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Action for Peace - Palestina
- Subject: Action for Peace - Palestina
- From: "Assopace per Palestina" <assopacexpalestina at tiscalinet.it>
- Date: Wed, 16 Jan 2002 17:44:55 +0100
Roma 12.01.2002 Action for Peace A pochi giorni dal ritorno dalla Palestina è difficile non avere nel pensiero la Palestina e la sua gente. Ogni viaggio mette in grave crisi lo stato d'animo. Diventa difficile dividere il filo della ragione dai sentimenti. Ora, che siamo tornati dopo un intenso lavoro. Ora, che non pesano più le riunioni senza fine e la paura di non riuscire a fare chi sa che cosa. Ora, che abbiamo dimenticato il ronzio di "come fare?" che ci ha tenuto svegli notti intere, ora, che non porteremo più gli occhiali scuri alle sette di mattina per nascondere la stanchezza e il sonno, ora che agitazioni, nervosismi e rabbie sono svaniti come un lampo senza colore, ora che abbiamo superato anche le critiche, giuste o sbagliate. Dovrebbe essere più semplice tornare a ragionare e tracciare un resoconto politico nella situazione attuale. Tuttavia, ogni momento in cui si inizia la discussione inevitabilmente prende vita il colore della disperazione negli occhi dei nostri amici palestinesi fermati al posto di blocco israeliano. Il lamento straziante delle madri, che nei campi profughi rivendicavano fieramente la loro dignità e il diritto di ritorno dei loro figli, fratelli e sorelle rifugiati chi sa in quale campo della Siria, Giordania o Libano. La povertà dei bambini scalzi che calciavano il pallone rotto da settimane, da mesi, da anni. Lo sguardo impotente e pietoso del padre che fissa teneramente i suoi 5 figli chiudendosi in un mutismo eloquente. Le foto di giovani martiri che decorano le città in un silenzio funesto. Mille ingiustizie quotidiane che corrodono l'anima e la dignità dei palestinesi. Migliaia di feriti che non potranno essere mai più come prima. Un compito arduo trattare l'argomento tenendo distante il flusso del dolore e l'emozione che devasta il cuore e la mente. Eravamo tanti, forse più di 400 persone, considerando tutte le delegazioni straniere: italiani, francesi, britannici, belgi e americani che, mano nella mano, pacificamente, abbiamo manifestato protestando contro le ingiustizie. Severi controlli, lacrimogeni, bombe assordanti, arresti ed anche il ferimento di un nostro compagno, non hanno fermato la manifestazione della nostra profonda solidarietà con il popolo palestinese. Tuttavia la sensazione che ti invade è sempre uguale: impotenza e debolezza dinanzi al un muro prepotente, arrogante, ingiusto e immorale che non si scalfisce per nessun motivo. Forse sarà utile il racconto del nostro viaggio ma, da parte nostra, si rischia di cadere nella routine vissuta e raccontata per molti mesi. Crediamo che sia più utile unire i frammenti dei nostri pensieri per cercare di comporre il difficile puzzle di ciò che oggi succede in Palestina. Ovviamente la nostra relazione rispecchia una parte della verità vista dalla società civile palestinese e israeliana con i suoi pregi e difetti. La relazione è stata divisa in 5 parti che verranno inviate attraverso la nostra mailing list e successivamente verrà messa nel nostro sito. Farshid Nourai Gruppo Palestina - Associazione per la Pace Prima parte La società Palestinese. E' decisamente drammatico ciò che i palestinesi hanno subito dal 28 settembre 2000. I fatti parlano chiaro; più di 1000 morti e più di 20.000 feriti, la disoccupazione oltre il 60%, 120 posti di blocco israeliani dislocati in tutta la Cisgiordania e Gaza che riducono a immobilità i palestinesi. Le rappresaglie, le punizioni collettive, gli assassini "preventivi", le distruzioni delle case e dei pozzi d'acqua, le terre agricole, le confische dei terreni ne sono alcuni esempi. Tuttavia i palestinesi continuano la loro resistenza. La violenta reazione israeliana non scalfisce la convinzione del popolo palestinese di ottenere i suoi diritti. I palestinesi, convinti di continuare la loro resistenza dinanzi all'occupante cercano la strategia giusta della resistenza. Non sono affatto pochi coloro che sono convinti che occorre reagire con la forza e rispondere con i mezzi "militari" all'arroganza dell'occupante. Tale convinzione raggiunge il massimo nei campi profughi, nei villaggi isolati e nelle città maggiormente colpite dagli israeliani, in special modo a Gaza. I sostenitori di tale strategia richiamano la risoluzione numero 2649 del 30 novembre 1970, in cui l'Assemblea Generale dell'ONU afferma il diritto legittimo di lotta dei popoli sotto la colonizzazione o l' occupazione straniera e riconosce il diritto dell' autodeterminazione ai popoli sotto occupazione. E' del tutto evidente che il dolore e le tragedie subite dal popolo palestinese, la reazione violenta e indiscriminata israeliana, sommate alla debolezza dell'autorità palestinese, lo stallo totale del processo di pace e il silenzio internazionale, aiutino la maturazione di tale strategia. Il rilascio del Libano meridionale da parte dell' esercito israeliano dopo anni di lotta armata viene preso come esempio. Eppure ci sono diverse organizzazioni della società civile convinte che tale strategia sia un errore e/o addirittura sia una trappola tesa dagli israeliani. Tale convinzione viene spiegata in questo modo: La delegittimazione dell'autorità palestinese da parte israeliana e di fatto l'incarcerazione di Prs. Arafat a Ramallah hanno lo scopo di fare scivolare la società palestinese ad assumere posizioni violente. E' del tutto evidente che le richieste assurde israeliane avanzate in queste settimana riguardo l'arresto degli esponenti violenti della società palestinese non può essere attuato in pieno dall'Autorità Nazionale. Una posizione violenta contro organizzazioni come Hamas potrebbe avere conseguenze molto negative nella società palestinese. Una società che ha subito la perdita dei suoi figli non può tollerare che i suoi stessi governanti ne arrestino altri per volontà dell'occupante. Se l'Autorità davvero volesse compiere questo gesto avrebbe indubbiamente la necessità di ricorrere alla forza. Abbiamo già avuto l'esempio di ciò che potrebbe accadere, qualche settimana fa quando l'Autorità palestinese ha tentato di mettere sotto arresti domiciliari il leader carismatico di Hamas. Oltre tutto sono proprio i poliziotti dell'Autorità nazionale i bersagli preferiti degli israeliani. Molti palestinesi sono convinti che il disegno di Sharon prevede la capitolazione dell'Autorità Nazionale e che si stia già formando una formazione tra alcuni politici e comandanti militari palestinesi per la successione di Arafat. Tale formazione non trova alcun appoggio popolare in quanto gli esponenti che la compongono (evitiamo di riportare i nomi in quanto sono notizie non confermate e sono solo voci popolari) sono fortemente criticati e non hanno nessuna presa sulla popolazione. Tuttavia i palestinesi credono per questo motivo gli israeliani appoggerebbero questa formazione in quanto sarebbe capace di soffocare violentemente le voci dissidenti . Altri sono convinti che il disegno di Sharon miri a creare in Palestina la presa di potere di una nuova formazione radicale per sostenere facilmente l'aggettivo "Terrorista" e a questo punto nessuno potrebbe impedire un intervento militare devastante israeliano per portare un nuovo ordine. Considerando la campagna antiterrorista americana in atto in questi giorni è difficile pensare che i paesi arabi potrebbero reagire concretamente o meglio militarmente. Tale affermazioni può sembrare fantapolitica agli occhi di molti ma, di sicuro, non all' occhio dei palestinesi che hanno subito il cinismo israeliano e non coltivano nessuna fiducia negli israeliani in special modo in Sharon. La resistenza non violenta Extragrande maggioranza della società organizzata palestinese ha scelto la linea della resistenza non violenta in forme diverse. Occorre sottolineare che su un punto tutti palestinesi e la maggioranza dei pacifisti israeliani concordano ossia finché Sharon è al governo non si compierà nessun passo verso la pace. Prendendo atto di questo diventa necessario per prima proteggere i civili palestinesi. La richiesta di una forza internazionale avanzata alle Nazioni Unite ha trovato ripetutamente il veto americano. Ua coalizione dei associazioni e organizzazioni palestinesi ha dato la vita al un network Chiamata G.I.P.P "Grassroots Protection for the Palestinan Popele". Il compito prefissato è la formazione di una presenza permanente dei attivisti internazionali a scopo di impedire gravi violazioni di diritti umani commessi dagli israeliani. Al G.I.P.P. ha aderito anche Piattaforma Italiana per la Pace in Medio Oriente che stato il promotore del recente viaggio in Palestina. E' indubbio che l'iniziativa sia utile non solo per proteggere, per quanto un minima parte, il popolo palestinese anche perché evoca la speranza ai palestinesi di non essere lasciati soli. Inoltre sottopone ripetutamente la questione palestinese sotto riflettori occidentali, anche se superare l' ostinazione dei mass media internazionale non sarà così facile. Non si può neanche trascurare la pressione e la sensibilizzazione che gli attivisti internazionale possano esercitare nei loro paesi di origine. Tuttavia tale azione trova i suoi limiti. La presenza internazionale che scoraggiava, in questi ultimi mesi, le azioni violente israeliane perderà la sua efficacia nel tempo. Basti pensare che il gruppo internazionale che il 29 dicembre proteggeva il passaggio dei palestinesi a Chek Point tra Ramallah e Bir Zait è stato colpito dai lacrimogeni israeliani. Lo stesso giorno a Nablus ad un altro gruppo internazionale stato dato benvenuto a raffiche di mitra sperato a pochi metri del punto di concentramento. In ogni caso la reazione israeliana davanti di protestatori internazionali non ha preso una forma totalmente violenta ma, non si può sperare che atteggiamento non cambi in futuro. In questi giorni si parla di presentazione di un disegno di legge a Knesset "Parlamento Israeliano" per poter impedire l'ingresso dei turisti senza dare spiegazioni. In questo caso è semplice filtrare attivisti internazionali. Ovviamente la resistenza non violenta, oltre pura interposizione, può essere praticato in modi diversi con la stessa efficacia. Disobbedienza non violenta Uno dei metodi proposti, da alcuni organizzazioni palestinesi, è la disobbedienza non violenta. Tale pratica tende di rendere impossibile l'occupazione attraverso una generale disobbedienza civile. Tale pratica, in parte, già stata messo in pratica nei tempi della prima Intifda. Una metodica e generalizzata disobbedienza. Basti pensare alla rimozione sistematica dei blocchi stradali che isolano i villaggi palestinesi, ricoltivazione delle terre agricole distrutte, ricostruzione delle case demolite e ect.. E' chiaro che tale attività dovrebbe avere luogo in assenza diretta del esercito israeliano. L'azione mira di logorare l'ostinazione e dell'occupante per imporre impedimenti e ristrettzioni. E' evidente che i soggetti che tenteranno questa via possano essere fermati e arrestati. In questo caso verranno assistiti dal gruppo degli avvocati e le famiglie verranno sostenuti dal fondo appositamente costituito. Tale metodologia malgrado la sua nobiltà presenta ostacoli insormontabili. Il progetto non potrà mai raggiungere l'obiettivo se non venga praticato in maniera diffusa e generalizzata con una convenzione ai metodi pacifici d'acciaio. E' difficile pensare che attualmente la totale società palestinese dopo le tragedie subite possa uniformarsi è dare inizio ad una iniziativa di questo genere. E' chiaro che per l'attuazione di tale pratica occorre una preparazione e un'organizzazione che può impiegare anni. Continua...... ******************************************************************************** Associazione per la Pace Gruppo Palestina Via Salaria, 89 00198 Roma Tel. +39 - 068841958 La pace non è solo l'assenza della guerra, è una virtù, uno stato della mente, una disposizione alla benevolenza, confidenza, giustizia. ********************************************************************************
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