Re: [REQ] guerra: cosa dicono i vescovi?



At 04:21 24/11/01 +0100, you wrote:
>Se è possibile vorrei un'informazione.
>Mi interesserebbe conoscere le posizioni ufficiali delle varie conferenze
>episcopali cattoliche sul tema dell'attuale guerra. Ho trovato le
>dichiarazioni dei Vescovi dell'america latina e di quelli dell'asia, ma
>vorrei sapere se anche i vescovi dei paesi più "compromessi" (Europa,
>USA...) si sono espressi.
>Grazie per l'attenzione e per il preziosissimo lavoro che svolgete.
>Vi invito, infine, a visitare il sito del mio gruppo ed eventualmente a
>segnalarlo
>_________________________________
>Mauro Borghesi
>http://www.alternative.freeweb.org
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Segnalo l'intervento del Vescovo di Alba riportato qui sotto:

OGNI GUERRA AVVENTURA SENZA RITORNO

Avventura senza ritorno: questa definizione lapidaria delle guerre, di ogni
guerra, data da Giovanni Paolo II fin dai tempi dell’intervento militare
americano nel Golfo, dovrebbe risuonare quale richiamo martellante e
ineludibile, almeno per i cattolici tutti, pastori e fedeli laici, in questi
drammatici momenti in cui stranamente sembrano prevalere dubbi al riguardo o
un imbarazzante silenzio che finisce per attutire i rinnovati moniti del
Pontefice.

Non pochi credenti, più attenti e sensibili alle problematiche della
giustizia e della pace, si chiedono come mai, a livello di responsabili
pastorali italiani, non si faccia debita eco alle prese di posizione chiare
e coraggiose non di ideologi o estremisti politici, ma del Papa. Si
interrogano e soffrono perché sinceramente pensano che la Chiesa debba
essere più profetica e meno preoccupata di allinearsi alle scelte, peraltro
legittime, di questo o quel governo.

Si tratta infatti di responsabilità diverse per cui, senza negare le
competenze di chi rappresenta la pubblica autorità, non si può dimenticare
che la Chiesa, a livello di annuncio e di denuncia, è chiamata a
pronunciarsi, quando necessario, in modo diverso dalla logica mondana del
potere, soprattutto in difesa della vita degli innocenti, che hanno tutti lo
stesso valore e la stessa dignità, dalle vittime di New York a quelle
dell’Afghanistan e a tante altre.

In effetti, parecchi diocesani, sacerdoti e laici, hanno richiesto una
parola semplice, ma chiara, a chi porta la responsabilità di guidare la
Chiesa, non solo a proposito della strage operata dai terroristi in Usa, ma
pure sulla reazione, in primo tempo autoproclamatasi "giustizia infinita",
da parte degli americani e dei loro alleati, con i bombardamenti e i
massacri delle povere e innocenti popolazioni afghane. Credo sia giusto
tentare di dare una risposta onesta a queste attese, senza alcuna pretesa di
infallibilità, ma pure senza timore di scontentare qualcuno.

1. Innanzitutto mi pare importante denunciare la capziosità del dilemma
molto gridato: «Chi non accetta la guerra proclamata dagli Usa sta con i
terroristi». Si può e si deve condannare ogni forma di terrorismo, non solo
quello contro l’America, e nel tempo stesso dissentire legittimamente dal
modo con cui si vuole eliminare il gravissimo pericolo.

2. Ma possono esistere (ancora) guerre "giuste"? Prescindendo da ogni
discussione storica, ci limitiamo a ciò che oggi emerge a livello di
magistero e di riflessione teologica ecclesiale. È vero che il Vaticano II,
quando nella costituzione pastorale Gaudium et spes tratta il problema della
guerra, al n. 79 ammette che, «finché non vi sarà un’autorità internazionale
competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità
di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto alla
legittima difesa», ma, subito dopo, il Concilio continua con altre
affermazioni, tali da rendere praticamente impossibile l’applicazione
concreta di questa possibilità teorica. Infatti, dopo aver brevemente
descritto, e solo in parte (siamo nel 1965!), l’inumana tecnica bellica
moderna, sostiene che comunque «ogni atto di guerra che indiscriminatamente
mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti
è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza
esitazione deve essere condannato» (n. 80).
Il Vaticano II condanna perciò la guerra "totale" che di fatto mira a far
vincere non importa come (è il caso dell’uso di armi nucleari, già
tristemente collaudato proprio dagli Usa in Giappone). E per questo
recentemente il cardinale Ratzinger ha dichiarato che «le risposte elaborate
dalla tradizione cristiana, a proposito della guerra di difesa, devono
essere aggiornate sulla base delle nuove possibilità di distruzione, dei
nuovi pericoli. Provocare, ad esempio, con una bomba atomica la distruzione
dell’umanità, può forse anche escludere ogni difesa».

3. Ma si impone un’ulteriore precisazione. È nella natura intrinseca della
guerra che l’uomo sia armato per colpire e uccidere un altro uomo. Ciò senza
alcun rapporto diretto con un avversario, come avviene in caso di legittima
difesa. La quale, peraltro, anche quando è giustificabile, lascia sempre un
segno indelebile e traumatizzante in una coscienza sensibile.

4. L’assurdità e l’immoralità della guerra consistono esattamente in questo:
essa fa delle vittime non solo in coloro che sono colpiti a morte senza
essere responsabili di alcun crimine e quindi innocenti, ma, con una logica
perversa intrinseca alla natura della guerra stessa, fa delle vittime pure
in coloro che colpiscono, perché diventano uomini costretti a uccidere altri
uomini, a togliere la vita a fratelli e a ferire la propria per sempre.
Questa pare essere la verità scomoda, ma autentica, al di là di ogni desueta
retorica.

5. Senza pretendere affatto di giudicare o condannare alcuno, specie coloro
che devono decidere della vita degli altri, a cominciare dai propri
cittadini mandati a morire, non si può sottacere la perplessità che nasce
dal fatto che in tanti altri casi di conflitti e di veri e propri massacri
ci si sia ben guardati dall’intervenire, dando così l’impressione che alcune
vittime siano più vittime di altre.

6. In ogni caso, pare che sia da ricordare un vecchio principio morale,
sempre valido, per cui altro è sopportare il male fatto da altri e tentare
di difendersi; altro è positivamente e direttamente causarne uno peggiore da
parte nostra. Dimenticare questo significa cadere dalla logica della
giustizia a quella della vendetta o rappresaglia, tipica del dramma
israeliano e palestinese. Se vogliamo essere minimamente coerenti con il
Vangelo, il magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, questa
dovrebbe essere l’indicazione cristiana per un retto giudizio di coscienza
di tutti coloro i quali dicono di riferirsi a questo insegnamento, compresi
i parlamentari italiani che hanno votato per la guerra in grande
maggioranza, a parte le (troppo) poche eccezioni.

7. Non possiamo concludere questa riflessione senza ricordare che, al di là
delle decisioni dei potenti di turno, per noi esiste sempre un modo tipico
di impegno: la preghiera a Dio, l’unico capace di toccare menti e cuori per
costruire progetti di pace per tutti; naturalmente invocandolo non perché ci
dia ragione («Dio è con noi!»), ma perché ci converta. Dio, infatti, non sta
dalla parte di nessuno, se non dei più deboli e degli ultimi. Soprattutto,
non benedice mai la guerra, ma la pace. Sempre!

    +Sebastiano Dho,
     vescovo
  
da “Gazzetta d’Alba”  n.44 - 21 novembre 2001