democrazia in pericolo



Il numero 288 de "il foglio", che sarà spedito domani, contiene questo
articolo redazionale.
Enrico Peyretti
peyretti at tiscalinet.it

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il foglio n. 288, mensile di alcuni cristiani torinesi
(antonello.ronca at libero.it)

Democrazia in pericolo
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Macché conflitto d'interessi! Non di conflitto si tratta, ma di beata somma
e associazione di interessi privati e di potere pubblico. Questa convergenza
è il primo scopo e l'idea unica della politica presente nei progetti e nelle
azioni dell'attuale capo del governo (illegittimamente eletto fin dal 1994,
come abbiamo documentato più volte; illegittimità coperta anche dall'
opposizione, ma non tolta nella sostanza democratica, che è quello che ci
interessa). In altre parole, si tratta di un accumulo di poteri
evidentemente incostituzionale. Quando i poteri economico, mediatico,
politico, militare, ed anche giudiziario (questo tentato, col rifiuto di
essere giudicato, col sabotaggio dei processi, con la delegittimazione
preventiva dei giudici e delle loro sentenze) sono nelle stesse mani, siamo
di fronte ad un caso chiaro di totalitarismo. Bobbio lo avvertì per tempo.
La responsabilità di chi può osservare e pensare è di vedere per tempo i
pericoli, e non arrivare tardi, come in altri momenti storici negativi.
La democrazia non consiste solo nelle elezioni, nel conferimento popolare
del potere. In democrazia non c'è nessun "unto del Signore" tramite il
popolo. La democrazia sta o cade con le garanzie contro la prevaricazione.
Perciò le è essenziale la divisione dei poteri, il loro reciproco
bilanciamento, la loro limitazione nell'estensione, oltre che nel tempo,
perciò quel rispetto delle minoranze che esclude la dittatura della
maggioranza. Quando queste garanzie sono a rischio - e lo sono oggi in
Italia - è a rischio la democrazia, le regole fondamentali della nostra
civiltà politica. Quando questo accade, come accade oggi, il primo impegno è
la difesa attiva della democrazia dal totalitarismo.

- Signoria rinascimentale
C'è totalitarismo quando una parte pretende di farsi tutto. Una idea,
filosofica o religiosa, che esclude altre idee è totalitarismo, come nel
fondamentalismo religioso o in quello economico, cioè nel "pensiero unico"
liberista (c'è chi spiega la sigla FMI come: fondamentalismo monetario
internazionale.). È totalitarismo anche la riduzione del tutto alla parte:
la riduzione della res-publica ad azienda, a res-privata; la riduzione del
governo degli affari di tutti a Ministero degli Affari Propri; la riduzione
della politica a commercio e quindi della Farnesina ad agenzia pubblicitaria
e dei diplomatici a piazzisti.
È vero che il potere economico regna comunque, ma la classe politica non può
coincidere con esso, perché deve mediare tra la ricchezza di alcuni e il
diritto di tutti. Altrimenti lo stato di diritto regredisce a signoria
rinascimentale (che probabilmente è l'immagine di repubblica ideale nella
testa della classe rampante allevata dal craxismo).
La maggioranza non assolve, abbiamo scritto subito dopo le elezioni dello
scorso maggio (il foglio, n. 281). Meno del 50% degli italiani, grazie al
sistema maggioritario, ha dato una grande preponderanza di seggi al governo
di centro-destra, che intende usare questa forza a tutto spiano, rompendo
gli argini democratici, e liquida il problema dell'accumulo di poteri e
delle pendenze giudiziarie con l'inconsistente e ipocrita argomento che così
piacque agli italiani.
Il Presidente della Repubblica pose la condizione, nel conferire l'incarico
di governo (che il leader del centro-destra voleva far apparire come datogli
direttamente dal popolo), di risolvere entro cento giorni il nodo del cumulo
di poteri. Poi non fece più valere quella condizione, sebbene sollecitato
nel modo più esplicito e pressante anche da autorevoli opinionisti
certamente non di sinistra, come Sartori. Perché questa sua debolezza, che è
inadempienza di una funzione doverosa?
La legge che il governo presenta al Parlamento in questo mese è una
turlupinatura del Paese e dello spirito democratico: il controllato si
sceglie i controllori, dotati di flebile voce successiva alla violazione. La
sensibilità media non reagisce. Forse si sveglierà - se non ci illudiamo -
il giorno che il padrone del Milan nominerà gli arbitri delle sue partite.
Secondo alcuni buoni analisti, il tarlo che corrode la civiltà politica è la
pubblicità, unica parola sovrana sulla piazza pubblica. Con la pubblicità e
in quanto pubblicitario il nostro ha preso il governo. Le spese
pubblicitarie delle imprese sono detassate invece di essere tassate
progressivamente. La pubblicità turba il mercato tanto adorato, perché
costringe le piccole imprese a dissanguarsi nell'inseguire le grandi in
quella gara impari. E i consumatori pagano tutte le  spese  nel prezzo
finale. Mercato, politica, cultura e anche religione: tutto diventa
pubblicità, a danno della parola veritiera e a vantaggio dei ciarlatani.
Tocca ai cittadini consapevoli della libertà (quella senza casa) boicottare
la pubblicità e i prodotti più reclamizzati dai "signori della merce",
specialmente sulle reti di proprietà del Grande Tele-Venditore.
Non c'è potere, neppure dittatoriale, che possa sussistere senza un certo
grado di questa collaborazione. Gestire la propria obbedienza in scienza e
coscienza è gestire il potere. Ciò è nella possibilità di ciascuno che
voglia sapere le cose come stanno e che ami essere libero. La
coscientizzazione è liberazione. Perciò la coscienza del cittadino, capace
di obiettare pagandone il prezzo, è il fondamento della libertà giusta.

- Il petroliere texano
L'involuzione della democrazia in Italia riflette una linea mondiale oggi
prevalente. Il petroliere texano, vincitore con un dubbio biglietto nella
lotteria elettorale nella democrazia modello, che oggi si rafforza con la
roboante (ma molto cruenta) guerra all'ex-collaboratore, da lui stesso
nominato presidente del terrorismo mondiale, ha problemi di accumulo
illegale di interessi ben più grossi di quelli dell'allegro pubblicitario
italiano.
L'opposizione politica italiana, dopo aver governato con incertezza e
indecisione sulle cose più gravi (difesa della democrazia e della pace),
dopo aver legittimato cose illegittime e partiti non democratici, continua
ad agire con troppa debolezza e mancanza di chiarezza, addirittura
associandosi nella violazione della Costituzione sul punto più grave, la
guerra. In mancanza di una politica di opposizione efficace nel lumeggiare e
affrontare con alternative qualificate i veri nodi della situazione, noi
temiamo che ritorni in Italia il pericolo di una risposta fisicamente
violenta alla violenza della illegalità. L'attuale clima orrendo di guerra,
eletta a regina antropofaga, tutrice del sistema mondiale dell'iniquità,
vestita coi panni della giustizia definitiva, celebrata da un'informazione
senza cuore, che illustra la guerra e non la giudica, ed è per lo più prona
al potere violento di cui dovrebbe essere la spina critica nel fianco -
ebbene, un tale clima sembra fatto per produrre un ritorno spaventoso di
fiducia nella violenza a servizio del bisogno insopprimibile di giustizia.
Sappiamo bene quanto ciò sarebbe non soltanto un errore fatale, ma un
aggravamento del male di cui soffre il mondo. La violenza non porta mai
giustizia, ma accresce l'ingiustizia.

- Anarchici e suore
La speranza è in quei fremiti sani, nel corpo vivo della società civile, che
si sono visti a Genova e nel mondo, nel vasto e variegato movimento
nonviolento di critica attiva e di lavoro alternativo al dominio
globalizzato della diseguaglianza e del privilegio, programmati e difesi con
le armi. Sui punti essenziali della giustizia economica, della democrazia
politica, della pace, l'umanità non si rassegna: dagli anarchici alle suore,
dai settantenni ai quindicenni, c'è una reale coscienza in movimento. Questo
moto non è "anti-global", nomignolo dato da un giornalismo che non vuol
capire la realtà. È invece un movimento di autentica globalizzazione, cioè
di unificazione umana dei popoli nell'uguaglianza dei diritti. La lezione di
Genova e di altri momenti ha insegnato a questo movimento che la vera
alternativa è tra la violenza e la nonviolenza attiva, tra l'uso e l'abuso
di ogni mezzo, anche dei più preziosi, al fine di mantenere l'ingiustizia,
e - all'opposto - la scelta dei soli mezzi giusti per costruire la giustizia
e la pace.
Il fatto che questa opposizione sia stata criminalizzata a Genova, con l'uso
calcolato del terrorismo di strada combinato col terrorismo poliziesco, come
è criminalizzata, col ricatto vigliacco "o con me o con il terrorismo", la
sacrosanta critica della guerra - che è causa, copia, "clone" statale del
terrorismo delle bande - tutto ciò dice anche ai sordi quanto le varie "case
della libertà" (di arraffare) siano "fosse" della libertà di crescere in
umanità invece che in barbarie. Ma dice anche, agli intelligenti, che quella
di Seattle, di Genova e di Porto Alegre, è la via giusta, la via lunga e
difficile della giustizia planetaria come base buona della convivenza
cosmopolitica pacifica.
La chiesa cattolica pare differenziata: l'alto clero persiste fedele al
culto del finanziatore delle scuole cattoliche, il basso clero spesso e il
volontariato cattolico sempre hanno capito la natura pagana e costantiniana
del centro-destra italiano. Bisogna che queste forze, insieme a tutti gli
uomini di buona volontà e di spirito civile, siano presenti anche nella
politica istituzionale, a liberarla dal pericolo. Forse anche l'industria
seria, dopo averlo appoggiato, si prepara a scaricare il "parvenu", se
capisce finalmente che è il prodotto di un'avventura astuta e spregiudicata
e non di una tradizione di lavoro serio e costruttivo.

- Una regressione antropologica
È importante aggiungere che il problema italiano impersonato nel capo del
governo attuale e nei suoi dipendenti non è soltanto un problema politico e
giuridico, quanto soprattutto un problema antropologico. Non è la patologia
di una persona, ma di un modo di vivere la nostra umanità. È il sintomo -
tra il comico, il tragico e il grottesco - di una regressione antropologica
a stadi inferiori di evoluzione umana. La battaglia, dunque, non è soltanto
politica, ma principalmente culturale e spirituale: di che cosa alimentiamo
i nostri spiriti? A quale vento offriamo le vele? Allo spirito di
competizione? Ecco, allora, che facciamo una società di rivali e non di
soci, quindi una non-società, un aggregato pericoloso di solitudini
agguerrite e di sordi dolori - perché siamo pur sempre umanamente delusi,
deprivati - che esplodono in violenze. Offriamo le stanche vele allo spirito
di possesso e di consumo? Ed ecco la civiltà della consumazione finale, dell
'esaurimento della natura, nostro corpo comune, strappata ferocemente alla
maggioranza denutrita dalla minoranza obesa, in un'orgia terminale in cui i
folli ricchi mangiano l'albero che non darà più frutti. Ecco, infatti, il
texano presidenziato che esorta il suo (suo?) popolo a riprendersi dall'
offesa di lesa maestà e lesa borsa con l'appello insensato: consumate,
consumate, spendete, spendete!
Il mondo è governato dal governo di un popolo che è il 5% dell'umanità.
Cioè, la situazione è assurda, oltre che ingiusta. Se il progetto dell'
occidente è sbagliato - abbiamo costruito un ponte che non regge, l'umanità
non può passarvi; abbiamo scelto un modello che funziona solo a condizione
di escludere i più - l'anima dell'occidente contiene anche, in modo non
esclusivo ma reale e indimenticabile, l'idea dei diritti umani, della
spiritualità infinita ed inviolabile della persona, della giustizia
universale. Il compito è liberare quest'anima dalla prigione della cultura
violenta del dominio, dall'offesa umiliante della violenta libertà
liberista. Solo allora l'occidente potrà dare e ricevere, in scambio con le
altre civiltà, valori di vita e di pace, qualunque sia il punto del
rispettivo cammino umano. In questo compito una grande parte tocca al
dialogo tra le religioni, alla collaborazione tra i tesori spirituali dell'
umanità, risorse primarie per la sopravvivenza. L'occidente sia grato alle
altre tradizioni che oggi vengono a visitarlo portandogli qualcosa di tali
tesori.
Il momento angusto e misero che vive oggi la storia italiana sarà sbloccato
soltanto dalla consapevolezza di queste dimensioni profonde del pericolo.

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