La guerra in Afghanistan e il fondamentalismo dell'Occidente



Un documento del Forum delle donne di Rifondazione comunista

La guerra in Afghanistan e il fondamentalismo dell'Occidente

Condanniamo in maniera radicale il terrorismo che semina morte, ottenebra le
menti, distrugge la possibilità di convivenza e di solidarietà tra i popoli.
Ma poiché siamo in Occidente è soprattutto della guerra che gli Usa e tutto
l'Occidente hanno scatenato contro l'inerme popolazione afghana che vogliamo
parlare. Una guerra infinita - di questo è metafora l'espressione "Giustizia
infinita" - che ha già creato nel mondo intero un immaginario da conflitto
globale, attivando nei Paesi occidentali la psicosi del pericolo di guerra e
nell'area di quelli che la nuova Nato chiama con maligna intenzione "stati
canaglia" una terribile spirale di radicalizzazione integralistica e di odio
anti-occidentale.
Anche questa guerra è un atto di terrorismo: lo vogliamo dire senza mezzi
termini. Essa risponde alla stessa logica: semina anch'essa morte e
distruzione, annienta alla radice la civiltà delle relazioni umane, della
convivenza tra i popoli, della condivisione con gli altri, le altre dell'
umanità che è in noi. Come il terrorismo, anch'essa non rispetta nessuna
regola, nessuna convenzione tra gli Stati, nessun trattato internazionale;
non diversamente dal terrorismo, cela la verità dei fatti e delle ragioni
che armano le sue strategie.
La differenza di giudizio sta solo nell'occhio che vede e giudica i fatti.
L'occhio dell'Occidente vede l'orrore soltanto quando a subirlo è lui
stesso, quando l'aggressione è condotta al suo interno, quando le sue
sicurezze sono messe sotto scacco. La differenza sta solo in chi si arroga
il potere di definire senza appello, e in forma assoluta, ciò che è giusto,
legittimo, legale e ciò che è ingiusto, illegittimo, illegale. Un potere
divino, che i gruppi di maschi che ancora dominano in tutto il mondo,
ancorché in campi opposti, hanno rubato agli dei, facendone il piedistallo
della loro potenza e del loro potere.
Per fare la guerra contro l'Afghanistan - come già per le altre guerre del
"Nuovo Ordine Mondiale" che hanno concluso il Novecento - l'Occidente viola
la sua stessa legalità e smantella quel contesto di "ripudio della guerra",
faticosamente costruito dopo gli orrori bellici del Novecento. Nello stesso
tempo si arroga il diritto e il potere di ridefinire la tavola della
legalità, di indicare i soggetti, i modi, le ragioni che rendono legittimo
oggi il ricorso alla violenza militare. E crea il contesto materiale e
simbolico più adatto a farci convivere con la nuova realtà della guerra
globale, con la pervasività del messaggio mediatico che ci dice che "il
nemico è tra noi" e "dobbiamo vigilare". Così il nostro mondo si popola di
musulmani nemici, i diritti costituzionali non sono più tali per nessuno, le
risorse pubbliche vengono indirizzate alle spese di guerra.
Avversiamo fondamentalismi e integralismi di ogni tipo, "giustizie
infinite", "libertà durature", crociate e guerre sante fatte in nome di un
qualche dio che non amiamo né mai abbiamo amato. Quei fondamentalismi celano
sempre interessi materiali e strategie di potere di gruppi sociali, stati,
regimi facilmente identificabili, se solo cessasse la propaganda di guerra.
E bloccano alla radice o snaturano o riportano indietro i processi di
emancipazione e liberazione umana, moltiplicando in particolare il peso dei
patriarcalismi che opprimono le donne in troppe parti del pianeta.
Se oggi scegliamo di parlare del fondamentalismo dell'Occidente, è perché
assumiamo un punto di vista femminista che vuole essere asimmetrico rispetto
a quel pensiero unico maschile che costruisce le regole e il simbolico
dell'appartenenza di donne e uomini: un'appartenenza totalizzante e
identitaria che rifiutiamo. Prendere le distanze, sottrarsi, criticare il
luogo in cui si è, smarcarsi da appartenenze costruite dal dominio sociale e
simbolico dei poteri costituiti, ma nello stesso tempo, e in ragione di ciò,
ritrovare quel filo di pensiero critico e di coraggio della libertà che
tanto peso ha avuto nella storia sociale di questa parte del mondo dove
viviamo: vogliamo partire da qui e ci sembra questa una grande risorsa di
ragionevolezza umana che il pensiero novecentesco delle donne ci lascia in
eredità per questi tempi difficili.
L'Occidente capitalistico ha costruito se medesimo, il benessere delle sue
classi dirigenti e il consenso sociale di cui gode sul malessere della
stragrande maggioranza del pianeta, oltre che sul disagio di tanti e tante
che abitano le sue stesse zone.
Al centro di questo modello di vita e di sviluppo ci sono oggi gli USA, una
superpotenza che in più di due secoli di storia si è costruita sull'orgoglio
pionieristico, sull'accumulazione di profitti, sul bisogno di sicurezza di
una middle-class che ama i recinti e i simili a sé, che pensa ad un dio
americano per punire i cattivi, scendendo nella valle di Josafat con la
bandiera a stelle e strisce.
E' soprattutto in questo mondo, che ritiene di aver raggiunto il massimo di
civiltà e misura gli altri con il proprio metro, che il capitalismo si è
fatto globalizzazione neoliberista, onnivora, invisibile, quasi ordine
naturale del mondo, civiltà superiore.
Già nei cinquant'anni che abbiamo alle spalle, gli USA hanno combattuto una
guerra per l'egemonia e il dominio del mondo, presentata anche quella come
"giusta" e "santa", contro il Male. Una guerra denominata "fredda" contro
l'URSS, che gli Stati Uniti hanno vinto per tante ragioni, non ultima per
l'incapacità intrinseca di quei regimi di offrire un'alternativa al
capitalismo - il pane e le rose di un'utopia possibile - e soprattutto per
aver essi travolto l'idea stessa del socialismo, nella lunga catena di
errori mortali e orrori micidiali che ne hanno caratterizzato la storia. Ma
vinta, quella guerra, anche perché gli USA non hanno esitato a ricorrere a
tutte le armi per "far fuori il nemico". Compreso il ricorso continuo
all'illegalità del terrorismo, come le stesse vicende dell'Afghanistan
stanno a dimostrare. Osama Bin Laden è una creatura degli Stati Uniti e il
regime dei Talebani è anche il frutto di scelte che gli USA hanno compiuto
in passato per abbattere il regime filosovietico dell'Afghanistan.
La guerra globale che gli USA e l'Alleanza atlantica hanno avviato con
l'operazione "Libertà duratura" è tutta scritta e inscritta nell'articolo 24
del Nuovo concetto strategico della Nato, messo a punto, fuori dalla
legalità dei Parlamenti e della sovranità popolare, da un vertice dei
governi alleati nel corso della guerra nei Balcani. Quell'articolo parla del
diritto della Nato di intervenire in tutte le aree del mondo in cui sia
messo a rischio, per l'Occidente, il controllo delle risorse, in cui le
condizioni geo-economiche e le dinamiche politiche possano favorire
l'emergere di nuovi Stati con pretese egemoniche.
Questo sta dietro l'operazione "Libertà duratura".
La propaganda bellica sostiene che si è formata una grandissima coalizione
internazionale, di cui fanno parte anche Paesi islamici, in appoggio alla
guerra della Nato e che quasi tutto il mondo è d'accordo con la decisione
degli USA di punire Bin Laden bombardando l'Afghanistan. A noi non sembra
che le cose stiano così. La coalizione risponde sopratutto, in tutte le sue
parti, a calcoli politici, a strategie di potere assai diverse e
contrastanti, e ha dentro di sé contraddizioni esplosive che si vanno
accumulando soprattutto nei Paesi islamici, a cominciare dal Pakistan.
Oggi dall'interno delle società islamiche si sprigiona spesso un terrorismo
feroce, tutto giocato sullo scacchiere internazionale, globalizzato,
ispirato da una gelida, fanatica, fondamentalistica autonomia del politico
(nel suo messaggio Bin Laden ha usato il concetto occidentale di
"avanguardia" dei musulmani), totalizzante e disumana, che promette i
giardini dell'Eden a uomini che fanno dei propri corpi macchine belliche per
darsi e dare morte, secondo la tradizione eroica del pensiero maschile, che
collega il corpo al sacrificio, al sacro, alla morte. Il terrorismo che,
dietro la retorica religiosa integralistica, è mosso da strategie di potere,
muove e facilita altre strategie di potere, un'altra lunga guerra da vincere
per l'Occidente: il dominio del mondo, sulle vie e sui potenti del petrolio,
che di volta in volta vengono armati, scelti come alleati, incoraggiati
nella produzione e nel commercio di droghe, facilitati nelle speculazioni
finanziarie oppure demonizzati, bombardati, annientati.
Niente è più come prima: così è stato detto e ridetto, dopo l'attentato alle
Twin Towers.
Per noi è vero soltanto nel senso che nulla deve essere come prima, a
cominciare dalla capacità di leggere il presente e operare contro il
disastro.
Ci sembra che troppe cose tragicamente si ripetano: mentre uno sceicco
islamico, che ha costruito le sue fortune investendo in Occidente, riesce a
ingannare - come, quanto, perché: vorremmo sapere - le misure di sicurezza
americane (e italiane e tedesche e inglesi), a colpire i simboli più
significativi e emblematici dell'Occidente, la tecnologia, l'economia e
l'intelligence militare, causando la morte di migliaia di persone, Bush
rispolvera il copione della più logora retorica patriottarda e si costruisce
il consenso in patria e nel mondo, additando all'odio il feroce saladino di
turno (da Saddam, a Milosevic a Bin Laden), per bombardare territori
indifesi e popolazioni inermi, creare il deserto al di là dei propri recinti
smisuratamente allargati.
Ci colpisce l'offesa alla dignità delle popolazioni, l'umiliazione
all'intelligenza critica delle donne e degli uomini. Oggi si promette (o si
finge di promettere) lo Stato ai Palestinesi - ma la grande coalizione
mondiale non riesce neanche ad assicurare una tregua a questo popolo
massacrato - mentre si creano condizioni di guerra civile nei paesi
islamici, si gettano razioni alimentari con burro di arachidi nei territori
minati, si chiede ai bambini statunitensi l'obolo di un dollaro per i
bambini afghani che abbiamo visto insanguinati nell'ospedale di Gino Strada.
E si scopre, solo oggi, che le donne afghane sono oppresse e martirizzate da
un feroce regime maschile e si invoca la loro libertà a opera di quei cyber
guerrieri che organizzano bordelli dovunque si rechino a "portare pace e
libertà".
Per questo non possiamo che contrastare ogni giorno e ogni momento della
nostra vita questa guerra: senza "se" e senza "ma", come è stato
opportunamente scritto nei documenti del GSF, dichiarandoci contro un'azione
bellica necessaria soltanto, come scrive Alex Zanotelli, a foraggiare e dare
gloria all'apparato militare americano.
Vogliamo parlare contro tutti gli equivoci linguistici e gli slittamenti
semantici che siamo costrette a subire: dalla "giustizia infinita" alla
"libertà duratura" alla "pace" come contenitore indifferenziato
dell'ipocrisia ulivista, nella migliore delle ipotesi mera aspirazione etica
e non progetto politico di pace. E sulle invocate operazioni di "polizia
internazionale" sotto l'egida dell'ONU, vogliamo dire che o esse sono
ispirate e dirette dall'azione di un Tribunale internazionale, riconosciuto
come tale da tutti i Paesi e operante secondo regole del diritto
internazionale e in un contesto di rilancio effettivo del ruolo "supra
partes" delle Nazioni Unite, o si risolvono in azioni di guerra camuffate
alla Rambo. Il terrorismo si affronta con un'azione investigativa
internazionale, volta a identificare e neutralizzare la rete complessa delle
sue organizzazioni e complicità, e con rigidi controlli sulle speculazioni
finanziarie, sugli arricchimenti, sui traffici di armi e di droga. E con il
coinvolgimento di tutti i Paesi del mondo, soprattutto operando
concretamente per eliminare le basi del consenso popolare con l'eliminazione
del debito dei Paesi poveri, la giustizia sociale, la lotta alle radici
dello sfruttamento e della povertà, la fine di tutti gli embarghi della
Nato, la risoluzione del problema palestinese. I terroristi vanno catturati
su ordine di una magistratura internazionale, processati e condannati
secondo il diritto e le norme.
Si accusano i pacifisti e le pacifiste di inerzia, di non avere risposte per
il tremendo avvenimento dell'11 settembre. Non ci piace nasconderci dietro
la pur facile contabilità dei morti di fame, di AIDS, di guerre, per lo più
a causa di questo sviluppo del mondo. Ma la materialità dei fatti spiega
spesso efficacemente le cose mentre poco le spiega la vacua retorica
dell'orrore telecomandato. Lo scienziato Giorgio Parisi, primo candidato
italiano al Nobel per la fisica, ci ricorda che nella Seconda Guerra
Mondiale sono morte cinquanta milioni di persone. Da allora a oggi ne sono
morte altrettante; in guerra, naturalmente. Di questi, duecentomila sono
"nostri": e cioè 58.000 americani in Vietnam, e poi i sovietici in
Afghanistan, i francesi in Indocina e Algeria. Parisi aggiunge che gli altri
cinquanta milioni sono "loro", Terzo mondo. C'è da stupirsi dell'odio contro
di "noi"?
Facciamo appello per una diserzione dei cuori, delle menti, dei corpi dal
contesto di guerra in cui vogliono costringerci, dal processo di
militarizzazione della vita, dell'immaginario, del futuro che si sta creando
intorno a noi.
Chiediamo l'immediata cessazione dei bombardamenti e di ogni altra
operazione di guerra in Afghanistan. Chiediamo che il nostro Paese si
dissoci dalla guerra denominata "Libertà infinita" e che sviluppi in tutte
le sedi ogni possibile iniziativa per la pace, l'assistenza delle
popolazioni profughe dell'Afghanistan, la soluzione della questione
palestinese, la fine dell'embargo contro l'Iraq.
Ci rivolgiamo al grande movimento anti-globalizzazione, all'interno del
quale anche noi ci riconosciamo, perché faccia della critica della guerra e
della politica di pace un terreno centrale della propria iniziativa, la base
costituente della propria progettualità.




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