[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Il diritto di ritorno è vivo
- Subject: Il diritto di ritorno è vivo
- From: "Assopace per Palestina" <assopacexpalestina at tiscalinet.it>
- Date: Mon, 21 Jan 2002 21:04:36 +0100
Roma 21.01.2002 Il diritto di ritorno dei rifugiati palestinesi rimane uno dei nodi cruciali della questione israelo - palestinese. Una pace giusta e duratura è sicuramente vincolata alla soluzione di tale questione. La terribile situazione attuale molto spesso offusca l'ancor più tragica situazione in cui vivono i rifugiati palestinesi nei campi profughi di Cisgiordania, Gaza, Libano, Giordania e Siria. Il nostro dovere è quello di ricordare, sempre ed in ogni luogo, il diritto inalienabile dei rifugiati. Per questo motivo posticipiamo l'invio della seconda parte delle nostre riflessioni di ritorno dalla Palestina e inviamo un articolo del Dr. Salman Abu Sitta che, con molta chiarezza, analizza la questione dei rifugiati palestinesi nell'ambito della legalità internazionale. IL Dr. Salman Abu Sitta, già membro del Consiglio Legislativo Palestinese, è uno dei maggiori ricercatori sul problema dei profughi, il fondatore del "Palestine Land Society" e il direttore del "International Development and Construction Projects" http://www.palestineremembered.com. Ringraziamo Susanne Scheidt per la traduzione. Farshid Nourai Gruppo Palestina - Associazione per la Pace Il diritto di ritorno è vivo e sta in piedi di Dr. Salman Abu Sitta ole complementari sono diventate parte integrante della narrativa palestinese durante gli ultimi 53 anni: Al Nakba ed il Diritto di Ritorno. Queste parole costituiscono i due lati di un'unica moneta, l'uno rappresenta il peccato originale, l'altro ne rappresenta l'espiazione. Al Nakba è la più grande, la meglio preparata e la più lunga operazione di pulizia etnica nella storia moderna. La popolazione di ben 530 comuni e villaggi è stata espulsa nel 1948, svuotando il paese che diventerà Israele del 85% dei suoi abitanti palestinesi. Coloro che non subivano questo destino, cioè gli abitanti del resto della Palestina, si trovano attualmente sottoposti alla più brutale, più lunga occupazione nel mondo, unica del suo genere. La determinazione dei palestinesi di insistere sul loro diritto di ritorno durante tanti anni di ineguagliabile ostilità mossa nei loro confronti, è unica nella storia. Perciò gli sforzi infaticabili da parte di Israele di corrodere questa determinazione. Gli argomenti per arrivarci sono rimasti invariati da quando il Governo Provvisorio di Israele, incalzato dalla conquista di vasti territori, decise nel giugno 1948 di dichiarare pubblicamente la sua intenzione di usare ogni mezzo per impedire il ritorno dei profughi. La prima vittima di questa politica fu - a parte i profughi stessi - il Conte Volke Bernadotte, che fu assassinato; il suo "lascito" politico sarà la famosa Risoluzione n° 194 (III), paragrafo 11 del 11.12.1948, emanata all'indomani della promulgazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (UDHR). Sul suolo palestinese, Israele aveva espulso i profughi, commesso massacri, sparato a chi cercasse di tornare ("infiltratori"), distrutto villaggi, bruciato le coltivazioni, importato immigrati e confiscato le proprietà dei profughi (il 92% di Israele). Sul piano della propaganda, Israele creò nuovi miti (la "Palestina è un paese senza popolazione"), quali: il ritorno dei profughi non sarebbe possibile, i confini si sarebbero persi, il paese sarebbe colmo ed il ritorno dei palestinesi "inquinerebbe il carattere ebraico" dello stato. Nessuno di questi miti regge ad un esame serio o potrebbe essere accettato per giustificare la violazione di diritti umani. Nell'interpretazione legale della Risoluzione n° 194, si è cercato sotterfugi definendo tale Risoluzione una "raccomandazione" oppure mettendo in dubbio il significato di "paese" e di "dimora". Senza un esame serio di queste rivendicazioni, e sotto il pretesto di volere "essere pragmatici", alcuni ufficiali ed accademici palestinesi hanno adottato questi pareri israeliani. Uno scambio libero di idee è assolutamente salutare. Non lo è però il tentativo di scardinare diritti inalienabili. Le idee tanto pubblicizzate di Sari Nusseibeh, presentate inizialmente, 10 anni fa in società con il suo co-autore del Likud israeliano, Mark Heller, possono essere riassunte in poche parole: il diritto "riconosciuto" di ritornare potrà essere realizzato con un ritorno dei profughi nel nuovo stato della Palestina (ad incerta definizione) sicché i palestinesi dovrebbero essere cittadini del loro proprio stato (etnico) così, come gli israeliano del loro (ebreo). Proposte del genere stravolgono sia il concetto di sovranità su un territorio - un concetto politico e negoziabile - che il diritto di ritorno che è un diritto inalienabile e non ha nulla da vedere con il territorio in questione. Diritto di ritorno e sovranità sul territorio non sono in alcun modo legati. Inoltre, non esiste nella normativa internazionale un concetto di uno stato "ebraico" o di un popolo ebraico. Il Piano di Spartizione del 1947 (Risoluzione 181), sulla base del quale fu dichiarato lo stato di Israele ripudia chiaramente ogni concetto del genere dichiarando, agli articoli 2 e 3, la protezione di tutti i diritti politici e civili della "minoranza" araba nello stato degli ebrei e viceversa. Lo stato sarebbe dovuto proteggere tutti i suoi cittadini, chiunque fossero. Ma Israele si dichiara di essere lo stato di coloro che non sono i suoi cittadini (gli ebrei sparsi nel mondo) e non invece, lo stato dei suoi cittadini (i palestinesi in Israele). Questo concetto razzista è in contrasto con la legalità internazionale e non può essere accettato. I tentativi di mettere in discussione la validità della Risoluzione n° 194 sono solo una perdita di tempo, visto che è sostenuta dall'opinione prevalente degli esperti di diritto. La Risoluzione n° 194 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite non è un'invenzione, bensì l'applicazione della legalità internazionale. Perciò essa è stata riconfermata ben 135 volte dall'ONU, un caso unico nella storia dell'ONU e fa capo, inoltre, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo nonché ad analoghe convenzioni europee, americane ed africane. Infine, essa deriva dall'inviolabilità della proprietà privata che non si estingue ne col passare del tempo, ne con l'occupazione e non di certo con cambiamenti della sovranità. Contrariamente a certe interpretazioni errate, la Risoluzione n° 194, in linea con la Legge sulla compensazione, richiede il ritorno e (non "oppure") la compensazione, quest'ultima in considerazione delle perdite e dei danni subiti in presenza del ritorno, o in sua assenza. La Risoluzione n° 242 non ha mai cancellato la Risoluzione n° 194, il che risulta chiaramente e senza equivoco dai continui riferimenti alla n° 194 fatti perfino all'ultima Assemblea Generale del novembre-dicembre 2001. I punti della Risoluzione n° 242, che si riferisce solamente agli esiti della guerra del 1967 che chiedono "una giusta soluzione della questione dei profughi della guerra", semplicemente rimandano per la delibera in materia a Risoluzioni preesistenti ed alla legalità internazionale. L'autore di un articolo apparso sul Jordan Times il 30.12.2001 espone un argomento che viene presentato spesso dagli israeliani, cioè, che a suo tempo gli arabi avrebbero votato contro la Risoluzione n° 194. Occorre sapere perché e come. Gli stati arabi (Egitto, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Siria, Yemen - la Giordania non viene menzionata) e l'Unione Sovietica votarono contro la Risoluzione intera (non contro il suo paragrafo 11 - il diritto di ritorno) perché il pacchetto contiene numerosi punti ambigui ed inaccettabili. La Risoluzione n° 194 contiene 15 paragrafi, dei quali il paragrafo 11 si occupa del ritorno dei profughi nell'ambito di un piano comprensivo di tre elementi: 1) permettere loro di ritornare ed essere compensati, 2) portare assistenza ai profughi, in seguito adempiuto da parte dell'UNRWA e 3) facilitare il rimpatrio e la riabilitazione dei profughi. Altre clausole si riferiscono alla questione dell'internazionalizzazione di Gerusalemme, lo "sviluppo economico dell'area" in termini piuttosto vaghi, mentre nessun riferimento fu fatto alle allora recenti (parliamo dell'ottobre-novembre 1948) nuove conquiste di Israele che incrementarono l'area occupata dal 25% al 60% dell'area di Israele. Il contesto generale della Risoluzione sembra appoggiare la risoluzione della spartizione (già ripudiata dagli arabi perché attribuiva il 54% del paese alla minoranza ebrea che controllava soltanto il 6% della Palestina), ma, ciò che era peggio, senza definire in alcun modo i confini certi di Israele ed implicando così, il condono preventivo per un'espansione illimitata dalla parte di Israele. Gli arabi non hanno mai rifiutato il paragrafo 11, come risulta chiaramente dagli atti della conferenza di Lausanne nel 1949. In effetti, gli arabi all'epoca accettarono Israele come stato, facendo una concessione notevole, mai sottolineata a dovere, ma lo fecero a condizione che ai profughi fosse concesso di ritornare a casa loro. Il Protocollo di Lausanne, firmato il 12 maggio 1949 constata questo chiaramente e contiene un allegato con il Piano di Spartizione del 1947 come base per le discussioni. Dalla corrispondenza diplomatica americana e dal Protocollo della Conferenza del 12 maggio 1949 risulta che per gli arabi il prerequisito per il riconoscimento di Israele è il ritorno dei profughi. L'unica eccezione, secondo queste corrispondenze diplomatiche (vedi Burdett, 12 febbraio 1949, FRUS 1949, pp. 744-746) era la Giordania che accettò di risistemare i profughi sul suo territorio, ma chiedendo Israele di ritirarsi da una maggiore fetta del territorio palestinese in modo da potervi insediare più rifugiati. Intanto, tutta la questione del voto arabo sulla Risoluzione n° 194 è piuttosto sterile. Ci si potrebbe domandare: che differenza fa ? il diritto di ritorno è un diritto individuale al quale soltanto gli individui interessati possono rinunciare personalmente. Per via dell'estensione all'autodeterminazione, tale diritto è un diritto collettivo. Per quanto riguarda la legge internazionale umanitaria circa il trattamento di civili in periodo di guerra, tale legge è applicabile ai fatti di Al Nakba ed ai fatti dell'odierna occupazione della West Bank e di Gaza. La minaccia di applicare lo Statuto di Roma del 1998 che attribuisce ai coloni ebrei, agli ufficiali dell'esercito israeliano ed ai funzionari del governo israeliano la fattispecie di criminali di guerra, dovrebbe, qualora espressa, costituire un deterrente serio alle atrocità di Israele. A prima vista, il Diritto di Ritorno rimane l'orientamento di fondo per i profughi palestinesi,con o senza le risoluzioni dell'ONU. ******************************************************************************** Associazione per la Pace Gruppo Palestina Via Salaria, 89 00198 Roma Tel. +39 - 068841958 La pace non è solo l'assenza della guerra, è una virtù, uno stato della mente, una disposizione alla benevolenza, confidenza, giustizia. ********************************************************************************
- Prev by Date: Action for Peace continua....
- Next by Date: Press Release 21.1.2002
- Previous by thread: Action for Peace continua....
- Next by thread: Press Release 21.1.2002
- Indice: