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[information guerrilla #6] Mobilitiamoci contro la guerra
- Subject: [information guerrilla #6] Mobilitiamoci contro la guerra
- From: "Information Guerrilla Newsletter" <kowalski at informationguerrilla.org>
- Date: Mon, 24 Sep 2001 00:44:41 +0200
>>>> INFORMATION GUERRILLA # 6 <<<< "independent people against media hipocrisy" >> newsletter settimanale di controinformazione << 24-09-01 I testi della NL sono selezionati da fonti online e offline sempre citate (che ringraziamo) e sono utilizzati senza fini di lucro esclusivamente per contribuire alla loro diffusione ed a quella delle fonti. Per iscrizioni, cancellazioni, arretrati, collaborazioni, contatti, privacy policy: http://www.informationguerrilla.org (finalmente online!) Inoltrate e diffondete! Grazie. =================================== In questo numero: >>> MOBILITIAMOCI CONTRO LA GUERRA 1> LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 2> PACE, PETIZIONE A BUSH 3> LUIGI CIOTTI: UN MONDO SENZA ARMI E SENZA INGIUSTIZIA E' POSSIBILE 4> IL 14 OTTOBRE LA MARCIA DELLA PACE PERUGIA-ASSISI 5> LE DONNE AFGHANE VITTIME DEI TALIBAN: "NON BOMBARDATE I CIVILI" 6> DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA CONTRO LA GUERRA 7> USA, IL TERRORE A MEZZO SERVIZIO 8> CHI È OSAMA BIN LADEN, L'UTILE MOSTRO "WANTED" 9> NOTE DI UN'ANTIAMERICANA 10> LETTERA DI RINGRAZIAMENTO A BARBARA LEE 11> BIN LADEN, L'OLEODOTTO E BUSH >>> LINKS: the Coca Cola crimes / Impregilo. i crimini del capitalismo italiano nel mondo / Piccole bombe crescono: la pericolosità dell'ultradestra italiana / storia segreta del signor Savoia / dopo la "guerra fredda". geopolitica e strategia della Nato/ nazione nucleare: le armi di distruzione di massa in israele / Scienziate e scienziati contro la guerra / L'Italia e la Nato / Boycott / Giano / La Leva / Terre Libere / Covert Action >>> LETTURE: Ecocidio di J. Rifkin / La CIA in Guatemala. Gli orrori di un genocidio >>> NO GLOBAL: compri cose di cui non hai bisogno / le 200 società che controllano il mondo / Genova e dopo, un punto di svolta >>> SITI AMICI =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 1> LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Sottoscriviamo e diffondiamo questa lettera del Centro di ricerca per la pace: Al Presidente della Repubblica al Presidente del Senato della Repubblica al Presidente della Camera dei Deputati al Presidente del Consiglio dei Ministri Egregi signori, con la presente vorremmo sottoporre alla vostra attenzione quanto segue: 1. il diritto internazionale non contempla il diritto di uno stato di scatenare una guerra contro un altro stato o piu' stati adducendo a pretesto il fatto che sul suo o loro territorio si trovino gruppi criminali. Secondo tale ragionamento essendoci in Italia organizzazioni mafiose qualunque stato potrebbe aggredire il nostro paese. 2. La Costituzione della Repubblica Italiana non consente al nostro paese di partecipare a una guerra di aggressione. La partecipazione o il sostegno italiano a una guerra di aggressione e' quindi impossibile, ed un governo che tale partecipazione o sostegno disponesse si collocherebbe fuori della legalita', ed un Presidente della Repubblica che tale partecipazione o sostegno avallasse commetterebbe il delitto di alto tradimento. 3. Scatenando una guerra condotta attraverso uccisioni di massa (ed ogni guerra contemporanea costitutivamente e' cosi') si riprodurrebbe l'azione dei terroristi e si favoreggerebbe e proseguirebbe il loro disegno criminale e disumano. Chi promuovesse o prendesse parte a una tale guerra si farebbe complice e seguace dei terroristi, si farebbe terrorista a sua volta. 4. Pertanto siamo a richiedervi di rispettare la legge fondamentale del nostro ordinamento, cui avete giurato fedelta', e di esprimere l'opposizione assoluta del nostro paese ad ogni eventuale azione di guerra. Nella sciagurata ipotesi che una guerra venisse scatenata, che il governo italiano decidesse la partecipazione ad essa del nostro paese, che il Parlamento italiano non la respingesse, e che il Presidente della Repubblica Italiana non la impedisse, a fronte di questa condotta illegale e criminale, ed effettualmente golpista, il cui esito sarebbe di contribuire a provocare stragi e la violazione della legalita' nel suo fondamento costituzionale, ebbene, fin d'ora vi dichiariamo che: a) ci opporremo alla guerra e ci impegneremo sia per salvare delle vite umane innocenti in pericolo, sia in difesa della Costituzione della Repubblica Italiana, dello stato di diritto, della legalita' e della democrazia; b) chiameremo l'intero popolo italiano ad opporsi alla guerra illegale e criminale; c) agiremo contro la guerra, contro il terrorismo, ed in favore della legalita' e dei diritti umani, unicamente secondo modalita' rigorosamente nonviolente, del tutto opposte ad ogni forma di violenza fisica, psicologica ed anche solo verbale; col massimo impegno intellettuale e morale per ricondurre tutti alla ragione e al rispetto del diritto e della legalita', col massimo impegno concreto per contrastare operativamente la guerra e per ottenere il ripristino della legalita' costituzionale. Ed in particolare agiremo: I. Con l'azione diretta nonviolenta: per opporci alla guerra ed ai suoi apparati, cercando di mettere le strutture militari e tutte le attivita' connesse alle armi (produzione, commercio, uso) in condizioni di non poter agire, e quindi in condizioni di non nuocere all'incolumita' e alla vita di esseri umani; II. Con la disobbedienza civile di massa: chiamando tutti i cittadini, ed in primo luogo tutti i pubblici dipendenti e gli operatori di servizi di pubblica utilita', a noncollaborare con la guerra, ad opporsi alla violazione della legalita', a negare il consenso a una decisione golpista e stragista; III. Con lo sciopero generale: per bloccare l'economia, la macchina amministrativa e il paese, e costringere quel governo, quel Parlamento e quel Presidente della Repubblica che avessero violato la legalita' costituzionale a prendere atto dell'opposizione popolare ad una decisione illegale e criminale, a recedere dalla loro decisione. Tanto vi annunciamo fin d'ora, come e' proprio della tradizione delle lotte nonviolente, affinche' voi fin d'ora sappiate quale sia la nostra opinione, la nostra determinazione, la nostra azione nel caso che la guerra venisse scatenata e che l'Italia vi prendesse parte. Sperando che la guerra non scoppi, sperando che siate cosi' ragionevoli da non volervi precipitare l'Italia, sperando che sappiate condividere la nostra volonta' di rispettare e difendere la Costituzione della Repubblica Italiana, lo stato di diritto, la legalita', la democrazia, il diritto di ogni essere umano alla vita, distintamente vi salutiamo, augurandovi una cosciente riflessione e un buon lavoro nell'interesse del paese e dell'umanita', per la pace e per la legalita', contro ogni forma di terrorismo e di criminalita', contro ogni violazione dei diritti umani. Per il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo il responsabile, Giuseppe Sini Viterbo, 23 settembre 2001 Mittente: Centro di ricerca per la pace strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Fonte: http://www.nonviolenti.org/ Da non perdere: "La nonviolenza è in cammino", notiziario telematico quotidiano! http://www.nonviolenti.org/CRP/index.html =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 2> PACE, PETIZIONE A BUSH La presente è una petizione che sarà mandata al Presidente Bush, e ad altri leaders mondiali, sollecitando loro ad evitare una guerra come risposta all'attacco terroristico contro il World Trade Center e il Pentagono questa settimana. Per favore leggilo, firmalo e rinvia il link a più persone possibile, il più presto possibile. Dobbiamo far circolare questo documento rapidamente se vogliamo abbia un qualche effetto, visto che il Congresso degli Stati Uniti ha già approvato una risoluzione che supporta ogni azione militare che il Presidente Bush ritenga appropriata. FIRMA QUI ! http://www.9-11peace.org/petition.php3 =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 3> LUIGI CIOTTI: UN MONDO SENZA ARMI E SENZA INGIUSTIZIA E' POSSIBILE Meglio la fine dell'ingiustizia che "giustizia infinita". Il riequilibrio tra nord e sud del mondo, invece di seminare bombe, odio e morte. Una nuova cultura, una nuova umanità che sappia risolvere i conflitti e lottare contro la miseria, l'ignoranza, le intolleranze. La vera e duratura garanzia di pace, stabilità e sicurezza è nella capacità delle nazioni del mondo, a partire da quelle che hanno più ricchezza e dunque più potere, di ritrovare unità, concerto nelle decisioni, coralità nella definizione delle priorità. Nazioni unite significava, e deve tornare pienamente a significare, questo. Certamente, e pur indirettamente, il progressivo svuotamento e delegittimazione di sedi internazionali quali l'Onu non ha contribuito a rendere più sicure e durature le relazioni di pace tra i popoli e gli equilibri geopolitici tra le aree. In questo stato di grave tensione e dopo i tragici lutti che hanno colpito la popolazione americana, occorre far sì che l'emozione non soffochi la ragione, che il dolore non accechi e zittisca la politica, che rimane lo strumento principe per governare le relazioni tra gli stati, dirimendone e prevenendone i conflitti. Prima che di "giustizia infinita" occorrerebbe forse parlare di fine dell'ingiustizia. Non è un gioco di parole: è la consapevolezza, fuori di ogni retorica o demagogia, che il rapporto tra Nord e Sud del mondo è contrassegnato storicamente da troppe disparità, ineguaglianze, povertà, logiche di sfruttamento, razzismo e neocolonialismo. Uno squilibrio pericoloso, rispetto al quale siamo spesso sordi e disattenti. Ragionarne non significa certo allentare lo sdegno per il criminale attentato dell'11 settembre o diminuire la solidarietà verso le vittime e le popolazioni colpite. All'opposto, significa ricercare una più efficace capacità di prevenire nuovi lutti e di battere le organizzazioni criminali e il fanatismo politico e religioso, sottraendo loro il consenso e contrastandone l'operatività. Queste ingiustizie, lo strangolamento economico di intere regioni e continenti attraverso il meccanismo "usurario" del debito, la morte per fame, per sete, per malattie evitabili, per desertificazione del territorio, per nuovo schiavismo, per aids, per privazione dei diritti umani, per intolleranze etnico-religiose, costituiscono nell'insieme una polveriera. Promuovere giustizia, neutralizzare la polveriera, ristabilire equilibrio geopolitico non può avvenire in forza delle armi, né con la logica della rappresaglia o con la licenza di uccidere. Una logica che può apparire legittimata dalla gravità inaudita degli avvenimenti, emotivamente condivisibile, ma politicamente assai rischiosa e del resto moralmente e culturalmente inaccettabile per quanti si riconoscono in Cristo e per chi creda nelle regole dello stato di diritto. Nella guerra non c'è mai vero sollievo per le vittime, non c'è riparazione per i torti subiti, non c'è promozione di giustizia: c'è solo la certezza di incrementare la spirale dell'odio. La giustizia non si conquista sulla punta delle baionette, neppure quando si hanno tutte le ragioni dalla propria parte o quando, come nel criminale attacco dell'11 settembre a New York e a Washington, migliaia di persone vengono uccise senza pietà e senza giustificazione alcuna. Non è certo con nuove leggi repressive ed emarginanti contro gli immigrati, come sembra farsi strada negli Usa, che si ferma la mano e l'odio del fanatismo etnico o religioso. Anzi. Non è con l'aumento delle spese militari, con le finanziarie e l'economia di guerra, che si stabilizzano e rendono sicure certe aree geografiche o le nostre stesse città. Certo, la giustizia e la sicurezza non si ottengono neppure con la rassegnazione o subendo passivamente la violenza e il terrorismo. Questo deve essere chiaro e ribadito. Ma, al di là e dopo l'emozione che ci ha tutti colpito per la tragedia negli Usa, e senza fare venire meno la massima solidarietà per la popolazione colpita, la necessità vitale e lungimirante è quella di una nuova logica politica, di una alleanza internazionale non solo contro il terrorismo, ma per una nuova cultura nel rapporto tra i popoli, le religioni, i paesi e i loro governi, che non metta sempre al primo posto la logica del profitto e la legge del più forte (militarmente ed economicamente), ma quella della tolleranza e del rispetto reciproco, della convivenza e dello sviluppo comune. Quando la parola passa alle armi, quali che siano le ragioni e gli avvenimenti che determinano questa scelta, si tratta sempre di uno scontro tra inciviltà. Invece, questo nostro mondo lacerato e insanguinato ha bisogno di riscoprire una nuova umanità, un modo nuovo, radicalmente diverso, radicalmente più giusto, non distruttivo, per affrontare e risolvere i conflitti. Un modo radicalmente e rigorosamente nonviolento. Un'utopia? Può sembrarlo, ma forse diventa credibile e praticabile se osserviamo quanto l'opzione militare e la politica (e l'economia) che preferiscono la risposta delle armi non hanno mai prodotto stabilità, sicurezza e progresso. Al contrario, hanno sempre rinnovato, esteso e moltiplicato i conflitti e le vittime, specie civili. Allora - è il mio auspicio e impegno - paradossalmente la terribile strage dell'11 settembre potrebbe innescare un soprassalto di lucidità nei governi e nella coscienza collettiva, nella società civile globale, per interrompere finalmente la spirale dell'odio e del terrore. Iniziando a metterne in discussione i presupposti e sottraendosi al copione già scritto della rappresaglia. Un copione di morte, sicuramente previsto e fortemente voluto dagli occulti registi dell'11 settembre. Non facciamo il loro gioco, vi prego." Fonte: Il Manifesto, 22/09/01 - http://www.ilmanifesto.it =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 4> IL 14 OTTOBRE LA MARCIA DELLA PACE PERUGIA-ASSISI "Di fronte alla tragedia che ieri ha colpito gli Stati Uniti, vogliamo esprimere al popolo americano e alle famiglie di tutte le vittime un forte sentimento di solidarietà. Con loro condividiamo un profondo dolore, l' angoscia e il senso di smarrimento che sta scuotendo le nostre vite e il mondo intero. Nessuna giustificazione può coprire un simile atto di terrorismo condotto contro decine di migliaia di persone innocenti. La condanna deve essere ferma, netta e unanime, così come deve essere la reazione di tutte le donne e gli uomini amanti della pace. Questi terribili attentati terroristici devono farci riflettere. I loro effetti si sono già propagati in tutto il mondo e sono destinati a durare a lungo. Facciamo appello al senso di responsabilità di tutti i capi di Stato e di Governo: non possiamo lasciarci travolgere da una inondazione di odio, sangue e terrore. Dobbiamo evitare di restare intrappolati in un vortice sanguinoso di violenza, guerre e terrorismo su scala mondiale. Non solo l'America, ma il mondo intero sta diventando più insicuro. Questo è il momento in cui tutti i popoli e gli Stati della Terra si devono unire per mettere un freno al disordine internazionale che minaccia tutti e per costruire un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo. Per rendere il mondo più sicuro è necessario promuovere più cooperazione internazionale a tutti i livelli e in tutti i campi. Nessuno può più pensare di isolarsi. La pace e la sicurezza sono beni comuni globali indivisibili. Dobbiamo costruire pace e sicurezza per tutti. O non ci sarà per nessuno. All'assunzione di responsabilità di molte organizzazioni della società civile deve corrispondere un nuovo e diverso impegno degli Stati. Nessuno può farcela da solo. Abbiamo bisogno di rafforzare subito le Nazioni Unite (unica "casa comune" di tutti i popoli del mondo) e tutte le istituzioni internazionali democratiche dove occorre costruire le risposte alla disperata domanda di sicurezza, di pace e di giustizia che sale da ogni angolo del pianeta. Popoli e governi, società civile e istituzioni debbono unirsi nell' indispensabile tentativo di mettere fine a tutti i conflitti e alle grandi violazioni dei diritti umani che continuano ad insanguinare il mondo. Abbiamo bisogno di costruire nuovi ponti e non nuovi muri. Abbiamo bisogno di combattere l'egoismo, il cinismo, l'indifferenza, tutte le forme di razzismo ed esclusione economica e sociale che alimentano la disperazione. Abbiamo bisogno di donne e uomini che riscoprano il senso vero e il primato della politica e si mettano al servizio del bene comune globale. Il nostro è un appello alla calma, al senso di responsabilità e all'impegno per la pace. Il futuro è nelle nostre mani. E' con questo spirito e questa consapevolezza che il prossimo 14 ottobre marceremo in tanti da Perugia ad Assisi contro ogni forma di violenza e terrorismo, per la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli." Per adesioni e informazioni: Tavola della pace, http://www.tavoladellapace.it/ =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 5> LE DONNE AFGHANE VITTIME DEI TALIBAN: "NON BOMBARDATE I CIVILI" (di Najba Hotaky, Presidente dell'Associazione delle donne afghane ad Amburgo, "Afghanischer Frauenverein".) Signor Presidente Bush, proviamo un profondo dolore per il popolo americano. Gli atti terroristici che hanno strappato la vita a tanti esseri umani sono un crimine spaventoso che noi, associazione delle donne afghane in Germania, condanniamo con tutta la nostra forza. Noi donne afghane viviamo in esilio e sappiamo cosa significa essere vittime del fanatismo. Il regime dei Talebani non solo appoggia il terrorismo. I Talebani hanno in pochi anni annientato le istituzioni politiche, hanno mutilato gravemente la societá civile, hanno abolito la cultura. Sono soprattutto le donne succubi di tale regime a patire immensamente. I diritti umani non valgono per le donne afghane, se i giudici Talebani lo sentenziano possono essere macellate come bestie davanti agli occhi dei propri figli. Le donne afghane soffrono la fame, impazziscono, sono disperate. Per loro la sola via di uscita é spesso il suicidio. La sofferenza e la miseria della popolazione afghana non si puó descrivere. La nostra gente ha perso tutto in decenni di guerra e adesso é un ostaggio nelle mani di un regime terroristico. Molti afghani sono scappati, ma tanti hanno dovuto rimanere. Sono prigionieri nelle loro case, nel loro paese. La preghiamo, Signor presidente, non permetta che la bombe cadano sull'Afghanistan. I terroristi sanno dove nascondersi, anche i Talebani sanno come scampare al pericolo. Solo le donne e i bambini, i mutilati, i vecchi non possono sfuggire. Non hanno neanche la forza per farlo. E dove dovrebbero andare? I campi profughi sono affollatissimi. Le frontiere chiuse. Il popolo afghano é in trappola. Signor Presidente, non permetta che la popolazione civile afghana venga sterminata. Persegua i terroristi, non lasci che il fuoco e la morte cadano sugli innocenti. Noi donne diamo la vita, per noi é la vita la cosa piú importante. La vita di ogni essere umano. Portiamo il lutto per i morti del Suo popolo, Signor presidente. Il lutto per il nostro popolo non trova tregua. Singor presidente, lasci sopravvivere i nostri bambini, le nostre sorelle e i nostri vecchi. La vita é la sola cosa che possiedono. Non permetta che si bombardi la popolazione civile. Le bombe sono cieche. Cieche come i terroristi." FONTE: Die Zeit =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 6> DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA CONTRO LA GUERRA Non di azioni meramente simboliche ma operative ed efficaci. O l'azione nonviolenta sa contrastare concretamente la guerra o e' nella migliore delle ipotesi una testimonianza, nella peggiore una pagliacciata. Due anni fa proponemmo, e realizzammo ad Aviano, l'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace con cui ostruire lo spazio aereo di decollo antistante e sovrastante le basi dell'aviazione militare impedendo la partenza dei bombardieri. Dimostrammo che e' possibile un'azione nonviolenta che contrasti l'apparato bellico sul terreno, con la forza della nonviolenza, senza mettere in pericolo la vita di nessuno, nella massima limpidezza, riuscendo ad esempio a impedire i decolli dei bombardieri. Se una nuova guerra dovesse essere scatenata ed il nostro paese dovesse prendervi parte, con cio' i decisori renderebbero l'Italia compartecipe di un'azione doppiamente criminale: poiche' guerra e' sempre omicidio di massa - la formula, definitiva, e' di Gandhi -, e poiche' la partecipazione italiana configurerebbe la violazione della nostra Costituzione. Cosicche' il governo, il parlamento e il presidente della Repubblica che facessero un tale passo si collocherebbero fuori della legge ed il popolo italiano sarebbe chiamato a ripristinare la legalita' e difendere l'ordinamento giuridico, lo stato di diritto e la democrazia impedendo la partecipazione del nostro paese al crimine bellico. Dinanzi alla partecipazione italiana alla guerra avremmo tutti l'obbligo morale e giuridico di togliere il consenso ai decisori pubblici stragisti, e di opporci efficacemente alla guerra in nome del diritto, dell'umanita', della stessa legge fodnamentale della nostra Repubblica. * E per contrastare praticamente, e non solo a chiacchiere, la guerra, riteniamo ed abbiamo piu' volte gia' detto che tre sono le cose da fare: a) l'azione diretta nonviolenta con cui bloccare l'apparato bellico: bloccando le catene di comando, bloccando le basi militari, bloccando la produzione e il traffico delle armi; si potrebbe cominciare ancora con l'azione del blocco nonviolento dei decolli dei bombardieri. b) la disobbedienza civile di massa: mettendo i decisori fuorilegge nell'impossibilita' di avvalersi del consenso e della passivita' della popolazione, nell'impossibilita' di avvalersi degli strumenti della macchina amministrativa e dei poteri e degli spazi pubblici; ed impedendo loro di dar seguito ai loro piani incostituzionali dagli esiti stragisti; c) lo sciopero generale contro la guerra: puntando a bloccare tutte le attivita' del paese, chiamando l'intera popolazione del nostro paese a resistere a un governo fuorilegge, chiamando il popolo italiano ad esercitare la sua sovranita' in difesa della Costituzione, della pace, del diritto alla vita di tutti gli esseri umani. * Qui intendiamo offrire alcuni materiali di riflessione ulteriori sull'azione diretta nonviolenta. Ed in primo luogo diciamo che all'azione diretta nonviolenta contro la guerra possono partecipare solo persone persuase della nonviolenza e adeguatamente preparate. Come esempio su cui riflettere riproduciamo qui le regole di condotta dei partecipanti all'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace ad Aviano due anni fa. * Quattro regole di condotta obbligatorie per partecipare all'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la pace: I. A un'iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che accettano incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza. II. Tutti i partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con tranquillità, con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno. III. Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso e fini di questa azione diretta nonviolenta delle "mongolfiere per la pace", vale a dire: a) fare un'azione nonviolenta concreta: - per impedire il decollo dei bombardieri; - opporsi alla guerra, alle stragi, alle deportazioni, alle devastazioni, al razzismo; - chiedere il rispetto della legalità costituzionale e del diritto internazionale che proibiscono questa guerra; b) le conseguenze cui ogni singolo partecipante può andare incontro (possibilità di fermo e di arresto), conseguenze che vanno accettate pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di sottrarsi. IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della nonviolenza: - non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa delle stupidaggini, o una sola persona si fa male, la nostra azione diretta nonviolenta è irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere immediatamente sospesa); - spiegare a tutti (amici, autorità, interlocutori, interpositori, eventuali oppositori) cosa si intende fare, e che l'azione diretta nonviolenta non è rivolta contro qualcuno, ma contro la violenza (in questo caso lo scopo è fermare la guerra, cercar di impedire che avvengano altre stragi ed atrocità); - dire sempre e solo la verità; - fare solo le cose decise prima insieme con il metodo del consenso ed annunciate pubblicamente (cioè a tutti note e da tutti condivise); nessuno deve prendere iniziative personali di nessun genere; la nonviolenza richiede lealtà e disciplina; - assumersi la responsabilità delle proprie azioni e quindi subire anche le conseguenze che ne derivano; - mantenere una condotta nonviolenta anche di fronte all'eventuale violenza altrui. Chi non accetta queste regole non può partecipare all'azione diretta nonviolenta, poiché sarebbe di pericolo per sé, per gli altri e per la riuscita dell'iniziativa che è rigorosamente nonviolenta. * Per chi volesse saperne di piu', un ampio dossier su quella esperienza e' dsponibile nella rete telematica, in due parti: - parte prima: www.peacelink.it/webgate/pace/msg00745.html - parte seconda: www.peacelink.it/webgate/pace/msg00744.html * Si tratta dunque di iniziare subito i training di preparazione; si tratta inoltre di iniziare subito a formare alla conoscenza e all'uso della nonviolenza quante piu' persone e' possibile; si tratta di iniziare subito a prendere le distanze da quei sedicenti pacifisti che si lasciano invece ubriacare dalla violenza e dai pregiudizi o si lasciano corrompere dalle prebende, dalla manipolazione o dalla "cultura del branco". * Inoltre occorre iniziare subito a proporre la preparazione dello sciopero generale in difesa della Costituzione e della vita degli esseri umani vittime innocenti della guerra; occorre iniziare subito a spiegare cosa sia davvero la disobbedienza civile (non la caricaturale sfigurazione di cui hanno cianciato degli irresponsabili nei mesi scorsi) e come essa possa essere praticata da un movimento di massa; occorre iniziare subito un'azione di chiarificazione intellettuale e di illimpidimento morale per opporsi efficacemente alla macchina propagandistica che entra in azione parallelamente ai bombardieri par narcotizzare i complici passivi della guerra. C'e' molto da fare, ed occorre fare presto." FONTE: "La nonviolenza è in cammino" n° 233, notiziario telematico quotidiano. Da non perdere! http://www.nonviolenti.org/CRP/index.html =================================== # riflessioni # 7> USA, IL TERRORE A MEZZO SERVIZIO Il dopo 11 settembre è l'incognita che apre il mondo ad una inedita e impossibile polarizzazione civiltà/barbarie, una polarizzazione che si incuneerebbe e in parte sostituirebbe a quelle dettate dall'evolversi degli assetti geopolitici. L'amministrazione statunitense è chiamata - dal popolo americano e dalla funzione che si è assegnata - ad una leadership che deve rispondere ad un atto terroristico di inusitata dimensione e nello stesso tempo conciliarla con un decennio di linee di politica estera, palese e segreta, che porta ostacoli a questa risposta, specie se - come detto - non si limiterà ad un singolo colpo di vendetta. L'obiettivo è di difficile raggiungimento. I conflitti asimmetrici Avendo abituato il pubblico statunitense a non ragionare in termini di logiche e di processi, di ragioni di fondo e di interessi divergenti ed ineguali, l'establishment statunitense si trova ora a confrontarsi con le logiche semplicistiche che ha veicolato nel grande pubblico, a dover rispondere della favola di un "male" oscuro ed ancorato nei secoli bui dell'odio religioso ed etnico che è divenuta la realtà di pensiero di milioni di persone. Quasi impossibile ora spiegare a questo pubblico che non ci sono risposte semplici a quelle che gli strateghi militari chiamano conflitti asimmetrici: conflitti basati sulla vulnerabilità degli elefantiaci sistemi che controllano economia e militare delle grandi potenze; sulla capacità di avversari infinitamente più deboli di penetrarli con pochi e decisivi strumenti; sulla fragilità che sistemi di sicurezza pensati per confrontare minacce razionali mostrano quando attori razionali usano l'irrazionale per scomporne le logiche di risposta. Le risposte vere - è stato scritto tante volte in questi giorni - implicherebbero un ripensamento complessivo delle modalità attraverso cui le grandi potenze, gli Stati uniti in primo luogo, si rapportano al resto dei Paesi, creandovi una pletora di focolai di potenziali "risposte asimmetriche" alla violenza (reale o avvertita come tale) che tali potenze vi esercitano. La possibilità di una risposta potente e decisiva implicherebbe il trovarsi di fronte alle favole "concrete" con cui sono stati in questo decennio dipinti gli avversari dell'America, i rappresentanti "fisici" del male. Se questi svaniscono dallo sguardo e si sfrangiano in quello che sono veramente, ovvero fenomeni di grande portata usciti dalle logiche di sviluppo ineguale di intere porzioni del mondo, ogni azione a breve diviene - per quanto potrà essere ben accolta dal desiderio di vendetta - ineffettiva. Che fare, allora? I terroristi "utili" Eliminare le centrali terroristiche non è un compito impossibile. E' un compito impossibile mantenere quelle che sono utili e chiudere quelle che si mostrano ostili. Perché mille fili, mille competenze, mille strade si confondono ed intersecano nei networks di uomini che hanno perduto il senso della loro esistenza nel crogiuolo delle guerre sotterranee, delle vendette, dei doppi giochi, del denaro facile e del fanatismo; molto simili in questo a coloro che credono di essere diversi da quelli perché tutto questo ugualmente fanno e vivono in nome di un governo. Così, l'Amministrazione statunitense dovrebbe spiegare perché, dopo aver detto che avrebbe colpito non solo i terroristi, ma anche i Paesi che offrono loro rifugio, non si accinga ora a colpire la Germania, la Gran Bretagna, l'Albania, la Croazia, i ribelli ceceni, e qualche emirato persico, ove sono state scoperte consistenti tracce di uomini che qualcosa di più di qualche oscuro legame hanno mantenuto con le jiad, i bin-Laden, i crociati della fede, e quant'altro fantasioso islamismo hanno prodotto gli eventi che vanno dalla guerra del Golfo alle guerre balcaniche. Dovrebbe spiegare che non li colpirà perché ritiene che tali Paesi siano stati del tutto inconsapevoli di ospitare tali occulte minacce ai valori dell'occidente. Un po' difficile, dato che i servizi di sicurezza e i governi di alcuni di questi Paesi, Germania e Gran Bretagna per primi, hanno tirato fuori in due giorni nomi, cognomi, indirizzi e movimenti di quella parte di gruppi di terroristi che ritengono di poter mollare. Come mai riesce loro ora in due giorni ciò che nemmeno sapevano fino a una settimana fa? O invece tutti lo sapevano e tutti giocavano a dar loro spazi e coperture per servizi da rendere o resi? E' dal 1992, che tedeschi e britannici hanno giocato (anche) mercenari e fanatici "islamici" nel mortale gioco di ridurre la Jugoslavia ad un arcipelago di staterelli-satellite, fomentando lo sciovinismo serbo e il separatismo sloveno, croato, bosniaco e kosovaro. Da dove agivano, da dove prendevano soldi e armi, dove si ritiravano a cose fatte tali signori, almeno quelli tra loro che contava mantenere in vita e proteggere? E i signori della guerra degli oleodotti russi del Dagestan e della Cecenia, i gloriosi combattenti islamici che hanno messo in scacco le armate russe, chi e dove li ha addestrati, chi li ha armati, chi li ha finanziati? Le risposte sono già tutte scritte in inchieste e notizie di cronaca, per chi le vuole cercare e vedere. E puntano dritto ai fratelli angli e sassoni, nonché agli amici mediorientali degli Stati uniti. Armi in viaggio Ma anche: chi consentì, nell'aprile 1994, che una via di rifornimenti segreti di armi venisse aperta a favore del governo separatista bosniaco, una via che si sapeva avrebbe portato un diluvio di armi nelle mani dei più svariati gruppi del fondamentalismo islamico; una via, per giunta, che avrebbe utilizzato la disponibilità dell'Iran (legittimandolo) a fornire le armi, quella di Israele (!) a fare da tramite e quella del croato Tudjiman a fare da indirizzo di consegna? La risposta sta nelle minute del Comitato ristretto sui servizi di intelligence del Senato statunitense che tra l'11 e il 13 marzo del 1997 esaminava la candidatura (proposta da Clinton e poi bocciata) a capo della Cia dell'ex-consigliere alla sicurezza nazionale Anthony Lake. Furono lo stesso Lake, il vicesegretario di Stato Talbott e Clinton a dare - mentre ritornavano sull'Air Force One dai funerali di Nixon - l'assenso all'operazione. Legami e connivenze che non si sono mai spezzati, parti segrete delle politiche estere degli illuminati paesi "occidentali" che continuano, che continueranno. E continueranno a produrre gli stessi tragici risultati, ieri occultati nei continenti dove cinquemila persone morte sono il conto di una settimana di conflitti, oggi rischiarati sinistramente dai bagliori dei morti occidentali. FONTE: Il Manifesto - http://www.ilmanifesto.it =================================== # riflessioni # 8> CHI È OSAMA BIN LADEN, L'UTILE MOSTRO "WANTED" Poche ore dopo gli attacchi terroristici al World Trade Centre e al Pentagono, l'amministrazione Bush ha concluso, senza fornire prove, che "Osama bin Laden e la sua organizzazione al-Qaeda sono i principali sospettati". Il direttore della Cia George Tenet ha affermato che bin Laden ha la capacità di pianificare "attacchi multipli con poco o nessun allarme". Il segretario di stato Colin Powell ha definito gli attacchi "un atto di guerra" e il presidente Bush ha confermato in un discorso alla nazione trasmesso in tv che non avrebbe "fatto distinzione tra i terroristi che hanno commesso quegli atti e coloro che li ospitano". L'ex direttore della Cia Woolsey ha puntato il dito contro "la protezione da parte degli stati", dando per scontata la complicità di uno o più governi stranieri. Secondo le parole dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale Eagleburger, "penso che dimostreremo che quando veniamo attaccati in questo modo, la nostra forza e la nostra punizione sono terribili". Frattanto, parafrasando le dichiarazioni ufficiali, il mantra dei media occidentali ha approvato il lancio di "azioni punitive" dirette contro target civili in Medio Oriente. William Saffire ha scritto sul New York Times: "dopo aver ragionevolmente identificato le basi e i campi dei nostri aggressori, dobbiamo polverizzarli - minimizzando ma accettando il rischio di danni collaterali - e agire in modo scoperto o occulto per destabilizzare gli stati che ospitano il terrore".Questo testo delinea la storia di Osama bin Laden e i collegamenti esistenti tra la "Jihad" islamica e la formulazione della politica estera Usa durante e dopo la guerra fredda. Sotto l'egida della Cia Principale sospettato negli attacchi terroristici di New York e Washington, bollato dall'Fbi come "terrorista internazionale" per il suo ruolo nei bombardamenti delle ambasciate statunitensi in Africa, Saudi nato Osama bin Laden è stato reclutato durante la guerra in Afghanistan "ironicamente sotto l'egida della Cia, per combattere gli invasori sovietici" (1).Nel 1979 è stata lanciata "la più grande operazione segreta nella storia della Cia" in risposta all'invasione sovietica dell'Afghanistan a sostegno del governo filo-comunista di Babrak Kamal (2): "Con l'incoraggiamento attivo della Cia e della pakistana Isi (Inter Services Intelligence), che volevano trasformare la jihad afghana in una guerra globale mossa da tutti gli stati musulmani contro l'Unione Sovietica, tra il 1982 e il 1992 si sono uniti alla lotta dell'Afghanistan circa 35.000 musulmani integralisti di 40 paesi islamici. Altre decine di migliaia di loro sono venuti a studiare nei madrasah del Pakistan. Alla fine, più di 100.000 musulmani integralisti stranieri sono stati direttamente influenzati dalla jihad afghana" (3).La jihad islamica è stata sostenuta dagli Stati uniti e dall'Arabia Saudita con una parte significativa del finanziamento generato dal traffico del Golden Crescent: "Nel marzo 1985, il presidente Reagan ha firmato la direttiva 166 della Decisione sulla Sicurezza Nazionale,... [che] autorizza[va] un aumento di aiuti militari segreti ai mujahideen, e chiariva che la guerra segreta afghana aveva un nuovo obiettivo: sconfiggere le truppe sovietiche in Afghanistan attraverso azioni occulte e incoraggiare il ritiro sovietico. La nuova assistenza segreta da parte degli Usa cominciò con un aumento drammatico delle forniture di armi - una crescita stabile fino a 65.000 tonnellate all'anno nel 1987, ... così come un flusso interminabile di specialisti della Cia e del Pentagono che si recarono nella sede segreta dell'Isi sulla strada principale presso Rawalpindi, in Pakistan. Lì gli specialisti della Cia incontravano i funzionari dell'intelligence pakistana per aiutarli a progettare operazioni per i ribelli afghani". (4)Usando l'intelligence militare pakistana (Isi), la Cia ha giocato un ruolo chiave nell'addestramento dei mujahideen. A sua volta, l'addestramento alla guerriglia sponsorizzato dalla Cia è stato integrato con gli insegnamenti dell'Islam: "I temi predominanti erano che l'Islam era una ideologia socio-politica completa, che le truppe sovietiche atee stavano violando il santo Islam, e che il popolo islamico dell'Afghanistan doveva riaffermare la propria indipendenza rovesciando il sinistroide regime sostenuto da Mosca" (5). Per conto dello Zio Sam L'Isi pakistano è stato usato come intermediario. Il sostegno segreto della Cia alla jihad avveniva indirettamente attraverso l'Isi. La Cia cioè non faceva arrivare il suo supporto direttamente ai mujahideen. In altre parole, affinché quelle operazioni segrete avessero successo, Washington stava ben attenta a non rivelare l'obiettivo ultimo della "jihad", che consisteva nel distruggere l'Urss. "Noi non abbiamo addestrato gli arabi" ha detto Milton Beardman, della Cia. Tuttavia, secondo Abdel Monam Saidali, dell'Al-aram Center for Strategic Studies del Cairo, bin Laden e gli "arabi afghani" avevano ricevuto "tipi di addestramento molto sofisticati, cosa che era stata loro consentita dalla Cia" (6). Beardman ha confermato, a questo proposito, che Osama bin Laden non era a conoscenza del ruolo che stava giocando per conto di Washington. Secondo le parole di bin Laden (citate da Beardman): "Né io né i miei fratelli abbiamo visto qualcosa che dimostrasse l'aiuto americano" (7).Motivati dal nazionalismo e dal fervore religioso, i guerrieri islamici erano inconsapevoli di combattere l'esercito sovietico per conto dello Zio Sam. Vi furono contatti ai livelli più alti della gerarchia dell'intelligence, ma i leader dei ribelli islamici sul campo non neebbero con Washington o con la Cia.Con l'appoggio della Cia e l'afflusso di massicci quantitativi di aiuti militari Usa, l'Isi si era trasformata in una "struttura parallela con un enorme potere su tutti gli aspetti del governo" (8). L'Isi aveva uno staff composto da ufficiali dell'esercito e dell'intelligence, burocrati, agenti sotto copertura e informatori ed era stimata in 150.000 persone (9).Nel frattempo, le operazioni della Cia avevano anche rafforzato il regime militare pakistano guidato dal generale Zia Ul Haq: "Le relazioni tra la Cia e l'Isi erano andate rinsaldandosi dopo l'estromissione da parte del [generale] Zia di Bhutto e l'avvento del regime militare... Durante quasi tutta la guerra in Afghanistan, il Pakistan è stato più aggressivamente anti-sovietico persino degli stessi Stati uniti. Nel 1980, poco dopo che l'esercito sovietico aveva invaso l'Afghanistan, Zia spedì il capo dell'Isi a destabilizzare gli stati sovietici dell'Asia centrale. La Cia aderì a questo piano solo nell'ottobre 1984... la Cia era più cauta dei pakistani. Sia il Pakistan che gli Usa adottarono la linea dell'inganno all'Afghanistan. La loro posizione pubblica era la negoziazione di un accordo mentre, in privato, decidevano che il miglior modo di procedere era l'escalation militare" (10). Il triangolo della mezzaluna d'oro La storia del traffico di droga nell'Asia centrale è intimamente collegata alle operazioni coperte della Cia. Prima della guerra in Afghanistan, la produzione di oppio in Afghanistan e Pakistan era diretta a piccoli mercati regionali. Non vi era produzione locale di eroina (11). A questo proposito, lo studio di Alfred McCoy conferma che entro due anni dal furioso attacco dell'operazione della Cia in Afghanistan, "la zona di confine Pakistan-Afghanistan divenne il principale produttore di eroina al mondo, fornendo il 60% della domanda Usa. In Pakistan, la popolazione tossicodipendente passò da quasi zero nel 1979... a 1.200.000 persone nel 1985 - una crescita molto più rapida che in qualunque altro paese"(12): "Ancora una volta, la Cia controllava questo traffico di eroina. Mentre conquistavano territori all'interno dell'Afghanistan, i guerriglieri mujahideen ordinavano ai contadini di piantare oppio come tassa rivoluzionaria. Al di là del confine, in Pakistan, i leader afghani e i gruppi locali sotto la protezione dell'Intelligence pakistana gestivano centinaia di laboratori di eroina. Durante questo decennio di narcotraffico alla luce del giorno, l'americana Dea (Drug Enforcement Agency) a Islamabad evitò di pretendere grosse confische o arresti... I funzionari Usa avevano rifiutato di indagare su accuse di traffico di eroina da parte dei suoi alleati afghani "perché la politica sui narcotici Usa in Afghanistan è subordinata alla guerra contro l'influenza sovietica nell'area". Nel 1995 l'ex direttore dell'operazione afghana della Cia, Charles Cogan, ha ammesso che la Cia aveva effettivamente sacrificato la guerra alla droga per combattere la guerra fredda. "La nostra missione principale era arrecare il maggior danno possibile ai sovietici. Non avevamo le risorse o il tempo per dedicarci a un'indagine sul narcotraffico"... "Non penso che dobbiamo scusarci per questo. Ogni situazione ha la sua ricaduta... Sì, c'è stata una ricaduta in termini di droga. Ma l'obiettivo principale è stato realizzato. I sovietici hanno lasciato l'Afghanistan"" (13). Finita la guerra fredda, la regione dell'Asia centrale è strategica non solo per le sue grandi riserve petrolifere. Essa produce anche tre quarti dell'oppio mondiale, che rappresentano introiti di molti miliardi di dollari per i cartelli d'affari, le istituzioni finanziarie, le agenzie di spionaggio e il crimine organizzato. Il ricavato annuale del traffico del Golden Crescent (tra 100 e 200 miliardi di dollari) costituisce circa un terzo del mercato annuale mondiale dei narcotici, che le Nazioni unite stimano dell'ordine di 500 miliardi di dollari (14). Con la disintegrazione dell'Unione sovietica, nella produzione dell'oppio si è verificata una nuova ondata. Potenti cartelli d'affari nell'ex Unione sovietica alleati con il crimine organizzato sono in competizione per il controllo strategico sulle rotte dell'eroina.L'estesa rete di intelligence militare dell'Isi non è stata smantellata dopo la guerra fredda. La Cia ha continuato a sostenere la jihad islamica fuori del Pakistan. Nuove iniziative segrete sono state avviate in Asia centrale, nel Caucaso e nei Balcani. L'apparato militare e di intelligence del Pakistan essenzialmente "è servito come catalizzatore per la disintegrazione dell'Unione sovietica e l'emergere di sei nuove repubbliche islamiche in Asia centrale" (15). Nel frattempo, i missionari islamici della setta Wahhabi dell'Arabia saudita si erano stabiliti nelle repubbliche islamiche e all'interno della federazione russa invadendo le istituzioni dello Stato secolare. Nonostante la sua ideologia anti-americana, il fondamentalismo islamico serviva largamente gli interessi strategici di Washington nell'ex-Unione sovietica.Successivamente al ritiro delle truppe sovietiche nel 1989, la guerra civile in Afghanistan è continuata inesorabile. I Taleban erano sostenuti dai Deobandi pakistani e dal loro partito politico, lo Jamiat-ul-Ulema-e-Islam (Jui). Nel 1993, lo Jui è entrato nella coalizione di governo della prima ministra Benazzir Bhutto. Furono istituiti legami fra Jui, esercito e Isi. Nel 1995, con la caduta del governo Hezb-I-Islami Hektmatyar a Kabul, i Taleban hanno non solo installato un governo islamico oltranzista, ma hanno anche "consegnato il controllo dei campi di addestramento in Afghanistan a fazioni Jui..." (16). E lo Jui, con il sostegno dei movimenti sauditi Wahhabi, ha giocato un ruolo chiave nel reclutare volontari che combattessero nei Balcani e nell'ex Unione sovietica.Il Jane Defense Weekly conferma a questo proposito che "la metà degli uomini e dell'equipaggiamento dei Taleban proviene dal Pakistan mediante l'Isi" (17). In effetti, sembrerebbe che dopo la ritirata dei sovietici entrambe le fazioni della guerra civile afghana abbiano continuato a ricevere sostegno occulto attraverso l'Isi pakistano. (18).In altre parole, sostenuto dall'intelligence militare pakistana (Isi) che a sua volta è controllata dalla Cia, lo stato islamico Talebano è stato largamente funzionale agli interessi geopolitici americani. Il traffico del Golden Crescent è stato anch'esso usato per finanziare ed equipaggiare l'Esercito musulmano bosniaco (a partire dai primi anni '90) e l'esercito di liberazione del Kosovo (Kla). Esistono prove che, negli ultimi mesi, i mercenari mujahideen stanno combattendo nei ranghi dei terroristi Kla-Nla in Macedonia.Questo spiega perché Washington ha chiuso gli occhi sul regno del terrore imposto dai Taleban, inclusi i plateali attacchi ai diritti delle donne, la chiusura delle scuole per le bambine, i licenziamenti femminili dagli impieghi pubblici e l'imposizione delle "leggi punitive della Sharia" (19). La guerra in Cecenia Per quanto riguarda la Cecenia, i principali leader ribelli Shamil Basayev e Al Khattab sono stati addestrati e indottrinati in campi sponsorizzati dalla Cia in Afghanistan e Pakistan. Secondo Yossef Bodansky, direttore della Task Force del Congresso americano sul terrorismo e la guerra non convenzionale, la guerra in Cecenia era stata pianificata durante un summit segreto di Hizb Allah International tenuto nel 1996 a Mogadiscio, in Somalia (20). Al summit hanno partecipato Osama bin Laden e funzionari di alto livello dell'intelligence iraniana e pakistana. Sotto questo aspetto, il coinvolgimento dell'Isi pakistano in Cecenia "va molto oltre la fornitura ai ceceni di armi e expertise: l'Isi e i suoi rappresentanti fondamentalisti islamici sono coloro che in effetti comandano in questa guerra" (21).La principale rotta degli oleodotti della Russia transita attraverso la Cecenia e il Dagestan. Nonostante la sbrigativa condanna da parte di Washington del terrore islamico, i beneficiari indiretti della guerra in Cecenia sono i conglomerati petroliferi anglo-americani, che competono per il controllo sulle risorse petrolifere e i corridoi degli oleodotti provenienti dal bacino del Mar Caspio.I due principali eserciti ribelli ceceni, guidati rispettivamente dal comandante Shamil Basayev e Emir Khattab e stimati in 35.000 uomini, sono stati sostenuti dall'Isi, che ha anche giocato un ruolo chiave nell'organizzare e addestrare l'esercito ribelle ceceno: "[Nel 1994] l'Isi pakistano ha fatto in modo che Basayev e i suoi fidati luogotenenti ricevessero un intensivo indottrinamento islamico e l'addestramento alla guerriglia nella provincia Khost dell'Afghanistan presso il campo di Amir Muawia, creato all'inizio degli anni '80 dalla Cia e dall'Isi e gestito dal famoso signore della guerra afghano Gulbuddin Hekmatyar. Nel luglio 1994, dopo aver completato la preparazione ad Amir Muawia, Basayev è stato trasferito al campo Markaz-i-Dawar in Pakistan per essere addestrato in tecniche avanzate di guerriglia. In Pakistan, Basayev ha incontrato i più alti ufficiali militari e di intelligence pakistani: il ministro della difesa generale Aftab Shahban Mirani, il ministro dell'interno generale Naserullah Babar, e il capo del settore dell'Isi incaricato di sostenere le cause islamiche, generale Javed Ashraf (ora tutti in pensione). I rapporti ad alto livello si sono dimostrati molto utili per Basayev" (22).Dopo il suo lavoro di addestramento e indottrinamento, Basayev è stato assegnato a guidare l'assalto contro le truppe federali russe nella prima guerra cecena nel 1995. La sua organizzazione aveva anche sviluppato forti collegamenti con gruppi criminali a Mosca, nonché legami con il crimine organizzato albanese e l'esercito di liberazione del Kosovo. Nel 1997-98, secondo il servizio di sicurezza federale russo (Fsb) "i signori della guerra ceceni hanno cominciato ad acquistare beni immobili in Kosovo... attraverso svariate ditte immobiliari come copertura in Jugoslavia" (23).L'organizzazione di Basayev è stata anche coinvolta in una quantità di attività illegali tra cui narcotici, intercettazioni illegali e sabotaggio degli oleodotti russi, rapimenti, prostituzione, commercio di dollari falsi e contrabbando di materiali nucleari (vedi "Mafia linked to Albania's collapsed pyramids" (24)). Accanto all'esteso riciclaggio di soldi della droga, gli introiti di varie attività illecite sono stati destinati al reclutamento di mercenari e all'acquisto di armi.Durante il suo addestramento in Afghanistan, Shamil Basayev è entrato in contatto con "Al Khattab", il comandante mujahideen veterano, nato in Arabia Saudita, che aveva combattuto come volontario in Afghanistan. Solo pochi mesi dopo il ritorno di Basayev a Grozny, Khattab è stato invitato (all'inizio del 1995) a creare una base militare in Cecenia per l'addestramento dei combattenti mujahideen. Secondo la Bbc, l'incarico di Khattab in Cecenia era stato "organizzato attraverso l'[International] Islamic Relief Organisation, un'organizzazione religiosa militante con base in Arabia Saudita finanziata da moschee e ricchi individui che hanno spedito fondi in Cecenia" (25). Fra la Cia e l'Fbi Dall'epoca della guerra fredda, Washington ha appoggiato consapevolmente Osama bin Laden, inserendolo allo stesso tempo nella lista dei "most wanted" dell'Fbi come principale terrorista al mondo.Mentre i mujahideen sono occupati a combattere la guerra dell'America nei Balcani e nell'ex Unione Sovietica, l'Fbi - operando come una forza di polizia con base negli Usa - sta combattendo una guerra interna contro il terrorismo, agendo per alcuni aspetti indipendentemente dalla Cia che ha, dalla guerra in Afghanistan in poi, sostenuto il terrorismo internazionale attraverso le sue operazioni segrete. Per una crudele ironia, mentre la jihad islamica - definita dall'amministrazione Bush come una "minaccia all'America" - viene criticata per gli attacchi terroristici sul World Trade Centre e il Pentagono, queste stesse organizzazioni islamiche costituiscono uno strumento chiave delle operazioni americane militari-di intelligence nei Balcani e nella ex Unione Sovietica.Dopo gli attacchi terroristici a New York e Washington, la verità deve prevalere per impedire che l'amministrazione Bush, e i suoi partner della Nato, si imbarchino in una avventura militare che minaccia il futuro dell'umanità. di Michel Chossudovsky FONTE: "Il Manifesto" del 19 e 20 settembre 2001 - http://www.ilmanifesto.it Note: 1. Hugh Davies, International: "'Informers' point the finger at bin Laden; Washington on alert for suicide bombers", The Daily Telegraph, London, 24 agosto 1998. 2. Cfr. Fred Halliday, "The Un-great game: the Country that lost the Cold War, Afghanistan", New Republic, 25 marzo 1996. 3. Ahmed Rashid, "The Taliban: Exporting Extremism", Foreign Affairs, November-December 1999. 4. Steve Coll, Washington Post, 19 luglio 1992. 5. Dilip Hiro, "Fallout from the Afghan Jihad", Inter Press Services, 21 novembre 1995. 6. Weekend Sunday (NPR); Eric Weiner, Ted Clark; 16 agosto 1998. 7. Ibid. 8. Dipankar Banerjee; "Possible Connection of ISI With Drug Industry", India Abroad, 2 dicembre 1994. 9. Ibid. 10. Cfr. Diego Cordovez e Selig Harrison, Out of Afghanistan: The Inside Story of the Soviet Withdrawal, Oxford University Press, New York, 1995, e la recensione di Cordovez and Harrison in International Press Services, 22 agosto 1995. 11. Alfred McCoy, "Drug fallout: the Cia's Forty Year Complicity in the Narcotics Trade". The Progressive; 1 agosto 1997. 12. Ibid. 13. Ibid 14. Douglas Keh, "Drug Money in a changing World", Technical document no. 4, 1998, Vienna UNDCP, p. 4. 15. International Press Services, 22-8-1995. 16. Ahmed Rashid, The Taliban: Exporting Extremism, Foreign Affairs, November-December, 1999, p. 22. 17. Citato in Christian Science Monitor, 3-9-1998 18. Tim McGirk, "Kabul learns to live with its bearded conquerors", The Independent, Londra, 6-11-1996. 19 Vedi K. brahmanyam, "Pakistan is Pursuing Asian Goals", India Abroad, 3-11-1995. 20. Levon Sevunts, "Who's calling the shots? Chechen conflict finds Islamic roots in Afghanistan and Pakistan", 23 The Gazette, Montreal, 26-10- 1999. 21. Ibid 22. Ibid. 23. Vedi Vitaly Romanov e Viktor Yadukha, Chechen Front Moves To Kosovo Segodnia, Mosca, 23-2-2000. 24. The European, 13-2-1997. Vedi anche Itar-Tass, 4/5-1-2000. 25. BBC, 29-9-1999 =================================== # riflessioni # 9> NOTE DI UN'ANTIAMERICANA di Rossana Rossanda Osiete con me o siete con bin Laden, grida Bush, mentre si appresta a punire l'Afghanistan, talebani, non talebani e popolo inclusi. Conosco il ricatto. Non ci sto. Non mi schiero con Bush e lascio agli stolti di dedurne che sono con bin Laden. Vorrei ragionare su quel che è successo, su quel che può succedere e sul che fare. L'11 settembre non è stata una guerra. Le guerre impegnano le nazioni. E' stato un atto terroristico e ne possiede tutti i lineamenti: la priorità del simbolo, il colpire inatteso, la segretezza della mano, l'intreccio omicidio suicidio, destinati a moltiplicare il panico. Il terrore ha per primo fine il terrore. Non tutti i molti attentati della storia sono terroristici, ma questo sì: chi lo ha compiuto conosceva il bersaglio, le debolezze del suo dominio dal cielo, la sicura amplificazione dei media. Grazie ai quali le due Torri sono crollate non una ma diecimila volte sugli schermi, aiutando a gridare: è una guerra e chiamando alla guerra. Gli attentatori lo avevano certamente messo nel conto. Non è stata l'apocalisse. Non nell'accezione ingenua della devastazione enorme: altre più massicce devastazioni si sono seguite negli ultimi dieci anni. Ma non abbiamo definito apocalisse quella dei centocinquantamila sgozzati in Algeria, dei sei settecentomila Tutsi uccisi dagli Hutu, dei trecentomila ammazzati nell'Iraq dall'operazione "Tempesta nel deserto" e il mezzo milione di bambini che muoiono, si dice, per l'embargo dei medicamenti. Tanto meno i trentacinquemila morti in Turchia e i settantamila in India, in questo stesso 2001, anche se la speculazione non è estranea a quelle catastrofi. Dunque alcune stragi pesano come montagne, altre come piume? Se non è corretto valutare un evento soltanto dal numero delle vittime non è neanche lecito valutarlo soltanto dal vulnus portato all'idea di sé che ne ha chi ne è ferito, in questo caso gli Stati uniti. Ancora più torbido il richiamo colto all'Apocalisse: scontro finale fra la Bestia e l'Agnello. Il Bene siamo noi la Bestia sono loro. Così ha detto Bush e ha aggiunto "Dio è con noi". Non è stato l'assalto dell'Islam alla cristianità, come sulle prime si è detto (antinomia veneranda, ricorda Bocca). Poi ci si è ritratti con imbarazzo: non è l'Islam ma il fondamentalismo islamico che colpisce l'occidente cristiano. Ma l'Islam è un oceano e dimostrare che ha i suoi fondamentalismi è facile quanto dimostrare quelli del cristianesimo e dell'ebraismo. E tuttavia Ariel Sharon non è "gli ebrei", Pio XII non è stato "i cattolici" e neppure lo stolto Bush è "gli americani", anche se di queste aree sono o sono stati i leader designati. Cattiva polemica, confusione. In verità nulla fa pensare che quello alle due Torri sia un attacco al cristianesimo, dubito che sia un attacco alla democrazia, certo non lo è al mondo delle merci e dei commerci contro il quale nessuno nell'Islam, neanche i talebani, ha nulla. Chi ha colpito ha voluto colpire l'arroganza degli Stati uniti nel Medioriente e metterne in difficoltà gli stati arabi alleati. Non è stata una vendetta dei poveri. L'Islam non parla di questione sociale, ma senza questo i poveri non sono in grado di compiere che una jacquerie. L'attacco alle due Torri è tutto fuorché una jacquerie. Non è dei poveri né per i poveri la dirigenza della Jihad, che traversa tutto l'Islam senza avere (ancora) uno stato proprio e gioca anche sulla disperazione, ignoranza ed oppressione delle masse il cui consenso è necessario alle dittature arabe, costringendo queste ultime a tirare il sasso e nascondere la mano. La Jihad è agita da potentati politici e finanziari che degli States conoscono il funzionamento e i mezzi e in questo senso Osama bin Laden, saudita, già agente della Cia, è un modello. Viene da una famiglia che dal 1940 è il più forte gruppo di costruzione e trasporti dell'Arabia saudita, ma partecipa a holding dell'elettricità (a Rihad e a La Mecca, a Cipro e in Canada), nei petroli, nell'elettronica, nell'import-export, nelle telecomunicazioni (Nortel e Motorola) e nei satelliti (Iridium). Famiglia e Arabia saudita hanno liquidato Osama con due miliardi di dollari che egli gestisce sulle borse e nella miriade di società off shore dei suoi. E alimenta le ong islamiche Relief e Blessed Relief. Questi sono "loro", la Bestia contro la quale ci leviamo, noi, il Bene. Sono quelli che gli Stati uniti hanno creduto di utilizzare in Afghanistan e nel Medioriente e oggi gli si rivoltano contro. E' una lotta per il dominio in quello scacchiere. Non è fra i guai minori di Bush che i saudiani siano i maggiori finanziatori della Jihad ma l'Arabia saudita il paese più intrinsecamente legato agli interessi americani. La vera domanda è perché ora? Fino a dieci anni fa la Jihad non era così forte e fino a dieci giorni fa agiva solo all'interno dell'Islam, ala ortodossa contro le "deviazioni", l'Algeria è il più sanguinoso esempio. Finché non ne è stato toccato, l'occidente non se ne è curato affatto, privilegiando i rapporti d'affari, massacratori o fondamentalisti che fossero i detentori di gas per l'Europa, di armi contro l'Unione sovietica o gli alimentatori di un contenzioso pakistano contro l'India. Non se ne è curato quando sotto gli occhi di tutti sono affluiti, negli ultimi anni, ad addestrarsi nell'Afghanistan, i fondamentalisti di ogni provenienza. E invece si doveva vedere come la Jihad assumesse grandi dimensioni da quando il Medioriente ha smesso di essere assieme paralizzato e coperto dal deterrente delle due superpotenze e una sola di essa è rimasta in campo, gli Stati uniti. I quali sono diventati parte in causa, sollecitatori e finanziatori di tutti i conflitti del settore, per i loro immediati interessi o per inintelligenza dei processi. Neanche l'acuto Noam Chomski si ricorda che prima del 1989 una guerra nel Golfo sarebbe stata impensabile. E che chi negli emirati vi ha chiamato gli States, da tempo non apprezza che essi così pesantemente vi restino. Non apprezza, il mondo arabo, che gli Usa esigano il rispetto delle risoluzioni dell'Onu dall'Iraq ma non lo esigano (e non occorrerebbe una guerra) da Israele. La Jihad insomma è cresciuta nel venire affine di qualsiasi visione laica di riscatto di quelle popolazioni con la caduta dell'Urss e col blocco assieme contingente e leonino fra dirigenze arabe e Pentagono. Nazionalismo, fondamentalismo, concretissimi interessi di alcuni e disperazioni di molti hanno fatto della Jihad la miscela esplosiva che oggi è. Azioni e reazioni degli Stati uniti le hanno facilitato il terreno di coltura, come lo accrescerà la dissennata reazione di Bush che farà a pezzi in Afghanistan molti, non bin Laden, e però non oserà invaderlo: i russi gli hanno spiegato che non ce la farebbe. Ma bombarderà a destra e a sinistra Kabul e forse, secondo le abitudini, Baghdad. Si è sbagliato chi di noi ha pensato che l'unificazione capitalistica facesse degli Usa un impero, sia pur meno colto di quello che già non piaceva a Tacito, ma che sarebbe stato oggettivamente assimilatore e mediatore. Gli Usa non sono questo. Si muovono in modo ancora più arrogante di Francia e Inghilterra, che avevano spartito con l'ascia la regione, e per di più in tempi che offrono a chi si sente umiliato e offeso i mezzi e i saperi per destabilizzare chi lo umilia o lo offende. Nulla è stato più stupido che allevare il terrorismo e pensare di servirsene. Esso è imprendibile e lo resterà finché non avrà perduto il consenso sul suo proprio terreno. Ma non lo perderà di certo mentre Bush bombarda l'Afghanistan. Anzi con questa azione gli Stati uniti perderanno anche il sostegno degli stati arabi finora amici. La Lega araba ha già cominciato. Bush si infila in una guerra dalla quale non tirerà fuori i piedi perché l'ha promessa ai suoi concittadini, che al 92 per cento la vogliono anche loro: ma non dividerà gli stati arabi, e accrescerà il potenziale di vendetta della Jihad. La sola guerra che è in grado di vincere è in casa sua contro la tanto vantata "società aperta": effetto fatale delle emergenze. Si espone a essere colpito di nuovo, a non vincere da nessuna parte e perdere poco a poco il consenso che la scossa dell'11 settembre gli ha dato. Ci sono errori senza rimedi. Se ne accorge l'Europa che ora lo sostiene ora ne prende le distanze, firma patti scellerati con la Nato e poi elucubra sull'articolo 5, non vuole mandare i ragazzi di leva nelle montagne afghane né complicarsi le cose con i musulmani che si trova in casa, né col Mediterraneo, dove l'Italia della seconda repubblica - sia detto fra parentesi - fa ancora meno politica della prima. Dovremmo accorgercene anche noi, che pure siamo stretti fra la spada e il muro, perché non c'è occasione che non sia buona per cercare di massacrare la poca sinistra che resta. Abbiamo anche noi le nostre colpe, non fosse che di omissione. Scrive Pintor che non ci aspettavamo quel che è successo: è vero. Ma non è una virtù. Come gli Usa abbiamo guardato a noi stessi e non al mondo, dove pure nulla era nascosto. Coprendoci il capo con la cenere dei comunismi, abbiamo cessato di guardare a chi era incastrato in condizioni materiali più delle nostre tremende. Prendiamo la Palestina: uno stato confusionale fa oscillare la sinistra fra senso di colpa verso gli ebrei, rigurgiti di antisemitismo e, come ha scoperto Mannheimer, vorremmo tanto che i palestinesi smettessero di agitarsi. Tale è il peso del fallimento dei socialismi reali che alcuni di noi si sono persuasi che nulla ci sia da fare, tanto il male è nel mondo e il mondo è del male, mentre alcuni altri si sono illusi sulle virtù rivoluzionarie di identità arcaiche, che ci sono parse lodevoli perché antimoderniste e tutte si sono involte su sé stesse, fra degenerazione e paralisi. Ora gli eventi ci presentano i conti e bisogna rispondere per quello che siamo. Non siamo tutti americani - io almeno non lo sono. Non apprezzo i "valori" liberisti che gli Stati uniti impongono, mi duole il lutto dei loro cittadini ma non mi piace che si credessero al di sopra delle conseguenze di quel che il loro paese fa. Mi si dirà antiamericana? Sì lo sono, e mi stupisco che esitino tanto ad esserlo molti amici che più di me in passato lo erano. Considero che gli Stati uniti stiano facendo ancora una politica imperialista che ferisce altre popolazioni e si rivolterà contro loro stessi: sono antimperialista, altra parola che mi sembra bollata di ostracismo. La verità è che siamo deboli. Ma questo non ci assolve dal dire no, Bush è un pazzo pericoloso, non colpirà la Jihad ma molta gente senza colpa, e spingerà gli Stati uniti a vivere assediando il mondo e ad esserne assediati. FONTE: Il Manifesto, 22/09/01 - http://www.ilmanifesto.it =================================== # mobilitiamoci contro la guerra # 10> LETTERA DI RINGRAZIAMENTO A BARBARA LEE Unica deputata Usa ad aver votato contro i poteri di guerra a Bush. Potete scrivere questo messaggio a: barbara.lee at mail.house.gov "Honorable Barbara Lee, I wish to thank you for your courage to stand up firmly against the resolution to authorize U.S. military action to respond to the attacks on the Pentagon and the World Trade Center, as you also rightly opposed the use of American troops in Serbia in 1998. I, too, are "convinced that military action will not prevent further acts of international terrorism against the United States," as you put it in your eloquent plea against war. You will be remembered and honored as the lone voice of conscience in U.S. Congress. History will prove the truth of your insight. Let us work together to end the war as soon as possible. Sincerely," =================================== # riflessioni # 11> BIN LADEN, L'OLEODOTTO E BUSH un'inchiesta di http://www.indymedia.org i progetti della unocal per l'oleodotto afghano di anubi d'avossa lussurgiu (liberazione 18/09/01) sulla scena del teatro piu' vistoso della guerra incipiente, ossia quello dell'afghanistan, alcuni protagonisti recitano una parte invisibile. si tratta degli interessi, anzi dei poteri economici: per la precisione, delle multinazionali del petrolio. meglio ancora, due multinazionali: la saudita delta oil, retta proprio dai parenti del plurimiliardario bin laden, e la statunitense unocal. la storia e' raccontata dal coraggioso sito newyorkese indymedia (www.nyc.indymedia.org), il popolare portale multimediale usatissimo nei circuiti di movimento. che inizia da un messaggio lanciato dalla stessa megacompagnia unocal sul suo sito web il 14 settembre scorso, tre giorni dopo gli attentati di new york e washington: 'la unocal non ha ne' abbiamo pianificato di avere alcun progetto in afghanistan. non sosteniamo i taleban in nessuna maniera ne' ora ne' mai.' come dicevano i latini, excusatio non petita, accusatio manifesta. e infatti, gia' nel 1996 - come ricordano i 'segugi' di indymedia al lavoro persino nella grande mela sbriciolata dal terrore - l'autorevole centro per le ricerche sull'eurasia si chiedeva: 'qual e' stato il ruolo della unocal in afganistan negli anni recenti', sottolineando che sia la compagnia statunistense che la delta oil dell'arabia saudita erano 'da tempo sospettate' di 'aver finanziato la distruttiva ascesa dei taleban'. la ragione c'era, e lo si vide chiaramente due anni dopo. nel gennaio 1998, l'instaurato regime dei taleban firmava un accordo per un colossale progetto di oleodotto di 890 miglia sul territorio afghano, per un costo di due miliardi di dollari e una capacita' di 1 miliardo e 900 milioni di metri cubi di gas naturale, denominato centgas. il progetto, guarda un po', era affidato alla unocal: la quale, dopo aver annunciato nel marzo una proroga per specificare i dettagli, nel giugno dello stesso anno concludeva un patto di cartello con la delta oil per il controllo dell'85 per cento del consorzio. ma dallo stesso consorzio, proprio la unocal si ritiro' nel dicembre del 98. perche'? come spiegazione, resta solo quella del sempre vigile eurasia research center, secondo il quale la compagnia si era 'presumibilmente inquietata' del fatto che il progetto non procedesse 'sotto un governo internazionalmente riconosciuto installato in afghanistan'. salta all'occhio che, domani, una nuova situazione determinata da un intervento statunitense contro i tradizionali alleati taleban, appoggiati in passato anche dal pakistan, sottrarrebbe tra l'altro la unocal alla 'inquietudine' e spalancherebbe le porte alla ripresa del progetto... sta di fatto, al di la' delle dietrologie, che l'afghanistan e' un territorio importantissimo nella 'guerra invisibile' delle grandi multinazionali per il controllo delle risorse energetiche. a parte i giacimenti di uranio ufficialmente non sfruttati, che casualmente si trovano proprio nelle zone dove, negli anni, si e' installato bin laden con il suo esercito alleato dei taleban, ossia nel nord est e nell'estremo sud del paese, basta scorrere le stime che gia' un quarto di secolo fa si calcolavano per le locali capacita' produttive di 'oro nero'. si parla di 95 milioni di barili tra il prodotto e le riserve di petrolio raffinato, ma soprattutto di riserve non sfruttate per 400 milioni di tonnellate di greggio. ancor piu' strategica, pero', e' la semplice collocazione dell'afghanistan: considerato in tutti i progetti di tutte le grandi compagnie come la 'via' non ancora aperta per il petrolio e il gas naturale da trasportare tra l'asia centrale ex sovietica e il mare d'arabia. appunto, l'oleodotto. ulteriore elemento, che forniamo come informazione neutra, senza altri commenti; non c'e' compagnia petrolifera legata all'establishment delle ere di reagan e di bush padre come la unocal. tra i suoi direttori siede infatti donald rice, che fu segretario dell'air force statunitense quando ne era comandante in capo il presidente george bush senior, a sua volta gia' tra i direttori della rand corporation; e vi siede pure l'ex comandante in capo del comando del pacifico della u.s. navy. anche robert oakley, ambasciatore usa in pakistan nei reaganiani anni 80, in cui letteralmente organizzo' la guerriglia mujahidin in afghanistan contro i sovietici e il regime a loro legato, e' stato impiegato piu' volte dalla unocal in importanti 'consulenze'. informazione finale: la unocal, oltre ad aver contribuito per 125mila dollari al finanziamento ufficiale del partito repubblicano nel 1999, ne ha gia' spesi oltre un milione e 400mila in attivita' di lobbing presso la nuova amministrazione di george bush jr. si attendono ansiosamente smentite. =================================== # letture # > "ECOCIDIO" di J. Rifkin Spietata ricostruzione storica, antropologica, economica e politica dei costi e dei pericoli della cultura della bistecca http://promiseland.it/view.php?id=240 > "LA CIA IN GUATEMALA. Gli orrori di un genocidio" di P. Tompkins e M.L Forenza - Ed. Odradek Il libro, che è il risultato della stretta collaborazione tra uno scrittore statunitense e una documentarista italiana, aggiorna la situazione in Guatemala fino ai primi mesi di questo anno 2000 e integra il documentario televisivo Guatemala nunca mas trasmesso da Rai3 lo scorso anno. E' la classica "inchiesta per caso"; capitati casualmente in Guatemala, paese pericolosissimo, specialmente per i giornalisti, s'imbattono nell'assassinio di monsignor Gerardi - presentato come un delitto maturato in un ambiente di omosessuali - in realtà deciso dai militari come risposta alla pubblicazione dei quattro volumi dell'episcopato guatemalteco che documentano il genocidio a carico del popolo maya. Di qui si snoda l'inchiesta, che integra documenti, interviste ed excursus storici. Si compone di un capitolo sull'ingerenza della Cia in Guatemala e sulle tappe del genocidio; di un diario di viaggio - in realtà un "giornale di ripresa" - scritto da Maria Luisa Forenza, che dà conto del dipanarsi dell'inchiesta, della raccolta dei documenti negli archivi e delle interviste più significative del documentario e che restituiscono la gran parte del carico di verità affidato a questo libro; di una ricostruzione dell'omicidio di monsignor Gerardi, paradigmatico come esempio di giornalismo e di analisi sociale e politica; e di un profilo storico della cultura maya, vilipesa e mistificata nella pratica quotidiana, ma prima ancora nella trasposizione storiografica. Per informazioni: http://www.odradek.it/ =================================== # links # > THE COCA COLA CRIMES Coca Cola e paramilitarismo ovverossia come la transnazionale delle bollicine regola i conflitti sindacali in Colombia. Assassinii, sequestri e sparizioni eseguiti dagli squadroni della morte a danno dei lavoratori delle societá d'imbottigliamento della soft drink che ha conquistato il mondo. http://www.kontrokultura.org/archivio2001/156/deathcoke.html > IMPREGILO. I CRIMINI DEL CAPITALISMO ITALIANO NEL MONDO Dalla Colombia al Guatemala, dalla Nigeria al Kurdistan i monumenti allo spreco ed alla corruzione creati dal colosso delle costruzioni del gruppo Fiat. http://www.terrelibere.it/impregilo.htm > PICCOLE BOMBE CRESCONO. La pericolosità dell'ultradestra italiana http://www.societacivile.it/primopiano/articoli_pp/pp_3.html > STORIA SEGRETA DEL SIGNOR SAVOIA Biografia non autorizzata di un erede al trono d'Italia, piduista e manager di affari oscuri, che mentre tutti ritornano, vorrebbe tornare anche lui. http://www.societacivile.it/primopiano/articoli_pp/savoia/savoia.html > DOPO LA "GUERRA FREDDA". GEOPOLITICA E STRATEGIA DELLA NATO Scomparso il nemico originario l'Alleanza atlantica perdura, muove guerra e si espande, realizzando la propria intima vocazione alla "diffusione di potenza" http://www.odradek.it/giano/2000/34/Minolfi.htm > SCIENZA E PACE. Scienziate e scienziati contro la guerra. http://www.iac.rm.cnr.it/~spweb/links.html > NAZIONE NUCLEARE. Le armi di distruzione di massa in Israele http://www.tmcrew.org/csa/l38/wwi/israelnukenation/index.htm > L'ITALIA E LA NATO http://www.odradek.it/giano/2000/34/CortesiNato.html > BOYCOTT. Informazioni sul comportamento delle multinazionali e campagne di pressione http://www.manitese.it/boycott/boycott.htm > LA LEVA - Associazione di consumatori per la libertà di scelta http://www.laleva.cc/indexital.html > TERRE LIBERE - Altre forme di comunicazione http://www.terrelibere.it/ > GIANO. Pace ambiente problemi globali Dal 1989 una voce di opposizione ai poteri politici interni ed internazionali. Contro la guerra, la distruzione della natura, la violazione del patto biologico. Un periodico che verifica le ragioni dell'impegno ecopacifista nello studio e nella riflessione. http://www.odradek.it/giano/ > COVERT ACTION Quarterly http://www.covertactionquarterly.org/ =================================== # no global # > COMPRI COSE DI CUI NON HAI BISOGNO "Sei obbediente. Sei un consumatore. Compri spazzatura della quale non hai alcun bisogno. Compri un paio di scarpe da tennis da 200 dollari, perché le usa Magic Johnson. E non rompi le scatole a nessuno. Se vuoi uccidere quel bambino che sta vicino a casa tua, fallo pure, questo non ci preoccupa. Ma non cercare di depredare i ricchi. Uccidetevi fra voi, nel vostro ghetto. Questo è il trucco. Questo è ciò che i media hanno il compito di fare. Se si esaminano i programmi trasmessi dalla televisione si vedrà che non ha molto senso interrogarsi sulla loro veridicità. E infatti nessuno si interroga su questo. L'industria delle pubbliche relazioni non spende miliardi di dollari all'anno per gioco. L'industria delle pubbliche relazioni è un invenzione americana che è stata creata all'inizio di questo secolo con lo scopo, dicono gli esperti, "di controllare la mente della gente, che altrimenti rappresenterebbe il pericolo più forte nel quale potrebbero incorrere le grandi multinazionali". Questi sono i metodi per attuare questo genere di controllo." * La pressione che ci sentiamo addosso di continuo e che, nostro malgrado, ci spinge ad essere sempre più omologati, globalizzati, irreggimentati verso il modello unico del consumatore planetario, non è il frutto di una naturale tendenza dell'essere umano all'omologazione, bensì è il risultato di una imponete e devastante guerra mediatica-psicologica che solo negli USA ha un costo di 200 miliardi di dollari sotto la voce pubblicità. Il più grande mercato sono gli Stati Uniti d'America dove hanno base le maggiori corporation, che hanno di fronte una società globale collegata in tempo reale alla quale non possono rispondere offrendo prodotti diversificati a seconda dei gusti o delle usanze locali (e qui quando parliamo di usanze locali non pensiamo a qualche piccola popolazione amazzonica, ma ad italiani, francesi, indiani etc.). "Per promuovere una domanda mondiale di prodotti americani, è necessario creare un sistema di bisogni su scala planetaria. Per Coca-Cola, Marlboro, Nike, Levi's, MTV, Pepsi o McDonald's vendere prodotti americani significa vendere l'America, la sua presunta prosperità, le stelle di Hollywood". ** Per evitare generalizzazioni è meglio specificare qualche caso. Le campagne pubblicitarie delle multinazionali, quegli spot da paura, non ci propongono prodotti, ma ci vendono, tramite i prodotti, esistenze virtuali, stili di vita immaginari. Ad esempio gli ultimi spot della Nike ci vendono una vita "ribelle" e "teppista", ma la campagna è stata studiata per un tipo di consumatore che spesso la cosa più ribelle e teppista che fa è parcheggiare la macchina in doppia fila o sul posto riservato ai portatori di handicap. Ma compriamo quelle scarpe, quella felpa e saremo subito Michael Jordan o Ronaldo anche se siamo dei pipponi che non prendono la porta neanche da un metro. Ugualmente McDonald's non ci prova nemmeno a decantare la "bontà" del cibo-spazzatura che propina alla clientela (in teoria paghi per quello), McDonald's vende (o spaccia) soprattutto SICUREZZE a basso costo in un epoca dove non sei sicuro se domani lavorerai ancora o se la casa in cui abiti dopodomani la potrai ancora pagare, o se domattina nella casa che occupi ti sveglierà la celere. Mentre da McDonald's hai la sicurezza di trovare in ogni fottuto angolo del mondo lo stesso identico negozio, con lo stesso identico menù e lo stesso identico sorriso "come da contratto" dei commessi. Starà poi alle campagne pubblicitarie il compito di distruggere le abitudini della comunità locale ed adeguarli a quelli globali delle corporation. Così se per tradizione millenaria nei paesi mediterranei il pasto rimane un lungo evento in casa e fuori altrettanto McDonald's vende nei suoi spot una "atmosfera familiare", che rimane solo negli spot, nei suoi "ristoranti" poi lo stile è lo stesso di Londra o di Hong Kong... a meno che a realizzare una "atmosfera familiare" basti qualche realizzazione cartotecnica o una disposizione dell'arredamento frutto di studi di marketing decennali. Avete mai visto un commesso di McDonald's durare così tanto da arrivare a salutarlo quando vi serve? NO MAI! Perché in quelle condizioni di lavoro... per essere sempre così sorridenti e gentili, con quella paga miserabile, più di due mesi non resisti. Mentre nelle trattorie che frequento, dove ho trovato un ambiente che mi piace, vedo da anni lavorare le stesse persone. Certo è tutto più rischioso... può darsi che domani la pizza mi arrivi un po' bruciata o con qualche oliva in più, o in meno, o che al cameriere quel giorno gli roda un po' il culo, ma sono rischi che posso correre prima di trasformarmi in un obbediente robottino consumatore. Lo stesso identico discorso può essere applicato a moltissime situazioni dove il mondo delle corporation sta attaccando le comunità locali... un altro luccicante esempio di McWorld è BLOCKBUSTER, la catena mondiale di noleggio videocassette. Dentro questi negozi entri gratuitamente nel sogno americano; luci sfavillanti (le stesse di McDonald's), meraviglie in cartotecnica (le stesse di McDonald's), commessi sorridenti e gentili (gli stesse di McDonald's) e poi pop-corn, cappellini, bicchierini, magliettine.. tutto l'occorrente per essere uguale ai personaggi patinati del film che affitterai, ma aldilà del "sogno americano", la tua indole mediterranea è forse più portata ad un atteggiamento del tipo "frittatona con cipolle, peroni gelata e rutto libero", oppure il sogno americano... una volta arrivati negli USA ci si potrebbe sbriciolare quando entriamo in una videoteca come quella raccontata in "Clerks", oppure invece di trovarci tra le luci di McWorld ti trovi sotto i colpi dei manganelli elettrici della polizia di L.A.. Nella pubblicità non c'era? Diteglielo agli Albanesi che sono sbarcati anni fa in Puglia e che cercavano "il Mulino Bianco" o Mara Venier in abito da sera ed invece si sono trovati davanti un popolo che ogni giorno si deve inventare come svoltare la giornata, con le buone o con le cattive. Ma nel mondo pubblicitario di McWorld, alcuni particolari, vengono omessi, così se vuoi avere un fisico che sia perlomeno vicino a quelli che hai visto girando i canali del tuo televisore o le pubblicità di qualche rivista tipo Panorama, Espresso o Time o qualsiasi altra, dovrai sottoporti ad un regime alimentare nazista, questa sì una vera e propria "obsession", a base di crusche, fermenti e germogli e se poi al raggiungimento dell'obiettivo l' anoressia è dietro l'angolo e il fisico è ridotto ad un palloncino raggrinzito, potrai sempre credere di vivere nel rutilante mondo dell'alta moda, basta comprare la griffe giusta e sei subito Naomi, Laetitia, Kate & C. anche se poi passi dieci ore al giorno in uno studio commercialista con il solito contratto "acrobatico" e la tua casa non si trova proprio a Beverly Hills, ma il tuo quartiere somiglia di più a Compton o a quelli della banliues parigina. Insomma nessuno di noi può sperare di rimanere immune o di non essere toccato da questo spiegamento di forze e di mezzi, almeno fino a che non riusciremo a svelarlo ed a capire che per non finire centrifugati (questa è la sensazione che si ha all'uscita di un centro commerciale tipo Auchan, I Granai o Cinecittà 2) occorrono dei cambiamenti radicali, opposizioni radicali, ma soprattutto e fin da adesso occorrerebbe fare lo sforzo di ragionare con il nostro cervello, oramai semi atrofizzato o sovraccaricato di dati riguardanti magari 400 modelli di telefonini e relative tariffe, 300 tipi di profumi oppure gli schemi tattici di tutte le squadre di serie A europee. Capire alla fine che tutto in questo pianeta è concatenato e che alla nostra battaglia e che alla nostra resistenza dobbiamo oramai dare una visione globale. Agire localmente e pensare globalmente. Oggi è così evidentemente sempre più vero! Come faccio a commuovermi e ad indignarmi sentendo le notizie che riguardano la prostituzione di bambini in estremo oriente o in Brasile e poi andarmi a mangiare il mio bel BigMac, lo farò, fino a che non so che i bambini che fabbricano in Vietnam i gadget Disney in "omaggio" da McDonald's vengono pagati 1000 dong (8 cent) l'ora mentre la McDonald's quest'anno ha diviso tra i suoi schifosamente ricchi maggiori azionisti utili per miliardi di dollari, che per la mia felpa di Pocahontas fabbricata ad Haiti a 5.500 chilometri di distanza dai begli uffici californiani di Disney, migliaia di giovani lavoratrici, poco più che quindicenni, lavorino alla confezione di abbigliamento a marchio Walt Disney per uno stipendio di circa 27 centesimi (430 lire) l'ora. E' allora che di fronte alla brutalità del lavoro schiavista l'alternativa, quando c'è, è quella della prostituzione, oppure quando in Brasile invece di coltivare cibo per la sussistenza della popolazione viene coltivato il foraggio e le terre vengono utilizzate dai grandi latifondisti per far pascolare i manzi dei nostri hamburger, o per coltivare il caffè dei nostri intervalli. Le popolazioni vengono così spinte verso la foresta o verso le favelas a ridosso delle metropoli dove una parte finisce per dover vendere se o i propri figli al turista sessuale o al ricco locale per mettere insieme il pranzo e la cena, o più spesso, uno dei due. Fino a quando continueremo a vedere solo RONALDO e non tutto quello che c'è dietro, difficilmente riusciremo ad ottenere cambiamenti che vadano oltre la frequenza di sfarfalli del nostro televisore o una forma più ergonomica per il nostro telecomando. FONTE: http://www.tmcrew.org/csa/l38/info9/not_need.htm =================================== # no global # > LE 200 SOCIETÀ CHE CONTROLLANO IL MONDO Il ruolo giocato dalle 200 principali imprese multinazionali su scala planetaria, mosse da interessi particolari che si discostano sempre più dall'interesse generale. Dall'inizio degli anni 80, queste "prime duecento" hanno conosciuto, attraverso le fusioni e i riscatti di imprese, un'espansione ininterrotta, grazie alla quale esercitano un dominio per così dire totalitario non solo sull'economia, ma anche sull'informazione e sulle menti di Frédéric F. Clermont Si cercherebbe invano, nei discorsi elettorali o in quelli degli adepti della teoria neoclassica, la minima allusione al fatto che le concentrazioni di imprese sono oramai il principale motore dell'accumulazione del capitale. Certo, si è trattato di una costante nella storia del capitalismo, se non di una condizione della sua sopravvivenza come modalità di dominio di classe; ma il suo ritmo non era mai stato così rapido. Dalla metà degli anni 70 l'accumulazione del capitale si realizza essenzialmente tramite le annessioni di imprese, i riscatti e le fusioni, Combinata alla colossale espansione dei flussi finanziari, speculativi e non, essa agisce direttamente sulle decisioni di investimento: ma nulla di tutto ciò viene spiegato chiaramente ai lavoratori, benché sia in gioco il loro destino. Si insiste invece sul ruolo dinamico del "mercato", che dovrebbe guidare le decisioni delle grandi società. Ma a sette anni dallo smembramento dell'Unione sovietica, con la colonizzazione massiccia dell'Est europeo, il rallentamento della crescita, l'aggravarsi degli antagonismi in seno alle nazioni e all'interno stesso del mondo imperialista, dove sono le gloriose promesse del "libero mercato?" (1) Intravista per qualche attimo alla fine degli anni 80, la tanto vantata "ripresa economica" non ha mantenuto le sue promesse. Le industrie manifatturiere mondiali (a eccezione di quelle cinesi) lavorano soltanto al 70-75% della loro capacità. Il debito mondiale (che comprende quello delle imprese, degli stati e delle famiglie) ha superato 33.100 miliardi di dollari, pari al 130% del prodotto interno lordo (Pil) mondiale, e progredisce a un tasso del 6-8% l'anno vale a dire oltre il quadruplo della crescita del Pil mondiale. Queste disparità dei tassi sono insostenibili e hanno conseguenze disastrose (2). Dovunque, in tutti i settori, i salari reali diminuiscono sotto i colpi delle ristrutturazioni, delle chiusure di fabbriche e delle delocalizzazioni. Nelle sole economie capitaliste "avanzate", il numero dei disoccupati supera i 41 milioni, e non è finita ... Ma la crisi, con le sue centinaia di milioni di vittime, non colpisce le compagnie transnazionali. Cantando le lodi delle realizzazioni delle 500 imprese globali censite da Fortune, gli autori di questo elenco notano con compiacimento che "esse hanno travolto le frontiere per impossessarsi di nuovi mercati e inghiottire i concorrenti locali. Più sono i paesi, più aumentano i profitti. I guadagni delle 500 maggiori imprese sono cresciuti del 15%, mentre l'aumento dei loro redditi ha raggiunto l'11% (3)" All'inizio degli anni 90, circa 37.000 compagnie transnazionali, con le loro 170.000 filiali, stringevano nei loro tentacoli l'economia internazionale. Ma il vero potere si concentra nella cerchia più ristretta delle "prime duecento", che dall'inizio degli anni 80 hanno conosciuto un'espansione ininterrotta (4) attraverso le fusioni e i riscatti di imprese. La quota del capitale transnazionale nel Pil mondiale è infatti passata dal 17% della metà degli anni 70 al 24% nel 1982 a oltre il 30% nel 1995. Le "prime duecento" (5) sono conglomerati le cui attività coprono, senza distinzioni, i settori primario, secondario e terziario: grandi aziende agricole, produzioni manifatturiere, servizi finanziari, commercio ecc. Geograficamente si ripartiscono tra 10 paesi: Giappone (62) Stati uniti (53) Germania (23) Francia (19), Regno unito (11), Svizzera (8), Corea del Sud (6) Italia (5) e Olanda (4). Se si eccettuano alcune società anglo-olandesi a capitale misto (i gruppi Shell e Unilever), restano in corsa soltanto 8 paesi, che totalizzano il 96,5% delle "prime duecento" e il 96% del loro fatturato. Ma in realtà la concentrazione è ancora maggiore di quanto non facciano pensare queste statistiche. Infatti, le compagnie appartenenti alla categorie delle "prime duecento" non sono tutte società autonome, come è dimostrato dagli esempi ben noti della Mitsubishi, della Sumitomo e della Mitsui, per citarne solo alcune. Esistono cinque imprese Mitsubishi tra le "prime duecento", il cui fatturato aggregato supera i 320 miliardi di dollari. Queste entità in seno all'impero Mitsubishi, benché dotate di un elevato grado di autonomia, sono strategicamente intrecciate le une alle altre in materia di amministrazione, di prezzi, di commercializzazione e di produzione. Lo stesso vale per quanto riguarda le loro comuni reti economiche, politiche e di spionaggio. Il loro agente politico è il partito liberal-democratico (Pld) le cui spese di funzionamento sono coperte nella misura del 37% dall'impero Mitsubishi. Tra le "prime duecento", le disparità di potere non hanno cessato di accentuarsi durante il processo di espansione che hanno conosciuto in questi due ultimi decenni, in particolare in ragione della guerra in atto tra loro per aggiudicarsi quote sempre maggiori del mercato mondiale. In effetti, tra il 1982 e il 1995 il numero delle compagnie americane è sceso da 80 a 53, mentre quello delle società giapponesi è aumentato, durante lo stesso periodo, da 35 a 62. Un tempo prima potenza imperiale, il Regno unito ha visto il numero delle sue società crollare da 18 a 11. In compenso è emerso un nano geografico e demografico, la Svizzera. Ma l'aspetto più sorprendente è stata la rapida ascesa delle società sudcoreane, il cui numero è passato da 1 a 6 in un periodo di tempo relativamente breve. In testa figura la Daewoo, uno dei gruppi transnazionali di più aggressivo espansionismo, punta di lancia dell'imperialismo coreano. Con un fatturato di oltre 52 miliardi di dollari, ha superato colossi quali la Nichimen, la Kanematsu, la Univeler o la Nestlé. L'espansione planetaria della Daewoo è abbastanza sintomatica della potenza dei chaebol, i conglomerati coreani. Gli attivi dei trenta primi chaebol sono aumentati da 223 miliardi di dollari del 1992 a 367 miliardi nel 1996, e rappresentano oltre quattro quinti del Pil coreano (6). Inoltre, sono le compagnie che occupano i quattro primi posti Daewoo, Sandgong, Samsung e Hyundai a spartirsi la metà di questi attivi (185 miliardi di dollari). Nel gennaio scorso, la rivolta operaia ha fatto volare in frantumi il mito del "miracolo coreano", ma non è affatto detto che il risultato sia un rallentamento dell'espansione di questi giganti, all'interno del paese e fuori. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza i miliardi di dollari forniti dagli Stati uniti durante la fase della crescita coreana, negli anni tra il 1947 e il 1955; dopo di che subentrarono decine di miliardi di dollari di sovvenzioni pubbliche. Nella Corea del Sud, come del resto in Giappone, non esiste una linea di demarcazione ben definita tra i chaebol e lo stato (7). Alle sovvenzioni pubbliche andrebbe poi aggiunta la repressione spietata della classe operaia e la liquidazione dei diritti della persona. Tutti i politici, senza eccezione alcuna, così come i membri delle alte gerarchie militari, sono azionisti di primo piano, che siedono nei consigli di amministrazione delle grandi compagnie. Nella confraternita dei chaebol, tutti si conoscono e i matrimoni si combinano all'interno. Chi non ricorda la frase pronunciata dal grande industriale tedesco Walter Rathenau nel 1909: "Trecento uomini, che si conoscono tutti tra loro, dirigono i destini dell'Europa e cooptano al loro interno i propri successori (8)?" Helmut Maucher, direttore generale della Nestlé oltre che "impresario" del Forum di Davos, presiede La tavola rotonda europea degli industriali, il Club delle élites appartenenti a 47 società nel novero delle "prime duecento". Avversario implacabile della carta sociale europea, è un militante attivo della flessibilità del lavoro, come tutti i membri della sua casta. Dal 1986 al 1996 le fusioni di imprese si sono moltiplicate al ritmo del 15% l'anno, e non si vedono segni di rallentamento nel prossimo futuro. Se dunque le cose non cambieranno da qui al 2000, il costo cumulato di questo genere di transazioni raggiungerà circa 10.000 miliardi di dollari (a titolo di confronto, il Pil degli Stati uniti era, nel 1996 e a livelli di prezzi correnti, di 7.600 miliardi di dollari). Evidentemente, in questo periodo contrassegnato dalla deflazione e dal rallentamento della crescita, dalla sottoccupazione e dall'indebitamento, le società transnazionali non hanno altro mezzo, per promuovere la propria espansione, che quello di assorbire le loro concorrenti per conquistare così nuovi mercati. Le fusioni di imprese permettono inoltre la realizzazione di economie di scala sul mercato mondiale. Vi fanno ricorso molte compagnie transnazionali, quali la Boeing e le tre grandi società automobilistiche degli Stati uniti, oppure, in Giappone e nella Corea del Sud, i giganti dell'automobile, dell'elettronica e delle costruzioni navali. Cinque tra le maggiori imprese transnazionali hanno messo le mani su oltre la metà del mercato mondiale nei settori chiave dell'aerospaziale, delle forniture elettriche, delle componenti elettroniche e del software; altre due hanno fatto altrettanto nella ristorazione rapida, e cinque nei settori delle bibite, del tabacco e delle bevande alcooliche. L'ascesa delle transnazionali è incoraggiata non solo dai governi dei rispettivi paesi, ma anche dalle enormi sovvenzioni e dai privilegi fiscali offerti da paesi d'accoglienza quali il Regno unito e l'Irlanda, così come dai governi dell'Europa dell'Est, che stanno svendendo il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni e di incentivi fiscali di ogni genere. Fusioni e alleanze di società (come l'alleanza tra la Shell e la Bp) contribuiscono all'edificazione di un complesso economico totalitario. "Liberalizzazione", "privatizzazione", "deregulation", "sistema del libero commercio internazionale", sono altrettanti argomenti razionali che dovrebbero giustificare quest'evoluzione. In questo movimento di concentrazione, le grandi banche di investimenti, i fondi mutui e i fondi pensione giocano un ruolo preponderante (leggere l'articolo a pagina 18). Wall Street, dal canto suo, esercita pressioni per gonfiare i guadagni dei "valori di portafoglio"; e le banche di investimenti trovano in tutto questo il loro tornaconto. Il caso della Goldman Sachs, una delle principali banche di investimenti, al primo posto nel mondo per il consolidamento delle società transnazionali, è esemplare a questo riguardo. I suoi profitti sono raddoppiati nel giro di un anno, passando da 931 milioni di dollari nel 1995 a 1,9 miliardi nel 1996. Applicando le sue ricette, questa banca ha ridotto del 20% i suoi effettivi in questi ultimi anni, per non essere handicappata da un "costo del lavoro troppo elevato". Il che non le impedisce di pagare oltre 200.000 dollari di dividendi annui a ciascuno dei suoi 175 associati, in aggiunta ai profitti sul loro capitale. Alla Morgan Stanley (9), il presidente ha percepito oltre 14 milioni di dollari di dividendi nel 1996, pari a un aumento del 30% rispetto all'anno precedente. Ma queste banche, non contente di incoraggiare le fusioni di imprese, si impegnano direttamente sulla stessa strada. La fusione tra la Morgan Stanley e la Dean Witter ha dato origine a una delle più grosse società di investimenti e titoli del mondo, il cui valore di mercato è di oltre 24 miliardi di dollari (10). E quest'evento ha scatenato una reazione a catena tra le altre banche di investimenti e le società di intermediazione. Quanto potrà durare questo gioco? "Francamente, nessuno lo sa, dichiara un commissario ai conti della City. Le banche impegnano somme molto rilevanti. Stiamo spingendo all'impazzata alle fusioni, che sono il nostro nutrimento". Questo esperto altamente qualificato riconosce così senza mezzi termini che quest'orgia di annessioni di imprese si finanzia mediante l'indebitamento. Né più né meno dell'economia mondiale. La Novartis, nata nel 1996, occupa il secondo posto tra i giganti dell'industria farmaceutica, Questa società è il prodotto di una fusione tra la Sandoz e la Ciba-Geigy: si è trattato della maggiore operazione del genere nella storia delle transnazionali, che in commissioni e onorari di legali ha fruttato circa 95 milioni di dollari, ripartiti tra la Morgan Stanley e l'Union de Banque Suisse (Ubs). Da un giorno all'altro, il capitale della Novartis è balzato da 63 miliardi di dollari a 82 miliardi. Quando una manna del genere cade nei forzieri di un ristrettissimo gruppo di finanzieri, come parlare di crisi del capitalismo? Tuttavia la medaglia ha il suo rovescio: la nascita della Novartis ha comportato massicce liquidazione di posti di lavoro, prontamente eseguite in nome delle abituali "economie dei costi" e "ristrutturazioni". Di colpo, le azioni delle due società hanno conosciuto un rialzo senza precedenti. Il 10% della forza lavoro sarà eliminato in una prima fase. E le conseguenze in termini di aggravamento della miseria non impediscono agli ambienti della finanza di presentare l'operazione come una vittoria della razionalità di mercato. Allo stesso modo si esulta, a Wall Street e su tutti i mercati finanziari, per l'assorbimento da parte della Boeing della McDonnell Douglas (14 miliardi di dollari). Ma stavolta c'è stata una differenza nella strategia dell'annessione, dato che quest'acquisto non è solo il risultato di una decisione del consiglio d'amministrazione della Boeing, ma era stato vigorosamente incoraggiato dal Pentagono e dal dipartimento del commercio, preoccupato di favorire la penetrazione del settore aerospaziale americano sui mercati internazionali. Le conseguenti liquidazioni di posti di lavoro sono state massicce. Peraltro, dal 1992 il numero degli stabilimenti che lavorano per la difesa è crollato da 32 a 9, con la perdita di oltre 1 milione di posti di lavoro (11). In quest'ultimo esempio, le considerazioni strategiche non sono dissociabili dalla ricerca del profitto, dato che i titolari della Boeing e i dipartimenti della difesa e del commercio degli Stati uniti miravano a qualcosa di più di un'estensione delle quote di mercato aperte alle esportazioni americane. Era venuto per loro il momento di emarginare, se non di liquidare l'Airbus. Grazie all'apporto della McDonnell Douglas, la Boeing detiene ormai il 64% del mercato. L'impresa beneficierà inoltre degli ordinativi della difesa che in precedenza andavano alla McDonnell Douglas. E infine, il suo accesso ai finanziamenti del settore pubblico federale risulta rafforzato . Per il 1997 la Boeing ha previsto entrate per 51 miliardi di dollari, di cui il 40% proveniente dagli ordinativi della difesa. Dove sono i criteri di mercato in tutto questo? Acquistando la McDonnell (e altri acquisti seguiranno inevitabilmente su questa scia) la Boeing si assicura enormi sovvenzioni. Quest'impresa vende i suoi beni e servizi molto al disotto dei costi di mercato. Le sue attività di ricerca e sviluppo sono sovvenzionate dal Pentagono fin dalla fine della guerra, a colpi di decine di miliardi di dollari oltre che attraverso l'acquisto di aerei. Per il momento, il peso schiacciante delle società transnazionali nell'economia mondiale non ha un contrappeso equivalente in campo politico. Cosa avverrà nel prossimo secolo? Queste imprese potranno conservare le loro strutture totalitarie di dominio e di sfruttamento? Una crescita infinita non può esistere in un mondo finito: questa legge almeno vale per tutti, e si applica anche alle megaimprese. Nessuno può dire dove si fermerà il movimento di concentrazione capitalistica, né se e quando troverà un suo limite. Ma fin d'ora, i guasti sociali e politici determinati dalle fusioni e dai riscatti in serie stanno aprendo numerose crepe nell'edificio ... FONTE: Le Monde Diplomatique - http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/index1.html Note: (1) Cfr. Frédéric F. Clairmont e John H. Cavanagh, The World in their Web: the Dynamics of Textile Multinationals, Zed, Londra, 1981. (2) Ad esempio, il debito del governo federale americano (vale a dire, i debiti contratti dallo stato per finanziare le sue spese) è aumentato da 910 miliardi di dollari nel 1980 a 3.210 miliardi nel 1990 e a 4.970 miliardi nel 1995; alla fine del 1997 dovrebbe raggiungere i 6.200 miliardi. (3) Fortune, New York, 5 agosto 1996. (4) Tra le "prime duecento" non è compreso un certo numero di megaimprese private (non quotate in borsa) quali la Cargill, la Koch, la Mars, la Goldman Sachs, la Marc Rich ecc. (5) Leggere Frédéric F. Clairmont, "Sous les ailes du capitalisme planétaire, le Monde diplomatique, marzo 1994. (6) Cfr. The International Herald Tribune, 18-19 gennaio 1996. Leggere inoltre Laurent Carroué, "I lavoratori coreani all'assalto del dragone", le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 1997. (7) Il legame tra stato e oligarchia finanziaria è stato posto in luce ancora una volta dalla decisione del ministero delle finanze di impegnare 7,2 miliardi di dollari (di denaro dei contribuenti) per porre termine ai fallimenti provocati dal crollo del gruppo Hanbo (acciaio e costruzioni). (8) Neuen Freien Presse, dicembre 1901, citata in Tilmann Buddensieg, Ein Mann vieler Eigenschaften, Verlag Klaus Wagenbach, Berlino, 1990. Leggere inoltre The German great Banks and their Concentration, documenti del Senato americano, vol. XIV, n503, Washington D.C., 1911. (9) Cfr. Financial Times, Londra, 6 febbraio 1996. (10) Ibid. (11) Cfr. The Economist, Londra, 21 dicembre 1996. (Traduzione di P.M.) =================================== # no global # > GENOVA E DOPO. 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