Guantanamo- int.di E. Deiana



Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 86 del 24/1/2002

Condizione dei detenuti talebani nel campo americano di Guantanamo (Cuba) -
n. 2-00214
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare l'interpellanza
Giordano n. 2-00214 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti di cui è
cofirmataria.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, vorrei illustrare la nostra interpellanza
perché il fatto rappresenta un gravissimo caso di imbarbarimento delle
relazioni internazionali e dello stesso diritto bellico che comprova le
preoccupazioni che il mio gruppo ha costantemente espresso, in relazione
alla vicenda dell'attacco terroristico alle torri di New York e alla
risposta di guerra che hanno dato gli Stati Uniti e la coalizione, che ha
replicato purtroppo positivamente all'attivazione dell'articolo 5 e alla
richiesta di coalizione. Mi riferisco - come ha detto lei, signor
Presidente, - alla condizioni in cui vengono tenuti e trattati i prigionieri
talebani e gli esponenti di Al Qaeda, in particolare quelli trasportati
nella base di Guantanamo. Presso tale la base il Governo degli Stati Uniti
ha allestito un campo di detenzione, denominato Camp X-Ray, dove sono
imprigionate al momento 144, 150 persone, tra talebani e appartenenti
all'organizzazione Al Qaeda.
In questi giorni è giunta la notizia che le partenze dall'Afghanistan sono
interrotte, ma solo per motivi tecnico-logistici, nel senso che il campo,
finora allestito, pare che non sia in grado di recepire altro materiale
umano, così lo chiamo visto il trattamento a cui sono sottoposti questi
uomini, costretti dentro gabbie di rete piccolissime.
Le fotografie, che hanno fatto il giro del mondo, ce li hanno fatti vedere
costretti in ginocchio, ammanettati e bendati.
Il fatto gravissimo è che gli Stati Uniti, secondo una logica che
contraddistingue questo paese da tempo, si rifiuta di riconoscere a questi
detenuti lo status di prigionieri di guerra, considerandoli combattenti
illegali. Mi riferisco ad una tradizione di questo paese che continuamente
rifiuta o si oppone ad adeguarsi alle convenzioni internazionali.
Il 21 gennaio il comitato internazionale della Croce rossa ha dichiarato il
trattamento di prigionieri non conforme alla terza convenzione di Ginevra,
ribadendo, di conseguenza, che anch'essi debbono essere considerati
prigionieri di guerra.
Il dato positivo è che, in un mondo globalizzato e mediatizzato al massimo,
le cose sono viste e, quindi, suscitano, per fortuna, ancora proteste. Tra
le tante proteste di cui vorrei dare notizia - spero che il Governo ne sia a
conoscenza - mi interessa sottolineare quella del commissario dell'Unione
europea per le relazioni esterne, Christopher Patten, perché è
particolarmente significativa, a mio giudizio, partendo da un punto di vista
e di giudizio sulla vicenda internazionale, relativa all'Afghanistan, molto
diverso - anzi, direi, totalmente diverso - dal mio, il quale esprime
preoccupazioni che non possono essere accusate di essere dettate da un
pregiudizio o da un'antipatia precostituita nei confronti degli Stati Uniti
d'America.
Il commissario Patten ha sollecitato gli Stati Uniti a trattare secondo la
legge e la morale i prigionieri di Al Qaeda nella base di Guantanamo per non
rischiare, parole testuali del commissario, «di perdere la pace, ora che
abbiamo vinto la guerra».
Penso ovviamente che il trattamento inumano sia frutto della logica di
guerra, ma questo tuttavia rappresenta un'altra dimensione del problema. I
valori della coalizione internazionale contro il terrorismo sono - sempre
secondo Patten - l'imperio della legge, il diritto internazionale,
l'imparzialità, la decenza e la giustizia. Avendo vinto la campagna
militare, giudico un tremendo errore - ribadisce Patten - se la coalizione
internazionale perdesse ora la pace. Altrettanto tagliente e netto è il
giudizio di un paese come la Svizzera, che ha chiesto agli Stati Uniti
d'America di trattare gli ex combattenti taliban e i presunti terroristi di
Al Qaeda - sottolineo presunti, dal momento che occorre dimostrare che essi
siano terroristi - come prigionieri di guerra, aventi diritto alla
protezione e alle garanzie assicurate dalla Convenzione di Ginevra.
Per quanto riguarda la reazione degli Stati Uniti d'America, molte
associazioni per la difesa dei diritti umani hanno alzato la voce e
protestato; in particolare, il giudice federale Howard Matz, a Los Angeles,
ha esaminato il ricorso di un gruppo che si batte per la tutela dei diritti
dell'uomo contro le condizioni di detenzione in questo campo.
Nella nostra interpellanza, noi ricordiamo un aspetto assai importante che
riguarda il nostro paese: gli Stati Uniti d'America hanno dapprima cercato
di bloccare e successivamente si sono rifiutati di sottoscrivere il trattato
istitutivo del tribunale penale internazionale, approvato a Roma dalla
Conferenza internazionale convocata nel 1998. Di tale trattato il Governo
italiano è depositario e pertanto responsabile di fronte all'opinione
pubblica internazionale, essendo il tribunale penale internazionale l'unico
organismo in grado di garantire un giudizio equo ed imparziale nei confronti
di quanti si macchino di crimini contro l'umanità.
Chiediamo quindi quale sia il giudizio del Governo italiano sulle condizioni
di detenzione del campo americano di Guantanamo e cosa intenda fare per
richiamare gli Stati Uniti al rispetto delle Convenzioni da essi
sottoscritte e, infine, se non ritenga di dover promuovere una forte azione,
affinché gli Stati Uniti sottoscrivano il trattato per l'istituzione del
tribunale penale internazionale, accettando la sua giurisdizione esclusiva
su chiunque si macchi di crimini contro l'umanità.
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole
Mario Baccini, ha facoltà di rispondere.
MARIO BACCINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor
Presidente, il Governo italiano ha preso immediato contatto con quello degli
Stati Uniti d'America, al fine di accertare, a seguito della mobilitazione
dell'opinione pubblica italiana ed internazionale, le condizioni detentive
dei prigionieri trasferiti nella base americana di Guantanamo. Nell'attuale
fase di approntamento di nuovi spazi carcerari all'interno della base, i
prigionieri vengono temporaneamente detenuti in ambienti che hanno carattere
provvisorio. La terza Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri
di guerra contiene un dettagliato elenco delle specie di combattenti: le
condizioni previste esigono che le persone di cui trattasi abbiano un segno
distintivo fisso e riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi e
si conformino, nelle loro operazioni, alle legge e alle consuetudini di
guerra. Quest'ultimo requisito significa che deve essere rispettato il
diritto bellico, sia di natura convenzionale sia consuetudinaria.
In mancanza di tali requisiti, le persone in questione non possono essere
considerati legittimi combattenti. In ogni caso, gli Stati Uniti d'America
hanno consentito l'ingresso, la visita e la presenza, a fini ispettivi, da
parte dei rappresentanti della Croce rossa internazionale, ai quali hanno
chiarito che certe condizioni di trattamento erano limitate al tempo
strettamente necessario al trasporto e allo smistamento nei vari luoghi di
detenzione. I risultati delle visite saranno comunicati al governo degli
Stati Uniti che ha reso noto di voler tenere conto di questi esiti, in vista
della successiva predisposizione delle condizioni detentive.
Lo stesso Governo cubano, in una sua dichiarazione, ha preso nota con
soddisfazione delle dichiarazioni pubbliche rese dalle autorità
nordamericane, secondo cui i prigionieri ricevevano un trattamento adeguato
ed umano (come la Croce rossa potrà verificare).
Il Governo italiano non mancherà di seguire gli sviluppi della questione,
anche di concerto con i partner europei. Al riguardo, l'Unione europea ha
ribadito, in più di un'occasione, la necessità di contemperare le esigenze
di lotta al terrorismo internazionale con il rispetto delle procedure
giudiziarie e internazionalmente garantite ad ogni imputato. L'Unione
europea ritiene che la lotta contro il terrorismo non possa essere condotta
a detrimento dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ma che, al
contrario, essa debba rappresentare un'ulteriore prova del fermo proposito
della comunità internazionale di difendere proprio quei diritti che le
azioni terroristiche intendono infrangere.
Per quanto riguarda l'istituenda Corte penale internazionale, occorre
ricordare che essa non sarà competente in materia di atti terroristici.
Vale, inoltre, la considerazione che il nuovo organo, quando sarà operativo,
per disposizione del suo statuto, avrà carattere complementare. Pertanto,
potrà esercitare la sua giurisdizione solo laddove l'autorità giudiziaria
nazionale non voglia o non possa giudicare nel caso di specie. L'Italia,
quale Stato ospitante della Conferenza di Roma del 1998, è impegnata in una
costante azione per accelerare il completamento del necessario numero di
ratifiche perché la Corte penale internazionale entri in funzione. Tale
linea è stata portata avanti con gli altri Stati dell'Unione europea, che
hanno adottato, nel giugno 2001, una posizione comune, diretta ad impegnare
l'unione stessa, a passi congiunti con i paesi terzi, per facilitare la
rapida entrata in vigore dello statuto.
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.
ELETTRA DEIANA. L'esponente del Governo ha risposto come avrebbe risposto il
segretario alla difesa americano Rumsfeld (non so se sia un complimento; io
non lo riterrei tale). Vorrei ricordare all'esponente del Governo che anche
alcuni esponenti della maggioranza, del gruppo del CCD-CDU Biancofiore,
hanno chiesto che una delegazione italiana certifichi la reale condizione
dei prigionieri afgani trasferiti nel carcere della base americana di
Guantanamo e la corretta applicazione della Convenzione di Ginevra per i
prigionieri di guerra. Questa richiesta è stata avanzata dal presidente del
gruppo del Biancofiore, Luca Volontè, in un'interrogazione rivolta al
Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Aggiunge Volontè che le recenti
immagini su come vengono trattati i prigionieri trasferiti dall'Afghanistan
a Guantanamo dimostrano un evidente trattamento che poco ha a che fare con i
diritti umani, oltre che con lo status di prigionieri di guerra (che è anche
un'altra dimensione del problema) e con la corretta applicazione della
Convenzione di Ginevra. Sarebbe auspicabile un intervento della Farnesina in
questa direzione.
Vorrei sottolineare un aspetto della risposta del sottosegretario Baccini,
relativo al carattere di terzietà che dovrebbe avere un organismo istituito
o un soggetto preposto a rispondere alle richieste di accertamento: chi
accerta che cosa? Se l'Italia si limita a chiedere agli Stati Uniti di
accertare le condizioni dei prigionieri di Guantanamo, non chiede alcuna
garanzia di terzietà nel soggetto preposto a compiere tali accertamenti.
Il ministro degli esteri svizzero, che ho citato poc'anzi, nel suo
comunicato afferma, in modo politicamente corretto, che, laddove gli Stati
Uniti non riconoscano lo status di prigionieri di guerra ai prigionieri
talebani - che, voglio ricordarlo, facevano parte di un regime orrendo, ma
erano sempre esponenti di un regime, soldati di quel regime e, pertanto, è
difficile definirli «combattenti illegali» - o, comunque, in caso di
contrasto sullo status dei prigionieri, secondo la Convenzione di Ginevra,
la questione deve essere definita da un tribunale competente.
In maniera politicamente corretta, dunque, il Ministero degli affari esteri
svizzero chiede il carattere di terzietà al soggetto predisposto ad
accertare lo status, oltre che, evidentemente, le condizioni in cui versano
questi uomini.
La Svizzera ritiene che i detenuti a Guantanamo debbano avere lo status di
prigionieri di guerra (almeno per il momento), e, in ogni caso, anche se un
tribunale statuisce che la convenzione di Ginevra non è applicabile, i
prigionieri devono, in ogni circostanza, essere trattati secondo le regole
ed i principi dei diritti umani. Si tratta, quindi, di due dimensioni:
stabilire lo status di prigionieri di guerra e valutare le condizioni
d'umanità o d'inumanità in cui versano. La risposta del sottosegretario,
dunque, lascia assolutamente irrisolto il problema che abbiamo sollevato
relativo all'impegno dell'Italia - un preciso impegno - affinché venga
spezzato questo processo di imbarbarimento progressivo delle relazioni
internazionali e di accantonamento di tutte le convenzioni e trattati che,
fino ad ora, hanno tentato di creare un contesto di legittimità, di legalità
e di civilizzazione delle relazioni internazionali.

Allegato A
Seduta n. 86 del 24/1/2002
(Sezione 9 - Condizione dei detenuti talebani nel campo americano di
Guantanamo - Cuba)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per
sapere - premesso che:
presso la base navale di Guantanamo, a Cuba, il Governo degli Stati Uniti ha
allestito un centro di detenzione denominato Camp X-Ray dove sono
imprigionate centoquarantaquattro persone tra talebani e appartenenti
all'organizzazione Al-Qaida;
i prigionieri sono costretti dentro gabbie di rete piccolissime e si sono
viste foto degli stessi costretti in ginocchio, ammanettati e bendati;
gli Stati Uniti, in contrasto con le convenzioni internazionali, rifiutano
ai detenuti lo status di prigionieri di guerra, considerandoli «combattenti
illegali»;
il 21 gennaio, il Comitato internazionale della Croce rossa ha dichiarato il
trattamento dei prigionieri «non conforme alla Terza Convenzione di
Ginevra», ribadendo di conseguenza che anch'essi debbono essere considerati
prigionieri di guerra;
gli Stati Uniti hanno prima cercato di bloccare e poi rifiutato di firmare
il Trattato istitutivo del Tribunale penale internazionale, approvato a Roma
dalla Conferenza internazionale convocata nel 1998 e di cui il Governo
italiano è depositario, unico organismo capace di garantire un giudizio equo
ed imparziale nei confronti di quanti si macchino di crimini contro
l'umanità -:
quale sia il giudizio del Governo italiano sulle condizioni di detenzione
del campo americano di Guatanamo, se non ritenga di dover richiamare gli
Stati Uniti al rispetto delle Convenzioni da essi sottoscritte e se non
ritenga di dover promuovere una forte azione affinché gli Stati
Uniti sottoscrivano il Trattato per l'istituzione del Tribunale penale
internazionale, accettando la sua giurisdizione esclusiva su chiunque si
macchi di crimini contro l'umanità.
(2-00214) «Giordano, Deiana».
(22 gennaio 2002).






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