[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Ordinari Omicidi Di Stato: 26 settembre 1970 (Fwd) [JUGO]
- Subject: Ordinari Omicidi Di Stato: 26 settembre 1970 (Fwd) [JUGO]
- From: "glr" <glr.y at iol.it>
- Date: Wed, 11 Apr 2001 15:39:33 +0200
- Priority: normal
<color><param>0100,0100,0100</param>26 settembre 1970: </color>Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso, Annalise Borth. Morti di Stato. <color><param>0100,0100,0100</param>------- Forwarded message follows ------- Subject: Ordinari Omicidi Di Stato Date: Tue, 10 Apr 2001 19:19:55 +0200 </color>Cinque anarchici scoprirono le prime trame nere della repubblica. Scoprirono che il treno di Gioia Tauro quel 22 luglio del 1970, era deragliato per una bomba dei "servizi". Era un'altra strage di stato. Cercarono di portare le prove a Roma, per farle conoscere a tutti. Il il 26 settembre del 1970 partirono e con loro partirono i documenti che provavano la matrice dell'attentato. Il padre di uno di loro, Lo Celso, non badò alla telefonata di un amico poliziotto (della polizia politica di Roma) che alla vigilia del viaggio lo avvisava mafiosamente... "E' meglio che non faccia partire tuo figlio". La polizia politica sapeva che sarebbero partiti con dei documenti sui rapporti tra servizi segreti, malavita e fascisti. Qualcuno oltre che sapere organizzò qualcosa. Morirono a 50 km dalla capitale in un "incidente automobilistico". Dei documenti che portavano con loro non fu trovata traccia. Storia di una strage politica organizzata da apparati dello stato 30 anni or sono. Da la repubblica di oggi 10 aprile 2001, pag.27 Gian. PS. L'articolo è sul giornale di oggi, e proprio oggi scoppia a Roma una ennesima bomba dei "servizi"; (almeno fino a prova contraria; le statistiche sugli autori reali parlano chiaro...) anche oggi lo stesso mafioso messaggio di allora "E' meglio che non faccia partire tuo figlio"... insomma "un altro botto per spaventare chi andrà contro il G8" ------ Cinque anarchici morti e una strage "Scoprirono la verità, li uccisero" Trent'anni dopo il deragliamento di un treno a Gioia Tauro, l'antimafia calabrese ha più di un dubbio sulla tragica fine di un gruppo di ragazzi GIOVANNI MARIA BELLU REGGIO CALABRIA - Quei cinque giovani anarchici avevano capito e avevano trovato le prove: non era stato un incidente ma un attentato. I sei morti, i cinquantaquattro feriti, non potevano essere considerati vittime della fatiscenza delle strade ferrate del Sud o dell'imperizia di alcuni ferrovieri come allora dicevano tutti, compresi i magistrati. Il 22 luglio del 1970, nei pressi di Gioia Tauro, all'inizio della rivolta del "Boia chi molla" e meno di un anno dopo la strage di piazza Fontana, era stata compiuta una strage. Avevano capito tutto Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, età media 22 anni. E quella sera del 26 settembre del 1970, poco più di due mesi dopo l'attentato, andavano a Roma con la Mini Minor carica di documenti. Li attendevano i compagni anarchici della capitale, li aspettava l'avvocato Edoardo Di Giovanni, uno che di controinformazione se ne intendeva essendo stato tra i curatori della 'Strage di Stato', la storica controinchiesta sull'attentato di Milano. Sono da poco passate le 23, Roma è ad appena cinquantotto chilometri. In quel tratto, che attraversa il territorio comunale di Ferentino, in provincia di Frosinone, la strada è "rettilinea, bitumata, asciutta e in salita", e quella sera - come ancora precisa il rapporto della polizia stradale - il tempo è "sereno", la visibilità "buona", il traffico "normale". L'autista dell'autotreno carico di barattoli di conserva, dirà solo di aver sentito un boato proveniente dal retro del camion. Casile, Scordo e Lo Celso - seduti nel sedile posteriore - muoiono sul colpo. Aricò, che si trovava alla guida, ventiquattro ore dopo. Sua moglie Annalise Borth, diciannovenne tedesca di Amburgo, alla fine di un'agonia durata venti giorni. Il caso viene archiviato nel gennaio del 1971. Una disgrazia, dicono i giudici di Frosinone, causata da un mix tra alta velocità e giovane età. Come se i cinque fossero usciti sbronzi da una discoteca. Ma oggi - più di trent'anni dopo - Salvo Boemi, capo della direzione nazionale antimafia calabrese, definisce "logica e plausibile" l'ipotesi che anche l'incidente in cui morirono i cinque anarchici fosse stato, al pari di quello di Gioia Tauro, una strage. Una strage organizzata per coprirne un'altra. Questa è una storia lunga, lunghissima, quasi incompatibile con la tenuta della memoria nazionale. Converrà fissarne le date. L'"incidente" del treno di Gioia Tauro avviene il 22 luglio del 1970: otto giorni prima a Reggio Calabria è scoppiata la rivolta contro la decisione di attribuire a Catanzaro lo status di capoluogo di regione. L'"incidente" di Ferentino è di poco più di due mesi dopo. Rapidamente entrambe le vicende vengono archiviate dalla magistratura e anche dalla stampa. Passano ventitré anni. Nel 1993, durante l'inchiesta milanese sull'eversione nera, due esponenti della 'ndrangheta, Giacomo Lauro e Carmine Dominici, raccontano al giudice istruttore Guido Salvini l'alleanza tra criminalità tradizionale calabrese e neofascisti negli anni '70. E rivelano che il deragliamento dei vagoni di coda della Freccia del Sud era stato provocato da una carica di esplosivo sistemata sui binari. Fanno i nomi degli esecutori materiali (tutti nel frattempo deceduti) e, in modo generico, dicono che i mandanti vanno cercati in quegli stessi ambienti dell'estrema destra che, attorno allo slogan "Boia chi molla", avevano egemonizzato la rivolta. La notizia della collaborazione di Lauro e Dominici filtra e, il 26 marzo del 1994, si presenta spontaneamente al giudice Salvini il professor Antonio Perna, docente di sociologia economica al'Università di Messina e cugino di Gianni Aricò. Perna parla della controinchiesta condotta dai cinque anarchici, finalmente può esprimere davanti a un magistrato una convinzione che, tra i familiari, ha la forza di una certezza: Gianni, la moglie Annalise e gli altri tre compagni furono uccisi proprio perché avevano capito immediatamente quello che i pentiti hanno rivelato solo dopo ventitré anni. Gli atti passano da Milano a Reggio e finiscono nel gigantesco fascicolo della "operazione Olimpia", la maxi-inchiesta su mafia, politica e massoneria che, divisa in varie tranche, continua a produrre, nel disinteresse generale, ergastoli e condanne pesantissime per boss, faccendieri, politici. Ora c'è lo strumento tecnico per indagare sull'incidente di Ferentino. Ma dentro una cornice molto piccola: la competenza continua a essere della procura di Frosinone e la Dna calabrese può interessarsi della vicenda solo per verificare se i cinque ragazzi anarchici stavano portando a Roma documenti dai quali risultava che a Gioia Tauro era stato compiuto un attentato. E poiché i familiari dei cinque dicono coralmente che a loro non fu restituito nemmeno un foglio di carta, la magistratura reggina chiede al ministero dell'Interno di verificare se il materiale prelevato dalla Mini Minor dopo l'incidente si trovi in qualche archivio di polizia. La risposta è negativa. In quel momento la competenza della Dna calabrese cessa. Una storia lunghissima, come tutte le storie di testardi. Era un maledetto testardo Gianni Aricò. E anche un provocatore: a Reggio ancora sono molti a ricordarsi della domenica mattina in cui, con una gallina al guinzaglio, si mise a passeggiare per il corso sbeffeggiando le signore borghesi che portavano a spasso i loro cagnolini. Era un testardo Angelo Casile che riuscì a procurarsi la lista dei neofascisti italiani in contatto con la Grecia dei colonnelli e grazie a essa individuò un infiltrato. Testardi, coraggiosi, vagabondi. Dotati di una capacità quasi soprannaturale di trovarsi al posto giusto nel momento più pericoloso. Fino a diventare testimoni a favore di Pietro Valpreda - che fu anche il tramite dell'incontro tra Annalise Borth e Gianni Aricò - nell'inchiesta su piazza Fontana. Fino a fotografare le barricate della rivolta di Reggio documentando la presenza di fascisti provenienti da ogni parte d'Italia. Ed è pure un bel tipo di testardo Fabio Cuzzola, che era appena nato quando la Mini Minor di Aricò, come la locomotiva di Guccini, si schiantò contro l'ingiustizia. Cuzzola fin da ragazzino, come tanti a Reggio, sentì parlare della storia dei cinque ragazzi anarchici. Un anno fa ha deciso di studiarla. Ci ha lavorato per undici mesi e ha scritto un libro che Franco Arcidiaco, responsabile dell'editoriale "Città del sole", ha pubblicato. Il lavoro di Cuzzola a Reggio è diventato un caso editoriale: in piccolo, una fenomeno simile a "I cento passi", il film di Marco Tullio Giordana su Giuseppe Impastato. Alla presentazione c'erano duecento persone. La memoria di molti si è rimessa in moto, i ricordi hanno trovato un luogo dove confluire. Gli ultimi giorni dei cinque testardi di Reggio sono stati ricostruiti ora per ora, minuto per minuto. "Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l'Italia", disse Gianni Aricò alla madre pochi giorni prima di morire. E poi quella telefonata giunta alla vigilia del viaggio a Roma al padre di Lo Celso da un amico che lavorava alla polizia politica di Roma: "E' meglio che non faccia partire tuo figlio". Oggi si sa che veramente l'individuazione tempestiva dei responsabili dell'attentato di Gioia Tauro avrebbe potuto "far tremare l'Italia". Avrebbe consentito di ricostruire la catena di comando che da Reggio Calabria - diventata durante la rivolta una sorta di campo di addestramento per la destra eversiva nazionale - conduceva fino a Roma, fino al disegno golpista del principe Junio Valerio Borghese. Quel 26 settembre del 1970 alcuni quotidiani ancora parlavano della misteriosa vicenda di un giornalista siciliano, Mauro De Mauro, scomparso dieci giorni prima. In realtà, come è emerso pochi mesi fa, assassinato dalla mafia proprio per aver scoperto i piani del colpo di Stato. La sparizione dei documenti, le stranissime modalità dell'incidente, le testimonianze dei familiari sull'entusiasmo e la paura dei cinque anarchici, il nome 'Aricò' annotato sull'agenda dell'avvocato Edoardo Di Giovanni nella lista degli appuntamenti del 27 settembre 1970, alcune dichiarazioni di Carmine Dominici a proposito del fatto che negli ambienti neofascisti reggini si parlava dell'incidente come di un omicidio plurimo: questi e molti altri elementi rendono "logica e plausibile" l'ipotesi che si trattò di un attentato. Di un'altra strage destinata a restare impunita. E non solo per il tanto tempo trascorso. Dice il procuratore Boemi: "Sono convinto che quei ragazzi avevano trovato dei documenti importanti. Non riesco a spiegarmi altrimenti la scomparsa di tutte le carte che si trovavano sull'automobile. E' un caso che avrei voluto approfondire, ma non è stato possibile. Ci sono insormontabili problemi di competenza. Riaprire l'inchiesta? L'unica speranza è che, trent'anni dopo, chi sa decida di parlare. Ma, onestamente, non ci credo". ----------------------------------------------------------- Lista di discussione del Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia vivrà" Italijanska Mreza "ZIVECE JUGOSLAVIJA" <color><param>0000,0000,7F00</param>> Per i versamenti: > CCP cod. ABI 07601 CAB 02400 Numero 13437421 > intestato a Marchionni e Mazzola </color>Tutti i messaggi sono archiviati su http://www.egroups.com/messages/jugocoord/ Per cancellare la sottoscrizione a questa mailing list basta mandare un messaggio a: jugocoord-unsubscribe at egroups.com <color><param>0100,0100,0100</param>------- End of forwarded message -------
- Prev by Date: AIRC e Uranio Impoverito
- Next by Date: In edicola il numero 125
- Previous by thread: SCUOLA DI EDUCAZIONE ALLA PACE
- Next by thread: In edicola il numero 125
- Indice: