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Rapporto delegazione Action for Peace in Palestina
- Subject: Rapporto delegazione Action for Peace in Palestina
- From: assopacexpalestina at tiscali.it
- Date: Sun, 17 Feb 2002 13:38:28 +0100
Gerusalemme, 16 febbraio 2002 La delegazione di Action for Peace stamattina ha visitato i villaggi palestinesi di Abud e Bet Reema, situati sulle colline a nord-ovest di Ramallah, entrambi in zona C (sotto totale controllo israeliano). L'intenzione è di rompere, con la nostra presenza, l'isolamento in cui questi villaggi si trovano da ormai molti mesi. Oggi ci accompagna Reena, membro del PARC, una Ong che si occupa del rilancio dell'agricoltura. Cambiamo mezzo dopo aver attraversato a piedi il check-point di Kalandria in mezzo a un delirante traffico di automobili, taxi e furgoni assiepati in attesa di passare il posto di blocco. Per raggiungere il primo villaggio, essendo impossibile percorrere le strade asfaltate, a causa della chiusura da mesi di un check-point, siamo costretti a seguire un percorso alternativo lungo la mulattiera costruita proprio da PARC originariamente per uso agricolo e divenuta ora l'unica strada percorribile dai più di 80.000 palestinesi che abitano i 42 villaggi della zona. Due ore di viaggio estenuante, fra buche, sassi, precipizi, ripide pendenze che ci costringono a un certo punto a scendere precipitosamente dal nostro mezzo per alleggerirlo: questa è la vita di ogni giorno per la gente di questi villaggi, questo è ciò che si intende quando si parla di negazione della libertà di movimento. Basti pensare che, senza l'assurda e illegale chiusura del check-point, per giungere a Abud sarebbero sufficienti 20 minuti. Durante il tragitto abbiamo modo di vedere, posti strategicamente sulle sommità delle colline, i 4 insediamenti di coloni che sono all'origine della militarizzazione della zona: torrette di controllo, piccoli bunker da cui sbucano armi puntate, ulteriori posti di blocco che ostacolano la comunicazione fra i villaggi. 'A causa delle difficoltà di spostamento 250 persone che lavoravano in Israele hanno perso il lavoro', ci dice Ibrahim indicandoci alcuni di loro seduti sul bordo della strada, senza nulla da fare. 'Non solo andare a lavorare è difficile, ma anche recarsi in ospedale diventa quasi impossibile' continua e non può fare a meno di ricordare il caso non isolato della donna costretta a partorire lungo la strada, il cui figlio è morto due ore dopo per l'assenza di cure. Arrivati ad Abud, la prima sosta è davanti ad un campo di ulivi: durante l'ultimo anno, per presunti motivi di sicurezza, per un'estensione di 4 km i militari israeliani hanno distrutto 3750 alberi, che costituiscono la principale fonte di sussistenza per la gente del luogo. Insieme ai responsabili del villaggio assistiamo con ammirazione alla ripiantumazione degli ulivi: 'Noi li ripiantiamo, e sappiamo che quando avremo finito ritorneranno coi loro bulldozer a distruggere tutto' ma noi lo facciamo lo stesso', ci dice con orgoglio uno dei contadini. Ci spostiamo a Bet Reema, dove il 24 ottobre scorso un blitz israeliano con elicotteri e 40 fra carri armati e bulldozer, ha distrutto e bruciato 4 case, applicando brutalmente il metodo della punizione collettiva, espressamente proibito dalla IV Convenzione di Ginevra: quando qualcuno è anche solo sospettato di aver commesso un reato si colpisce non solo lui ma la sua famiglia e l'intera comunità in cui vive. Mentre osserviamo il cumulo di macerie che una volta era una casa, una donna coi suoi bambini si avvicina e ci dice che quella era casa sua; i militari sono arrivati di notte con i cani, hanno costretto tutti ad uscire senza prendere nulla (neanche il latte per i neonati), a restare fermi in strada sotto la pioggia senza poter andare in bagno, fino alle sei del mattino. Il marito è stato arrestato perché sospettato di esser stato l'autista degli attentatori del ministro Zevi. La sensazione che proviamo di fronte alle macerie ed al racconto di questa donna e delle altre vittime di questi crimini è indescrivibile, restiamo ammutoliti a guardarci. Andando via con l'amaro in bocca ripensiamo alle parole di Ibrahim: 'In queste condizioni, con la chiusura delle strade, lo sradicamento degli ulivi, la distruzione delle case, l'imposizione del terrore, non solo è difficile muoversi, lavorare, ma ogni aspetto della nostra vita è limitato se non completamente impedito'. La delegazione di Action for Peace: Farshid Nourai, Monica D'Angelo, Alessandra Fantini, Antonio Elia, Michelangelo Cocco, Massimo Trizio, Gabriella Vero, Paolo Pozzi, Ferdinando Primerano Rianò.
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