitino, contro l'affermarsi di una economia che da spazio ai bilanci di guerra e che liberalizza l'export di armi, attraverso iniziative che difendano l'impianto della legge 185/90, promuovano la riduzione delle spese militari e la riconversione dell'industria bellica. Grazie Inviare al più presto, meglio sarebbe se entro il 4 marzo, le adesioni a: Elio Pagani elpagani at libero.ito elioanp at tin.it Specificare le eventuali nuove adesioni di lavoratori o ex lavoratori dell'industria bellica. Per eventuali comunicazioni telefoniche: Marco Tamborini 328.2937818 Grazie --------------------------------------------------------------------------- Appello al sindacato per iniziative "contro Bilanci di guerra, esportazioni di morte e a difesa della L.185/90" --------------------------------------------------------------------------- Noi, sottoscrittori di questo appello, lavoratori o ex lavoratori dell'industria bellica e cittadini membri di associazioni che aspirano alla costruzione di un nuovo mondo fondato sui diritti umani, la pace e la giustizia, di un mondo in cui la guerra in tutte le sue forme sia bandita, chiediamo a Voi dirigenti sindacali di Cgil, Cisl, Uil, Cub, Cobas, Sin e Slai-Cobas, delle organizzazioni di categoria e in particolare di Fim, Fiom, Uilm, Flmu, di considerare quanto sta accadendo in termini di aumento della spesa militare e "liberalizzazione" del mercato delle armi e di riprendere su questi temi un'iniziativa all'altezza dei problemi. Il "bilancio dello stato" federale americano del prossimo quinquennio, stanzia una spesa militare che raggiunge quella dell'era Reagan, allora "giustificata" con quello che fu chiamato "equilibrio del terrore" con la superpotenza sovietica, e oggi indicata come necessità inderogabile per fronteggiare Bin Laden, le organizzazioni terroristiche e gli "stati canaglia" che le coprirebbero (Iraq, Iran, Corea del Nord, Somalia). Così, la sola spesa per il Pentagono salirà da 329 miliardi del 2002 a oltre 450 nel 2007, raggiungendo la cifra astronomica di quasi 1 milione di miliardi di lire. Un primo aumento di circa 50 miliardi (il maggiore degli ultimi vent'anni) riguarda l'anno fiscale 2003. Ciò avviene mentre il bilancio USA torna in rosso e mentre si annunciano nuovi tagli delle tasse, quindi i soldi verranno prelevati dai tagli alle spese sociali. Se a queste spese si sommano i circa 115 miliardi di dollari -erogati: al Dipartimento energia, per sistemi di gestione dell'arsenale nucleare, alla Cia, ai nuovi corpi di "sicurezza della patria" e ai veterani- si ricava il quadro complessivo: quasi un quarto del budget federale Usa va al militare. Il forte aumento della spesa per armamenti - che arriverà a circa 100 miliardi di dollari annui (quasi il doppio del 2000) - indica che si vogliono prepare nuove guerre giustificate con il termine "Libertà duratura". Nel 2003 si spenderanno 69 miliardi in armamenti: tra questi, bombe a guida laser e satellitare, missili da crociera a testata non-nucleare lanciabili anche da sottomarini da attacco nucleare, aerei senza pilota, sistemi per lo scudo spaziale, nuovi sottomarini nucleari. Anche i paesi europei della NATO, che spendono nel bellico più di 140 miliardi di dollari annui, si apprestano ad aumentare i loro bilanci militari "per sviluppare - si dice - effettive capacità di gestione delle crisi" e per superare quella che viene definita "la situazione di un Europa militarmente sottodimensionata". Complessivamente i Paesi europei spenderanno per lo strumento militare 250 miliardi di dollari annui, che, sommati a quelle che saranno le spese militari americane, portano la spesa bellica dell'occidente a 750 miliardi di dollari, una cifra che va oltre i 3/4 della spesa militare mondiale (circa 900 Mld $), di modo che, come dice Padre Zanotelli "i ricchi usano la loro netta superiorità militare per mantenere un sistema economico che permette loro di consumare l'83 % delle ricchezze lasciando ai poveri le briciole". I poveri sono i nuovi nemici. Solo i bombardamenti aerei in Afghanistan sono costati 350 miliardi di lire al giorno, una follia, quando con 13 miliardi di dollari si potrebbero risolvere il problema della fame e della sanità nel mondo per un anno (dati Banca Mondiale). Così anche il nostro paese da qualche anno, anche per implementare il "Nuovo Modello di Difesa" del 1991, ha invertito la rotta intrapresa dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica ed ha ripreso ad aumentare le sue spese militari e, in particolare, le spese per armamenti. Già dal 2000 al 2001 il "bilancio della difesa" era aumentato del 4,23% raggiungendo i 34.235 miliardi di lire, ora, nelle previsioni per il 2002, è balzato a 36.500 miliardi di lire, aumentando ancora dello 6,04%. A ciò vanno aggiunti gli stanziamenti, per missioni operative e per il sostegno a programmi ed industrie militari, che non trovano posto nella "Tabella per la Difesa". Ultimo esempio, il Disegno di Legge di 500 miliardi destinato a coprire tre mesi di missioni all'estero: più di 5 miliardi al giorno. Ciò mentre si profilano tagli allo Stato sociale. Le spese per armamenti sono passate da circa 5500 miliardi di lire anno nel 2000 a circa 6500 nel 2002 (+ 18%) e, ritenute insufficienti, puntano ai 9000 miliardi l'anno per garantire lo sviluppo, tra l'altro, di una nuova portaerei e di nuovi super caccia-bombardieri, sistemi d'arma capaci di proiettare le nostre attività militari "ovunque nel mondo siano messi a rischio gli interessi economici dei paesi industrializzati", in barba all'articolo 11 della Costituzione. Anche in tema di esportazioni di armi si segnala una forte ripresa dei mercati dove la fanno da padroni gli USA, seguiti dai principali paesi europei. Anche l'Italia si colloca al 5° posto di questo mercato di morte e punta ora, con il DDL 1927 - approfittando di un accordo sopranazionale in tema di ristrutturazione e cooperazione nella produzione di armamenti - a smantellare la trasparenza, i controlli e le limitazioni previste dalla legge 185 del 1990. Una legge frutto della mobilitazione nella seconda metà degli anni '80 di tante associazioni cattoliche organizzate nella Campagna "Contro i mercanti di morte" (ACLI, MLAL, Mani Tese, Missione Oggi, Pax Christi), pacifiste, ambientaliste e dello stesso sindacato. Così, in nome della "razionalizzazione", della "competitività" e della "identità europea" verrà stravolta una legge ritenuta da tutti "severa e rigida" e che ha fatto del nostro Paese uno dei più avanzati al mondo per aver provveduto a regolare il commercio delle armi nel rispetto dei diritti umani, della promozione della pace e della trasparenza. I conflitti attualmente in corso sono anche il frutto delle sconsiderate politiche di esportazioni di armi del recente passato. L'intensità, la durata, l'atrocità e la pericolosità dei futuri conflitti dipende anche dalle esportazioni belliche di oggi e di domani. Così è paradossale che, mentre da un lato si vuole combattere una guerra totale contro il terrorismo, dall'altro si allargano le maglie del controllo della vendita delle armi con tutti i rischi che ne conseguono. E' altrettanto vergognoso che si faccia così ricadere, di fatto e di nuovo, sui lavoratori dell'industria militare, la responsabilità di collaborare a traffici di morte; essi venivano quanto meno parzialmente tutelati dalle limitazioni poste dalla 185/90. I lavoratori del settore, peraltro, con l'introduzione delle nuove strategie militari e gli interventi bellici da queste derivati, già erano e sono esposti a colpe di possibili collaborazioni con atti profondamente lesivi dei diritti umani oltre che di genocidio ove perpetrati (pensiamo all'effetto delle mine antiuomo e delle cluster bombs, delle armi all'uranio impoverito, dei sistemi d'arma convenzionali che colpendo raffinerie ed industrie chimiche provocano danni ambientali che pagheranno anche le generazioni future), ora la loro situazione sarà ancora più drammatica. Nel passato fu lo stesso sindacato a mobilitarsi contro un modello di sviluppo fondato sulla spesa militare e la produzione di armi e contro un mercato di morte perverso e pericoloso, fu il sindacato a sollecitare la crescita di consapevolezza e di responsabilità dei delegati e dei lavoratori del settore bellico, ad indicare loro la necessità di vigilanza e di piattaforme aziendali capaci di coniugare pace e diritto al lavoro, a sollecitare il parlamento per una legge di controllo e limitazione dell'export di armi. Furono dirigenti nazionali come Alberto Tridente, Pino Tagliazucchi, Mario Sepi, Gigi Pannozzo, Giacomo Barbieri, Silvia Boba, Angelo Gennari, per non citarne che alcuni, ad indicare le strade che potevano sottrarre i lavoratori e il sindacato alla corresponsabilità in comportamenti che avrebbero potuto tradursi, e che di fatto si sono tradotti, anche in gravi crimini contro i diritti umani e l'umanità. Vi chiediamo di riprendere quella strada contribuendo, con le iniziative più adeguate, ad invertire la direzione di marcia dei fenomeni descritti, individuando le vie più opportune per la riduzione della spesa militare, della ricerca e della produzione bellica, per difendere e semmai estendere le limitazioni alle esportazioni di armi previste nella 185/90, per promuovere la riconversione al civile della produzione militare (a partire per esempio da quanto previsto proprio dalla L.185/90 e dalla rivitalizzazione dell'Agenzia per la riconversione dell'industria bellica lombarda istituita dalla L.R.6/94), per tutelare l'obiezione professionale alla produzione militare, per dare ai lavoratori gli strumenti per opporsi alla guerra, e a quella sua forma che oggi va sotto il nome di "guerra permanente", ed agire per la prevenzione dei conflitti e la diffusione di una cultura di pace. 27.02.02 I promotori (lavoratori o ex lavoratori Industria bellica): Franca Faita (Cavaliere della Repubblica, lavoratrice Valsella, Rappr.Sind. Fiom-Cgil) Marco Tamborini (ex lavoratore Aermacchi, già Rappr.Sind. Fim-Cisl, Rappresentante delle Associazioni nella "Agenzia regionale per la riconversione dell'industria bellica lombarda" L.R.6/94) Giovanni Bertinotti (lavoratore Aermacchi, R.S.U. Flmu-Cub) Achille Bertolli (lavoratore Agusta, Rappr.Sind. Fim-Cisl) Luigi Bezzon (lavoratore Agusta, Rappr.Sind. Fim-Cisl) Francesco Bonavita (lavoratore Alenia Spazio) Claudio Caretta (lavoratore Agusta, Rappr.Sind. Fiom-Cgil) Ottavio Cattaneo (lavoratore Agusta, Rappr.Sind. Fim-Cisl) Rossana De Simone (ex lavoratrice Aermacchi, già Rappr.Sind. Fiom-Cgil) Rolando Fariselli (lavoratore Agusta, R.S.U. Flmu-Cub) Basilio Luoni (ex lavoratore Aermacchi, già Rappr.Sind. Fim-Cisl) Elio Pagani (ex lavoratore Aermacchi, già Rappr.Sind. Fim-Cisl, Obiettore professionale alla produzione militare) Germano Parodi (ex lavoratore Alenia, operatore Flmu-Cub) Andrea Perencin (lavoratore Agusta, Rappr.Sind. Fim-Cisl) Paolo Radice (lavoratore Agusta, Rappr.Sind. Fim-Cisl) Angelo Sacco (ex lavoratore Aermacchi, già Rappr.Sind. Fim-Cisl) Maurizio Saggioro (ex lavoratore MPR, Obiettore professionale alla produzione militare) Alberto Stefanelli (ex lavoratore Aermacchi) Ginelli Valerio (lavoratore Agusta, R.S.U. Flmu-Cub) Oreste Zanatto (lavoratore Agusta, R.S.U. Flmu-Cub) Le adesioni: Associazioni e gruppi, Individui
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