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intervista a L.Morgantini di ritorno dall'IRAQ di P. Giaculli
- Subject: intervista a L.Morgantini di ritorno dall'IRAQ di P. Giaculli
- From: luisa morgantini <MC6381 at mclink.it>
- Date: Fri, 9 Jun 2000 16:41:07 +0200
Luisa Morgantini, europarlamentare indipendentre eletta nelle liste del Prc, è di ritorno da un viaggio in Iraq in cui si è recata insieme ai due eurodeputati Bashir Khanbai, conservatore britannico e Niall Andrews del Fianna Fail irlandese. Le chiediamo di raccontarci questa esperienza. Quali sono le motivazioni che hanno spinto te e gli altri deputati ad intraprendere questo viaggio? All'epoca della guerra del Golfo, insieme al movimento pacifista italiano, mi sono espressa contro la guerra e anche contro l'invasione del Kuwait, e in favore della trattativa per una soluzione pacifica. A dire il vero in quel momento chiedevamo l'embargo nei confronti dell'Iraq. In seguito nel movimento pacifista questa posizione è stata rivista dopo molte riflessioni sull'opportunità, in generale, dell'embargo. In realtà l'embargo, ogni embargo, fatto salvo quello sulle armi colpisce le popolazioni civili e non i regimi. Ciò che ha animato me e gli altri deputati è stata la considerazione che dieci anni di embargo sono insostenibili per l'Iraq e che è ora di dire basta, come richiede, anche se con troppi condizionamenti, il Parlamento europeo in una sua risoluzione approvata a Strasburgo lo scorso aprile. Con questo viaggio volevamo raccogliere le maggiori informazioni possibili sulle conseguenze dell'embargo sulle popolazioni, per dare concretezza alla risoluzione. Com'è allora la situazione in Iraq al momento? Vedere la quotidianità e la pratica dell'embargo è stato devastante. L'Iraq, da paese ricco, che produce petrolio, quale era, si ritrova ad essere un paese completamente distrutto. Prima del 1990 non c'era mortalità infantile, l'alfabetizzazione era diffusa, anche le donne frequentavano le facoltà scientifiche. Vantava ingegneri e tecnici preparatissimi e i risultati si vedevano nella realizzazione di infrastrutture efficienti ed attrezzate. Nel mondo arabo, l'Iraq poteva ritenersi un paese sviluppato. Ad essere distrutte dalla guerra sono state non solo le strutture militari, ma quelle civili. Grazie alla capacità e determinazione del popolo iracheno molte delle strutture sono tornate miracolosamente in piedi. Ma il sud continua ad essere completamente sprovvisto di acqua. Dieci anni di embargo hanno impedito la manuntenzione di quello che era tornato a funzionare. Senza gli opportuni pezzi di ricambio si può riparare ben poco. Dieci anni di embargo hanno trasformato un paese all'avanguardia nel mondo arabo in un paese dove il 32% di bambini muoiono perchè malnutriti e in preda di qualsiasi infezione. Se non si recuperano al più presto fondamentali infrastrutture come reti fognarie, non è possibile fare nulla per impedirlo. Negli ospedali mancano i farmaci. Il dott. Ghulam R. Popal dell'Organizzazione mondiale della sanità ci dice che sono tornate malattie come il colera e la tubercolosi, già debellate in Iraq molto prima del 1990. È lui, inoltre, a parlarci di "genocidio intellettuale". Per i medici e i tecnici non c'è più neanche la possibilità di aggiornarsi: per volere degli Usa da dieci anni non arrivano più né pubblicazioni scientifiche, né computers. Anche il sistema dell'istruzione è completamente degradato. Non ci sono strumenti adeguati, agli studenti manca praticamente tutto e si assiste al ritorno dell'analfabetismo. Da quando nel 1996 è scattato il piano "oil for food", il programma di scambio di petrolio contro cibi e farmaci, la situazione dell'economia iraqena è pressoché identica. Lo scambio serve infatti a non far morire le popolazioni. Il denaro dei proventi della vendita di petrolio non viene depositato presso banche irachene: il 53% va al governo; un 30% copre i danni della guerra; il 13% alle province settentrionali dell'Iraq oggi indipendenti popolate da curdi e il resto copre le spese del personale Onu. Ma la cosa inverosimile è che la comissione per le sanzioni, blocca centinaia e centinaia di contratti per attrezzature sanitarie o farmaci con il pretesto, addotto principalmente dai rappresentanti Usa nella commissione dell'Onu, che certi prodotti servano a scopi militari. Clamoroso è l'esempio che ci viene riportato da André Janier, capo di sezione per gli interessi francesi in Iraq. I farmaci veterinari per un un carico di tori da riproduzione sono stati bloccati perché contenevano sostanze che potevano servire alla produzione di armi nucleari. Ma è assolutamente inimmaginabile che si possano produrre armi dopo che gli strumenti idonei sono stati distrutti insieme agli arsenali ad opera della Unscom. Altra follia: mancano le matite perché anche la grafite in esse contenuta è considerata sospetta. Ma l'economia è gravemente in crisi anche perché con i proventi del petrolio si può solo acquistare all'estero: non si possono fare investimenti in Iraq e, in assenza di liquidità, le opere rimangono bloccate. Le popolazioni riescono a sopravvivere grazie alle razioni distribuite dal governo: a detta di alcuni incaricati Onu non si è mai vista distribuzione più razionale, contrariamente a quanto afferma certa stampa. Ma l'embargo non è servito a scalfire il potere di Saddam. La popolazione del resto dipende da lui. E, pur condannando le sue repressioni a forza di gas nervino nei confronti dei curdi nel 1988, delle forze di opposizione e l'invasione del Kuwait, non bisogna dimenticare il risvolto populista di questa figura che, con politiche a carattere sociale, fa per il popolo iracheno cose importanti, che altri paesi arabi come l'Arabia Saudita non fanno. Non ci siamo trovati, tra l'altro, mai in difficoltà nel nostro viaggio e ci siamo fermati sempre dove volevamo. Con Tareq Aziz abbiamo trovato una classe dirigente aperta, attenta al ruolo che può assumere l'Unione europea per l'Iraq rispetto agli Usa, che insieme alla Gran Bretagna impongono il blocco dei contratti. Ora sono ancora più consapevole del dominio della politica degli Usa e che il problema dell'Iraq è il petrolio, non a caso nazionalizzato da Saddam. E l'Ue deve trovare il coraggio di sganciarsi dagli Usa e dalla Gran Bretagna per contribuire allo sviluppo economico dell'Iraq e mettere fine ad un embargo che distrugge un popolo. Paola Giaculli
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