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Missioni militari italiane all'estero- E. Deiana
- Subject: Missioni militari italiane all'estero- E. Deiana
- From: "Forum delle Donne" <forumdonne.prc at rifondazione.it>
- Date: Tue, 19 Feb 2002 13:59:38 +0100
Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 95 di lunedì 11 febbraio 2002 Discussione del disegno di legge: S. 1001 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, recante disposizioni urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali (approvato dal Senato) (2254) (ore 19,50). ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, preannunzio il giudizio negativo ed il voto contrario del gruppo di Rifondazione comunista al disegno di legge di proroga delle missioni militari italiane all'estero. In modo particolare, vorrei attirare l'attenzione dei colleghi, delle colleghe e del rappresentante del Governo sul comma 3 dell'articolo 1, che include nel novero delle operazioni militari internazionali quella denominata Enduring freedom, vera e propria operazione di guerra, dichiaratamente di guerra. Vorrei svolgere una prima osservazione: perché deve essere prorogata? La guerra in Afghanistan non è finita? Con quali fini deve essere prorogata? In quale contesto e quadro internazionale e agli ordini di chi? La seconda osservazione: la missione Enduring freedom, in questo disegno di legge, viene abbinata ad altre missioni che, in passato, sono state presentate e tuttora viene fatto - basta ascoltare gli interventi degli onorevoli Ranieri e Tonino Loddo prima di me - con connotati e finalità diverse rispetto ad Enduring freedom; a tal punto diverse che, per Enduring freedom, il Governo non ha trovato di meglio che risuscitare l'applicazione del codice penale militare di guerra laddove per le altre missioni - d'altra parte lo afferma lo stesso disegno di legge in questione - il riferimento è al codice penale militare di pace. Non è piccola la differenza! Come Rifondazione comunista la nostra analisi è che si tratti di una incongruità in realtà più apparente che sostanziale. Più apparente che sostanziale perché il contesto che determina e che ha determinato le missioni di ieri e la guerra di oggi è lo stesso: è la violazione dell'articolo 11 della Costituzione e l'accettazione di un modello di difesa sganciato dall'obbligo costituzionale allo strumento della pace come strumento principe della polizia internazionale. La copresenza dell'operazione Enduring freedom in un medesimo disegno di legge rivela meglio di molti discorsi la caratteristica fondamentale e fondativa di questa strategia che presiede alle operazioni militari internazionali, che è appunto la guerra. La guerra come contesto in atto, come è stato per Enduring freedom, o come riferimento pregresso, da cui traggono ragione e legittimazione le missioni. Spesso nel determinare questi contesti pregressi vi è stata purtroppo la responsabilità diretta del nostro paese, come nel caso di alcune missioni oggi impegnate nei Balcani. Vorrei inoltre osservare che questo mettere insieme operazioni così diverse fra loro, che in comune hanno tuttavia l'opzione bellica come segno sovraordinatore, significa vanificare e marginalizzare anche operazioni che hanno invece un segno decisamente diverso, ovvero di pace e di concorso alla pacificazione delle parti, come è il caso del piccolo contingente di carabinieri disarmati impegnati ad Hebron: contingente piccolo, certo non a caso, considerate le priorità geopolitiche che il nostro paese si dà al seguito degli Stati Uniti d'America. Dire che il contesto è complessivamente lo stesso non significa però né darlo per scontato una volta per tutte, né darlo per assodato. Ho presentato alcuni emendamenti soppressivi di tutti i riferimenti ad Enduring freedom; ciò per ragioni immediatamente politiche, ovvero perché, come ricordavo in precedenza, su quest'operazione non vi è nessuna proroga da chiedere, bensì vi è la discussione immediata da fare, per ragioni di metodo e di cultura, una cultura parlamentare che obblighi a non operare in maniera banale ed automatica rispetto ad una scelta così drammatica che ha al centro la guerra. Siamo contro il fatto che una missione dichiaratamente di guerra, guerra micidiale ed inquietante per i risvolti inediti che rappresenta, senza confini di luogo e di tempo come ama dire il presidente Bush, una tale guerra venga assunta tranquillamente in un contesto legislativo che si presenta, come dire, di routine: proroghiamo missioni in cui le Forze armate italiane sono impegnate in qualche modo a fare del bene. Nessuna di queste missioni, intendiamoci, è di routine, meno che mai può essere di routine e pertanto sottoponibile ad una proroga in un contesto oscuro, una missione come quella denominata Enduring freedom. Mettere insieme le cose in questo modo non fa che facilitare il ricorso alla guerra e non farà che allargare a dismisura l'adattamento culturale alla guerra, cioè l'accettazione dell'idea che il nuovo modello di difesa ruoti intorno all'azione bellica come variabile possibile in ogni momento. Gli automatismi vanno contrastati e noi vogliamo contrastarli in tutte le sedi, anche in questa, ad uno ad uno. Vogliamo che i problemi vengano discussi e affrontati. Ci troviamo di fronte ad una guerra che sfugge a tutte le regole, a tutte le caratteristiche tradizionali e a tutti i limiti stessi di una guerra. Ma sappiamo anche che la risposta all'attacco terroristico, da parte degli Stati Uniti, ha accelerato drammaticamente un processo di pretesa di direzione oligarchica del mondo già in corso negli Stati Uniti e già attuato, da parte degli Stati Uniti, negli ultimi anni. Non lo dico io, lo vanno dicendo con chiarezza ormai molte voci libere dell'America: intellettuali, uomini e donne della politica, operatori della comunicazione democratica che non si lasciano imbavagliare dalle emergenze e dalle censure di Bush. Penso se ne debba discutere. L'inchiesta del New York Times, pubblicata in questi giorni, parla di un numero esorbitante di vittime civili in Afghanistan, quelli che, eufemisticamente, si continuano a chiamare «effetti collaterali». Le voci di un allargamento del conflitto all'Iraq si moltiplicano: sembra che anche la «colomba» Colin Powell sia disponibile ad accettare questo allargamento. Quindi, non più la strategia di Clinton di contenimento, ma intervento diretto contro l'Iraq. Credo se ne debba parlare. La risposta all'attacco terroristico ha rivelato la dismisura assunta dalla guerra, quando essa è messa alla prova contro fenomeni come il terrorismo, che non possono essere controllati da una guerra e che una guerra non può assolutamente risolvere. Una guerra, nella tradizione bellica, faceva ordine, stabiliva i rapporti di forza tra gli Stati, non faceva giustizia. Fare giustizia significa entrare in un tunnel nero senza fine. È come acchiappare il mercurio con le mani nude. Credo se ne debba parlare. Dove va Enduring freedom? Dove va l'Italia al seguito di Bush? Il Presidente degli Stati Uniti chiede continuamente il diritto di portare avanti la sua campagna Enduring freedom senza limiti, senza controlli, senza necessità di rendere conto a nessuno, nel mistero e nella violazione di ogni legalità democratica, compresa quella che la Costituzione americana assicura ai suoi cittadini e alle sue cittadine. Mi sembra che tardivamente ci si renda conto di come vengano trattati i prigionieri talebani che - voglio ricordare all'onorevole Tonino Loddo - non sono prigionieri di guerra, perché gli Stati Uniti non li ritengono tali. Infatti, se li riconoscessero come tali, essi avrebbero diritto al trattamento dei prigionieri di guerra, come riconosce loro la convenzione di Ginevra; il problema è proprio questo: che non vogliono riconoscerli come prigionieri di guerra. Di tutto questo vogliamo parlarne, prima di prorogare ad occhi chiusi anche questa missione, oppure vogliamo andare avanti? Evidentemente il Governo ha questa intenzione, ma poi la responsabilità sarà di tutto il Parlamento, se ratificherà provvedimenti di cui non sappiamo assolutamente nulla e di cui, probabilmente, ad un certo punto, perlomeno chi ha a cuore un barlume di idea della pace, dovrà pentirsi amaramente. Forum delle donne di Rifondazione comunista Viale del Policlinico 131 - CAP 00161 - Roma Tel. 06/44182204 Fax 06/44239490
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