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Una guerra di bugie - Rahul Mahajan e Robert Jensen (ZNET)
- Subject: Una guerra di bugie - Rahul Mahajan e Robert Jensen (ZNET)
- From: "Nello Margiotta" <animarg at tin.it>
- Date: Sun, 9 Dec 2001 20:53:34 +0100
Una guerra che dovrebbe aiutare a dare da mangiare al disperato popolo dell'Afghanistan in realtà lo farà morire di fame.Una guerra apparentemente provocata dall' intransigenza dei Talebani in realtà è stata provocata dal nostro governo.Una guerra che la maggioranza degli Americani pensa sia legata al loro dolore, alla loro rabbia e al loro desiderio di vendetta, in realtà è legata al calcolo fatto a sangue freddo da una ristretta elite che cerca di estendere il proprio potere. E una guerra che dovrebbe renderci più sicuri ci ha invece esposti a un rischio molto maggiore, aumentando la probabilità di ulteriori attacchi terroristici. Affrontiamo questi punti uno alla volta. La nostra guerra non dichiarata all'Afghanistan è l'ultimo atto nello spettacolo decennale di aggressioni USA mascherate da interventi umanitari. Una volta che la compassione umana del popolo americano è stata risvegliata dalle condizioni tremende del popolo afgano, l'opinione pubblica si convinse che bisognava aiutarlo. Come ha risposto, il governo, a questo? Architettetando il più vergognoso e cinico piano della storia recente per giustificare degli attacchi militari. L'idea, fatta trapelare giovedì scorso [4 ottobre 2001, ndt], funziona circa così: Il popolo afgano sta morendo di fame, quindi dobbiamo sganciare razioni alimentari. (Non importa che tutti gli esperti in aiuti umanitari si oppongono allo sgancio di razioni alimentari, perché è pericoloso, buona parte del cibo va perso e, soprattutto, impediscono di organizzare la distribuzione via terra, necessaria per rendere gli aiuti efficaci). Dobbiamo distruggere le difese anti-aeree dei Talebani prima di poter fare gli sganci alimentari. Gli aerei da trasporto potrebbero essere messi a repentaglio dai missili Stinger anti-aerei che gli Stati Uniti fornirono ai Mujahiddin durante gli anni '80 per combattere le truppe sovietiche, e non pochi dei quali finirono nelle mani dei Talebani. Dobbiamo distruggere le difese anti-aeree dei Talebani; ma siccome sono mobili, dobbiamo bombardare a tappeto l'intero paese. I bombardamenti impediranno totalmente gli sforzi attuali di portare aiuti umanitari. Il World Food Program, assieme a numerosi altri progetti, gestisce un panificio a Kabul dal quale dipendono migliaia di famiglie. Una serie di organizzazioni delle Nazioni Unite hanno gettato le fondamenta di un'ampia e coordinata campagna umanitaria. Questi sforzi non sono stati ostacolati dai Talebani prima degli attacchi, ma il caos e la violenza provocati dai bombardamenti -- unitamente all'assalto progettato dall'Alleanza del Nord -- molto probabilmente costringerà il personale dell'ONU a ritirarsi, con effetti disastrosi per la popolazione afgana. Al danno si aggiunge la beffa, visto che il primo giorno gli Stati Uniti sganciarono soltanto 37'500 razioni alimentari, molto meno del fabbisogno giornaliero perfino di un singolo campo profughi. Con 7.5 milioni di persone sul punto di morire e i programmi alimentari interrotti, questa non è che una goccia nel deserto della distruzione causata da questa guerra. Coloro che muoiono di fame o freddo non saranno gli unici innocenti a morire. Dev'essere finalmente chiaro a tutti che gli "attacchi chirurgici" sono un mito. Durante la Guerra del Golfo, soltanto il 7% delle munizioni usate erano "intelligenti", e perfino queste mancano il bersaglio circa una volta su due. Uno di questi attacchi chirurgici distrussero il rifugio antiaereo di Amiriyah, uccidendo tra le 400 e le 1500 donne e bambini. Durante l'operazione "Infinite Reach", l'attacco del 1998 all'Afghanistan, alcuni dei missili Cruise smarrirono la retta via e colpirono il Pakistan. I dirigenti militari hanno già ammesso che non tutte le munizioni usate sono "intelligenti", e perfino l'ultima generazione di armi intelligenti colpiscono il proprio bersaglio soltanto il 70% - 80% delle volte. Contrariamente alla propaganda USA, nella lista dei bersagli ci sono sempre anche quelli civili. Circolano già resoconti sui tentativi fatti per assassinare il mullah Omar, leader dei Talebani; e il Ministero della Difesa a Kabul -- sicuramente un bersaglio non più militare del Pentagono, e che si trova nel centro di una città -- è stato distrutto dalle bombe. Questa è la prassi comune degli USA. Nella Guerra del Golfo, praticamente tutte le centrali elettriche irachene furono distrutte, con effetti incalcolabili sui civili. Un corrispondente di al-Jazeera riferì che subito dopo l'inizio dei bombardamenti, a Kabul mancò l'elettricità, anche se è stata ristabilita in alcuni quartieri dopo qualche ora. Colpire ogni misero resto di infrastrutture civili in Afghanistan è coerente con la linea di condotta tenuta in passato dagli USA. George Bush disse che non siamo in guerra con il popolo afgano -- proprio come non eravamo in guerra con il popolo iracheno o con il popolo serbo. Le centinaia di migliaia di afgani che fuggono dalle città sanno che non è vero. Gli analisti militari lasciano intendere che il momento scelto per l'inizio dei bombardamenti ha a che fare con le condizioni metereologiche. Ma un'altra interpretazione è possibile: la disponibilità a negoziare recentemente espressa dai Talebani rappresentava un rischio troppo grande, poteva esplodere la pace. L'uso orwelliano del termine "diplomazia" per descrivere la ferma politica USA del "nessun negoziato" -- accettate in toto le nostre condizioni o niente -- serve a mascherare il fatto che l'amministrazione Bush voleva lanciare questa guerra fin dall'inizio. La stessa tattica venne usata contro la Serbia; ai negoziati di Rambouillet nel marzo del 1999, le pretese furono alzate fino a che il governo serbo non poté che rifiutarle. Nel caso in questione, l'offerta dei Talebani di arrestare bin Laden e farlo giudicare da una corte islamica era inaccettabile, ma era una posizione negoziale seria e avrebbe meritato una contro-offerta seria -- a meno che la guerra non fosse già un fatto deciso. L'amministrazione Bush ha molte ragioni per volere questa guerra. La politica della "credibilità imperiale", portata agli estremi più distruttivi in Vietnam. Negli ultimi cinque anni di coinvolgimento USA nella regione, lo scopo non era "vincere", ma infliggere una ferita tanto grave al Vietnam che altre nazioni si sarebbero guardate bene dal contrastare gli Stati Uniti. Il petrolio e il gas naturale dell'Asia centrale, il Medio Oriente del futuro. La posizione dell'Afghanistan tra il bassopiano del Caspio e i mercati enormi in Giappone, Cina e nel subcontinente indiano gli conferisce un'importanza critica. Uno stato-vassallo controllato dagli USA in Afghanistan, probabilmente sotto l'ex re, ottuagenario e in esilio, Zahir Shah, garantirebbe alle corporation del petrolio USA una posizione privilegiata per controllare quelle risorse. Proprio come in Medio Oriente, gli Stati Uniti non cerca di appropriarsi di tutte queste risorse, ma intende dettare il modo in cui i pozzi e i condotti sono sviluppati e utilizzati. La possibilità di imporre una politica interna da destra radicale. La guerra rende più facile conferire poteri straordinari alla polizia, restringere le libertà civili e aumentare le spese militari. Questa è una guerra per ampliare il potere degli Stati Uniti. Ha poco a che fare con l'assicurare i terroristi alla giustizia, o con la vendetta. A giudicare dai sondaggi, la guerra è popolare perché il governo è riuscito a sfruttare il desiderio di vendetta della gente -- ma non dobbiamo assolutamente confondere la reazione emozionale del pubblico con le motivazioni del governo. I governi non provano emozioni. Questa guerra non ci renderà più sicuri. Da settimane molti attivisti dei movimenti contro la guerra -- e alcuni commentatori attenti di ambienti più ortodossi -- ripetono che gli attacchi militari fanno il gioco di Osama bin Laden, che sperava in un attacco simile per ravvivare la fiamma dell'odio anti-americano nel mondo islamico. Il discorso pre-registrato di bin Laden, trasmesso da al-Jazeera dopo l'inizio dei bombardamenti, conferma questa analisi. "O con noi, o con i terroristi" disse Bush il 20 settembre. Nell'appello di bin Laden all'ummah, l'intero mondo islamico, riecheggia la stessa logica: "Il mondo è diviso in due parti -- i credenti e gli infedeli". È ancora possibile che la jihad americana si debba misurare con quella islamica, mentre se non avessimo bombardato, ciò sarebbe stato assai improbabile. Ricordiamoci che finora abbiamo assistito solo alle prime scaramucce di quella che molti funzionari definiscono una guerra di lunga durata e su più fronti, nella quale secondo le parole del segretario alla difesa non ci saranno "pallottole d'argento" [nel senso di "soluzioni miracolose", ndt]. È evidente come il governo prepari il popolo americano ad accettare l'idea di un conflitto ampio e prolungato. Il mondo di bin Laden è lo stesso mondo di Bush, visto attraverso qualche strano specchio deformante. In un mondo diviso come quello che loro sembrano volere non ci sarebbe posto per chi desidera pace e giustizia. Ma non tutto è perduto. Il nostro primo passo dev'essere quello di mandare un messaggio, non solo al nostro governo, ma a tutto il mondo, dicendo "Questa azione compiuta in nostro nome è stata fatta contro la nostra volontà. Noi siamo contrari all'uccisione di persone innocenti, in qualsiasi paese vivano." Il passo successivo è quello di formare un movimento che cambi la politica incivile e autodistruttiva del nostro governo. Se non ci muoviamo ora per costruire un mondo nuovo, potremmo ritrovarci ben presto senza alcun mondo. Rahul Mahajan lavora per il National Board of Peace Action. Robert Jensen è professore di giornalismo all'Università del Texas. Appartengono entrambi al Nowar Collective (www.nowarcollective.com). Nello change the world before the world changes you www.peacelink.it/tematiche/latina/latina.htm
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