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Le colpe di D'Alema che Pirani non cita ([REP] Le scelte di D'Alema che molti dimenticano)
- Subject: Le colpe di D'Alema che Pirani non cita ([REP] Le scelte di D'Alema che molti dimenticano)
- From: Marco Trotta <matro at bbs.olografix.org>
- Date: Mon, 2 Jul 2001 13:09:23 +0200
Pirani ci riprova: già durante la guerra fu autore di un articolo particolarmente ingeneroso nei confronti del movimento pacifista. Oggi, nel tentativo di rivalutare D'Alema (del resto all'interno dei DS c'è da eleggere un nuovo segretario e per il momento l'unico candidato e appoggiato apertamente dall'ex presidente del consiglio), fa affermazioni false e tendenziose, nell'ordine: 1) Buona parte delle accuse provenienti da "opinionisti democraticomoderati" erano di metodo più che di merito. No alla guerra non per conclamata convinzione pacifista, ma per opportunità politica. Convinzioni poi dimostrate fondate se a più di due anni di distanza è ormai più che evidente che la scelta della guerra fu politicamente irresponsabile perché: a) se voleva accreditare il nostro paese come "affidabile" nei circoli che "contano" (tesi Scognamiglio come da carteggio sul Corsera di qualche tempo fa), ha dimostrato una volta di più che l'Italia interessa alla strategia geopolitica USA più per la sua posizione che per il governo costituzionalmente eletto. D'Alema era l'uomo giusto per appoggiare una guerra (a proposito, perché Pirani non la chiama mai così?) nonostante e contro la tradizione dell'area politica dalla quale proveniva (e nonostante e contro tre carte costituenti, costituzione italiana, NATO e ONU) e quando ha chiesto la riconferma è stato abbandonato dagli stessi poteri forti (vedi appoggio USA alla candidatura di Berlusconi, anche qui in chiave subalterna e di opportunità politica in questa fase nazionale ed internazionale: G8, UE, ecc.) b) se voleva risolvere la questione "umanitaria", ha nascosto dietro la propaganda guerrafondaia cifre gonfiate ed un apparato massmediatico impressionante per orientare il consenso (vedi questione "fosse comuni" e sull'ultima scoperta segnalo l'articolo di S. Provvisionato http://www.domeus.it/list/messages/read?ecircleid=91979&msgnr=64&month=6&year=2001&msgid=1758084&sb=0) interessi economici (i famosi corridoi) ed una condotta di guerra di stampo criminale con uso di uranio impoverito e bombardamento di industrie chimiche. A questo proposito consiglio la lettura dei due libri degli "Scienziate e scienziati contro la guerra" (http://www.scienzaepace.it) e forse potrà interessare "all'atlantico" Pirani che è valsa anche una citazione in parlamento del senatore Andreotti nei giorni in cui agli italiani hanno fatto sapere che forse il nostro contigente in Kossovo respirava polveri radioattive (per non parlare dei civili che lo faranno anche quando i nostri bravi soldati torneranno a casa). Ma Pirani sa delle conclusioni della commissione Mandelli? c) se voleva cacciare un "dittatore", ha prodotto l'ennesima grave ingerenza di un "umanitarismo militare" interessato a mantenere diritti e privilegi illegittimi di un modello economico profondamente ingiusto, che utilizza e accredita istituzioni come il tribunale dell'Aja per interessi di parte e sancisce senza mandato di nessuno, e per ammissione freudiana di Pirani, un "nuovo diritto internazionale" che per quello visto sopra ha l'unico scopo di sancire l'interesse degli stati più forti nei confronti di quelli più deboli. Come ovviare? Dimostrando subalternità per non finire in disgrazia. A proposito, perché Pirani non cita l'affaire Telekom Serbia? 2) Non risulta che tutti i kossovari siano rientrati nelle loro case, soprattutto perché non risulta che lo status di profugo sia un ricordo nei Balcani. Risulta invece che un esercito irregolare finanziato in maniera occulta stia ancora creando porblemi agli equilibri politici di quei territori, vedi Macedonia e ruolo dell'UCK. 3) Citare l'omicidio D'Antona, in questo contesto, è incauto e profondamente indecoroso nei confronti delle vittime. Chi? I familiari e tutte le persone innocenti (ed infatti scagionate) coinvolte in un'inchiesta che per il momento sta dimostrando che intorno a questa faccenda dubbi e misteri sono degni eredi del peggior retaggio e della coscienza più nera di questo paese e della sua storia recente in materia di terrorismo. Io credo che sarà per queste scelte e per l'assoluta arroganza con la quale sono state condotte che verrà ricordato Massimo D'Alema. Le stesse che sono gravi capi d'accusa perfino giudiziari prima che politici (e non oso dire morali). Banalizzare il tutto a rango di congiure di palazzo e di detrattori oscuri, è retorico e francamente mistificante. MT _[Ripostato da: La Repubblica - http://www.repubblica.it ]________________ [http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010702/commenti/01iranix.html] 2 luglio 2001 LINEA DI CONFINE Le scelte di D'Alema che molti dimenticano di MARIO PIRANI Dossier insultanti, articoli al veleno, discorsi di condanna senza appello si susseguono contro Massimo D'Alema. Il perché di questa urgenza concomitante e concitata mi sfugge mentre colpisce l'assenza di un'analisi critica seria che si sforzi di individuare sia i suoi meriti politici che gli errori. In particolare nessuno riflette sul fatto che senza un impegno di D'Alema , la maggioranza dei Ds assai difficilmente avrebbe sostenuto la linea di sacrifici fiscali, sociali ed economici che la determinazione di aderire all'euro fin dall'inizio comportò. Se Ciampi fu l'artefice del nostro ingresso e se Prodi lo seguì, dopo aver verificato l'indisponibilità spagnola a un rinvio, la grande e contestata operazione non sarebbe andata in porto se D'Alema non avesse avuto la forza di respingere le tante resistenze che allignavano nel suo partito e nei sindacati. Ancor più arduo fu il compito quando, appena assunta la carica di presidente del Consiglio, si trovò di fronte al precipitare della crisi balcanica e nel volgere di quattro mesi alla scelta sulla partecipazione all'azione Nato contro Milosevic per impedire la pulizia etnica nel Kosovo. Per comprendere il coraggio solitario di quell'impegno è bene non perdere di vista come D'Alema con la sua iniziativa si scontrasse con una pluridecennale tradizione pacifista, antiamericana e antiNato del suo partito d'origine, tradizione che riemerse appieno in quei giorni nelle file diessine, nei gruppi parlamentari, fra gli stessi alleati di governo, specie i verdi e i cattolici, sensibilissimi alle ripetute prese di posizione papali, nettamente ostili. Se furenti furono le accuse di Rifondazione e del Manifesto non meno aspre furono le critiche di opinionisti democraticomoderati come Sergio Romano, Giovanni Sartori, Lucio Caracciolo e numerosi altri che trovarono dissennata, pericolosa e destinata all'insuccesso la cosiddetta "guerra umanitaria". Se Bossi e Cossutta si recarono addirittura a Belgrado in visita a Milosevic , i brigatisti rossi che assassinarono in quei giorni D'Antona denunciavano nel loro documento la guerra nei Balcani come un «tentativo di assoggettare la Jugoslavia» e l'ingerenza umanitaria antiMilosevic «una giustificazione per aggredire qualsiasi popolo o per processare qualunque combattente antimperialista cui gli stati imperialisti abbiano attribuito l'etichetta di criminale di guerra». Ai manifestanti cattolici, verdi e della sinistra diessina e rifondaiola che partecipavano alla marcia della pace PerugiaAssisi e chiedevano a gran voce la sospensione immediata dei bombardamenti, D'Alema rispose : «L'Italia partecipa a un'azione militare decisa non come atto di guerra contro la Serbia e il suo popolo, ma come risposta alla guerra già in corso: la guerra di Milosevic contro la popolazione albanese del Kosovo, vittima di una tragedia umanitaria, un caso di patente violazione dei diritti essenziali di un popolo... è questa la guerra che dobbiamo fermare». D'Alema aveva tutte le ragioni anche se i suoi faziosi detrattori non vorranno mai riconoscere che in quella occasione non solo ha salvato la credibilità e l'onore del Paese ma anche fatto fare un salto di qualità decisivo alla trasformazione responsabile del riformismo italiano. D'altra parte è stato l'estremismo infantile e l'opportunismo di una larga parte della restante sinistra a rendere indispensabile in quel caso il sostegno parlamentare dal centrodestra . Ora, a due anni di distanza, i risultati dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti: i kosovari sono rientrati nelle loro case, una democrazia accettabile è stata instaurata a Belgrado, le fosse comuni anche recentemente scoperte hanno confermato gli eccidi, Milosevic è stato tradotto all'Aja, accusato di crimini contro l'umanità. Certamente questo non vuol dire che nell'area balcanica tutto sia stato risolto né che il nuovo diritto internazionale sia in grado di esercitarsi sempre e ovunque. Ma invece di salutare questi primi, importantissimi risultati i critici di ieri o tacciano, evitando ogni autocritica, o dimostrano come l'inveterato antiamericanismo seguiti a essere la loro sola bussola fissa . Vedi Valentino Parlato che sul Manifesto scrive: «Aver degradato la Jugoslavia allo stato di una colonia, dove la potenza imperiale può fare quel che vuole, non credo aiuti la pace nei Balcani». Ma anche Lucio Caracciolo, quando afferma che «noi processiamo Milosevic perché abbiamo vinto e lui ha perso», si esprime in analogia con quanti criticano Norimberga perché ha espresso un "diritto dei vincitori". Si sarebbe, nell' uno e l'altro caso, preferito il contrario? __________________________________________________________________________
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