Chi sono questi "combattenti della libertà"?



La grande stampa di regime, americana ma anche europea, sta dispiegando 
tutte le sue forze per favorire, sul piano propagandistico, l’avanzata 
dell’Alleanza del Nord e la costituzione, a Kabul, di un governo 
di “unità nazionale” sotto la guida spirituale dell’ex re Zahir Shah. 
Un governo che dovrebbe avere come “braccio armato” proprio le milizie 
mujaheddin del defunto Massud, che oggi vedono come figure di spicco 
Ismail Kahn e il generale uzbeko Abdul Rashid Dostun. 
Messi in secondo piano gli effetti devastanti delle “bombe 
intelligenti” angloamericane (anche questa volta all’uranio 
impoverito), abbattutesi sugli “obiettivi strategici” di turno (leggasi 
scuole, ospedali, case, mosche, depositi di viveri), la macchina 
mediatica –applicando alla lettera gli ordini della Cia e dei vari 
uffici stampa governativi- si sta mobilitando per fornire quel minimo 
di legittimità necessaria all’Alleanza del Nord; per permettere ai 
probabili futuri padroni dell’Afghanistan, sempre che tutto proceda 
secondo le previsioni di Bush, Blair e Clark, di governare con il 
sostegno della comunità internazionale. I mujaheddin vengono fatti 
passare, come ai tempi della lotta contro i sovietici, per “combattenti 
della libertà”, per veri patrioti afghani, per partigiani devoti alla 
santa crociata dell’antiterrorismo e dell’antifondamentalismo. E così, 
anche i nostri telegiornali  riversano nelle case di tutti gli italiani 
le immagini dei vari inviati d’assalto, spediti nelle roccaforti 
dell’Alleanza del Nord per documentare la gloriosa marcia verso Kabul: 
barbuti leader, con il loro inseparabile copricapo di feltro, che 
contano le ultime ore restate ai nemici Talebani; bambini sorridenti 
con il kalashnikow in pugno; rifugiati che raccontano i soprusi subiti 
da parte degli “studenti di teologia”.
Senza dubbio, un bel quadretto di famiglia, ma qualcosa non quadra. Il 
primo dubbio che sorge è: ma dove sono le donne? Lasciamo stare le 
prime linee del conflitto, riservate esclusivamente al virile arditismo 
degli uomini, ma nelle retrovie, nei territori “liberati” da Kahn e 
Dostun, dove sono le principali vittime dell’oscurantismo talebano? Non 
sarebbe giornalisticamente corretto documentare, anche in chiave 
propagandistica, la rinascita di quei tanto decantati diritti umani 
sotto la nuova gestione afghana (afghana si fa per dire, visto che i 
gruppi ribelli in larga parte rappresentano alcune delle minoranze 
etniche presenti nel paese), a partire dalla liberazione dalla 
schiavitù del burka?
Per loro sfortuna, i nostri impavidi cronisti non hanno potuto 
immortalare nulla di simile: nelle zone sottoposte al controllo 
dell’Alleanza del Nord, a quanto pare il 50% della superficie 
dell’Afghanistan, è praticamente impossibile incontrare le donne nelle 
strade, scambiare con loro quattro chiacchiere, riprenderle a volto 
scoperto, vederle tornare alla “normalità”, come ai tempi del regime 
laico e progressista che governava Kabul, prima dell’avvento degli 
islamisti pagati da Washington. Si sono ritirati i soldati del mullah 
Omar e di bin Laden, ma tutto resta immutato, perché anche anche i 
nuovi “liberatori” hanno idee ben chiare circa i futuri assetti della 
società afghana e il ruolo delle donne, dettate dalla cieca osservanza 
della Sharia e da un integralismo religioso non meno oscurantista 
rispetto a quello dei Talebani. 
Chi sono veramente i nuovi partigiani della lotta contro la minaccia 
terrorista e i fondamentalisti? Si potrebbe rispondere citando i 
comunicati ufficiali della RAWA, una delle organizzazioni che si batte 
per l’emancipazione della donna afghana, che considera i “Jehadi” (come 
è definita l’Alleanza del Nord) per niente dissimili ai Talebani, 
accomunati tra <<i più infidi, i più criminali, i più antidemocratici e 
misogini partiti integralisti islamici>> (nota stampa del 14 settembre 
2001). Ma la risposta ce la forniscono gli stessi media, quando 
riescono a trovare un barlume di lucidità e di &#8220;imparzialità&#8221;.
Andiamoci a leggere &#8220;La Repubblica&#8221; di oggi, prendendo come oggetto la 
scheda biografica &#8211;pubblicata a pagina 18 e senza alcuna firma- sul 
generale Dostum. Il titolo è già tutto un programma: &#8220;Ufficiale e 
trafficante, la vera storia di Dostum&#8221;. Possiamo così apprendere che 
il &#8220;generale d&#8217;acciaio&#8221; <<nel corso degli anni ha abbracciato diverse 
posizioni e un ombra è sempre rimasta sulla provenienza dei 
finanziamenti con cui mantiene il suo esercito: il traffico di 
stupefacenti, l&#8217;industria da sempre più fiorente in Afghanistan>>. Per 
non parlare, poi, dei  &#8220;meriti&#8221; conquistati sul campo: <<Amnesty 
International lo ha accusato di gravi atrocità nei confronti della 
popolazione civile e della violenza sulle donne, perpetrata dalle sue 
truppe tristemente note per la loro ferocia>>.
Ancora più chiaro l&#8217;articolo pubblicato dal &#8220;Corriere della Sera&#8221; lo 
scorso 2 ottobre, circa la figura di Ismail Kahn, &#8220;L&#8217;ultimo leone 
afghano sfuggito alle prigioni del mullah Omar&#8221;. Nel reportage firmato 
da Andrea Nicastro si descrive Kahn come <<l&#8217;Innominato manzoniano, un 
signorotto con al servizio tanti Don Rodrigo, ognuno dei quali ha il 
suo esercito privato di &#8220;bravi&#8221; che, invece degli schioppi, hanno i 
carriarmati rubati ai sovietici>>. Da dove trae origine la fama che si 
è conquistato questo nuovo-vecchio ascaro degli stati maggiori USA? Ai 
tempi della rivolta contro il governo di Najibullah, il nostro prode 
<<collaudò i suoi denti da leone facendo a pezzi cento consiglieri 
sovietici presenti in città. Tanto per fare capire al mondo con chi 
aveva a che fare, Ismail Kahn fece portare per le strade della città le 
teste dei sovietici infilzate in cima ai bastoni>>. Non c&#8217;è che dire, 
un sincero democratico&#8230;
Trafficanti internazionali di droga, barbari tagliatori di gole, 
integralisti non meno pericolosi dei capri espiatori Talebani: questi 
sono i personaggi a cui il civile Occidente si appresta a consegnare i 
destini dell&#8217;Afghanistan. Aggiungiamoci gli interessi strategici della 
famiglia Bush e della lobby americana del petrolio, in corsa per 
accaparrarsi uno degli oleodotti più importanti di quell&#8217;area, e la 
palese campagna di accerchiamento ai danni della Cina e delle ex 
Repubbliche sovietiche (in primis la Russia). Ecco svelate le ragioni 
per cui andranno a combattere, e forse a morire, anche i soldati 
italiani chiamati all&#8217;appello da Berlusconi, Fini, Rutelli e Fassino. 

Omar Minniti
Reggio Calabria