[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

Educarsi alla pace. 15



EDUCARSI ALLA PACE. UNA RASSEGNA NON RASSEGNATA

Alcune proposte di lettura per una cultura della pace e un accostamento alla
nonviolenza, a cura del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, strada S.
Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 15 di venerdi' 3 dicembre 2004

*

SOMMARIO
1. Un avviso
2. Libri
3. Carte

*

1. UN AVVISO
Segnaliamo ancora una volta che e' prossima la ripresa delle pubblicazioni
del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" curato
dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo; esso verra' diffuso attraverso
una mailing list automatizzata la cui gestione tecnica sara' a cura degli
amici di Peacelink, che nuovamente ringraziamo.
Coloro che vorranno ricevere il notiziario dovranno "abbonarsi"
(gratuitamente, e' ovvio) alla mailing list, poiche' non procederemo piu'
agli invii diretti come abbiamo fatto in passato.
Per iscriversi alla mailing list sono possibili due diverse procedure: una
tramite e-mail, l'altra tramite web: ai fini pratici esse sono equivalenti,
scelga il lettore di quale preferisce servirsi:
a) scrivere a nonviolenza-request at peacelink.it mettendo come soggetto
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione);
oppure
b) andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html ,
scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
Naturalmente le lettere, gli articoli e i materiali indirizzati alla
redazione vanno inviati alla solita casella di posta elettronica:
nbawac at tin.it

*

2. LIBRI

FATEMA MERNISSI: L'HAREM E L'OCCIDENTE
Fatema Mernissi, L'harem e l'Occidente, Giunti, Firenze 2000, pp. 192, euro
12,50. Un libro di straordinaria cultura e levita', scintillante di
intelligenza e umorismo, che smaschera il maschilismo con un'efficacia
strepitosa. Un libro politico come si dovrebbero scriverne: un libro con
sguardo e con voce di donna. Lo raccomandiamo vivamente, come del resto
tutte le opere di Fatema Mernissi che abbiamo letto. "Fatema Mernissi e'
nata a Fez, in Marocco, nel 1940: docente di sociologia presso l'Universita'
di Rabat Mohammed V, studiosa del Corano e scrittrice, da molti anni e'
impegnata in attivita' di ricerca e insegnamento in ambito internazionale,
per sostenere una visione pluralistica della societa' islamica, fondata
sull'umanesimo e sul femminismo e opposta alle concezioni e alle pratiche
dell'estremismo integralista" (dal risvolto di copertina).

DAVID R. OLSON, NANCY TORRANCE (A CURA DI): ALFABETIZZAZIONE E ORALITA'
David R. Olson, Nancy Torrance (a cura di), Alfabetizzazione e oralita',
Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, pp. XII + 310, euro 18,59. Nato da
un convegno svoltosi nel 1987, il libro, apparso nel 1991, accoglie
contributi, oltre che dei curatori, di Eric Havelock, Ivan Illich, Carol
Fleisher Feldman, J. Peter Denny, Jo Anne Bennett e John W. Berry, D. P.
Pattanayak, Barry Sanders, Jerome Bruner e Susan Weisser, Jeffrey Kittay, R.
Narasimhan, Paul Saenger, Robert J. Scholes e Brenda J. Willis, Andre' Roch
Lecours e Maria A. Parente. Dedicato alla memoria di Eric Havelock, deceduto
nel 1988, e' un testo di notevole interesse. (Forse non e' inutile segnalare
che il titolo originale e' Literacy and Orality, e che nell'edizione
spagnola - apparsa nella collana LeA diretta da Emilia Ferreiro per
l'editrice Gedisa di Barcellona - viene tradotto con Cultura escrita y
oralidad).

TZVETAN TODOROV: L'HOMME DEPAYSE'
Tzvetan Todorov, L'homme depayse', Seuil, Paris 1996, pp. 256. Quasi
un'autobiografia, il libro e' scandito in tre parti: Originaire de Bulgarie,
Citoyen en France, Visiteurs aux Etats-Unis (tutte di straordinario
interesse, ma particolarmente folgorante e' la parte prima); il viaggio
dell'autore - studioso e moralista tra i piu' acuti e rigorosi - non e' solo
tra blocchi geografici e culturali, e' nelle dimensioni etiche e politiche e
nei grovigli antropologici del Novecento, l'eta' dei totalitarismi e della
resistenza; del tradimento degli intellettuali ma anche della rivendicazione
intransigente del bene del pensiero; del cedimento alla sottomissione e
all'opacita' ma anche dell'impegno per contrastare la violenza e costruire
una convivenza civile, pienamente umana. Disponibile anche in traduzione
italiana: L'uomo spaesato, Donzelli, Roma 1997 (tuttora in catalogo, pp.
184, euro 12,91).

*

3. CARTE

UNA LETTERA AD ALCUNI AMICI DEL 27 APRILE SCORSO
[Questa lettera e' stata inviata dal responsabile del Centro di ricerca per
la pace di Viterbo ad alcuni amici il 27 aprile 2004. Forse puo' non essere
futile riproporla qui]
Carissime e carissimi,
se un nostro umile e limpido gesto puo' contribuire a salvare delle vite
umane, quel gesto dobbiamo farlo. E' un gesto non solo onorevole, ma giusto,
ma buono.
Cosi' di tutto cuore, senza esitazioni, senza distinguo e senza sofismi,
anch'io rispondo di si' all'appello dei familiari dei tre giovani italiani
rapiti e minacciati di morte. E manifestero' con loro la speranza e
l'impegno contro tutte le uccisioni.
Quando diciamo di essere contro la guerra e contro il terrorismo cosa altro
diciamo se non che siamo contro tutte le uccisioni?
Ci tireremo forse indietro proprio quando un nostro gesto, onorevole, giusto
e  buono, puo' contribuire a salvare delle vite umane e indicare una via
nonviolenta di intervento nel conflitto, di questo presente orribile
conflitto che tutti ci lacera e coinvolge?
Se della necessita' morale e intellettuale della nostra opposizione alla
guerra e al terrorismo, alle stragi e alle uccisioni, eravamo convinti gia'
prima, oggi dobbiamo esserlo ancor piu'.
Senza ipocrisie, senza abulie, senza ambiguita'.
*
Del ripudio della menzogna
Capisco i dubbi e le esitazioni di tanti. Ma non accetto le menzogne e il
cinismo.
Con parole che sento insufficienti e non di rado insincere sento parlare in
questi giorni di ricatti e di terrorismo.
Ma la guerra è il primo e il principe degli atti di terrorismo, che tutti
gli altri incuba ed alleva; l'occupazione militare dell'Iraq che si prolunga
da oltre un anno con il suo corteggio di stragi e devastazioni e' con tutta
evidenza un crimine immane e spregevole un ricatto; i carri e i mitra
americani (e degli stati loro tributari, e dei governi mercenari, tra cui
quello italiano) tengono ostaggio l'intero popolo iracheno, ed incessanti
seminano morte.
I terroristi rapitori dei giovani nostri concittadini, gli assassini di uno
di loro, riproducono e proseguono nella misura dei loro mezzi un crimine e
un orrore piu' vasto, un crimine e un orrore di cui anche il nostro stato,
il nostro paese, ed infine - e suo malgrado - il nostro stesso popolo e'
complice.
*
Della nostra vergogna
Non esser riusciti lungo un anno a far quasi nulla contro la guerra (e le
poche cose fatte, sovente purtroppo vacue e confuse, reticenti e ambigue,
talora persino inquinate) ha reso il movimento pacifista del nostro paese
avversario inetto ed in certi momenti ed atteggiamenti talora quasi
paradossale complice del governo, del parlamento e del presidente della
Repubblica fedifraghi e felloni, cioe' delle istituzioni che sciaguratamente
l'Italia in guerra hanno precipitato, tradendo il proprio mandato e il
giuramento fatto sulla Costituzione della Repubblica Italiana, violando per
sempre la legge su cui la civile convivenza del nostro paese si fonda,
facendo morire anche degli italiani, ed altri italiani rendendo assassini;
tutti inabissandoci nell'illegalita' e nel crimine, nel terrore e nella
barbarie.
Un'orgia di sangue. Di cui non si vede la fine. E non se ne vede la fine per
responsabilita' anche nostra. Non solo dei sanguinari che governano il mondo
e il nostro stesso paese, sciagurati fuorilegge che fanno quel che pensano e
che loro conviene. Nostra di noi che avremmo dovuto fermarli e non lo
abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la legalita'
costituzionale e il diritto internazionale e non lo abbiamo fatto. Nostra di
noi che dovevamo difendere la democrazia, il civile condursi e convivere, il
diritto alla vita che inerisce ad ogni essere umano, e non lo abbiamo fatto.
Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.
E' anche la nostra incertezza interiore ed effettuale inadeguatezza, che fa
crescere il duplice crimine della guerra e del terrorismo che la guerra
imita e riproduce ed espande vieppiu'. Dovevamo fermarli e non lo abbiamo
fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.
Perche' non lo abbiamo fatto? Perche' non siamo riusciti? Per la piu'
semplice ed essenziale delle ragioni: perche' neppure noi, nel nostro agire
comune e condiviso come ampio e plurale movimento per la pace, abbiamo
saputo fare in pienezza e in profondita' la scelta della nonviolenza, la
scelta teorica e pratica della nonviolenza, la scelta esistenziale e
politica della nonviolenza, la scelta assiologica e giuriscostituente della
nonviolenza.
Non siamo ancora un persuaso movimento per la pace, e non essendo un
persuaso movimento per la pace non siamo neppure un persuasivo movimento
contro la guerra. Perche' c'e' un solo modo per essere un movimento per la
pace che possa la guerra sconfiggere: e questo solo modo e' la scelta della
nonviolenza. La nonviolenza dei forti, la nonviolenza che nitida e
intransigente si oppone a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutti gli
armati, a tutti i terrorismi, a tutte le uccisioni.
Anche le nostre mani sono sporche di sangue.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
*
Dal silenzio al digiuno
Per quanto riguarda la mia personale, di responsabilita', per piccola cosa
che essa possa essere, ho deciso di uscire dal silenzio che mi sono imposto
da mesi per prender le distanze dal rumore di fondo che non mi persuade,
dalle troppe stoltezze e scelleraggini dette e fatte anche nel campo
pacifista da chi pretende di rappresentarci e ci sfigura; e per cercare una
piu' essenziale misura, una piu' esatta disciplina.
Da quel silenzio esco ora per dire una parola, per esprimere un voto,
dichiararmi a favore di un gesto per salvare tutte le vite umane che salvate
possono essere, a cominciare da quei tre giovani nostri concittadini in
Iraq. Un gesto che e' di pace e per la pace, coerente nella forma e nel
contenuto, nei mezzi e nei fini, un gesto nonviolento che a partire da noi
testimoni la necessita' e la possibilita' che cessi la guerra, che cessi
l'occupazione militare, che cessi il terrorismo, a cominciare dall'Iraq.
E per veder piu' chiaro in me al digiuno della parola, al silenzio,
sostituisco a cominciare da ora un altro e piu' alto, piu' severo digiuno,
dell'alimentazione. Un digiuno gandhiano, misero segno di condivisione di un
dolore e di assunzione di una penosa e ineludibile responsabilita', e ancora
nitido gesto di pace e di reciproco riconoscimento di umanita'; un digiuno
gandhiano, non per ricattare, non per adire i mass-media, ma per condividere
una sofferenza che altre vite afferra e strozza, per illimpidire il mio
sentire e il mio fare, per vedere piu' chiaro, per cercare una via all'agire
che occorre, per rispondere al compito dell'ora.
Vi abbraccio forte.

UNA LETTERA AD ALCUNI AMICI DELLO SCORSO 5 MAGGIO
[Questa lettera e' stata inviata dal responsabile del Centro di ricerca per
la pace di Viterbo ad alcuni amici il 5 maggio 2004. Forse puo' non essere
frivolo qui riproporla]
Carissime e carissimi, scusatemi.
Ma (...) vorrei con voi condividere queste poche modeste impressioni sulla
giornata dello scorso giovedi', cui non mi pare abbian reso giustizia molti
pubblici commenti anche benintenzionati.
Le persone che, rispondendo all'appello dei familiare di tre giovani la cui
vita e' in estremo pericolo, si sono messe in cammino giovedi' 29 aprile tra
Castel Sant'Angelo e piazza San Pietro a Roma, hanno realizzato quella che a
me e' parsa una delle piu' belle e limpide e profonde e luminose
manifestazione per la pace in Italia dalla marcia Perugia-Assisi del 2000.
Proprio perche' persone cosi' diverse, proprio perche' persone decisesi
ciascuna per conto proprio, proprio perche' l'appello a cui rispondevano non
scaturiva per una volta da cartelli di sigle, da quartieri generali o
comitati centrali, dalle infinite burocrazie e siano pure quelle del
volontariato, ma da donne e uomini nel dolore.
Non sono mancate - come sempre accade quando si manifesta pubblicamente
nella forma del corteo a Roma, e troppe telecamere istigano gli
incorreggibili volponi e talune anime le piu' ingenue a inopportune
esibizioni - piccinerie e spiacevolezze, ma sono state per una volta del
tutto marginali, futili, evanescenti.
Vi era, cosi' ho sentito, la comprensione e l'affermazione di un
ragionamento chiaro e nitido un sentimento, e la scelta di un comportamento
netto e finalmente non piu' equivocabile: si e' stati li' con una volonta'
precisa e decisa: fermare la mano degli assassini, perche' esseri umani
cessino di uccidere esseri umani: esseri umani le vittime, ed esseri umani
gli assassini, anch'essi vittime. Una comune umanita' tutti ci lega e
degnifica e sostanzia: per questo giammai devi uccidere. Per questo il primo
e l'ultimo comandamento di tutte le grandi tradizioni di pensiero
dell'umanita' e' racchiuso nella formula bella: tu non uccidere.
Per questo le forme piu' vive di questa giornata a me pare siano state il
povero camminare e il denudato silenzio che convoca al colloquio corale,
quell'essenza misteriosa e fragrante che molti di noi chiamano preghiera (ed
anche agli altri, anche a me, evoca l'incontro del cielo stellato e della
legge morale), l'invito alla benevolenza; il grido straziato e supplice, ma
splendente di dignita', ma fermo come roccia, alla misericordia: la
misericordia che l'intera umanita' deve a ciascun essere umano. La
misericordia che ogni essere umano deve all'umanita' intera. Tu non
uccidere.
La ciarla sui ricatti e le provocazioni, i sofismi dei retori, le nequizie
degli irresponsabili e degli ipocriti e dei violenti (coloro che la guerra e
il terrorismo e le uccisioni promuovono, eseguono, avallano) non scalfiscono
ne' corrodono questa elementare verita': giovedi' scorso a Roma persone in
cammino questo hanno detto, e lo hanno detto consapevoli di dire una parola
vera, libera e franca, concreta e impegnativa: tu non uccidere.
Poi, tornati a casa (ed alcuni forse ancora per le vie di Roma, e fors'anche
in piazza, sia pure), ognuno e' tornato alle sue private miserie e
ambiguita' - e tutti ne siamo in misura maggiore o minore piu' che maculati
composti, ma quella parola e' stata detta, quel gesto e' stato compiuto. Ed
e' stata un'epifania di verita', autentico un consentire e un'invocazione:
tu non uccidere.
Detto da esseri umani forti solo della propria angoscia e fragilita', che e'
l'angoscia e la fragilita' essenziale di ogni essere umano: tu non uccidere.
Detto a noi stessi prima che ad ogni altro: tu non uccidere.
Ma anche a tutti gli altri detto: e in primo luogo ai portatori di armi e di
oppressione e di morte: tu non uccidere.
Questo e' stato detto affinche' fosse udito anche dagli esseri umani di cui
alla resa dei conti tutti i gruppi criminali, tutti i terrorismi, tutte le
guerriglie, tutti gli eserciti, tutti i governi sono composti: gli esseri
umani che impongono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani
che eseguono la guerra e le stragi e le uccisioni, gli esseri umani che
guerra, stragi e  uccisioni subendo ad esse soggiacciono altresi' nella
forma dell'ulteriore riproduzione di nuove uccisioni, stragi, guerre, in una
spirale che l'intera umanita' artiglia e trascina al disastro. A tutti
costoro ha parlato la teoria di umiliati e offesi, ma non arresi, ma non
rassegnati, di giovedi' scorso: tu non uccidere.
Per quanto paradossale possa sembrare, giovedi' scorso a Roma a me e' parso
di intravedere, di presagire, di leggere nelle mie stesse viscere e nei visi
dell'altra e dell'altro, di quante e di quanti erano li', quell'unica
comunita' politica a cui oggi mi sentirei di aderire con tutto il cuore - e
alla quale so che aderire non posso per quanto vi e' ineliminabilmente in me
di oppressore in quanto di sesso maschile in una cultura e una storia ancora
non riscattata, ancora troppo intrisa della violenza del sesso cui
appartengo. Ma ieri l'ho pur vista, era li', luminosa e finanche - se posso
osare questa metafora - numinosa: era la "societa' delle estranee" di
Virginia Woolf.
Al di la' delle nostre individuali inadeguatezze e torpori e miserie
giovedi' scorso a Roma ho vista l'unica via possibile alla pace, la proposta
di Virginia Woolf, le cose che mi ha insegnato Lidia Menapace: la
nonviolenza in cammino.
La coscienza che la pace comincia da noi, che noi per primi dobbiamo
spezzare il fucile, che alla violenza dobbiamo opporre non altra violenza ma
la forza piu' grande e piu' pura, perche' la piu' meticcia, perche' la piu'
chenotica: la nonviolenza. Preferire piuttosto morire che uccidere, e forti
di questo con voce sottile come vento tra i rovi, e con voce tonante come
tempesta, questa supplica e questo comando testimoniare, recare, dare alla
luce, e dinanzi allo specchio e nella piazza del mondo: tu non uccidere.
Non solo nei volti e nelle voci delle persone amiche con cui da piu' di
trent'anni ci troviamo piu' o meno sovente a camminare insieme, ma nelle
voci e nei volti di chi giovedi' scorso per la prima volta facendosi forza
afferrava policromo uno straccio e per le vie si metteva in corteo, ho
sentito questa coscienza, questa verita': che la nonviolenza e' in cammino,
che solo essa puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
Un abbraccio ancora.

*

EDUCARSI ALLA PACE. UNA RASSEGNA NON RASSEGNATA

Alcune proposte di lettura per una cultura della pace e un accostamento alla
nonviolenza, a cura del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, strada S.
Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 15 di venerdi' 3 dicembre 2004

Per non ricevere piu' questo foglio e' sufficiente inviare una e-mail
recante la richiesta di disiscrizione all'indirizzo nbawac at tin.it