[information guerrilla #6] Mobilitiamoci contro la guerra



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                              24-09-01
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(che ringraziamo) e sono utilizzati senza fini di lucro esclusivamente per
contribuire alla loro diffusione ed a quella delle fonti.
Per iscrizioni, cancellazioni, arretrati, collaborazioni, contatti,
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Inoltrate e diffondete! Grazie.
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In questo numero:
>>> MOBILITIAMOCI CONTRO LA GUERRA
1> LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
2> PACE, PETIZIONE A BUSH
3> LUIGI CIOTTI: UN MONDO SENZA ARMI E SENZA INGIUSTIZIA E' POSSIBILE
4> IL 14 OTTOBRE LA MARCIA DELLA PACE PERUGIA-ASSISI
5> LE DONNE AFGHANE VITTIME DEI TALIBAN: "NON BOMBARDATE I CIVILI"
6> DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA CONTRO LA
GUERRA
7> USA, IL TERRORE A MEZZO SERVIZIO
8> CHI È OSAMA BIN LADEN, L'UTILE MOSTRO "WANTED"
9> NOTE DI UN'ANTIAMERICANA
10> LETTERA DI RINGRAZIAMENTO A BARBARA LEE
11> BIN LADEN, L'OLEODOTTO E BUSH
>>> LINKS: the Coca Cola crimes / Impregilo. i crimini del capitalismo
italiano nel mondo / Piccole bombe crescono: la pericolosità
dell'ultradestra italiana / storia segreta del signor Savoia / dopo la
"guerra fredda". geopolitica e strategia della Nato/ nazione nucleare: le
armi di distruzione di massa in israele / Scienziate e scienziati contro la
guerra / L'Italia e la Nato / Boycott / Giano / La Leva / Terre Libere /
Covert Action
>>> LETTURE: Ecocidio di J. Rifkin / La CIA in Guatemala. Gli orrori di un
genocidio
>>> NO GLOBAL: compri cose di cui non hai bisogno / le 200 società che
controllano il mondo / Genova e dopo, un punto di svolta
>>> SITI AMICI
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# mobilitiamoci contro la guerra #
1> LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Sottoscriviamo e diffondiamo questa lettera del Centro di ricerca per la
pace:
Al Presidente della Repubblica
al Presidente del Senato della Repubblica
al Presidente della Camera dei Deputati
al Presidente del Consiglio dei Ministri

Egregi signori,
con la presente vorremmo sottoporre alla vostra attenzione quanto segue:
1. il diritto internazionale non contempla il diritto di uno stato di
scatenare una guerra contro un altro stato o piu' stati adducendo a pretesto
il fatto che sul suo o loro territorio si trovino gruppi criminali.
Secondo tale ragionamento essendoci in Italia organizzazioni mafiose
qualunque stato potrebbe aggredire il nostro paese.
2. La Costituzione della Repubblica Italiana non consente al nostro paese di
partecipare a una guerra di aggressione.
La partecipazione o il sostegno italiano a una guerra di aggressione e'
quindi impossibile, ed un governo che tale partecipazione o sostegno
disponesse si collocherebbe fuori della legalita', ed un Presidente della
Repubblica che tale partecipazione o sostegno avallasse commetterebbe il
delitto di alto tradimento.
3. Scatenando una guerra condotta attraverso uccisioni di massa (ed ogni
guerra contemporanea costitutivamente e' cosi') si riprodurrebbe l'azione
dei terroristi e si favoreggerebbe e proseguirebbe il loro disegno criminale
e disumano.
Chi promuovesse o prendesse parte a una tale guerra si farebbe complice e
seguace dei terroristi, si farebbe terrorista a sua volta.
4. Pertanto siamo a richiedervi di rispettare la legge fondamentale del
nostro ordinamento, cui avete giurato fedelta', e di esprimere l'opposizione
assoluta del nostro paese ad ogni eventuale azione di guerra.

Nella sciagurata ipotesi che una guerra venisse scatenata, che il governo
italiano decidesse la partecipazione ad essa del nostro paese, che il
Parlamento italiano non la respingesse, e che il Presidente della Repubblica
Italiana non la impedisse, a fronte di questa condotta illegale e criminale,
ed effettualmente golpista, il cui esito sarebbe di contribuire a provocare

stragi e la violazione della legalita' nel suo fondamento costituzionale,
ebbene, fin d'ora vi dichiariamo che:

a) ci opporremo alla guerra e ci impegneremo sia per salvare delle vite
umane innocenti in pericolo, sia in difesa della Costituzione della
Repubblica Italiana, dello stato di diritto, della legalita' e della
democrazia;
b) chiameremo l'intero popolo italiano ad opporsi alla guerra illegale e
criminale;
c) agiremo contro la guerra, contro il terrorismo, ed in favore della
legalita' e dei diritti umani, unicamente secondo modalita' rigorosamente
nonviolente, del tutto opposte ad ogni forma di violenza fisica, psicologica
ed anche solo verbale; col massimo impegno intellettuale e morale per
ricondurre tutti alla ragione e al rispetto del diritto e della legalita',
col massimo impegno concreto per contrastare operativamente la guerra e per
ottenere il ripristino della legalita' costituzionale.

Ed in particolare agiremo:
I. Con l'azione diretta nonviolenta: per opporci alla guerra ed ai suoi
apparati, cercando di mettere le strutture militari e tutte le attivita'
connesse alle armi (produzione, commercio, uso) in condizioni di non poter
agire, e quindi in condizioni di non nuocere all'incolumita' e alla vita di
esseri umani;
II. Con la disobbedienza civile di massa: chiamando tutti i cittadini, ed in
primo luogo tutti i pubblici dipendenti e gli operatori di servizi di
pubblica utilita', a noncollaborare con la guerra, ad opporsi alla
violazione della legalita', a negare il consenso a una decisione golpista e
stragista;
III. Con lo sciopero generale: per bloccare l'economia, la macchina
amministrativa e il paese, e costringere quel governo, quel Parlamento e
quel Presidente della Repubblica che avessero violato la legalita'
costituzionale a prendere atto dell'opposizione popolare ad una decisione
illegale e criminale, a recedere dalla loro decisione.

Tanto vi annunciamo fin d'ora, come e' proprio della tradizione delle lotte
nonviolente, affinche' voi fin d'ora sappiate quale sia la nostra opinione,
la nostra determinazione, la nostra azione nel caso che la guerra venisse
scatenata e che l'Italia vi prendesse parte.
Sperando che la guerra non scoppi, sperando che siate cosi' ragionevoli da
non volervi precipitare l'Italia, sperando che sappiate condividere la
nostra volonta' di rispettare e difendere la Costituzione della Repubblica
Italiana, lo stato di diritto, la legalita', la democrazia, il diritto di
ogni essere umano alla vita,
distintamente vi salutiamo, augurandovi una cosciente riflessione e un buon
lavoro nell'interesse del paese e dell'umanita', per la pace e per la
legalita', contro ogni forma di terrorismo e di criminalita', contro ogni
violazione dei diritti umani.

Per il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
il responsabile, Giuseppe Sini

Viterbo, 23 settembre 2001
Mittente: Centro di ricerca per la pace
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Fonte: http://www.nonviolenti.org/

Da non perdere: "La nonviolenza è in cammino", notiziario telematico
quotidiano!
http://www.nonviolenti.org/CRP/index.html
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# mobilitiamoci contro la guerra #
2> PACE, PETIZIONE A BUSH

La presente è una petizione che sarà mandata al Presidente Bush, e ad altri
leaders mondiali, sollecitando loro ad evitare una guerra come risposta
all'attacco terroristico contro il World Trade Center e il Pentagono questa
settimana. Per favore leggilo, firmalo e rinvia il link a più persone
possibile, il più presto possibile. Dobbiamo far circolare questo documento
rapidamente se vogliamo abbia un qualche effetto, visto che il Congresso
degli Stati Uniti ha già approvato una risoluzione che supporta ogni azione
militare che il Presidente Bush ritenga appropriata.
FIRMA QUI ! http://www.9-11peace.org/petition.php3
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# mobilitiamoci contro la guerra #
3> LUIGI CIOTTI: UN MONDO SENZA ARMI E SENZA INGIUSTIZIA E' POSSIBILE
Meglio la fine dell'ingiustizia che "giustizia infinita". Il riequilibrio
tra nord e sud del mondo, invece di seminare bombe, odio e morte. Una nuova
cultura, una nuova umanità che sappia risolvere i conflitti e lottare contro
la miseria, l'ignoranza, le intolleranze.

La vera e duratura garanzia di pace, stabilità e sicurezza è nella capacità
delle nazioni del mondo, a partire da quelle che hanno più ricchezza e
dunque più potere, di ritrovare unità, concerto nelle decisioni, coralità
nella definizione delle priorità. Nazioni unite significava, e deve tornare
pienamente a significare, questo. Certamente, e pur indirettamente, il
progressivo svuotamento e delegittimazione di sedi internazionali quali
l'Onu non ha contribuito a rendere più sicure e durature le relazioni di
pace tra i popoli e gli equilibri geopolitici tra le aree.
In questo stato di grave tensione e dopo i tragici lutti che hanno colpito
la popolazione americana, occorre far sì che l'emozione non soffochi la
ragione, che il dolore non accechi e zittisca la politica, che rimane lo
strumento principe per governare le relazioni tra gli stati, dirimendone e
prevenendone i conflitti.
Prima che di "giustizia infinita" occorrerebbe forse parlare di fine
dell'ingiustizia. Non è un gioco di parole: è la consapevolezza, fuori di
ogni retorica o demagogia, che il rapporto tra Nord e Sud del mondo è
contrassegnato storicamente da troppe disparità, ineguaglianze, povertà,
logiche di sfruttamento, razzismo e neocolonialismo. Uno squilibrio
pericoloso, rispetto al quale siamo spesso sordi e disattenti. Ragionarne
non significa certo allentare lo sdegno per il criminale attentato dell'11
settembre o diminuire la solidarietà verso le vittime e le popolazioni
colpite. All'opposto, significa ricercare una più efficace capacità di
prevenire nuovi lutti e di battere le organizzazioni criminali e il
fanatismo politico e religioso, sottraendo loro il consenso e contrastandone
l'operatività.
Queste ingiustizie, lo strangolamento economico di intere regioni e
continenti attraverso il meccanismo "usurario" del debito, la morte per
fame, per sete, per malattie evitabili, per desertificazione del territorio,
per nuovo schiavismo, per aids, per privazione dei diritti umani, per
intolleranze etnico-religiose, costituiscono nell'insieme una polveriera.
Promuovere giustizia, neutralizzare la polveriera, ristabilire equilibrio
geopolitico non può avvenire in forza delle armi, né con la logica della
rappresaglia o con la licenza di uccidere. Una logica che può apparire
legittimata dalla gravità inaudita degli avvenimenti, emotivamente
condivisibile, ma politicamente assai rischiosa e del resto moralmente e
culturalmente inaccettabile per quanti si riconoscono in Cristo e per chi
creda nelle regole dello stato di diritto. Nella guerra non c'è mai vero
sollievo per le vittime, non c'è riparazione per i torti subiti, non c'è
promozione di giustizia: c'è solo la certezza di incrementare la spirale
dell'odio.
La giustizia non si conquista sulla punta delle baionette, neppure quando si
hanno tutte le ragioni dalla propria parte o quando, come nel criminale
attacco dell'11 settembre a New York e a Washington, migliaia di persone
vengono uccise senza pietà e senza giustificazione alcuna. Non è certo con
nuove leggi repressive ed emarginanti contro gli immigrati, come sembra
farsi strada negli Usa, che si ferma la mano e l'odio del fanatismo etnico o
religioso. Anzi. Non è con l'aumento delle spese militari, con le
finanziarie e l'economia di guerra, che si stabilizzano e rendono sicure
certe aree geografiche o le nostre stesse città. Certo, la giustizia e la
sicurezza non si ottengono neppure con la rassegnazione o subendo
passivamente la violenza e il terrorismo. Questo deve essere chiaro e
ribadito.
Ma, al di là e dopo l'emozione che ci ha tutti colpito per la tragedia negli
Usa, e senza fare venire meno la massima solidarietà per la popolazione
colpita, la necessità vitale e lungimirante è quella di una nuova logica
politica, di una alleanza internazionale non solo contro il terrorismo, ma
per una nuova cultura nel rapporto tra i popoli, le religioni, i paesi e i
loro governi, che non metta sempre al primo posto la logica del profitto e
la legge del più forte (militarmente ed economicamente), ma quella della
tolleranza e del rispetto reciproco, della convivenza e dello sviluppo
comune.
Quando la parola passa alle armi, quali che siano le ragioni e gli
avvenimenti che determinano questa scelta, si tratta sempre di uno scontro
tra inciviltà. Invece, questo nostro mondo lacerato e insanguinato ha
bisogno di riscoprire una nuova umanità, un modo nuovo, radicalmente
diverso, radicalmente più giusto, non distruttivo, per affrontare e
risolvere i conflitti. Un modo radicalmente e rigorosamente nonviolento.
Un'utopia? Può sembrarlo, ma forse diventa credibile e praticabile se
osserviamo quanto l'opzione militare e la politica (e l'economia) che
preferiscono la risposta delle armi non hanno mai prodotto stabilità,
sicurezza e progresso. Al contrario, hanno sempre rinnovato, esteso e
moltiplicato i conflitti e le vittime, specie civili.
Allora - è il mio auspicio e impegno - paradossalmente la terribile strage
dell'11 settembre potrebbe innescare un soprassalto di lucidità nei governi
e nella coscienza collettiva, nella società civile globale, per interrompere
finalmente la spirale dell'odio e del terrore. Iniziando a metterne in
discussione i presupposti e sottraendosi al copione già scritto della
rappresaglia. Un copione di morte, sicuramente previsto e fortemente voluto
dagli occulti registi dell'11 settembre. Non facciamo il loro gioco, vi
prego."
Fonte: Il Manifesto, 22/09/01 - http://www.ilmanifesto.it
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# mobilitiamoci contro la guerra #
4> IL 14 OTTOBRE LA MARCIA DELLA PACE PERUGIA-ASSISI

"Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo
esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte
sentimento di solidarietà. Con loro condividiamo un profondo dolore, l'
angoscia e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il
mondo intero.
Nessuna giustificazione può coprire un simile atto di terrorismo condotto
contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere
ferma, netta e unanime, così come deve essere la reazione di tutte le donne
e gli uomini amanti della pace.
Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro
effetti si sono già propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a
lungo. Facciamo appello al senso di responsabilità di tutti i capi di Stato
e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio,
sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice
sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale.
Non solo l'America, ma il mondo intero sta diventando più insicuro. Questo è
il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire per
mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per
costruire un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul
ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo.
Per rendere il mondo più sicuro è necessario promuovere più cooperazione
internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno può più pensare
di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali indivisibili.
Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sarà per nessuno.
All'assunzione di responsabilità di molte organizzazioni della società
civile deve corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati. Nessuno
può farcela da solo.
Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica "casa comune"
di tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali
democratiche dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di
sicurezza, di pace e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta.
Popoli e governi, società civile e istituzioni debbono unirsi nell'
indispensabile tentativo di mettere fine a tutti i conflitti e alle grandi
violazioni dei diritti umani che continuano ad insanguinare il mondo.
Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e non nuovi muri. Abbiamo bisogno
di combattere l'egoismo, il cinismo, l'indifferenza, tutte le forme di
razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la disperazione.
Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e il primato
della politica e si mettano al servizio del bene comune globale.
Il nostro è un appello alla calma, al senso di responsabilità e all'impegno
per la pace. Il futuro è nelle nostre mani. E' con questo spirito e questa
consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in tanti da Perugia ad
Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per la pace e la
riconciliazione tra tutti i popoli."
Per adesioni e informazioni:
Tavola della pace, http://www.tavoladellapace.it/
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# mobilitiamoci contro la guerra #
5> LE DONNE AFGHANE VITTIME DEI TALIBAN: "NON BOMBARDATE I CIVILI"
(di Najba Hotaky, Presidente dell'Associazione delle donne afghane ad
Amburgo, "Afghanischer Frauenverein".)

Signor Presidente Bush,
proviamo un profondo dolore per il popolo americano. Gli atti terroristici
che hanno strappato la vita a tanti esseri umani sono un crimine spaventoso
che noi, associazione delle donne afghane in Germania, condanniamo con tutta
la nostra forza.
Noi donne afghane viviamo in esilio e sappiamo cosa significa essere vittime
del fanatismo. Il regime dei Talebani non solo appoggia il terrorismo. I
Talebani hanno in pochi anni annientato le istituzioni politiche, hanno
mutilato gravemente la societá civile, hanno abolito la cultura. Sono
soprattutto le donne succubi di tale regime a patire immensamente. I diritti
umani non valgono per le donne afghane, se i giudici Talebani lo sentenziano
possono essere macellate come bestie davanti agli occhi dei propri figli.
Le donne afghane soffrono la fame, impazziscono, sono disperate. Per loro la
sola via di uscita é spesso il suicidio.
La sofferenza e la miseria della popolazione afghana non si puó descrivere.
La nostra gente ha perso tutto in decenni di guerra e adesso é un ostaggio
nelle mani di un regime terroristico. Molti afghani sono scappati, ma tanti
hanno dovuto rimanere. Sono prigionieri nelle loro case, nel loro paese.
La preghiamo, Signor presidente,
non permetta che la bombe cadano sull'Afghanistan. I terroristi sanno dove
nascondersi, anche i Talebani sanno come scampare al pericolo. Solo le donne
e i bambini, i mutilati, i vecchi non possono sfuggire. Non hanno neanche la
forza per farlo. E dove dovrebbero andare? I campi profughi sono
affollatissimi. Le frontiere chiuse. Il popolo afghano é in trappola. Signor
Presidente, non permetta che la popolazione civile afghana venga sterminata.
Persegua i terroristi, non lasci che il fuoco e la morte cadano sugli
innocenti.
Noi donne diamo la vita, per noi é la vita la cosa piú importante. La vita
di ogni essere umano. Portiamo il lutto per i morti del Suo popolo, Signor
presidente. Il lutto per il nostro popolo non trova tregua.
Singor presidente,
lasci sopravvivere i nostri bambini, le nostre sorelle e i nostri vecchi. La
vita é la sola cosa che possiedono. Non permetta che si bombardi la
popolazione civile.
Le bombe sono cieche. Cieche come i terroristi."
FONTE: Die Zeit
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# mobilitiamoci contro la guerra #
6> DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI AZIONE
DIRETTA NONVIOLENTA CONTRO LA GUERRA

Non di azioni meramente simboliche ma operative ed efficaci. O l'azione
nonviolenta sa contrastare concretamente la guerra o e' nella migliore delle
ipotesi una testimonianza, nella peggiore una pagliacciata.
Due anni fa proponemmo, e realizzammo ad Aviano, l'azione diretta
nonviolenta delle mongolfiere per la pace con cui ostruire lo spazio aereo
di decollo antistante e sovrastante le basi dell'aviazione militare
impedendo la partenza dei bombardieri.
Dimostrammo che e' possibile un'azione nonviolenta che contrasti  l'apparato
bellico sul terreno, con la forza della nonviolenza, senza mettere in
pericolo la vita di nessuno, nella massima limpidezza, riuscendo ad esempio
a impedire i decolli dei bombardieri.
Se una nuova guerra dovesse essere scatenata ed il nostro paese dovesse
prendervi parte, con cio' i decisori renderebbero l'Italia compartecipe di
un'azione doppiamente criminale: poiche' guerra e' sempre omicidio di
massa - la formula, definitiva, e' di Gandhi -, e poiche' la partecipazione
italiana configurerebbe la violazione della nostra Costituzione. Cosicche'
il governo, il parlamento e il presidente della Repubblica che facessero un
tale passo si collocherebbero fuori della legge ed il popolo italiano
sarebbe chiamato a ripristinare la legalita' e difendere l'ordinamento
giuridico, lo stato di diritto e la democrazia impedendo la partecipazione
del nostro paese al crimine bellico.
Dinanzi alla partecipazione italiana alla guerra avremmo tutti l'obbligo
morale e giuridico di togliere il consenso ai decisori pubblici stragisti, e
di opporci efficacemente alla guerra in nome del diritto, dell'umanita',
della stessa legge fodnamentale della nostra Repubblica.
*
E per contrastare praticamente, e non solo a chiacchiere, la guerra,
riteniamo ed abbiamo piu' volte gia' detto che tre sono le cose da fare:
a) l'azione diretta nonviolenta con cui bloccare l'apparato bellico:
bloccando le catene di comando, bloccando le basi militari, bloccando la
produzione e il traffico delle armi; si potrebbe cominciare ancora con
l'azione del blocco nonviolento dei decolli dei bombardieri.
b) la disobbedienza civile di massa: mettendo i decisori fuorilegge
nell'impossibilita' di avvalersi del consenso e della passivita' della
popolazione, nell'impossibilita' di avvalersi degli strumenti della macchina
amministrativa e dei poteri e degli spazi pubblici; ed impedendo loro di dar
seguito ai loro piani incostituzionali dagli esiti stragisti;
c) lo sciopero generale contro la guerra: puntando a bloccare tutte le
attivita' del paese, chiamando l'intera popolazione del nostro paese a
resistere a un governo fuorilegge, chiamando il popolo italiano ad
esercitare la sua sovranita' in difesa della Costituzione, della pace, del
diritto alla vita di tutti gli esseri umani.
*
Qui intendiamo offrire alcuni materiali di riflessione ulteriori sull'azione
diretta nonviolenta.
Ed in primo luogo diciamo che all'azione diretta nonviolenta contro la
guerra possono partecipare solo persone persuase della nonviolenza e
adeguatamente preparate.
Come esempio su cui riflettere riproduciamo qui le regole di condotta dei
partecipanti all'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace ad
Aviano due anni fa.
*
Quattro regole di condotta obbligatorie per partecipare all'azione diretta
nonviolenta delle mongolfiere per la pace:
I. A un'iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che
accettano incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza.
II. Tutti i partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con
tranquillità, con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno.
III. Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso e fini di
questa azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere per la pace", vale a
dire:
a) fare un'azione nonviolenta concreta:
- per impedire il decollo dei bombardieri;
- opporsi alla guerra, alle stragi, alle deportazioni, alle devastazioni, al
razzismo;
- chiedere il rispetto della legalità costituzionale e del diritto
internazionale che proibiscono questa guerra;
b) le conseguenze cui ogni singolo partecipante può andare incontro
(possibilità di fermo e di arresto), conseguenze che vanno accettate
pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di
sottrarsi.
IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della nonviolenza:
- non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa delle
stupidaggini, o una sola persona si fa male, la nostra azione diretta
nonviolenta è irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere
immediatamente sospesa);
- spiegare a tutti (amici, autorità, interlocutori, interpositori, eventuali
oppositori) cosa si intende fare, e che l'azione diretta nonviolenta non è
rivolta contro qualcuno, ma contro la violenza (in questo caso lo scopo è
fermare la guerra, cercar di impedire che avvengano altre stragi ed
atrocità);
- dire sempre e solo la verità;
- fare solo le cose decise prima insieme con il metodo del consenso ed
annunciate pubblicamente (cioè a tutti note e da tutti condivise); nessuno
deve prendere iniziative personali di nessun genere; la nonviolenza richiede
lealtà e disciplina;
- assumersi la responsabilità delle proprie azioni e quindi subire anche le
conseguenze che ne derivano;
- mantenere una condotta nonviolenta anche di fronte all'eventuale violenza
altrui.
Chi non accetta queste regole non può partecipare all'azione diretta
nonviolenta, poiché sarebbe di pericolo per sé, per gli altri e per la
riuscita dell'iniziativa che è rigorosamente nonviolenta.
*
Per chi volesse saperne di piu', un ampio dossier su quella esperienza e'
dsponibile nella rete telematica, in due parti:
- parte prima: www.peacelink.it/webgate/pace/msg00745.html
- parte seconda: www.peacelink.it/webgate/pace/msg00744.html
*
Si tratta dunque di iniziare subito i training di preparazione; si tratta
inoltre di iniziare subito a formare alla conoscenza e all'uso della
nonviolenza quante piu' persone e' possibile; si tratta di iniziare subito a
prendere le distanze da quei sedicenti pacifisti che si lasciano invece
ubriacare dalla violenza e dai pregiudizi o si lasciano corrompere dalle
prebende, dalla manipolazione o dalla "cultura del branco".
*
Inoltre occorre iniziare subito a proporre la preparazione dello sciopero
generale in difesa della Costituzione e della vita degli esseri umani
vittime innocenti della guerra; occorre iniziare subito a spiegare cosa sia
davvero la disobbedienza civile (non la caricaturale sfigurazione di cui
hanno cianciato degli irresponsabili nei mesi scorsi) e come essa possa
essere praticata da un movimento di massa; occorre iniziare subito un'azione
di chiarificazione intellettuale e di illimpidimento morale per opporsi
efficacemente alla macchina propagandistica che entra in azione
parallelamente ai bombardieri par narcotizzare i complici passivi della
guerra. C'e' molto da fare, ed occorre fare presto."

FONTE: "La nonviolenza è in cammino" n° 233, notiziario telematico
quotidiano.
Da non perdere! http://www.nonviolenti.org/CRP/index.html
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# riflessioni #
7> USA, IL TERRORE A MEZZO SERVIZIO

Il dopo 11 settembre è l'incognita che apre il mondo ad una inedita e
impossibile polarizzazione civiltà/barbarie, una polarizzazione che si
incuneerebbe e in parte sostituirebbe a quelle dettate dall'evolversi degli
assetti geopolitici. L'amministrazione statunitense è chiamata - dal popolo
americano e dalla funzione che si è assegnata - ad una leadership che deve
rispondere ad un atto terroristico di inusitata dimensione e nello stesso
tempo conciliarla con un decennio di linee di politica estera, palese e
segreta, che porta ostacoli a questa risposta, specie se - come detto - non
si limiterà ad un singolo colpo di vendetta. L'obiettivo è di difficile
raggiungimento.
I conflitti asimmetrici
Avendo abituato il pubblico statunitense a non ragionare in termini di
logiche e di processi, di ragioni di fondo e di interessi divergenti ed
ineguali, l'establishment statunitense si trova ora a confrontarsi con le
logiche semplicistiche che ha veicolato nel grande pubblico, a dover
rispondere della favola di un "male" oscuro ed ancorato nei secoli bui
dell'odio religioso ed etnico che è divenuta la realtà di pensiero di
milioni di persone.
Quasi impossibile ora spiegare a questo pubblico che non ci sono risposte
semplici a quelle che gli strateghi militari chiamano conflitti asimmetrici:
conflitti basati sulla vulnerabilità degli elefantiaci sistemi che
controllano economia e militare delle grandi potenze; sulla capacità di
avversari infinitamente più deboli di penetrarli con pochi e decisivi
strumenti; sulla fragilità che sistemi di sicurezza pensati per confrontare
minacce razionali mostrano quando attori razionali usano l'irrazionale per
scomporne le logiche di risposta. Le risposte vere - è stato scritto tante
volte in questi giorni - implicherebbero un ripensamento complessivo delle
modalità attraverso cui le grandi potenze, gli Stati uniti in primo luogo,
si rapportano al resto dei Paesi, creandovi una pletora di focolai di
potenziali "risposte asimmetriche" alla violenza (reale o avvertita come
tale) che tali potenze vi esercitano.
La possibilità di una risposta potente e decisiva implicherebbe il trovarsi
di fronte alle favole "concrete" con cui sono stati in questo decennio
dipinti gli avversari dell'America, i rappresentanti "fisici" del male. Se
questi svaniscono dallo sguardo e si sfrangiano in quello che sono
veramente, ovvero fenomeni di grande portata usciti dalle logiche di
sviluppo ineguale di intere porzioni del mondo, ogni azione a breve
diviene - per quanto potrà essere ben accolta dal desiderio di vendetta -
ineffettiva. Che fare, allora?
I terroristi "utili"
Eliminare le centrali terroristiche non è un compito impossibile. E' un
compito impossibile mantenere quelle che sono utili e chiudere quelle che si
mostrano ostili. Perché mille fili, mille competenze, mille strade si
confondono ed intersecano nei networks di uomini che hanno perduto il senso
della loro esistenza nel crogiuolo delle guerre sotterranee, delle vendette,
dei doppi giochi, del denaro facile e del fanatismo; molto simili in questo
a coloro che credono di essere diversi da quelli perché tutto questo
ugualmente fanno e vivono in nome di un governo.
Così, l'Amministrazione statunitense dovrebbe spiegare perché, dopo aver
detto che avrebbe colpito non solo i terroristi, ma anche i Paesi che
offrono loro rifugio, non si accinga ora a colpire la Germania, la Gran
Bretagna, l'Albania, la Croazia, i ribelli ceceni, e qualche emirato
persico, ove sono state scoperte consistenti tracce di uomini che qualcosa
di più di qualche oscuro legame hanno mantenuto con le jiad, i bin-Laden, i
crociati della fede, e quant'altro fantasioso islamismo hanno prodotto gli
eventi che vanno dalla guerra del Golfo alle guerre balcaniche.
Dovrebbe spiegare che non li colpirà perché ritiene che tali Paesi siano
stati del tutto inconsapevoli di ospitare tali occulte minacce ai valori
dell'occidente. Un po' difficile, dato che i servizi di sicurezza e i
governi di alcuni di questi Paesi, Germania e Gran Bretagna per primi, hanno
tirato fuori in due giorni nomi, cognomi, indirizzi e movimenti di quella
parte di gruppi di terroristi che ritengono di poter mollare. Come mai
riesce loro ora in due giorni ciò che nemmeno sapevano fino a una settimana
fa?
O invece tutti lo sapevano e tutti giocavano a dar loro spazi e coperture
per servizi da rendere o resi? E' dal 1992, che tedeschi e britannici hanno
giocato (anche) mercenari e fanatici "islamici" nel mortale gioco di ridurre
la Jugoslavia ad un arcipelago di staterelli-satellite, fomentando lo
sciovinismo serbo e il separatismo sloveno, croato, bosniaco e kosovaro. Da
dove agivano, da dove prendevano soldi e armi, dove si ritiravano a cose
fatte tali signori, almeno quelli tra loro che contava mantenere in vita e
proteggere?
E i signori della guerra degli oleodotti russi del Dagestan e della Cecenia,
i gloriosi combattenti islamici che hanno messo in scacco le armate russe,
chi e dove li ha addestrati, chi li ha armati, chi li ha finanziati?
Le risposte sono già tutte scritte in inchieste e notizie di cronaca, per
chi le vuole cercare e vedere. E puntano dritto ai fratelli angli e sassoni,
nonché agli amici mediorientali degli Stati uniti.
Armi in viaggio
Ma anche: chi consentì, nell'aprile 1994, che una via di rifornimenti
segreti di armi venisse aperta a favore del governo separatista bosniaco,
una via che si sapeva avrebbe portato un diluvio di armi nelle mani dei più
svariati gruppi del fondamentalismo islamico; una via, per giunta, che
avrebbe utilizzato la disponibilità dell'Iran (legittimandolo) a fornire le
armi, quella di Israele (!) a fare da tramite e quella del croato Tudjiman a
fare da indirizzo di consegna? La risposta sta nelle minute del Comitato
ristretto sui servizi di intelligence del Senato statunitense che tra l'11 e
il 13 marzo del 1997 esaminava la candidatura (proposta da Clinton e poi
bocciata) a capo della Cia dell'ex-consigliere alla sicurezza nazionale
Anthony Lake. Furono lo stesso Lake, il vicesegretario di Stato Talbott e
Clinton a dare - mentre ritornavano sull'Air Force One dai funerali di
Nixon - l'assenso all'operazione.
Legami e connivenze che non si sono mai spezzati, parti segrete delle
politiche estere degli illuminati paesi "occidentali" che continuano, che
continueranno. E continueranno a produrre gli stessi tragici risultati, ieri
occultati nei continenti dove cinquemila persone morte sono il conto di una
settimana di conflitti, oggi rischiarati sinistramente dai bagliori dei
morti occidentali.
FONTE: Il Manifesto - http://www.ilmanifesto.it
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# riflessioni #
8> CHI È OSAMA BIN LADEN, L'UTILE MOSTRO "WANTED"

Poche ore dopo gli attacchi terroristici al World Trade Centre e al
Pentagono, l'amministrazione Bush ha concluso, senza fornire prove, che
"Osama bin Laden e la sua organizzazione al-Qaeda sono i principali
sospettati". Il direttore della Cia George Tenet ha affermato che bin Laden
ha la capacità di pianificare "attacchi multipli con poco o nessun allarme".
Il segretario di stato Colin Powell ha definito gli attacchi "un atto di
guerra" e il presidente Bush ha confermato in un discorso alla nazione
trasmesso in tv che non avrebbe "fatto distinzione tra i terroristi che
hanno commesso quegli atti e coloro che li ospitano". L'ex direttore della
Cia Woolsey ha puntato il dito contro "la protezione da parte degli stati",
dando per scontata la complicità di uno o più governi stranieri. Secondo le
parole dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale Eagleburger, "penso
che dimostreremo che quando veniamo attaccati in questo modo, la nostra
forza e la nostra punizione sono terribili". Frattanto, parafrasando le
dichiarazioni ufficiali, il mantra dei media occidentali ha approvato il
lancio di "azioni punitive" dirette contro target civili in Medio Oriente.
William Saffire ha scritto sul New York Times: "dopo aver ragionevolmente
identificato le basi e i campi dei nostri aggressori, dobbiamo
polverizzarli - minimizzando ma accettando il rischio di danni collaterali -
e agire in modo scoperto o occulto per destabilizzare gli stati che ospitano
il terrore".Questo testo delinea la storia di Osama bin Laden e i
collegamenti esistenti tra la "Jihad" islamica e la formulazione della
politica estera Usa durante e dopo la guerra fredda.

Sotto l'egida della Cia
Principale sospettato negli attacchi terroristici di New York e Washington,
bollato dall'Fbi come "terrorista internazionale" per il suo ruolo nei
bombardamenti delle ambasciate statunitensi in Africa, Saudi nato Osama bin
Laden è stato reclutato durante la guerra in Afghanistan "ironicamente sotto
l'egida della Cia, per combattere gli invasori sovietici" (1).Nel 1979 è
stata lanciata "la più grande operazione segreta nella storia della Cia" in
risposta all'invasione sovietica dell'Afghanistan a sostegno del governo
filo-comunista di Babrak Kamal (2): "Con l'incoraggiamento attivo della Cia
e della pakistana Isi (Inter Services Intelligence), che volevano
trasformare la jihad afghana in una guerra globale mossa da tutti gli stati
musulmani contro l'Unione Sovietica, tra il 1982 e il 1992 si sono uniti
alla lotta dell'Afghanistan circa 35.000 musulmani integralisti di 40 paesi
islamici. Altre decine di migliaia di loro sono venuti a studiare nei
madrasah del Pakistan. Alla fine, più di 100.000 musulmani integralisti
stranieri sono stati direttamente influenzati dalla jihad afghana" (3).La
jihad islamica è stata sostenuta dagli Stati uniti e dall'Arabia Saudita con
una parte significativa del finanziamento generato dal traffico del Golden
Crescent: "Nel marzo 1985, il presidente Reagan ha firmato la direttiva 166
della Decisione sulla Sicurezza Nazionale,... [che] autorizza[va] un aumento
di aiuti militari segreti ai mujahideen, e chiariva che la guerra segreta
afghana aveva un nuovo obiettivo: sconfiggere le truppe sovietiche in
Afghanistan attraverso azioni occulte e incoraggiare il ritiro sovietico. La
nuova assistenza segreta da parte degli Usa cominciò con un aumento
drammatico delle forniture di armi - una crescita stabile fino a 65.000
tonnellate all'anno nel 1987, ... così come un flusso interminabile di
specialisti della Cia e del Pentagono che si recarono nella sede segreta
dell'Isi sulla strada principale presso Rawalpindi, in Pakistan. Lì gli
specialisti della Cia incontravano i funzionari dell'intelligence pakistana
per aiutarli a progettare operazioni per i ribelli afghani". (4)Usando
l'intelligence militare pakistana (Isi), la Cia ha giocato un ruolo chiave
nell'addestramento dei mujahideen. A sua volta, l'addestramento alla
guerriglia sponsorizzato dalla Cia è stato integrato con gli insegnamenti
dell'Islam: "I temi predominanti erano che l'Islam era una ideologia
socio-politica completa, che le truppe sovietiche atee stavano violando il
santo Islam, e che il popolo islamico dell'Afghanistan doveva riaffermare la
propria indipendenza rovesciando il sinistroide regime sostenuto da Mosca"
(5).
Per conto dello Zio Sam
L'Isi pakistano è stato usato come intermediario. Il sostegno segreto della
Cia alla jihad avveniva indirettamente attraverso l'Isi. La Cia cioè non
faceva arrivare il suo supporto direttamente ai mujahideen. In altre parole,
affinché quelle operazioni segrete avessero successo, Washington stava ben
attenta a non rivelare l'obiettivo ultimo della "jihad", che consisteva nel
distruggere l'Urss. "Noi non abbiamo addestrato gli arabi" ha detto Milton
Beardman, della Cia. Tuttavia, secondo Abdel Monam Saidali, dell'Al-aram
Center for Strategic Studies del Cairo, bin Laden e gli "arabi afghani"
avevano ricevuto "tipi di addestramento molto sofisticati, cosa che era
stata loro consentita dalla Cia" (6). Beardman ha confermato, a questo
proposito, che Osama bin Laden non era a conoscenza del ruolo che stava
giocando per conto di Washington. Secondo le parole di bin Laden (citate da
Beardman): "Né io né i miei fratelli abbiamo visto qualcosa che dimostrasse
l'aiuto americano" (7).Motivati dal nazionalismo e dal fervore religioso, i
guerrieri islamici erano inconsapevoli di combattere l'esercito sovietico
per conto dello Zio Sam. Vi furono contatti ai livelli più alti della
gerarchia dell'intelligence, ma i leader dei ribelli islamici sul campo non
neebbero con Washington o con la Cia.Con l'appoggio della Cia e l'afflusso
di massicci quantitativi di aiuti militari Usa, l'Isi si era trasformata in
una "struttura parallela con un enorme potere su tutti gli aspetti del
governo" (8). L'Isi aveva uno staff composto da ufficiali dell'esercito e
dell'intelligence, burocrati, agenti sotto copertura e informatori ed era
stimata in 150.000 persone (9).Nel frattempo, le operazioni della Cia
avevano anche rafforzato il regime militare pakistano guidato dal generale
Zia Ul Haq: "Le relazioni tra la Cia e l'Isi erano andate rinsaldandosi dopo
l'estromissione da parte del [generale] Zia di Bhutto e l'avvento del regime
militare... Durante quasi tutta la guerra in Afghanistan, il Pakistan è
stato più aggressivamente anti-sovietico persino degli stessi Stati uniti.
Nel 1980, poco dopo che l'esercito sovietico aveva invaso l'Afghanistan, Zia
spedì il capo dell'Isi a destabilizzare gli stati sovietici dell'Asia
centrale. La Cia aderì a questo piano solo nell'ottobre 1984... la Cia era
più cauta dei pakistani. Sia il Pakistan che gli Usa adottarono la linea
dell'inganno all'Afghanistan. La loro posizione pubblica era la negoziazione
di un accordo mentre, in privato, decidevano che il miglior modo di
procedere era l'escalation militare" (10).
Il triangolo della mezzaluna d'oro
La storia del traffico di droga nell'Asia centrale è intimamente collegata
alle operazioni coperte della Cia. Prima della guerra in Afghanistan, la
produzione di oppio in Afghanistan e Pakistan era diretta a piccoli mercati
regionali. Non vi era produzione locale di eroina (11). A questo proposito,
lo studio di Alfred McCoy conferma che entro due anni dal furioso attacco
dell'operazione della Cia in Afghanistan, "la zona di confine
Pakistan-Afghanistan divenne il principale produttore di eroina al mondo,
fornendo il 60% della domanda Usa. In Pakistan, la popolazione
tossicodipendente passò da quasi zero nel 1979... a 1.200.000 persone nel
1985 - una crescita molto più rapida che in qualunque altro paese"(12):
"Ancora una volta, la Cia controllava questo traffico di eroina. Mentre
conquistavano territori all'interno dell'Afghanistan, i guerriglieri
mujahideen ordinavano ai contadini di piantare oppio come tassa
rivoluzionaria. Al di là del confine, in Pakistan, i leader afghani e i
gruppi locali sotto la protezione dell'Intelligence pakistana gestivano
centinaia di laboratori di eroina. Durante questo decennio di narcotraffico
alla luce del giorno, l'americana Dea (Drug Enforcement Agency) a Islamabad
evitò di pretendere grosse confische o arresti... I funzionari Usa avevano
rifiutato di indagare su accuse di traffico di eroina da parte dei suoi
alleati afghani "perché la politica sui narcotici Usa in Afghanistan è
subordinata alla guerra contro l'influenza sovietica nell'area". Nel 1995
l'ex direttore dell'operazione afghana della Cia, Charles Cogan, ha ammesso
che la Cia aveva effettivamente sacrificato la guerra alla droga per
combattere la guerra fredda. "La nostra missione principale era arrecare il
maggior danno possibile ai sovietici. Non avevamo le risorse o il tempo per
dedicarci a un'indagine sul narcotraffico"... "Non penso che dobbiamo
scusarci per questo. Ogni situazione ha la sua ricaduta... Sì, c'è stata una
ricaduta in termini di droga. Ma l'obiettivo principale è stato realizzato.
I sovietici hanno lasciato l'Afghanistan"" (13).
Finita la guerra fredda, la regione dell'Asia centrale è strategica non solo
per le sue grandi riserve petrolifere. Essa produce anche tre quarti
dell'oppio mondiale, che rappresentano introiti di molti miliardi di dollari
per i cartelli d'affari, le istituzioni finanziarie, le agenzie di
spionaggio e il crimine organizzato. Il ricavato annuale del traffico del
Golden Crescent (tra 100 e 200 miliardi di dollari) costituisce circa un
terzo del mercato annuale mondiale dei narcotici, che le Nazioni unite
stimano dell'ordine di 500 miliardi di dollari (14). Con la disintegrazione
dell'Unione sovietica, nella produzione dell'oppio si è verificata una nuova
ondata. Potenti cartelli d'affari nell'ex Unione sovietica alleati con il
crimine organizzato sono in competizione per il controllo strategico sulle
rotte dell'eroina.L'estesa rete di intelligence militare dell'Isi non è
stata smantellata dopo la guerra fredda. La Cia ha continuato a sostenere la
jihad islamica fuori del Pakistan. Nuove iniziative segrete sono state
avviate in Asia centrale, nel Caucaso e nei Balcani. L'apparato militare e
di intelligence del Pakistan essenzialmente "è servito come catalizzatore
per la disintegrazione dell'Unione sovietica e l'emergere di sei nuove
repubbliche islamiche in Asia centrale" (15). Nel frattempo, i missionari
islamici della setta Wahhabi dell'Arabia saudita si erano stabiliti nelle
repubbliche islamiche e all'interno della federazione russa invadendo le
istituzioni dello Stato secolare. Nonostante la sua ideologia
anti-americana, il fondamentalismo islamico serviva largamente gli interessi
strategici di Washington nell'ex-Unione sovietica.Successivamente al ritiro
delle truppe sovietiche nel 1989, la guerra civile in Afghanistan è
continuata inesorabile. I Taleban erano sostenuti dai Deobandi pakistani e
dal loro partito politico, lo Jamiat-ul-Ulema-e-Islam (Jui). Nel 1993, lo
Jui è entrato nella coalizione di governo della prima ministra Benazzir
Bhutto. Furono istituiti legami fra Jui, esercito e Isi. Nel 1995, con la
caduta del governo Hezb-I-Islami Hektmatyar a Kabul, i Taleban hanno non
solo installato un governo islamico oltranzista, ma hanno anche "consegnato
il controllo dei campi di addestramento in Afghanistan a fazioni Jui..."
(16). E lo Jui, con il sostegno dei movimenti sauditi Wahhabi, ha giocato un
ruolo chiave nel reclutare volontari che combattessero nei Balcani e nell'ex
Unione sovietica.Il Jane Defense Weekly conferma a questo proposito che "la
metà degli uomini e dell'equipaggiamento dei Taleban proviene dal Pakistan
mediante l'Isi" (17). In effetti, sembrerebbe che dopo la ritirata dei
sovietici entrambe le fazioni della guerra civile afghana abbiano continuato
a ricevere sostegno occulto attraverso l'Isi pakistano. (18).In altre
parole, sostenuto dall'intelligence militare pakistana (Isi) che a sua volta
è controllata dalla Cia, lo stato islamico Talebano è stato largamente
funzionale agli interessi geopolitici americani. Il traffico del Golden
Crescent è stato anch'esso usato per finanziare ed equipaggiare l'Esercito
musulmano bosniaco (a partire dai primi anni '90) e l'esercito di
liberazione del Kosovo (Kla). Esistono prove che, negli ultimi mesi, i
mercenari mujahideen stanno combattendo nei ranghi dei terroristi Kla-Nla in
Macedonia.Questo spiega perché Washington ha chiuso gli occhi sul regno del
terrore imposto dai Taleban, inclusi i plateali attacchi ai diritti delle
donne, la chiusura delle scuole per le bambine, i licenziamenti femminili
dagli impieghi pubblici e l'imposizione delle "leggi punitive della Sharia"
(19).

La guerra in Cecenia
Per quanto riguarda la Cecenia, i principali leader ribelli Shamil Basayev e
Al Khattab sono stati addestrati e indottrinati in campi sponsorizzati dalla
Cia in Afghanistan e Pakistan. Secondo Yossef Bodansky, direttore della Task
Force del Congresso americano sul terrorismo e la guerra non convenzionale,
la guerra in Cecenia era stata pianificata durante un summit segreto di Hizb
Allah International tenuto nel 1996 a Mogadiscio, in Somalia (20). Al summit
hanno partecipato Osama bin Laden e funzionari di alto livello
dell'intelligence iraniana e pakistana. Sotto questo aspetto, il
coinvolgimento dell'Isi pakistano in Cecenia "va molto oltre la fornitura ai
ceceni di armi e expertise: l'Isi e i suoi rappresentanti fondamentalisti
islamici sono coloro che in effetti comandano in questa guerra" (21).La
principale rotta degli oleodotti della Russia transita attraverso la Cecenia
e il Dagestan. Nonostante la sbrigativa condanna da parte di Washington del
terrore islamico, i beneficiari indiretti della guerra in Cecenia sono i
conglomerati petroliferi anglo-americani, che competono per il controllo
sulle risorse petrolifere e i corridoi degli oleodotti provenienti dal
bacino del Mar Caspio.I due principali eserciti ribelli ceceni, guidati
rispettivamente dal comandante Shamil Basayev e Emir Khattab e stimati in
35.000 uomini, sono stati sostenuti dall'Isi, che ha anche giocato un ruolo
chiave nell'organizzare e addestrare l'esercito ribelle ceceno: "[Nel 1994]
l'Isi pakistano ha fatto in modo che Basayev e i suoi fidati luogotenenti
ricevessero un intensivo indottrinamento islamico e l'addestramento alla
guerriglia nella provincia Khost dell'Afghanistan presso il campo di Amir
Muawia, creato all'inizio degli anni '80 dalla Cia e dall'Isi e gestito dal
famoso signore della guerra afghano Gulbuddin Hekmatyar. Nel luglio 1994,
dopo aver completato la preparazione ad Amir Muawia, Basayev è stato
trasferito al campo Markaz-i-Dawar in Pakistan per essere addestrato in
tecniche avanzate di guerriglia. In Pakistan, Basayev ha incontrato i più
alti ufficiali militari e di intelligence pakistani: il ministro della
difesa generale Aftab Shahban Mirani, il ministro dell'interno generale
Naserullah Babar, e il capo del settore dell'Isi incaricato di sostenere le
cause islamiche, generale Javed Ashraf (ora tutti in pensione). I rapporti
ad alto livello si sono dimostrati molto utili per Basayev" (22).Dopo il suo
lavoro di addestramento e indottrinamento, Basayev è stato assegnato a
guidare l'assalto contro le truppe federali russe nella prima guerra cecena
nel 1995. La sua organizzazione aveva anche sviluppato forti collegamenti
con gruppi criminali a Mosca, nonché legami con il crimine organizzato
albanese e l'esercito di liberazione del Kosovo. Nel 1997-98, secondo il
servizio di sicurezza federale russo (Fsb) "i signori della guerra ceceni
hanno cominciato ad acquistare beni immobili in Kosovo... attraverso
svariate ditte immobiliari come copertura in Jugoslavia"
(23).L'organizzazione di Basayev è stata anche coinvolta in una quantità di
attività illegali tra cui narcotici, intercettazioni illegali e sabotaggio
degli oleodotti russi, rapimenti, prostituzione, commercio di dollari falsi
e contrabbando di materiali nucleari (vedi "Mafia linked to Albania's
collapsed pyramids" (24)). Accanto all'esteso riciclaggio di soldi della
droga, gli introiti di varie attività illecite sono stati destinati al
reclutamento di mercenari e all'acquisto di armi.Durante il suo
addestramento in Afghanistan, Shamil Basayev è entrato in contatto con "Al
Khattab", il comandante mujahideen veterano, nato in Arabia Saudita, che
aveva combattuto come volontario in Afghanistan. Solo pochi mesi dopo il
ritorno di Basayev a Grozny, Khattab è stato invitato (all'inizio del 1995)
a creare una base militare in Cecenia per l'addestramento dei combattenti
mujahideen. Secondo la Bbc, l'incarico di Khattab in Cecenia era stato
"organizzato attraverso l'[International] Islamic Relief Organisation,
un'organizzazione religiosa militante con base in Arabia Saudita finanziata
da moschee e ricchi individui che hanno spedito fondi in Cecenia" (25).
Fra la Cia e l'Fbi
Dall'epoca della guerra fredda, Washington ha appoggiato consapevolmente
Osama bin Laden, inserendolo allo stesso tempo nella lista dei "most wanted"
dell'Fbi come principale terrorista al mondo.Mentre i mujahideen sono
occupati a combattere la guerra dell'America nei Balcani e nell'ex Unione
Sovietica, l'Fbi - operando come una forza di polizia con base negli Usa -
sta combattendo una guerra interna contro il terrorismo, agendo per alcuni
aspetti indipendentemente dalla Cia che ha, dalla guerra in Afghanistan in
poi, sostenuto il terrorismo internazionale attraverso le sue operazioni
segrete. Per una crudele ironia, mentre la jihad islamica - definita
dall'amministrazione Bush come una "minaccia all'America" - viene criticata
per gli attacchi terroristici sul World Trade Centre e il Pentagono, queste
stesse organizzazioni islamiche costituiscono uno strumento chiave delle
operazioni americane militari-di intelligence nei Balcani e nella ex Unione
Sovietica.Dopo gli attacchi terroristici a New York e Washington, la verità
deve prevalere per impedire che l'amministrazione Bush, e i suoi partner
della Nato, si imbarchino in una avventura militare che minaccia il futuro
dell'umanità.
di Michel Chossudovsky
FONTE: "Il Manifesto" del 19 e 20 settembre 2001 - http://www.ilmanifesto.it
Note:
1. Hugh Davies, International: "'Informers' point the finger at bin Laden;
Washington on alert for suicide bombers", The Daily Telegraph, London, 24
agosto 1998.
2. Cfr. Fred Halliday, "The Un-great game: the Country that lost the Cold
War, Afghanistan", New Republic, 25 marzo 1996.
3. Ahmed Rashid, "The Taliban: Exporting Extremism", Foreign Affairs,
November-December 1999.
4. Steve Coll, Washington Post, 19 luglio 1992.
5. Dilip Hiro, "Fallout from the Afghan Jihad", Inter Press Services, 21
novembre 1995.
6. Weekend Sunday (NPR); Eric Weiner, Ted Clark; 16 agosto 1998.
7. Ibid.
8. Dipankar Banerjee; "Possible Connection of ISI With Drug Industry", India
Abroad, 2 dicembre 1994.
9. Ibid.
10. Cfr. Diego Cordovez e Selig Harrison, Out of Afghanistan: The Inside
Story of the Soviet Withdrawal, Oxford University Press, New York, 1995, e
la recensione di Cordovez and Harrison in International Press Services, 22
agosto 1995.
11. Alfred McCoy, "Drug fallout: the Cia's Forty Year Complicity in the
Narcotics Trade". The Progressive; 1 agosto 1997.
12. Ibid.
13. Ibid
14. Douglas Keh, "Drug Money in a changing World", Technical document no. 4,
1998, Vienna UNDCP, p. 4.
15. International Press Services, 22-8-1995.
16. Ahmed Rashid, The Taliban: Exporting Extremism, Foreign Affairs,
November-December, 1999, p. 22.
17. Citato in Christian Science Monitor, 3-9-1998
18. Tim McGirk, "Kabul learns to live with its bearded conquerors", The
Independent, Londra, 6-11-1996.
19 Vedi K. brahmanyam, "Pakistan is Pursuing Asian Goals", India Abroad,
3-11-1995.
20. Levon Sevunts, "Who's calling the shots? Chechen conflict finds Islamic
roots in Afghanistan and Pakistan", 23 The Gazette, Montreal, 26-10- 1999.
21. Ibid
22. Ibid.
23. Vedi Vitaly Romanov e Viktor Yadukha, Chechen Front Moves To Kosovo
Segodnia, Mosca, 23-2-2000.
24. The European, 13-2-1997. Vedi anche Itar-Tass, 4/5-1-2000.
25. BBC, 29-9-1999
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# riflessioni #
9> NOTE DI UN'ANTIAMERICANA
di Rossana Rossanda

Osiete con me o siete con bin Laden, grida Bush, mentre si appresta a punire
l'Afghanistan, talebani, non talebani e popolo inclusi. Conosco il ricatto.
Non ci sto. Non mi schiero con Bush e lascio agli stolti di dedurne che sono
con bin Laden. Vorrei ragionare su quel che è successo, su quel che può
succedere e sul che fare.
L'11 settembre non è stata una guerra. Le guerre impegnano le nazioni. E'
stato un atto terroristico e ne possiede tutti i lineamenti: la priorità del
simbolo, il colpire inatteso, la segretezza della mano, l'intreccio omicidio
suicidio, destinati a moltiplicare il panico. Il terrore ha per primo fine
il terrore. Non tutti i molti attentati della storia sono terroristici, ma
questo sì: chi lo ha compiuto conosceva il bersaglio, le debolezze del suo
dominio dal cielo, la sicura amplificazione dei media. Grazie ai quali le
due Torri sono crollate non una ma diecimila volte sugli schermi, aiutando a
gridare: è una guerra e chiamando alla guerra. Gli attentatori lo avevano
certamente messo nel conto.
Non è stata l'apocalisse. Non nell'accezione ingenua della devastazione
enorme: altre più massicce devastazioni si sono seguite negli ultimi dieci
anni. Ma non abbiamo definito apocalisse quella dei centocinquantamila
sgozzati in Algeria, dei sei settecentomila Tutsi uccisi dagli Hutu, dei
trecentomila ammazzati nell'Iraq dall'operazione "Tempesta nel deserto" e il
mezzo milione di bambini che muoiono, si dice, per l'embargo dei
medicamenti. Tanto meno i trentacinquemila morti in Turchia e i settantamila
in India, in questo stesso 2001, anche se la speculazione non è estranea a
quelle catastrofi. Dunque alcune stragi pesano come montagne, altre come
piume? Se non è corretto valutare un evento soltanto dal numero delle
vittime non è neanche lecito valutarlo soltanto dal vulnus portato all'idea
di sé che ne ha chi ne è ferito, in questo caso gli Stati uniti. Ancora più
torbido il richiamo colto all'Apocalisse: scontro finale fra la Bestia e
l'Agnello. Il Bene siamo noi la Bestia sono loro. Così ha detto Bush e ha
aggiunto "Dio è con noi".
Non è stato l'assalto dell'Islam alla cristianità, come sulle prime si è
detto (antinomia veneranda, ricorda Bocca). Poi ci si è ritratti con
imbarazzo: non è l'Islam ma il fondamentalismo islamico che colpisce
l'occidente cristiano. Ma l'Islam è un oceano e dimostrare che ha i suoi
fondamentalismi è facile quanto dimostrare quelli del cristianesimo e
dell'ebraismo. E tuttavia Ariel Sharon non è "gli ebrei", Pio XII non è
stato "i cattolici" e neppure lo stolto Bush è "gli americani", anche se di
queste aree sono o sono stati i leader designati. Cattiva polemica,
confusione. In verità nulla fa pensare che quello alle due Torri sia un
attacco al cristianesimo, dubito che sia un attacco alla democrazia, certo
non lo è al mondo delle merci e dei commerci contro il quale nessuno
nell'Islam, neanche i talebani, ha nulla. Chi ha colpito ha voluto colpire
l'arroganza degli Stati uniti nel Medioriente e metterne in difficoltà gli
stati arabi alleati.
Non è stata una vendetta dei poveri. L'Islam non parla di questione sociale,
ma senza questo i poveri non sono in grado di compiere che una jacquerie.
L'attacco alle due Torri è tutto fuorché una jacquerie. Non è dei poveri né
per i poveri la dirigenza della Jihad, che traversa tutto l'Islam senza
avere (ancora) uno stato proprio e gioca anche sulla disperazione, ignoranza
ed oppressione delle masse il cui consenso è necessario alle dittature
arabe, costringendo queste ultime a tirare il sasso e nascondere la mano. La
Jihad è agita da potentati politici e finanziari che degli States conoscono
il funzionamento e i mezzi e in questo senso Osama bin Laden, saudita, già
agente della Cia, è un modello. Viene da una famiglia che dal 1940 è il più
forte gruppo di costruzione e trasporti dell'Arabia saudita, ma partecipa a
holding dell'elettricità (a Rihad e a La Mecca, a Cipro e in Canada), nei
petroli, nell'elettronica, nell'import-export, nelle telecomunicazioni
(Nortel e Motorola) e nei satelliti (Iridium). Famiglia e Arabia saudita
hanno liquidato Osama con due miliardi di dollari che egli gestisce sulle
borse e nella miriade di società off shore dei suoi. E alimenta le ong
islamiche Relief e Blessed Relief.
Questi sono "loro", la Bestia contro la quale ci leviamo, noi, il Bene. Sono
quelli che gli Stati uniti hanno creduto di utilizzare in Afghanistan e nel
Medioriente e oggi gli si rivoltano contro. E' una lotta per il dominio in
quello scacchiere. Non è fra i guai minori di Bush che i saudiani siano i
maggiori finanziatori della Jihad ma l'Arabia saudita il paese più
intrinsecamente legato agli interessi americani.
La vera domanda è perché ora? Fino a dieci anni fa la Jihad non era così
forte e fino a dieci giorni fa agiva solo all'interno dell'Islam, ala
ortodossa contro le "deviazioni", l'Algeria è il più sanguinoso esempio.
Finché non ne è stato toccato, l'occidente non se ne è curato affatto,
privilegiando i rapporti d'affari, massacratori o fondamentalisti che
fossero i detentori di gas per l'Europa, di armi contro l'Unione sovietica o
gli alimentatori di un contenzioso pakistano contro l'India. Non se ne è
curato quando sotto gli occhi di tutti sono affluiti, negli ultimi anni, ad
addestrarsi nell'Afghanistan, i fondamentalisti di ogni provenienza.
E invece si doveva vedere come la Jihad assumesse grandi dimensioni da
quando il Medioriente ha smesso di essere assieme paralizzato e coperto dal
deterrente delle due superpotenze e una sola di essa è rimasta in campo, gli
Stati uniti. I quali sono diventati parte in causa, sollecitatori e
finanziatori di tutti i conflitti del settore, per i loro immediati
interessi o per inintelligenza dei processi. Neanche l'acuto Noam Chomski si
ricorda che prima del 1989 una guerra nel Golfo sarebbe stata impensabile. E
che chi negli emirati vi ha chiamato gli States, da tempo non apprezza che
essi così pesantemente vi restino. Non apprezza, il mondo arabo, che gli Usa
esigano il rispetto delle risoluzioni dell'Onu dall'Iraq ma non lo esigano
(e non occorrerebbe una guerra) da Israele. La Jihad insomma è cresciuta nel
venire affine di qualsiasi visione laica di riscatto di quelle popolazioni
con la caduta dell'Urss e col blocco assieme contingente e leonino fra
dirigenze arabe e Pentagono. Nazionalismo, fondamentalismo, concretissimi
interessi di alcuni e disperazioni di molti hanno fatto della Jihad la
miscela esplosiva che oggi è.
Azioni e reazioni degli Stati uniti le hanno facilitato il terreno di
coltura, come lo accrescerà la dissennata reazione di Bush che farà a pezzi
in Afghanistan molti, non bin Laden, e però non oserà invaderlo: i russi gli
hanno spiegato che non ce la farebbe. Ma bombarderà a destra e a sinistra
Kabul e forse, secondo le abitudini, Baghdad. Si è sbagliato chi di noi ha
pensato che l'unificazione capitalistica facesse degli Usa un impero, sia
pur meno colto di quello che già non piaceva a Tacito, ma che sarebbe stato
oggettivamente assimilatore e mediatore. Gli Usa non sono questo. Si muovono
in modo ancora più arrogante di Francia e Inghilterra, che avevano spartito
con l'ascia la regione, e per di più in tempi che offrono a chi si sente
umiliato e offeso i mezzi e i saperi per destabilizzare chi lo umilia o lo
offende.
Nulla è stato più stupido che allevare il terrorismo e pensare di
servirsene. Esso è imprendibile e lo resterà finché non avrà perduto il
consenso sul suo proprio terreno. Ma non lo perderà di certo mentre Bush
bombarda l'Afghanistan. Anzi con questa azione gli Stati uniti perderanno
anche il sostegno degli stati arabi finora amici. La Lega araba ha già
cominciato. Bush si infila in una guerra dalla quale non tirerà fuori i
piedi perché l'ha promessa ai suoi concittadini, che al 92 per cento la
vogliono anche loro: ma non dividerà gli stati arabi, e accrescerà il
potenziale di vendetta della Jihad. La sola guerra che è in grado di vincere
è in casa sua contro la tanto vantata "società aperta": effetto fatale delle
emergenze. Si espone a essere colpito di nuovo, a non vincere da nessuna
parte e perdere poco a poco il consenso che la scossa dell'11 settembre gli
ha dato. Ci sono errori senza rimedi.
Se ne accorge l'Europa che ora lo sostiene ora ne prende le distanze, firma
patti scellerati con la Nato e poi elucubra sull'articolo 5, non vuole
mandare i ragazzi di leva nelle montagne afghane né complicarsi le cose con
i musulmani che si trova in casa, né col Mediterraneo, dove l'Italia della
seconda repubblica - sia detto fra parentesi - fa ancora meno politica della
prima.
Dovremmo accorgercene anche noi, che pure siamo stretti fra la spada e il
muro, perché non c'è occasione che non sia buona per cercare di massacrare
la poca sinistra che resta. Abbiamo anche noi le nostre colpe, non fosse che
di omissione. Scrive Pintor che non ci aspettavamo quel che è successo: è
vero. Ma non è una virtù. Come gli Usa abbiamo guardato a noi stessi e non
al mondo, dove pure nulla era nascosto. Coprendoci il capo con la cenere dei
comunismi, abbiamo cessato di guardare a chi era incastrato in condizioni
materiali più delle nostre tremende. Prendiamo la Palestina: uno stato
confusionale fa oscillare la sinistra fra senso di colpa verso gli ebrei,
rigurgiti di antisemitismo e, come ha scoperto Mannheimer, vorremmo tanto
che i palestinesi smettessero di agitarsi. Tale è il peso del fallimento dei
socialismi reali che alcuni di noi si sono persuasi che nulla ci sia da
fare, tanto il male è nel mondo e il mondo è del male, mentre alcuni altri
si sono illusi sulle virtù rivoluzionarie di identità arcaiche, che ci sono
parse lodevoli perché antimoderniste e tutte si sono involte su sé stesse,
fra degenerazione e paralisi.
Ora gli eventi ci presentano i conti e bisogna rispondere per quello che
siamo. Non siamo tutti americani - io almeno non lo sono. Non apprezzo i
"valori" liberisti che gli Stati uniti impongono, mi duole il lutto dei loro
cittadini ma non mi piace che si credessero al di sopra delle conseguenze di
quel che il loro paese fa. Mi si dirà antiamericana? Sì lo sono, e mi
stupisco che esitino tanto ad esserlo molti amici che più di me in passato
lo erano. Considero che gli Stati uniti stiano facendo ancora una politica
imperialista che ferisce altre popolazioni e si rivolterà contro loro
stessi: sono antimperialista, altra parola che mi sembra bollata di
ostracismo.
La verità è che siamo deboli. Ma questo non ci assolve dal dire no, Bush è
un pazzo pericoloso, non colpirà la Jihad ma molta gente senza colpa, e
spingerà gli Stati uniti a vivere assediando il mondo e ad esserne
assediati.
FONTE: Il Manifesto, 22/09/01 - http://www.ilmanifesto.it
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# mobilitiamoci contro la guerra #
10> LETTERA DI RINGRAZIAMENTO A BARBARA LEE
Unica deputata Usa ad aver votato contro i poteri di guerra a Bush.
Potete scrivere questo messaggio a: barbara.lee at mail.house.gov

"Honorable Barbara Lee,
I wish to thank you for your courage to
stand up firmly against the resolution to authorize
U.S. military action to respond to the attacks on the
Pentagon and the World Trade Center, as you also
rightly opposed the use of American troops in Serbia
in 1998. I, too, are "convinced that military action
will not prevent further acts of international
terrorism against the United States," as you put it in
your eloquent plea against war.  You will be
remembered and honored as the lone voice of conscience
in U.S. Congress.  History will prove the truth of
your insight.
Let us work together to end the war as soon as
possible.
Sincerely,"
===================================
# riflessioni #
11> BIN LADEN, L'OLEODOTTO E BUSH
un'inchiesta di http://www.indymedia.org

i progetti della unocal per l'oleodotto afghano
di anubi d'avossa lussurgiu (liberazione 18/09/01)
sulla scena del teatro piu' vistoso della guerra incipiente, ossia quello
dell'afghanistan, alcuni protagonisti recitano una parte invisibile. si
tratta degli interessi, anzi dei poteri economici: per la precisione, delle
multinazionali del petrolio. meglio ancora, due multinazionali: la saudita
delta oil, retta proprio dai parenti del plurimiliardario bin laden, e la
statunitense unocal.
la storia e' raccontata dal coraggioso sito newyorkese indymedia
(www.nyc.indymedia.org), il popolare portale multimediale usatissimo nei
circuiti di movimento. che inizia da un messaggio lanciato dalla stessa
megacompagnia unocal sul suo sito web il 14 settembre scorso, tre giorni
dopo gli attentati di new york e washington: 'la unocal non ha ne' abbiamo
pianificato di avere alcun progetto in afghanistan. non sosteniamo i taleban
in nessuna maniera ne' ora ne' mai.'
come dicevano i latini, excusatio non petita, accusatio manifesta. e
infatti, gia' nel 1996 - come ricordano i 'segugi' di indymedia al lavoro
persino nella grande mela sbriciolata dal terrore - l'autorevole centro per
le ricerche sull'eurasia si chiedeva: 'qual e' stato il ruolo della unocal
in afganistan negli anni recenti', sottolineando che sia la compagnia
statunistense che la delta oil dell'arabia saudita erano 'da tempo
sospettate' di 'aver finanziato la distruttiva ascesa dei taleban'.
la ragione c'era, e lo si vide chiaramente due anni dopo. nel gennaio 1998,
l'instaurato regime dei taleban firmava un accordo per un colossale progetto
di oleodotto di 890 miglia sul territorio afghano, per un costo di due
miliardi di dollari e una capacita' di 1 miliardo e 900 milioni di metri
cubi di gas naturale, denominato centgas. il progetto, guarda un po', era
affidato alla unocal: la quale, dopo aver annunciato nel marzo una proroga
per specificare i dettagli, nel giugno dello stesso anno concludeva un patto
di cartello con la delta oil per il controllo dell'85 per cento del
consorzio. ma dallo stesso consorzio, proprio la unocal si ritiro' nel
dicembre del 98. perche'? come spiegazione, resta solo quella del sempre
vigile eurasia research center, secondo il quale la compagnia si era
'presumibilmente inquietata' del fatto che il progetto non procedesse 'sotto
un governo internazionalmente riconosciuto installato in afghanistan'.
salta all'occhio che, domani, una nuova situazione determinata da un
intervento statunitense contro i tradizionali alleati taleban, appoggiati in
passato anche dal pakistan, sottrarrebbe tra l'altro la unocal alla
'inquietudine' e spalancherebbe le porte alla ripresa del progetto...
sta di fatto, al di la' delle dietrologie, che l'afghanistan e' un
territorio importantissimo nella 'guerra invisibile' delle grandi
multinazionali per il controllo delle risorse energetiche. a parte i
giacimenti di uranio ufficialmente non sfruttati, che casualmente si trovano
proprio nelle zone dove, negli anni, si e' installato bin laden con il suo
esercito alleato dei taleban, ossia nel nord est e nell'estremo sud del
paese, basta scorrere le stime che gia' un quarto di secolo fa si
calcolavano per le locali capacita' produttive di 'oro nero'. si parla di 95
milioni di barili tra il prodotto e le riserve di petrolio raffinato, ma
soprattutto di riserve non sfruttate per 400 milioni di tonnellate di
greggio. ancor piu' strategica, pero', e' la semplice collocazione
dell'afghanistan: considerato in tutti i progetti di tutte le grandi
compagnie come la 'via' non ancora aperta per il petrolio e il gas naturale
da trasportare tra l'asia centrale ex sovietica e il mare d'arabia. appunto,
l'oleodotto.
ulteriore elemento, che forniamo come informazione neutra, senza altri
commenti; non c'e' compagnia petrolifera legata all'establishment delle ere
di reagan e di bush padre come la unocal. tra i suoi direttori siede infatti
donald rice, che fu segretario dell'air force statunitense quando ne era
comandante in capo il presidente george bush senior, a sua volta gia' tra i
direttori della rand corporation; e vi siede pure l'ex comandante in capo
del comando del pacifico della u.s. navy. anche robert oakley, ambasciatore
usa in pakistan nei reaganiani anni 80, in cui letteralmente organizzo' la
guerriglia mujahidin in afghanistan contro i sovietici e il regime a loro
legato, e' stato impiegato piu' volte dalla unocal in importanti
'consulenze'.
informazione finale: la unocal, oltre ad aver contribuito per 125mila
dollari al finanziamento ufficiale del partito repubblicano nel 1999, ne ha
gia' spesi oltre un milione e 400mila in attivita' di lobbing presso la
nuova amministrazione di george bush jr. si attendono ansiosamente smentite.

===================================
# letture #
> "ECOCIDIO" di J. Rifkin
Spietata ricostruzione storica, antropologica, economica e politica dei
costi e dei pericoli della cultura della bistecca
http://promiseland.it/view.php?id=240

> "LA CIA IN GUATEMALA. Gli orrori di un genocidio" di P. Tompkins e M.L
Forenza - Ed. Odradek
Il libro, che è il risultato della stretta collaborazione tra uno scrittore
statunitense e una documentarista italiana, aggiorna la situazione in
Guatemala fino ai primi mesi di questo anno 2000 e integra il documentario
televisivo Guatemala nunca mas trasmesso da Rai3 lo scorso anno. E' la
classica "inchiesta per caso"; capitati casualmente in Guatemala, paese
pericolosissimo, specialmente per i giornalisti, s'imbattono nell'assassinio
di monsignor Gerardi - presentato come un delitto maturato in un ambiente di
omosessuali - in realtà deciso dai militari come risposta alla pubblicazione
dei quattro volumi dell'episcopato guatemalteco che documentano il genocidio
a carico del popolo maya. Di qui si snoda l'inchiesta, che integra
documenti, interviste ed excursus storici. Si compone di un capitolo
sull'ingerenza della Cia in Guatemala e sulle tappe del genocidio; di un
diario di viaggio - in realtà un "giornale di ripresa" - scritto da Maria
Luisa Forenza, che dà conto del dipanarsi dell'inchiesta, della raccolta dei
documenti negli archivi e delle interviste più significative del
documentario e che restituiscono la gran parte del carico di verità affidato
a questo libro; di una ricostruzione dell'omicidio di monsignor Gerardi,
paradigmatico come esempio di giornalismo e di analisi sociale e politica; e
di un profilo storico della cultura maya, vilipesa e mistificata nella
pratica quotidiana, ma prima ancora nella trasposizione storiografica.
Per informazioni: http://www.odradek.it/
===================================
# links #

> THE COCA COLA CRIMES
Coca Cola e paramilitarismo ovverossia come la transnazionale delle
bollicine regola i conflitti sindacali in Colombia. Assassinii, sequestri e
sparizioni eseguiti dagli squadroni della morte a danno dei lavoratori delle
societá d'imbottigliamento della soft drink che ha conquistato il mondo.
http://www.kontrokultura.org/archivio2001/156/deathcoke.html

> IMPREGILO. I CRIMINI DEL CAPITALISMO ITALIANO NEL MONDO
Dalla Colombia al Guatemala, dalla Nigeria al Kurdistan i monumenti allo
spreco ed alla corruzione creati dal colosso delle costruzioni del gruppo
Fiat.
http://www.terrelibere.it/impregilo.htm

> PICCOLE BOMBE CRESCONO. La pericolosità dell'ultradestra italiana
http://www.societacivile.it/primopiano/articoli_pp/pp_3.html

> STORIA SEGRETA DEL SIGNOR SAVOIA
Biografia non autorizzata di un erede al trono d'Italia, piduista e manager
di affari oscuri, che mentre tutti ritornano, vorrebbe tornare anche lui.
http://www.societacivile.it/primopiano/articoli_pp/savoia/savoia.html

> DOPO LA "GUERRA FREDDA". GEOPOLITICA E STRATEGIA DELLA NATO
Scomparso il nemico originario l'Alleanza atlantica perdura, muove guerra e
si espande, realizzando la propria intima vocazione alla "diffusione di
potenza"
http://www.odradek.it/giano/2000/34/Minolfi.htm

> SCIENZA E PACE. Scienziate e scienziati contro la guerra.
http://www.iac.rm.cnr.it/~spweb/links.html

> NAZIONE NUCLEARE. Le armi di distruzione di massa in Israele
http://www.tmcrew.org/csa/l38/wwi/israelnukenation/index.htm

> L'ITALIA E LA NATO
http://www.odradek.it/giano/2000/34/CortesiNato.html

> BOYCOTT. Informazioni sul comportamento delle multinazionali e campagne di
pressione
http://www.manitese.it/boycott/boycott.htm

> LA LEVA - Associazione di consumatori per la libertà di scelta
http://www.laleva.cc/indexital.html

> TERRE LIBERE - Altre forme di comunicazione
http://www.terrelibere.it/

> GIANO. Pace ambiente problemi globali
Dal 1989 una voce di opposizione ai poteri politici interni ed
internazionali. Contro la guerra, la distruzione della natura, la violazione
del patto biologico. Un periodico che verifica le ragioni dell'impegno
ecopacifista nello studio e nella riflessione.
http://www.odradek.it/giano/

> COVERT ACTION Quarterly
http://www.covertactionquarterly.org/
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# no global #
> COMPRI COSE DI CUI NON HAI BISOGNO

"Sei obbediente. Sei un consumatore. Compri spazzatura della quale non hai
alcun bisogno. Compri un paio di scarpe da tennis da 200 dollari, perché le
usa Magic Johnson. E non rompi le scatole a nessuno. Se vuoi uccidere quel
bambino che sta vicino a casa tua, fallo pure, questo non ci preoccupa. Ma
non cercare di depredare i ricchi. Uccidetevi fra voi, nel vostro ghetto.
Questo è il trucco. Questo è ciò che i media hanno il compito di fare. Se si
esaminano i programmi trasmessi dalla televisione si vedrà che non ha molto
senso interrogarsi sulla loro veridicità. E infatti nessuno si interroga su
questo. L'industria delle pubbliche relazioni non spende miliardi di dollari
all'anno per gioco. L'industria delle pubbliche relazioni è un invenzione
americana che è stata creata all'inizio di questo secolo con lo scopo,
dicono gli esperti, "di controllare la mente della gente, che altrimenti
rappresenterebbe il pericolo più forte nel quale potrebbero incorrere le
grandi multinazionali".
Questi sono i metodi per attuare questo genere di controllo." *
La pressione che ci sentiamo addosso di continuo e che, nostro malgrado, ci
spinge ad essere sempre più omologati, globalizzati, irreggimentati verso il
modello unico del consumatore planetario, non è il frutto di una naturale
tendenza dell'essere umano all'omologazione, bensì è il risultato di una
imponete e devastante guerra mediatica-psicologica che solo negli USA ha un
costo di 200 miliardi di dollari sotto la voce pubblicità.
Il più grande mercato sono gli Stati Uniti d'America dove hanno base le
maggiori corporation, che hanno di fronte una società globale collegata in
tempo reale alla quale non possono rispondere offrendo prodotti
diversificati a seconda dei gusti o delle usanze locali (e qui quando
parliamo di usanze locali non pensiamo a qualche piccola popolazione
amazzonica, ma ad italiani, francesi, indiani etc.).
"Per promuovere una domanda mondiale di prodotti americani, è necessario
creare un sistema di bisogni su scala planetaria. Per Coca-Cola, Marlboro,
Nike, Levi's, MTV, Pepsi o McDonald's vendere prodotti americani significa
vendere l'America, la sua presunta prosperità, le stelle di Hollywood". **
Per evitare generalizzazioni è meglio specificare qualche caso.
Le campagne pubblicitarie delle multinazionali, quegli spot da paura, non ci
propongono prodotti, ma ci vendono, tramite i prodotti, esistenze virtuali,
stili di vita immaginari. Ad esempio gli ultimi spot della Nike ci vendono
una vita "ribelle" e "teppista", ma la campagna è stata studiata per un tipo
di consumatore che spesso la cosa più ribelle e teppista che fa è
parcheggiare la macchina in doppia fila o sul posto riservato ai portatori
di handicap. Ma compriamo quelle scarpe, quella felpa e saremo subito
Michael Jordan o Ronaldo anche se siamo dei pipponi che non prendono la
porta neanche da un metro. Ugualmente McDonald's non ci prova nemmeno a
decantare la "bontà" del cibo-spazzatura che propina alla clientela (in
teoria paghi per quello), McDonald's vende (o spaccia) soprattutto SICUREZZE
a basso costo in un epoca dove non sei sicuro se domani lavorerai ancora o
se la casa in cui abiti dopodomani la potrai ancora pagare, o se domattina
nella casa che occupi ti sveglierà la celere. Mentre da McDonald's hai la
sicurezza di trovare in ogni fottuto angolo del mondo lo stesso identico
negozio, con lo stesso identico menù e lo stesso identico sorriso "come da
contratto" dei commessi. Starà poi alle campagne pubblicitarie il compito di
distruggere le abitudini della comunità locale ed adeguarli a quelli globali
delle corporation. Così se per tradizione millenaria nei paesi mediterranei
il pasto rimane un lungo evento in casa e fuori altrettanto McDonald's vende
nei suoi spot una "atmosfera familiare", che rimane solo negli spot, nei
suoi "ristoranti" poi lo stile è lo stesso di Londra o di Hong Kong... a
meno che a realizzare una "atmosfera familiare" basti qualche realizzazione
cartotecnica o una disposizione dell'arredamento frutto di studi di
marketing decennali. Avete mai visto un commesso di McDonald's durare così
tanto da arrivare a salutarlo quando vi serve? NO MAI! Perché in quelle
condizioni di lavoro... per essere sempre così sorridenti e gentili, con
quella paga miserabile, più di due mesi non resisti. Mentre nelle trattorie
che frequento, dove ho trovato un ambiente che mi piace, vedo da anni
lavorare le stesse persone. Certo è tutto più rischioso... può darsi che
domani la pizza mi arrivi un po' bruciata o con qualche oliva in più, o in
meno, o che al cameriere quel giorno gli roda un po' il culo, ma sono rischi
che posso correre prima di trasformarmi in un obbediente robottino
consumatore.
Lo stesso identico discorso può essere applicato a moltissime situazioni
dove il mondo delle corporation sta attaccando le comunità locali... un
altro luccicante esempio di McWorld è BLOCKBUSTER, la catena mondiale di
noleggio videocassette. Dentro questi negozi entri gratuitamente nel sogno
americano; luci sfavillanti (le stesse di McDonald's), meraviglie in
cartotecnica (le stesse di McDonald's), commessi sorridenti e gentili (gli
stesse di McDonald's) e poi pop-corn, cappellini, bicchierini, magliettine..
tutto l'occorrente per essere uguale ai personaggi patinati del film che
affitterai, ma aldilà del "sogno americano", la tua indole mediterranea è
forse più portata ad un atteggiamento del tipo "frittatona con cipolle,
peroni gelata e rutto libero", oppure il sogno americano... una volta
arrivati negli USA ci si potrebbe sbriciolare quando entriamo in una
videoteca come quella raccontata in "Clerks", oppure invece di trovarci tra
le luci di McWorld ti trovi sotto i colpi dei manganelli elettrici della
polizia di L.A.. Nella pubblicità non c'era? Diteglielo agli Albanesi che
sono sbarcati anni fa in Puglia e che cercavano "il Mulino Bianco" o Mara
Venier in abito da sera ed invece si sono trovati davanti un popolo che ogni
giorno si deve inventare come svoltare la giornata, con le buone o con le
cattive.
Ma nel mondo pubblicitario di McWorld, alcuni particolari, vengono omessi,
così se vuoi avere un fisico che sia perlomeno vicino a quelli che hai visto
girando i canali del tuo televisore o le pubblicità di qualche rivista tipo
Panorama, Espresso o Time o qualsiasi altra, dovrai sottoporti ad un regime
alimentare nazista, questa sì una vera e propria "obsession", a base di
crusche, fermenti e germogli e se poi al raggiungimento dell'obiettivo l'
anoressia è dietro l'angolo e il fisico è ridotto ad un palloncino
raggrinzito, potrai sempre credere di vivere nel rutilante mondo dell'alta
moda, basta comprare la griffe giusta e sei subito Naomi, Laetitia, Kate &
C. anche se poi passi dieci ore al giorno in uno studio commercialista con
il solito contratto "acrobatico" e la tua casa non si trova proprio a
Beverly Hills, ma il tuo quartiere somiglia di più a Compton o a quelli
della banliues parigina.
Insomma nessuno di noi può sperare di rimanere immune o di non essere
toccato da questo spiegamento di forze e di mezzi, almeno fino a che non
riusciremo a svelarlo ed a capire che per non finire centrifugati (questa è
la sensazione che si ha all'uscita di un centro commerciale tipo Auchan, I
Granai o Cinecittà 2) occorrono dei cambiamenti radicali, opposizioni
radicali, ma soprattutto e fin da adesso occorrerebbe fare lo sforzo di
ragionare con il nostro cervello, oramai semi atrofizzato o sovraccaricato
di dati riguardanti magari 400 modelli di telefonini e relative tariffe, 300
tipi di profumi oppure gli schemi tattici di tutte le squadre di serie A
europee. Capire alla fine che tutto in questo pianeta è concatenato e che
alla nostra battaglia e che alla nostra resistenza dobbiamo oramai dare una
visione globale. Agire localmente e pensare globalmente. Oggi è così
evidentemente sempre più vero!
Come faccio a commuovermi e ad indignarmi sentendo le notizie che riguardano
la prostituzione di bambini in estremo oriente o in Brasile e poi andarmi a
mangiare il mio bel BigMac, lo farò, fino a che non so che i bambini che
fabbricano in Vietnam i gadget Disney in "omaggio" da McDonald's vengono
pagati 1000 dong (8 cent) l'ora mentre la McDonald's quest'anno ha diviso
tra i suoi schifosamente ricchi maggiori azionisti utili per miliardi di
dollari, che per la mia felpa di Pocahontas fabbricata ad Haiti a 5.500
chilometri di distanza dai begli uffici californiani di Disney, migliaia di
giovani lavoratrici, poco più che quindicenni, lavorino alla confezione di
abbigliamento a marchio Walt Disney per uno stipendio di circa 27 centesimi
(430 lire) l'ora.
E' allora che di fronte alla brutalità del lavoro schiavista l'alternativa,
quando c'è, è quella della prostituzione, oppure quando in Brasile invece di
coltivare cibo per la sussistenza della popolazione viene coltivato il
foraggio e le terre vengono utilizzate dai grandi latifondisti per far
pascolare i manzi dei nostri hamburger, o per coltivare il caffè dei nostri
intervalli. Le popolazioni vengono così spinte verso la foresta o verso le
favelas a ridosso delle metropoli dove una parte finisce per dover vendere
se o i propri figli al turista sessuale o al ricco locale per mettere
insieme il pranzo e la cena, o più spesso, uno dei due.
Fino a quando continueremo a vedere solo RONALDO e non tutto quello che c'è
dietro, difficilmente riusciremo ad ottenere cambiamenti che vadano oltre la
frequenza di sfarfalli del nostro televisore o una forma più ergonomica per
il nostro telecomando.
FONTE: http://www.tmcrew.org/csa/l38/info9/not_need.htm
===================================
# no global #

> LE 200 SOCIETÀ CHE CONTROLLANO IL MONDO
Il ruolo giocato dalle 200 principali imprese multinazionali su scala
planetaria, mosse da interessi particolari che si discostano sempre più
dall'interesse generale. Dall'inizio degli anni 80, queste "prime duecento"
hanno conosciuto, attraverso le fusioni e i riscatti di imprese,
un'espansione ininterrotta, grazie alla quale esercitano un dominio per così
dire totalitario non solo sull'economia, ma anche sull'informazione e sulle
menti
di Frédéric F. Clermont

Si cercherebbe invano, nei discorsi elettorali o in quelli degli adepti
della teoria neoclassica, la minima allusione al fatto che le concentrazioni
di imprese sono oramai il principale motore dell'accumulazione del capitale.
Certo, si è trattato di una costante nella storia del capitalismo, se non di
una condizione della sua sopravvivenza come modalità di dominio di classe;
ma il suo ritmo non era mai stato così rapido.
Dalla metà degli anni 70 l'accumulazione del capitale si realizza
essenzialmente tramite le annessioni di imprese, i riscatti e le fusioni,
Combinata alla colossale espansione dei flussi finanziari, speculativi e
non, essa agisce direttamente sulle decisioni di investimento: ma nulla di
tutto ciò viene spiegato chiaramente ai lavoratori, benché sia in gioco il
loro destino. Si insiste invece sul ruolo dinamico del "mercato", che
dovrebbe guidare le decisioni delle grandi società. Ma a sette anni dallo
smembramento dell'Unione sovietica, con la colonizzazione massiccia dell'Est
europeo, il rallentamento della crescita, l'aggravarsi degli antagonismi in
seno alle nazioni e all'interno stesso del mondo imperialista, dove sono le
gloriose promesse del "libero mercato?" (1) Intravista per qualche attimo
alla fine degli anni 80, la tanto vantata "ripresa economica" non ha
mantenuto le sue promesse. Le industrie manifatturiere mondiali (a eccezione
di quelle cinesi) lavorano soltanto al 70-75% della loro capacità. Il debito
mondiale (che comprende quello delle imprese, degli stati e delle famiglie)
ha superato 33.100 miliardi di dollari, pari al 130% del prodotto interno
lordo (Pil) mondiale, e progredisce a un tasso del 6-8% l'anno vale a dire
oltre il quadruplo della crescita del Pil mondiale. Queste disparità dei
tassi sono insostenibili e hanno conseguenze disastrose (2). Dovunque, in
tutti i settori, i salari reali diminuiscono sotto i colpi delle
ristrutturazioni, delle chiusure di fabbriche e delle delocalizzazioni.
Nelle sole economie capitaliste "avanzate", il numero dei disoccupati supera
i 41 milioni, e non è finita ...
Ma la crisi, con le sue centinaia di milioni di vittime, non colpisce le
compagnie transnazionali. Cantando le lodi delle realizzazioni delle 500
imprese globali censite da Fortune, gli autori di questo elenco notano con
compiacimento che "esse hanno travolto le frontiere per impossessarsi di
nuovi mercati e inghiottire i concorrenti locali. Più sono i paesi, più
aumentano i profitti. I guadagni delle 500 maggiori imprese sono cresciuti
del 15%, mentre l'aumento dei loro redditi ha raggiunto l'11% (3)"
All'inizio degli anni 90, circa 37.000 compagnie transnazionali, con le loro
170.000 filiali, stringevano nei loro tentacoli l'economia internazionale.
Ma il vero potere si concentra nella cerchia più ristretta delle "prime
duecento", che dall'inizio degli anni 80 hanno conosciuto un'espansione
ininterrotta (4) attraverso le fusioni e i riscatti di imprese.
La quota del capitale transnazionale nel Pil mondiale è infatti passata dal
17% della metà degli anni 70 al 24% nel 1982 a oltre il 30% nel 1995. Le
"prime duecento" (5) sono conglomerati le cui attività coprono, senza
distinzioni, i settori primario, secondario e terziario: grandi aziende
agricole, produzioni manifatturiere, servizi finanziari, commercio ecc.
Geograficamente si ripartiscono tra 10 paesi: Giappone (62) Stati uniti (53)
Germania (23) Francia (19), Regno unito (11), Svizzera (8), Corea del Sud
(6) Italia (5) e Olanda (4). Se si eccettuano alcune società anglo-olandesi
a capitale misto (i gruppi Shell e Unilever), restano in corsa soltanto 8
paesi, che totalizzano il 96,5% delle "prime duecento" e il 96% del loro
fatturato. Ma in realtà la concentrazione è ancora maggiore di quanto non
facciano pensare queste statistiche. Infatti, le compagnie appartenenti alla
categorie delle "prime duecento" non sono tutte società autonome, come è
dimostrato dagli esempi ben noti della Mitsubishi, della Sumitomo e della
Mitsui, per citarne solo alcune. Esistono cinque imprese Mitsubishi tra le
"prime duecento", il cui fatturato aggregato supera i 320 miliardi di
dollari. Queste entità in seno all'impero Mitsubishi, benché dotate di un
elevato grado di autonomia, sono strategicamente intrecciate le une alle
altre in materia di amministrazione, di prezzi, di commercializzazione e di
produzione. Lo stesso vale per quanto riguarda le loro comuni reti
economiche, politiche e di spionaggio. Il loro agente politico è il partito
liberal-democratico (Pld) le cui spese di funzionamento sono coperte nella
misura del 37% dall'impero Mitsubishi. Tra le "prime duecento", le disparità
di potere non hanno cessato di accentuarsi durante il processo di espansione
che hanno conosciuto in questi due ultimi decenni, in particolare in ragione
della guerra in atto tra loro per aggiudicarsi quote sempre maggiori del
mercato mondiale. In effetti, tra il 1982 e il 1995 il numero delle
compagnie americane è sceso da 80 a 53, mentre quello delle società
giapponesi è aumentato, durante lo stesso periodo, da 35 a 62.
Un tempo prima potenza imperiale, il Regno unito ha visto il numero delle
sue società crollare da 18 a 11. In compenso è emerso un nano geografico e
demografico, la Svizzera. Ma l'aspetto più sorprendente è stata la rapida
ascesa delle società sudcoreane, il cui numero è passato da 1 a 6 in un
periodo di tempo relativamente breve. In testa figura la Daewoo, uno dei
gruppi transnazionali di più aggressivo espansionismo, punta di lancia
dell'imperialismo coreano. Con un fatturato di oltre 52 miliardi di dollari,
ha superato colossi quali la Nichimen, la Kanematsu, la Univeler o la
Nestlé.
L'espansione planetaria della Daewoo è abbastanza sintomatica della potenza
dei chaebol, i conglomerati coreani. Gli attivi dei trenta primi chaebol
sono aumentati da 223 miliardi di dollari del 1992 a 367 miliardi nel 1996,
e rappresentano oltre quattro quinti del Pil coreano (6). Inoltre, sono le
compagnie che occupano i quattro primi posti Daewoo, Sandgong, Samsung e
Hyundai a spartirsi la metà di questi attivi (185 miliardi di dollari). Nel
gennaio scorso, la rivolta operaia ha fatto volare in frantumi il mito del
"miracolo coreano", ma non è affatto detto che il risultato sia un
rallentamento dell'espansione di questi giganti, all'interno del paese e
fuori.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza i miliardi di dollari forniti
dagli Stati uniti durante la fase della crescita coreana, negli anni tra il
1947 e il 1955; dopo di che subentrarono decine di miliardi di dollari di
sovvenzioni pubbliche. Nella Corea del Sud, come del resto in Giappone, non
esiste una linea di demarcazione ben definita tra i chaebol e lo stato (7).
Alle sovvenzioni pubbliche andrebbe poi aggiunta la repressione spietata
della classe operaia e la liquidazione dei diritti della persona. Tutti i
politici, senza eccezione alcuna, così come i membri delle alte gerarchie
militari, sono azionisti di primo piano, che siedono nei consigli di
amministrazione delle grandi compagnie. Nella confraternita dei chaebol,
tutti si conoscono e i matrimoni si combinano all'interno.
Chi non ricorda la frase pronunciata dal grande industriale tedesco Walter
Rathenau nel 1909: "Trecento uomini, che si conoscono tutti tra loro,
dirigono i destini dell'Europa e cooptano al loro interno i propri
successori (8)?" Helmut Maucher, direttore generale della Nestlé oltre che
"impresario" del Forum di Davos, presiede La tavola rotonda europea degli
industriali, il Club delle élites appartenenti a 47 società nel novero delle
"prime duecento". Avversario implacabile della carta sociale europea, è un
militante attivo della flessibilità del lavoro, come tutti i membri della
sua casta. Dal 1986 al 1996 le fusioni di imprese si sono moltiplicate al
ritmo del 15% l'anno, e non si vedono segni di rallentamento nel prossimo
futuro. Se dunque le cose non cambieranno da qui al 2000, il costo cumulato
di questo genere di transazioni raggiungerà circa 10.000 miliardi di dollari
(a titolo di confronto, il Pil degli Stati uniti era, nel 1996 e a livelli
di prezzi correnti, di 7.600 miliardi di dollari). Evidentemente, in questo
periodo contrassegnato dalla deflazione e dal rallentamento della crescita,
dalla sottoccupazione e dall'indebitamento, le società transnazionali non
hanno altro mezzo, per promuovere la propria espansione, che quello di
assorbire le loro concorrenti per conquistare così nuovi mercati.
Le fusioni di imprese permettono inoltre la realizzazione di economie di
scala sul mercato mondiale. Vi fanno ricorso molte compagnie transnazionali,
quali la Boeing e le tre grandi società automobilistiche degli Stati uniti,
oppure, in Giappone e nella Corea del Sud, i giganti dell'automobile,
dell'elettronica e delle costruzioni navali. Cinque tra le maggiori imprese
transnazionali hanno messo le mani su oltre la metà del mercato mondiale nei
settori chiave dell'aerospaziale, delle forniture elettriche, delle
componenti elettroniche e del software; altre due hanno fatto altrettanto
nella ristorazione rapida, e cinque nei settori delle bibite, del tabacco e
delle bevande alcooliche.
L'ascesa delle transnazionali è incoraggiata non solo dai governi dei
rispettivi paesi, ma anche dalle enormi sovvenzioni e dai privilegi fiscali
offerti da paesi d'accoglienza quali il Regno unito e l'Irlanda, così come
dai governi dell'Europa dell'Est, che stanno svendendo il patrimonio
nazionale a colpi di privatizzazioni e di incentivi fiscali di ogni genere.
Fusioni e alleanze di società (come l'alleanza tra la Shell e la Bp)
contribuiscono all'edificazione di un complesso economico totalitario.
"Liberalizzazione", "privatizzazione", "deregulation", "sistema del libero
commercio internazionale", sono altrettanti argomenti razionali che
dovrebbero giustificare quest'evoluzione. In questo movimento di
concentrazione, le grandi banche di investimenti, i fondi mutui e i fondi
pensione giocano un ruolo preponderante (leggere l'articolo a pagina 18).
Wall Street, dal canto suo, esercita pressioni per gonfiare i guadagni dei
"valori di portafoglio"; e le banche di investimenti trovano in tutto questo
il loro tornaconto.
Il caso della Goldman Sachs, una delle principali banche di investimenti, al
primo posto nel mondo per il consolidamento delle società transnazionali, è
esemplare a questo riguardo. I suoi profitti sono raddoppiati nel giro di un
anno, passando da 931 milioni di dollari nel 1995 a 1,9 miliardi nel 1996.
Applicando le sue ricette, questa banca ha ridotto del 20% i suoi effettivi
in questi ultimi anni, per non essere handicappata da un "costo del lavoro
troppo elevato". Il che non le impedisce di pagare oltre 200.000 dollari di
dividendi annui a ciascuno dei suoi 175 associati, in aggiunta ai profitti
sul loro capitale.
Alla Morgan Stanley (9), il presidente ha percepito oltre 14 milioni di
dollari di dividendi nel 1996, pari a un aumento del 30% rispetto all'anno
precedente. Ma queste banche, non contente di incoraggiare le fusioni di
imprese, si impegnano direttamente sulla stessa strada. La fusione tra la
Morgan Stanley e la Dean Witter ha dato origine a una delle più grosse
società di investimenti e titoli del mondo, il cui valore di mercato è di
oltre 24 miliardi di dollari (10). E quest'evento ha scatenato una reazione
a catena tra le altre banche di investimenti e le società di
intermediazione.
Quanto potrà durare questo gioco? "Francamente, nessuno lo sa, dichiara un
commissario ai conti della City. Le banche impegnano somme molto rilevanti.
Stiamo spingendo all'impazzata alle fusioni, che sono il nostro nutrimento".
Questo esperto altamente qualificato riconosce così senza mezzi termini che
quest'orgia di annessioni di imprese si finanzia mediante l'indebitamento.
Né più né meno dell'economia mondiale. La Novartis, nata nel 1996, occupa il
secondo posto tra i giganti dell'industria farmaceutica, Questa società è il
prodotto di una fusione tra la Sandoz e la Ciba-Geigy: si è trattato della
maggiore operazione del genere nella storia delle transnazionali, che in
commissioni e onorari di legali ha fruttato circa 95 milioni di dollari,
ripartiti tra la Morgan Stanley e l'Union de Banque Suisse (Ubs). Da un
giorno all'altro, il capitale della Novartis è balzato da 63 miliardi di
dollari a 82 miliardi. Quando una manna del genere cade nei forzieri di un
ristrettissimo gruppo di finanzieri, come parlare di crisi del capitalismo?
Tuttavia la medaglia ha il suo rovescio: la nascita della Novartis ha
comportato massicce liquidazione di posti di lavoro, prontamente eseguite in
nome delle abituali "economie dei costi" e "ristrutturazioni". Di colpo, le
azioni delle due società hanno conosciuto un rialzo senza precedenti.
Il 10% della forza lavoro sarà eliminato in una prima fase. E le conseguenze
in termini di aggravamento della miseria non impediscono agli ambienti della
finanza di presentare l'operazione come una vittoria della razionalità di
mercato.
Allo stesso modo si esulta, a Wall Street e su tutti i mercati finanziari,
per l'assorbimento da parte della Boeing della McDonnell Douglas (14
miliardi di dollari). Ma stavolta c'è stata una differenza nella strategia
dell'annessione, dato che quest'acquisto non è solo il risultato di una
decisione del consiglio d'amministrazione della Boeing, ma era stato
vigorosamente incoraggiato dal Pentagono e dal dipartimento del commercio,
preoccupato di favorire la penetrazione del settore aerospaziale americano
sui mercati internazionali. Le conseguenti liquidazioni di posti di lavoro
sono state massicce. Peraltro, dal 1992 il numero degli stabilimenti che
lavorano per la difesa è crollato da 32 a 9, con la perdita di oltre 1
milione di posti di lavoro (11).
In quest'ultimo esempio, le considerazioni strategiche non sono dissociabili
dalla ricerca del profitto, dato che i titolari della Boeing e i
dipartimenti della difesa e del commercio degli Stati uniti miravano a
qualcosa di più di un'estensione delle quote di mercato aperte alle
esportazioni americane. Era venuto per loro il momento di emarginare, se non
di liquidare l'Airbus. Grazie all'apporto della McDonnell Douglas, la Boeing
detiene ormai il 64% del mercato. L'impresa beneficierà inoltre degli
ordinativi della difesa che in precedenza andavano alla McDonnell Douglas. E
infine, il suo accesso ai finanziamenti del settore pubblico federale
risulta rafforzato . Per il 1997 la Boeing ha previsto entrate per 51
miliardi di dollari, di cui il 40% proveniente dagli ordinativi della
difesa. Dove sono i criteri di mercato in tutto questo? Acquistando la
McDonnell (e altri acquisti seguiranno inevitabilmente su questa scia) la
Boeing si assicura enormi sovvenzioni. Quest'impresa vende i suoi beni e
servizi molto al disotto dei costi di mercato. Le sue attività di ricerca e
sviluppo sono sovvenzionate dal Pentagono fin dalla fine della guerra, a
colpi di decine di miliardi di dollari oltre che attraverso l'acquisto di
aerei.
Per il momento, il peso schiacciante delle società transnazionali
nell'economia mondiale non ha un contrappeso equivalente in campo politico.
Cosa avverrà nel prossimo secolo? Queste imprese potranno conservare le loro
strutture totalitarie di dominio e di sfruttamento? Una crescita infinita
non può esistere in un mondo finito: questa legge almeno vale per tutti, e
si applica anche alle megaimprese. Nessuno può dire dove si fermerà il
movimento di concentrazione capitalistica, né se e quando troverà un suo
limite. Ma fin d'ora, i guasti sociali e politici determinati dalle fusioni
e dai riscatti in serie stanno aprendo numerose crepe nell'edificio ...
FONTE: Le Monde Diplomatique -
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/index1.html
Note:
(1) Cfr. Frédéric F. Clairmont e John H. Cavanagh, The World
in their Web: the Dynamics of Textile Multinationals, Zed, Londra, 1981.
(2) Ad esempio, il debito del governo federale americano
(vale a dire, i debiti contratti dallo stato per finanziare le sue spese) è
aumentato da 910 miliardi di dollari nel 1980 a 3.210 miliardi nel 1990 e a
4.970 miliardi nel 1995; alla fine del 1997 dovrebbe raggiungere i 6.200
miliardi.
(3) Fortune, New York, 5 agosto 1996.
(4) Tra le "prime duecento" non è compreso un certo numero di
megaimprese private (non quotate in borsa) quali la Cargill, la Koch, la
Mars, la Goldman Sachs, la Marc Rich ecc.
(5) Leggere Frédéric F. Clairmont, "Sous les ailes du
capitalisme planétaire, le Monde diplomatique, marzo 1994.
(6) Cfr. The International Herald Tribune, 18-19 gennaio
1996.
Leggere inoltre Laurent Carroué, "I lavoratori coreani all'assalto del
dragone", le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 1997.
(7) Il legame tra stato e oligarchia finanziaria è stato
posto in luce ancora una volta dalla decisione del ministero delle finanze
di impegnare 7,2 miliardi di dollari (di denaro dei contribuenti) per porre
termine ai fallimenti provocati dal crollo del gruppo Hanbo (acciaio e
costruzioni).
(8) Neuen Freien Presse, dicembre 1901, citata in Tilmann
Buddensieg, Ein Mann vieler Eigenschaften, Verlag Klaus Wagenbach, Berlino,
1990. Leggere inoltre The German great Banks and their Concentration,
documenti del Senato americano, vol.
XIV, n503, Washington D.C., 1911.
(9) Cfr. Financial Times, Londra, 6 febbraio 1996.
(10) Ibid.
(11) Cfr. The Economist, Londra, 21 dicembre 1996.
(Traduzione di P.M.)
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