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Chi sono questi "combattenti della libertà"?
- Subject: Chi sono questi "combattenti della libertà"?
- From: "slobodanarodu at libero.it" <slobodanarodu at libero.it>
- Date: Tue, 13 Nov 2001 14:09:28 +0100
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La grande stampa di regime, americana ma anche europea, sta dispiegando tutte le sue forze per favorire, sul piano propagandistico, l’avanzata dell’Alleanza del Nord e la costituzione, a Kabul, di un governo di “unità nazionale” sotto la guida spirituale dell’ex re Zahir Shah. Un governo che dovrebbe avere come “braccio armato” proprio le milizie mujaheddin del defunto Massud, che oggi vedono come figure di spicco Ismail Kahn e il generale uzbeko Abdul Rashid Dostun. Messi in secondo piano gli effetti devastanti delle “bombe intelligenti” angloamericane (anche questa volta all’uranio impoverito), abbattutesi sugli “obiettivi strategici” di turno (leggasi scuole, ospedali, case, mosche, depositi di viveri), la macchina mediatica –applicando alla lettera gli ordini della Cia e dei vari uffici stampa governativi- si sta mobilitando per fornire quel minimo di legittimità necessaria all’Alleanza del Nord; per permettere ai probabili futuri padroni dell’Afghanistan, sempre che tutto proceda secondo le previsioni di Bush, Blair e Clark, di governare con il sostegno della comunità internazionale. I mujaheddin vengono fatti passare, come ai tempi della lotta contro i sovietici, per “combattenti della libertà”, per veri patrioti afghani, per partigiani devoti alla santa crociata dell’antiterrorismo e dell’antifondamentalismo. E così, anche i nostri telegiornali riversano nelle case di tutti gli italiani le immagini dei vari inviati d’assalto, spediti nelle roccaforti dell’Alleanza del Nord per documentare la gloriosa marcia verso Kabul: barbuti leader, con il loro inseparabile copricapo di feltro, che contano le ultime ore restate ai nemici Talebani; bambini sorridenti con il kalashnikow in pugno; rifugiati che raccontano i soprusi subiti da parte degli “studenti di teologia”. Senza dubbio, un bel quadretto di famiglia, ma qualcosa non quadra. Il primo dubbio che sorge è: ma dove sono le donne? Lasciamo stare le prime linee del conflitto, riservate esclusivamente al virile arditismo degli uomini, ma nelle retrovie, nei territori “liberati” da Kahn e Dostun, dove sono le principali vittime dell’oscurantismo talebano? Non sarebbe giornalisticamente corretto documentare, anche in chiave propagandistica, la rinascita di quei tanto decantati diritti umani sotto la nuova gestione afghana (afghana si fa per dire, visto che i gruppi ribelli in larga parte rappresentano alcune delle minoranze etniche presenti nel paese), a partire dalla liberazione dalla schiavitù del burka? Per loro sfortuna, i nostri impavidi cronisti non hanno potuto immortalare nulla di simile: nelle zone sottoposte al controllo dell’Alleanza del Nord, a quanto pare il 50% della superficie dell’Afghanistan, è praticamente impossibile incontrare le donne nelle strade, scambiare con loro quattro chiacchiere, riprenderle a volto scoperto, vederle tornare alla “normalità”, come ai tempi del regime laico e progressista che governava Kabul, prima dell’avvento degli islamisti pagati da Washington. Si sono ritirati i soldati del mullah Omar e di bin Laden, ma tutto resta immutato, perché anche anche i nuovi “liberatori” hanno idee ben chiare circa i futuri assetti della società afghana e il ruolo delle donne, dettate dalla cieca osservanza della Sharia e da un integralismo religioso non meno oscurantista rispetto a quello dei Talebani. Chi sono veramente i nuovi partigiani della lotta contro la minaccia terrorista e i fondamentalisti? Si potrebbe rispondere citando i comunicati ufficiali della RAWA, una delle organizzazioni che si batte per l’emancipazione della donna afghana, che considera i “Jehadi” (come è definita l’Alleanza del Nord) per niente dissimili ai Talebani, accomunati tra <<i più infidi, i più criminali, i più antidemocratici e misogini partiti integralisti islamici>> (nota stampa del 14 settembre 2001). Ma la risposta ce la forniscono gli stessi media, quando riescono a trovare un barlume di lucidità e di “imparzialità”. Andiamoci a leggere “La Repubblica” di oggi, prendendo come oggetto la scheda biografica –pubblicata a pagina 18 e senza alcuna firma- sul generale Dostum. Il titolo è già tutto un programma: “Ufficiale e trafficante, la vera storia di Dostum”. Possiamo così apprendere che il “generale d’acciaio” <<nel corso degli anni ha abbracciato diverse posizioni e un ombra è sempre rimasta sulla provenienza dei finanziamenti con cui mantiene il suo esercito: il traffico di stupefacenti, l’industria da sempre più fiorente in Afghanistan>>. Per non parlare, poi, dei “meriti” conquistati sul campo: <<Amnesty International lo ha accusato di gravi atrocità nei confronti della popolazione civile e della violenza sulle donne, perpetrata dalle sue truppe tristemente note per la loro ferocia>>. Ancora più chiaro l’articolo pubblicato dal “Corriere della Sera” lo scorso 2 ottobre, circa la figura di Ismail Kahn, “L’ultimo leone afghano sfuggito alle prigioni del mullah Omar”. Nel reportage firmato da Andrea Nicastro si descrive Kahn come <<l’Innominato manzoniano, un signorotto con al servizio tanti Don Rodrigo, ognuno dei quali ha il suo esercito privato di “bravi” che, invece degli schioppi, hanno i carriarmati rubati ai sovietici>>. Da dove trae origine la fama che si è conquistato questo nuovo-vecchio ascaro degli stati maggiori USA? Ai tempi della rivolta contro il governo di Najibullah, il nostro prode <<collaudò i suoi denti da leone facendo a pezzi cento consiglieri sovietici presenti in città. Tanto per fare capire al mondo con chi aveva a che fare, Ismail Kahn fece portare per le strade della città le teste dei sovietici infilzate in cima ai bastoni>>. Non c’è che dire, un sincero democratico… Trafficanti internazionali di droga, barbari tagliatori di gole, integralisti non meno pericolosi dei capri espiatori Talebani: questi sono i personaggi a cui il civile Occidente si appresta a consegnare i destini dell’Afghanistan. Aggiungiamoci gli interessi strategici della famiglia Bush e della lobby americana del petrolio, in corsa per accaparrarsi uno degli oleodotti più importanti di quell’area, e la palese campagna di accerchiamento ai danni della Cina e delle ex Repubbliche sovietiche (in primis la Russia). Ecco svelate le ragioni per cui andranno a combattere, e forse a morire, anche i soldati italiani chiamati all’appello da Berlusconi, Fini, Rutelli e Fassino. Omar Minniti Reggio Calabria
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