intervento Deiana-globalizzazione



Seduta n. 9 del 3/7/2001
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, le donne e gli uomini - giovani e
giovanissimi in grande numero - che in questi mesi vanno organizzando il
«contro G8» di Genova hanno dalla loro parte le grandi ragioni della
ragionevolezza, della giustizia, della democrazia e della libertà.
Rappresentano la possibilità di un futuro, oltre che una scommessa politica
del presente, perché il futuro stesso della nostra specie umana - e del
pianeta che ci accoglie e ci fa vivere - dipende in grandissima misura da
quanto quelle ragioni diventeranno, nei prossimi anni e decenni, il senso e
la cifra delle cose, saranno, cioè, in grado di mobilitare l'immaginario e i
desideri collettivi, orienteranno le pratiche sociali delle popolazioni e
delle scelte politiche dei governi.
Disastro ambientale a ripetizione su scala planetaria, saccheggio corsaro
delle risorse, manipolazioni genetiche, mercificazione della vita fino alle
sue ultime radici, privatizzazione di tutto: delle idee, dei desideri, dei
sogni delle persone. Un marchio di mercato, un logo pubblicitario: a questo
oggi è ridotta la nostra vita, il senso e la materialità della nostra
esistenza quotidiana. Non ci stancheremo di ripeterlo!
E la forbice della diseguaglianza sociale che si allarga in maniera
esponenziale, soprattutto tra occidente e sud del mondo, ma anche nei paesi
ricchi, anche nel nostro paese come tutti gli indici evidenziano.
Questi sono gli effetti della globalizzazione capitalistica che il movimento
di Seattle - uso questa espressione giornalistica per indicare una realtà
molto più complessa ed articolata, sia sul piano dei soggetti che vi
partecipano sia delle culture che vi si mescolano - contesta.
Allora a me sembra che ci sia un punto di giudizio dirimente per affrontare
efficacemente il confronto su quanto sta avvenendo a Genova e su quanto, in
proposito, questa sede istituzionale, che dovrebbe essere un cuore pulsante
della politica quotidiana, deve essere in grado di valutare.
Da che parte sta la ragione, nel conflitto che si è aperto tra il
potentissimo G8 e il movimento antiglobalizzazione? Tra il popolo di Seattle
e la ristretta élite politica che si è attribuita il potere autocratico di
decidere del destino del mondo, qual è la parte violenta e prevaricatrice?
Possiamo dimenticare per un solo attimo quando parliamo di G8, soprattutto
in una sede come questa, che ha radice di legittimità unica ed esclusiva
nella sovranità popolare, che il G8 è un club privato di Governi, che
nessuna istanza democraticamente eletta lo ha mai autorizzato a procedere,
che nessuna possibilità di controllo sulle sue decisioni si può
istituzionalmente esercitare?
E, dunque, a proposito di Genova, vogliamo parlare di un problema di
sicurezza poliziesca o vogliamo parlare di un diritto fondamentale di
cittadinanza, che è quello di ricostruire uno spazio pubblico che ci è
sempre più sottratto dai vertici mondiali, uno spazio pubblico di
trasparenza, dibattito, critica e contestazione di questo palese imbroglio
della democrazia che è la pratica dei vertici mondiali da parte dei potenti
e dei poteri forti?
Sempre a Genova, il 15 e il 16 giugno scorsi, molte centinaia di donne hanno
dato vita ad un grande convegno, un vero e proprio «contro G8» femminile e
femminista, apertura dei lavori del controvertice di luglio - così l'hanno
inteso -, con la partecipazione di importanti esponenti dei movimenti di
resistenza femminile alla globalizzazione, di studiose internazionali di
economia, di giovanissime donne che guardano con timore al loro futuro, ma
non intendono rassegnarsi.
C'era, tra le altre, la signora Muysser Gunes, che qui voglio ricordare e
alla quale voglio esprimere tutta la mia solidarietà e la mia gratitudine
per la lezione di coraggio e di speranza civile di cui ci ha dato
testimonianza attiva. Donna curda di Turchia, presidente e portavoce del
movimento delle «Madri per la pace», infaticabile ambasciatrice in Europa
del suo popolo negato e dell'idea di una altra possibile Turchia di pace e
di convivenza, mentre era in Italia, lei che aveva avuto già un figlio
ucciso nella lotta di resistenza curda, ha perso il secondo figlio, un
giovanissimo ragazzo caduto in un'imboscata a Bingol il 22 maggio, insieme a
decine di altri suoi giovani compagni.
Che dire di fronte a un dramma umano femminile così straziante? La
globalizzazione significa anche questo, onorevoli colleghe e colleghi:
significa che l'Italia e l'Europa sono sempre più ridotte alla dimensione
finanziaria e di mercato, sempre più incapaci di svolgere un ruolo
politico-istituzionale attivo, di concorrere a cercare soluzioni di pace, di
democrazia, di giustizia, a problemi abnormi come quelli che strangolano i
diritti fondamentali dei popoli - cito il popolo curdo e quello palestinese,
tanto per fare gli  esempi che più dovrebbero competerci -, che uccidono
alla radice il diritto di molte donne di essere madri.
Il «contro G8» femminista ha messo in luce quanto la globalizzazione pesi in
maniera drammatica sulla vita delle donne, delle creature, degli strati più
indifesi della popolazione e quanto renda più difficili quei complessi e
faticosissimi compiti della riproduzione della vita umana e sociale che,
ovunque, assicurano le condizioni stesse della sopravvivenza e che
continuano, ovunque, a pesare sulle spalle delle donne.
I media hanno dato poco spazio al «contro G8» delle donne, perché anche
questo occultare la soggettività, il protagonismo, l'assunzione di
responsabilità politiche - di tutti, ma delle donne in modo particolare - fa
parte del gioco della globalizzazione. Meno soggettività critiche si rendono
visibili, meglio vanno le cose.
A Genova le donne hanno elaborato, con passione, una carta di intenti
ignorata dal grande circuito mediatico e assai inopportunamente
sottovalutata anche dalla Commissione nazionale per le pari opportunità, che
qui voglio leggere, affinché uno spicchio di cittadinanza attiva femminile
trovi spazio in una sede come questa, che dovrebbe essere garante della
cittadinanza: «Noi donne emigranti e native che prendiamo parte all'evento
'Punto G Genere e globalizzazione' e autorganizzato dalla rete della Marcia
Mondiale delle donne contro le guerre, le violenze e la povertà a Genova nei
giorni 15 e 16 giugno 2001 (...), intendiamo: protestare contro
l'occupazione militare della città che il Governo ha predisposto per il
summit dei G8; manifestare liberamente il nostro pensiero negli spazi
pubblici garantiti dalla Costituzione alle cittadine e ai cittadini di
questo paese; protestare contro un potere privato e privo di legittimità
democratica, che pretende di decidere della nostra sorte; lottare contro il
sessismo ed il razzismo, per la libertà di decisione rispetto le nostre vite
nel presente e nel futuro; protestare contro le ingerenze di tutti i
fondamentalismi religiosi ovunque si manifestino, contro tutti i
fondamentalismi religiosi; garantire che ogni donna possa avere la libera
disponibilità di sé e della propria vita, con piena libertà di scelte
riproduttive, sessuali e lavorative; lottare in primo luogo in Italia contro
le iniziative vaticane e ministeriali che attentano alla legge n. 194 del
1978; protestare contro le manipolazioni genetiche, l'inquinamento del
pianeta, il trattamento crudele degli animali in allevamenti di tipo
industriale; lottare per un rapporto sobrio e grato verso la natura e la
terra; protestare contro le violenze e le molestie sessuali in famiglia, a
scuola e sul lavoro contro donne, bambine e bambini; lottare per un rapporto
rispettoso e felice tra le persone; protestare contro una politica economica
iniqua, contro la distruzione dello Stato sociale, contro l'imposizione dei
piani di riaggiustamento strutturale nei paesi del sud che riducono intere
popolazioni alla miseria; lottare per un'economia basata sulla soddisfazione
dei bisogni e non sul profitto, che riconosca l'intreccio indissolubile tra
la sfera produttiva e quella riproduttiva, che garantisca i diritti delle
lavoratrici e dei lavoratori, nativi e migranti; protestare contro le guerre
dimenticate, le spese militari, il crescente militarismo, le avventure
belliche che violano la Costituzione, il diritto internazionale, la ragione
e l'umanità, lasciando dietro di sé rovine, malattie, crudeltà e danni
all'ambiente, alle persone, alle cose, alle memorie; lottare per una
politica di pace, fuori dalle alleanze militari aggressive e per un'Europa
neutrale, nella prospettiva di vivere in un mondo che si renda capace di
ripudiare effettivamente la guerra; protestare contro tutte le misure che
limitano i diritti e la libertà delle immigrate e degli immigrati; lottare
per la chiusura dei centri di detenzione temporanea, l'abolizione della
tratta delle persone, vera e propria forma di schiavitù, per una
cittadinanza europea basata sulla residenza e non sulla nazionalità».
Il movimento anti G8, con la sua disponibilità democratica al confronto, ha
offerto a questo Governo una grande opportunità di esercizio democratico
nella sua funzione istituzionale. Un'altra occasione sarà quella che gli è
stata offerta di raccogliere e di farsi carico delle istanze che il
movimento ha espresso in questi mesi. Staremo, dunque, a vedere in che modo
il Governo si rapporterà a tutto questo (Applausi dei deputati del gruppo di
Rifondazione comunista).




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