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[Nonviolenza] Telegrammi. 5566
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 5566
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Wed, 14 May 2025 14:52:36 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5566 del 15 maggio 2025
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. "Alfio Pannega, poeta ed educatore, resistente nonviolento". Un incontro a Viterbo il 14 maggio
2. Jean-Marie Muller: Significato della nonviolenza (parte seconda e conclusiva)
3. Ripetiamo ancora una volta...
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. "ALFIO PANNEGA, POETA ED EDUCATORE, RESISTENTE NONVIOLENTO". UN INCONTRO A VITERBO IL 14 MAGGIO
La mattina di mercoledi' 14 maggio 2025 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", si e' tenuto un incontro di riflessione e di testimonianza in ricordo di Alfio Pannega, l'indimenticabile poeta e costruttore di pace viterbese.
All'incontro hanno preso parte Paolo Arena e Peppe Sini, due tra i molti amici di Alfio Pannega che con lui hanno condiviso per decenni ragionamenti e lotte, prendendo parte anche all'esperienza del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di cui Alfio fu anima e simbolo.
Nel corso dell'incontro e' stato confermato ancora una volta l'impegno contro tutte le guerre e le uccisioni; in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di ogni essere umano; in difesa dell'intero mondo vivente.
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Altre iniziative commemorative di Alfio Pannega in programma nei prossimi giorni
- Il 16 maggio per iniziative del "Tavolo per la pace" si svolgera' a Viterbo un convegno nazionale per la pace con la partecipazione di autorevolissime personalita'; nel corso del convegno e' previsto un ricordo di Alfio Pannega a cura di Pietro Benedetti.
Diamo il dettaglio dell'iniziativa: a Viterbo, venerdi' 16 maggio con inizio alle ore 16, presso l'Universita' della Tuscia, Aula 14, in via S. Maria in Gradi si svolge il convegno per la pace "Se il piu' forte detta legge – Costruire l'alternativa alla guerra totale". Il convegno e' promosso dal "Tavolo per la Pace" di Viterbo e dal "Meic – Lo Studiolo". Partecipano: Fabrizio Battistelli, sociologo e presidente dell'Archivio Disarmo; Francesco Vignarca, analista esperto di spesa militare e coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo; Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci; Antonella Litta, medico e rappresentante dell'Isde – Associazione Medici per l'Ambiente; don Tonio Dell'Olio, presidente della Pro Civitate Christiana; interverra' con un videomessaggio anche Moni Ovadia, celebre attore e regista teatrale; e Roberta Leoni dell'Osservatorio Nazionale contro la Militarizzazione delle Scuole in collegamento. L'attore, regista e scrittore Pietro Benedetti ricordera' la figura del poeta viterbese Alfio Pannega, simbolo di un impegno popolare per la pace mai dimenticato.
- Domenica 25 maggio nel corso del festival del volontariato "Viterbo citta' a colori" per iniziativa di "Viterbo con amore" sara' allestito uno stand dedicato, esposta una mostra fotografica e realizzata un'iniziativa in memoria di Alfio Pannega.
Diamo il dettaglio dell'iniziativa: Domenica 25 maggio, nell'ambito del festival del volontariato "Viterbo citta' a colori" con inizio alle ore 11 a Valle Faul presso il Bic Lazio (ex-mattatoio, via Faul n. 20-22) "Viterbo con amore" propone varie attivita' dedicate al ricordo di Alfio: da una mostra multimediale a un reading di poesia, a un incontro di testimonianza.
- Sabato 31 maggio nel corso del consueto incontro settimanale dell'Afesopsit ("Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia") presso la "Fattoria di Alice" (strada Tuscanese n. 20, Viterbo) sara' ricordato Alfio Pannega.
Diamo il dettaglio dell'iniziativa: Dalle ore 13 alle ore 15 si terra' una riunione per organizzare le prossime iniziative promossa dalle amiche e dagli amici di Alfio Pannega impegnati nelle commemorazioni in occasione del centenario della nascita. L'incontro conviviale e di solidarieta' si prolunghera' per l'intera giornata.
- In maggio inizia anche la raccolta di fondi per la pubblicazione della seconda edizione ampliata del libro di e su Alfio Pannega "Allora ero giovane pure io".
Il punto di riferimento e' la casa editrice Davide Ghaleb Editore; informazioni sul sito: www.ghaleb.it
Ogni persona interessata e' invitata a partecipare.
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Altre iniziative commemorative in programma nei prossimi mesi nel corso dell'anno
Tra le molte altre iniziative proposte, da realizzare nei prossimi mesi, segnaliamo in particolare le seguenti:
- Rappresentazione, particolarmente nelle scuole, dello spettacolo teatrale "Allora ero giovane pure io", ad Alfio Pannega dedicato.
- Raccolta e catalogazione della documentazione di e su Alfio Pannega (fotografie, registrazioni audio e video, manoscritti e memorabilia, testimonianze e omaggi) attualmente dispersa tra varie persone, associazioni ed istituzioni per costituire un "Archivio Alfio Pannega" di pubblica consultazione.
- Realizzazione di una mostra multimediale da esporre dapprima a Viterbo e poi anche altrove.
- Realizzazione di un concerto e/o di una festa popolare.
- Realizzazione di una pubblicazione che riprenda, consistentemente ampliandolo ed arricchendolo, il volume di e su Alfio Pannega gia' edito nel 2010.
- Realizzazione di iniziative commemorative nelle scuole, all'universita', nelle biblioteche e nei centri culturali, di aggregazione sociale e d'impegno civile.
- Realizzazione di un sito internet ad Alfio Pannega dedicato, e realizzazione altresi' di pagine web ad Alfio Pannega dedicate nei siti di varie associazioni ed istituzioni che siano interessate e disponibili ad ospitarne la memoria.
- Per l'11 luglio (anniversario della nascita nel 1993 del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul") realizzazione di una giornata d'iniziative commemorative di Alfio, che del centro sociale e delle sue attivita' solidali e nonviolente fu cuore pulsante e luminoso testimone.
- Per il 21 settembre (centenario della nascita) realizzazione di una commemorazione pubblica preferenzialmente a Palazzo dei Priori (nella cui Sala Regia Alfio Pannega su invito del Comune tenne una indimenticabile "lectio magistralis" nel 2010).
- Collocazione di una lapide commemorativa sulla facciata della casa a ridosso di Porta Faul in cui Alfio visse a lungo.
- Intitolazione di un luogo pubblico ad Alfio Pannega (ad esempio in uno spazio ancora privo di denominazione specifica nell'area di Valle Faul).
- Realizzazione di una "Casa-museo Alfio Pannega" (in cui eventualmente potrebbe essere conservato anche l'"Archivio Alfio Pannega"), preferenzialmente nella casa a ridosso di Porta Faul in cui Alfio visse a lungo (o in uno degli altri edifici recentemente recuperati e ristrutturati siti in Valle Faul).
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Una minima notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna a ridosso ed entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010, a cura di Antonello Ricci e Alfonso Prota): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione.
Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, 3515-3517, 3725, 4089-4091, 4235-4236, 4452, 4455-4458, 4599-4601, 4819-4821, 4962-4965, 5184-5187, 5328, 5331, 5470, 5477, 5485, 5487, 5489, 5501-5503, 5505, 5507, 5513-5514, 5516-5518, 5523, 5526, 5528, 5530-5531, 5534, 5538, 5540-5543, 5545-5565, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213, 437-438, 445-446, i fascicoli de "La biblioteca di Zorobabele" nn. 430-433.
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Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta contro la guerra, contro la militarizzazione, contro il riarmo.
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta in difesa di ogni essere vivente e dell'intero mondo vivente.
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta per la salvezza, la liberazione, il bene comune dell'umanita' intera.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Prendersi cura tutte e tutti di quest'unico mondo vivente, casa comune dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: SIGNIFICATO DELLA NONVIOLENZA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Riproponiamo ancora una volta questo testo di uno dei massimi studiosi e amici della nonviolenza; esso e' stato pubblicato nel 1974 e tradotto in italiano nel 1980 per le cure di Matteo Soccio in Jean Marie Muller, Significato della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Torino 1980: da questo opuscolo abbiamo ripreso il testo del solo saggio mulleriano, ivi alle pp. 7-27.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' stato tra i piu' importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' stato direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. E' deceduto nel 2021. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009]
Lo sciopero
Lo sciopero, nel senso in cui l'intendiamo generalmente, e' un metodo che si apparente direttamente all'azione nonviolenta: e' una azione di non-cooperazione, di non-collaborazione con le strutture ingiuste. L'analisi sulla quale si fonda lo sciopero e' questa: se i borghesi, vale a dire i proprietari dei mezzi di produzione, non possono mantenere il loro potere e la loro ricchezza che grazie alla collaborazione dei lavoratori, si tratta per questi di cessare ogni attivita' per obbligarli a cedere.
Sarebbe sicuramente derisorio, e cio' e' al di fuori del nostro proposito, pretendere di recuperare gli scioperi operai nel grembo della nonviolenza. Spesso gli scioperi sono stati condotti in un clima di violenza, anche se queste violenze sono state marginali in rapporto allo sciopero propriamente detto. Ci si puo' d'altronde chiedere se queste violenze non siano venute piuttosto a screditare lo sciopero che a rafforzarlo. Parecchi esempi (come lo sciopero di Perus in Brasile) ci mostrano che uno sciopero puo' essere condotto con piu' efficacia in una prospettiva nonviolenta.
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Il boicottaggio
Il boicottaggio e' ugualmente un metodo di non-cooperazione sul piano economico: rifiuto di far beneficiare l'altro del mio potere d'acquisto che diventa allora veramente un potere che io oppongo a quello del mio avversario. C'e' soltanto da constatare che questa forma di lotta e' stata pochissimo utilizzata se non in maniera troppo spontanea ed effimera; potrebbe certamente essere utilizzata meglio, in particolare nell'ambito delle lotte operaie.
Per togliere la segregazione nei grandi magazzini bianchi degli Stati Uniti, che avevano una fortissima clientela nera e nonostante cio' si rifiutavano di assumere personale nero - creando per conseguenza situazioni di sottoimpiego e dunque di miseria -, Martin Luther King e il suo gruppo decisero il boicottaggio di questi magazzini fino a che un numero sufficiente di posti di lavoro non fossero stati creati per i neri. Da quel giorno piu' nessun nero ando' a rifornirsi in quei magazzini. Molto rapidamente, dopo una settimana o due, i proprietari di quei magazzini decisero di soddisfare le richieste di M. L. King.
E' interessante chiedersi quali abbiano potuto essere le ragioni che hanno indotto i proprietari di quei magazzini a cedere alle rivendicazioni di Martin Luther King. Si erano forse convinti dei giusti diritti dei neri? Si erano forse convertiti? Forse. Noi avremmo torto ad escludere del tutto questa eventualita'. Tuttavia la piu' verosimile e' che la minaccia del fallimento, che incombeva su quei magazzini, li ha costretti e cedere: cio' traduce perfettamente la nozione di costrizione e tuttavia di una costrizione senza violenze.
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La lotta di classe
Esaminero' un altro esempio concreto, recente, che illustra in maniera notevolissima la possibilita' di condurre con la nonviolenza uno sciopero e un boicottaggio nel quadro della lotta di classe.
Si dice spesso che la nonviolenza puo' forse soddisfare le esigenze spirituali o intellettuali dei ricchi e dei benestanti, ma che non puo' assolutamente armare la lotta degli oppressi. Credo che tutto cio' sia fondato, soprattutto, su malintesi.
Gli ambienti spiritualisti, o notoriamente gli ambienti cristiani, hanno per molto tempo rifiutato di riconoscere non soltanto la lotta di classe, ma la realta' stessa della lotta di classe. Si diceva che il cristianesimo non insegnava la lotta di classe, ma l'amore delle classi, come se fosse possibile l'amore in situazioni di ingiustizia. E' una presa in giro predicare l'amore quando da una parte esistono poveri che restano poveri e dall'altra parte ricchi che intendono restare ricchi. Logicamente, cio' non vuol nemmeno dire che il fatto di riconoscere la lotta di classe e parteciparvi debba necessariamente sfociare in scontri violenti. Ma c'e' una certa nonviolenza che non merita nemmeno di essere presa in considerazione: quando i poveri sono pronti a scendere in piazza per far riconoscere i loro diritti, forse da quel momento i ricchi saranno tentati di parlare di nonviolenza. In questo senso vi e' un rischio di recupero della nonviolenza da parte delle classi privilegiate. Cio' spiega quella diffidenza, cosi' caratteristica di quelli che sono impegnati nella lotta per la giustizia, nei confronti della nonviolenza: hanno paura che essa generi una certa smobilitazione. Ma, al di la' degli equivoci, deve essere invece chiaro che non soltanto la nonviolenza non e' smobilitazione, ma che e' un appello alla mobilitazione, un appello alla lotta.
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L'azione di Cesar Chavez
L'azione di Cesar Chavez condotta in California, purtroppo poco conosciuta da noi, e' un esempio di come anche quelli che sono i meno preparati hanno la possibilita' di mettere in opera i metodi nonviolenti, a condizione che i responsabili dell'azione, i leaders del movimento, diano ordini precisi in questo senso.
Cesar Chavez non e' venuto in mezzo ai poveri, e' nato in mezzo a loro; e' nato in mezzo a quegli americani di origine messicana gli "chicanos", che costituiscono la mano d'opera preferita dai grandi proprietari agricoli degli Stati Uniti. Se i sindacati operai sono completamente integrati nello "establishment" della societa' americana, non e' la stessa cosa nel campo agricolo.
Tradizionalmente, i proprietari di vigneti californiani, che sono veri e propri imperi industriali, utilizzavano una popolazione di origine messicana, che costituiva un tipo di sottoproletariato, al tempo stesso disorganizzato e supersfruttato. Tutti gli sforzi che erano stati compiuti fino allora per giungere all'organizzazione di questa popolazione erano falliti. Tanto erano potenti i proprietari di questi vigneti.
Cesar Cbavez ha fatto prima di tutto, per parecchi anni, un lavoro di "coscientizzazione" e di organizzazione.
Indisse, poi, uno sciopero con certe esigenze precise riguardo alla nonviolenza, che si estese molto rapidamente. I proprietari, aiutati dalle autorita' federali, cioe' governative, poterono comunque reclutare altrettanto rapidamente altri lavoratori messicani che non chiedevano altro che guadagnare un po' di denaro per sopravvivere. C'erano dunque dei "crumiri" che hanno permesso il raccolto dell'uva, sebbene ci fossero stati picchetti di sciopero che, ancora una volta, non intendevano fare uso della violenza ma tentavano di mostrare il senso dello sciopero e che era nell'interesse di tutti parteciparvi.
A questo punto, davanti al rischio di veder fallire lo sciopero, Cesar Chavez decise di affiancare allo sciopero il bolcottaggio. Proclamo' cosi' il boicottaggio dell'uva, dapprima nelle grandi citta' degli Stati Uniti. Gli scioperanti organizzarono picchetti di boicottaggio in cui cercavano di spiegare le ragioni del loro movimento e i suoi obiettivi. Questo boicottaggio si dimostro', molto presto, di un'efficacia sorprendente. Cbavez ottenne subito il concorso dei militanti del movimento di M. L. King, e in particolare degli studenti impegnati in quel movimento. In breve tempo, il boicottaggio dell'uva divenne effettivo su tutto il mercato nazionale.
Allora, come in tutte le azioni nonviolente d'un qualche rilievo, la repressione si abbatte' su questo movimento: gli scioperanti ebbero a subire violenze fisiche; ci furono processi promossi dai proprietari, il presidente Nixon prese posizione contro gli scioperanti e arrivo' al punto di prendersi beffa di loro mangiando un grappolo d'uva davanti alle telecamere. Per vendere il loro prodotto i proprietari decisero di esportare l'uva: interi mercantili furono spediti a Londra; ma i dockers di Londra, per solidarieta' col movimento di Cesar Chavez, si rifiutarono di scaricare l'uva. Ultimo tentativo fu quello di spedire l'uva ai soldati americani nel Vietnam che dovettero mangiare uva dalla mattina alla sera. Ma cio' non e' stato sufficiente. Dopo uno sciopero e un boicottaggio durati cinque anni, i proprietari furono costretti a cedere alle rivendicazioni di Cesar Chavez.
Oggi, questi e' diventato il leader di tutti gli operai agricoli americani; i sindacati riprendono sempre di piu' questi metodi nonviolenti e tentano di accoppiare lo sciopero col boicottaggio.
Per mostrare come per Cesar Chavez la nonviolenza non fosse un aspetto secondario della sua lotta, conviene precisare il suo atteggiamento di fronte ai rischi di violenza che ha dovuto fronteggiate.
Se l'azione nonviolenta consiste in un primo tempo nel risvegliare l'aggressivita' dei poveri, nel creare il conflitto, e' dunque inevitabile che ci siano rischi di violenze. Se si risveglio la coscienza degli oppressi e se questi prendono coscienza del loro stato di oppressione, non ci sara' da stupirsi se da un momento all'altro, esasperati, ricorrono alla violenza. Ma a questo punto, Cesar Chavez, al fine di evitare la crescita della violenza, intraprese un digiuno sia per motivi personali che per ragioni tattiche (sapeva bene che se scoppiava la violenza, i proprietari avrebbero potuto benissimo scatenare una repressione brutale). Digiuno' per venticinque giorni, non perche' i proprietari cedessero alle sue esigenze, ma perche' gli operai stessi accettassero di attenersi ai principi dell'azione nonviolenta. Dopo quei 25 giorni di digiuno, essi giunsero ad un accordo, cio' che ha certamente reso possibile al movimento di durare e infine di riuscire.
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Il boicottaggio del caffe' dell'Angola
Ricordiamo anche il boicottaggio del caffe' dell'Angola organizzato nei Paesi Bassi agli inizi del 1972.
Una delle fonti piu' importanti per il finanziamento della guerra coloniale condotta dal Portogallo proveniva dalle imposte che pesavano sull'esportazione dei prodotti agricoli delle colonie.
Ora, da una parte, il caffe' dell'Angola rappresentava una parte importante dell'esportazione totale (32%) e, dall'altra parte, i Paesi Bassi erano il secondo paese importatore di questo caffe' (21% del totale).
Nel febbraio 1972 un comitato d'azione per l'Angola lancia il boicottaggio del caffe' organizzando una campagna d'informazione sulla situazione nelle colonie portoghesi e mostrando come il fatto di consumare del caffe' angolano e' un atto di collaborazione con la politica condotta dal Portogallo. Questa azione ebbe una larga eco tra la popolazione olandese e il boicottaggio riscontro' rapidamente un grande successo. Alla fine di un mese, nemmeno un grano di caffe' dell'Angola era piu' in vendita sul mercato dei Paesi Bassi.
Il Portogallo aveva perduto una battaglia e l'opinione pubblica olandese era mobilitata per altre battaglie.
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La disobbedienza civile
La piu' forte azione di non-collaborazione e' l'azione di disobbedienza civile.
Si rimprovera spesso alla nonviolenza di promuovere talvolta la disobbedienza alle leggi.
Se da sinistra siamo accusati di disinnescare la rivoluzione e di smobilitare le energie e le volonta' necessarie nella lotta per la giustizia, cosi' da destra siamo accusati di rimettere in discussione la legalita' e l'ordine stabilito e di preparare la strada ad una rivoluzione che non sarebbe affatto nonviolenta.
E' vero che la nonviolenza preconizza la disobbedienza alle leggi, ma non la preconizza a sproposito. In ogni societa' le leggi hanno una loro funzione. La funzione della legge e' insieme quella di mantenere l'ordine e di promuovere la giustizia; essa percio' deve difendere i diritti dei piu' poveri contro i privilegi dei piu' ricchi. C'e' da dire poi che le leggi non sono stabilite una volta per tutte: bisogna costantemente rimetterle in discussione per migliorarle. Quando la legge non adempie piu' alla sua funzione, anzi, al contrario, viene a difendere maggiormente gli interessi dei privilegiati, dei ricchi e dei potenti contro, invece, gli interessi dei piu' sfavoriti, quando la legge copre e garantisce l'ingiustizia, non soltanto e' un diritto, ma e' un dovere disobbedire ad essa.
Non si tratta evidentemente di predicare la disobbedienza alla legge in maniera sistematica; si tratta semplicemente di non predicare sistematicamente l'obbedienza alla legge.
La legge della maggioranza non puo' imporsi a noi su dei problemi di coscienza. E' ragionevole che noi ci sottomettiamo su problemi di ordine puramente tecnico alla legge della maggioranza, anche perche' su tali problemi le nostre non sono convinzioni ma soltanto opinioni. Su problemi che impegnano invece realmente la nostra responsabilita' morale, non ci e' possibile rimetterci in maniera pura e semplice alla legge della maggioranza. E' a questo punto che la nonviolenza preconizza la disobbedienza civile. Questa possibilita' di disobbedire alla legge e' necessaria all'equilibrio stesso della democrazia.
Infatti, non si tratta di cessare di essere solidali: colui che in coscienza obietta, accetta di essere solidale, ma si rifiuta di essere complice.
Nella dottrina ufficiale degli Stati, ogni cittadino ha veramente la possibilita' di esprimersi votando. Se non dobbiamo disprezzare il suffragio universale (penso a certi amici nostri che sono in lotta nei paesi totalitari per ottenere il suffragio universale) dobbiamo, pero', riconoscerne i limiti. Bernanos diceva che "il suffragio universale non rende alla fin fine piu' liberi gli uomini di quanto la lotteria nazionale non li renda ricchi".
Non conviene operare soltanto perche' il potere cambi politica o per provocare un cambiamento di potere, conviene esercitare effettivamente il proprio potere di cittadino libero rifiutando da questo momento, con un atto di disobbedienza civile, ogni collaborazione personale con l'ingiustizia. Gandhi afferma: "la vera democrazia non verra' dalla presa del potere da parte di qualcuno, ma dal potere che tutti avranno un giorno di opporsi agli abusi delle autorita'". Sulla strada che conduce alla vera democrazia, la presa del potere per il popolo e' una delle piu' pericolose deviazioni dove si finisce molto spesso per perdersi. La nonviolenza ci insegna, percio', a evitare questa deviazione: nel suo aspetto rivoluzionario, essa non ha per proprio fine la presa del potere per il popolo, ma la presa del potere direttamente da parte del popolo stesso. Non e' lo Stato forte a costituire la vera democrazia, ma i cittadini liberi.
Tra l'insufficienza della scheda elettorale e l'inefficacia del lancio di pietre, la disobbedienza civile appare qui come una via privilegiata per l'azione politica.
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La vera figura di Gandhi
Prendero' un esempio concreto di disobbedienza civile nella lotta condotta da Gandhi per l'indipendenza dell'India.
Voglio aprire una parentesi sulla figura di Gandhi perche' nella maggior parte dei casi mi pare lo si conosca male. Il suo personaggio e' stato volgarizzato da qualche immagine di Epinal che ce lo rappresenta seduto per terra, il dorso nudo, che fila la lana, e ci diciamo allora volentieri che questo saggio orientale non ha nulla da dirci sui nostri problemi.
Facciamo nostra la sprezzante espressione di Churchill che derideva Gandhi accusandolo di non essere che un "fachiro magro e nudo". Se riconosciamo che Gandhi ha potuto acquistare l'indipendenza del suo paese di fronte all'impero britannico, attribuiamo allora il merito di questo al "fair-play" dei gentlemen britannici, come se a quell'epoca l'impero britannico fosse pronto a lasciare le Indie e come se fosse bastata la santita' attribuita, a torto o a ragione, a Gandhi perche' gli Inglesi accettassero di partire. Credo che sarebbe interessante studiare a fondo quali siano le azioni di Gandhi e quale fu la sua strategia. E' utile sottolineare, a questo proposito, che i membri del Congresso dell'India, primo dei quali Nehru, non condividevano le convinzioni religiose e morali di Gandhi. Se Nehru accetto' di seguire Gandhi nella pratica della nonviolenza e' soltanto perche' questa si dimostro' efficace. E il popolo indiano non era per niente pronto ad attenersi alle esigenze della nonviolenza di Gandhi, che e' estranea alla tradizione religiosa dell'India. Come tutti gli altri popoli, e forse piu' ancora degli altri, il popolo indiano oscilla tra la rassegnazione e la violenza. Infatti, la nonviolenza di Gandhi non e' orientale ma occidentale, non invita alla meditazione al di fuori dei conflitti ma all'azione all'interno dei conflitti.
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La marcia del sale
Nel 1930, Gandhi decise di sfidare il governo (ogni azione di disobbedienza civile e' una sfida al governo) organizzando la disobbedienza ad una legge che nel contesto globale della dominazione britannica appariva irrisoria: si trattava della legge sul sale. Essa imponeva a tutti gli indiani di pagare una tassa relativamente alta al governo inglese. Questa minima ingiustizia veniva a simboleggiare tutta l'ingiustizia della dominazione britannica.
Gandhi organizzo' una lunga marcia attraverso l'India per diverse centinaia di chilometri. In ogni villaggio che attraversava, coscientizzava gli abitanti e li invitava alla disobbedienza civile. Giunto sulla spiaggia del mare, compi' il simbolico gesto di raccogliere dell'acqua per poterne estrarre il sale. Da quel momento preciso, Gandhi per l'impero britannico era diventato un ribelle. Il governo, a dir la verita', era molto imbarazzato perche', o arrestava Gandhi, facendone cosi' un martire e aumentandone di conseguenza il prestigio presso le masse indiane, o non lo arrestava affatto, dimostrando cosi' di tollerare la sfida aperta e dando, in tal modo, prova di debolezza. Il riflesso professionale delle autorita' ebbe il sopravvento nella risoluzione di questo dilemma: si arresto' Gandhi ma si dovettero arrestare pure tutti quelli che lo avevano imitato; perche' questi, non soltanto accettavano di andare in prigione, ma esigevano di andarci. Esiste, pero', un limite di saturazione delle prigioni oltre il quale un governo non puo' piu' governare in completa serenita'. Si puo' discutere sulla proporzione necessaria di quelli che sono disposti ad andate in prigione per far si' che un popolo sia piu' forte di qualsiasi governo - Martin Luther King parlava di un 5 per cento.
Alla fine il governo dovette cedere e accettare di negoziare con Gandhi: non soltanto discussero del problema del sale, ma anche del problema dell'indipendenza.
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La violenza e' l'arma dei ricchi
Vorrei ancora insistere su questo punto che mi pare essenziale: di fronte alle situazioni d'ingiustizia, arriviamo spesso a pensare e a dire che non esiste piu' che una sola soluzione e che questa soluzione e' la violenza.
Ma dobbiamo chiederci: quale soluzione puo' essere la violenza? E anche: la violenza puo' veramente essere una soluzione?
Prendo un esempio su cui abbiamo molto parlato: quando M. L. King mori', ovunque si sostenne che con lui la nonviolenza era finita, che se egli aveva potuto migliorare di qualcosa la sorte dei neri, spettava ora ai movimenti violenti di condurre in porto il lavoro che lui aveva incominciato. Pareva allora che il "Potere Nero", il partito delle "Pantere Nere", i "Musulmani Neri", fossero in grado, e solamente loro, di liberare i neri. Ci si poteva chiedere, gia' da allora, se era ragionevole credere che i neri ponendosi sul piano della violenza, sarebbero stati in grado di riuscire vincitori e di stabilire un rapporto di forza in loro favore.
Quando si pensa alla capacita' di repressione di cui dispone il potere bianco, era realista per i neri situarsi sul piano della violenza per intraprendere la prova di forza?
Ora, accadde quello che poteva gia' essere previsto: i movimenti neri che si richiamano alla violenza si trovarono nella incapacita' di mettere in opera azioni rilevanti all'infuori di qualche colpo di mano che potevano effettuare. La stampa ne parlo': il partito delle "Pantere Nere" che e' stato il piu' rappresentativo di questo movimento violento e' attualmente smantellato, si trova ad essere completamente disorganizzato sotto i colpi della repressione del potere bianco. Certamente Eldridge Cleaver puo' moltiplicare, da Algeri dove si trova in esilio, le dichiarazioni fracassanti contro il potere bianco, ma cio' non puo' venire in aiuto ai neri che sono negli USA; cosi' pure Stokely Carmichael, che fu uno dei leaders del "Potere Nero", che milito' nelle file delle "Pantere Nere" e che si trova ora in Guinea, di la' non puo' proporre ai suoi fratelli degli Stati Uniti che un impossibile ritorno verso la madre terra Africa.
Cosi' nel nome stesso del realismo, non cadiamo troppo facilmente nella affermazione che solo la violenza puo' essere una soluzione?
Sapete pure che questo argomento e' stato trattato da dom Helder Camara quando gli e' stato chiesto se non sarebbe, almeno in un primo momento, necessario usare la violenza. "Certo, potremo avere qualche arma, ma il nostro avversario avra' sempre un numero maggiore di armi e piu' perfette delle nostre; e' vano voler intraprendere su questo terreno la nostra prova di forza".
Il Padre Comblin e' venuto a confermarci nell'aprile '72 le affermazioni di dom Helder Camara: "Una piccola parte dell'opposizione e' entrata nella clandestinita', ha creato dei piccoli movimenti di guerriglia, ha lanciato delle operazioni di terrorismo. Questo ha provocato da parte del potere un apparato di repressione estremamente potente, che e' riuscito praticamente non solo a contenere questa opposizione violenta ma anche a ridurla sempre piu'. E, in questo momento, il potere alimenta una psicosi d'angoscia che sta creando un "circolo vizioso del terrore" che coinvolge lo stesso potere: sentendosi minacciato, esso reagisce in maniera angosciosa, donde dei controlli sempre raddoppiati, cosa che mantiene nelle masse un sentimento di paura, la quale provoca a sua volta una piu' grande angoscia nei dirigenti... e cosi' di seguito". ("Informations catholiques internationales", 15 aprile '72).
Forse che noi non possiamo arrivare a questa ipotesi di lavoro: la capacita' di violenza degli oppressori sara' sempre smisuratamente piu' grande della capacita' di violenza degli oppressi? Abbandonare il piano della giustizia per porci sul piano della violenza e', in fondo, un errore strategico: quando un movimento di resistenza ricorre esso stesso alla violenza, viene ad offrire all'avversario le ragioni di cui ha bisogno per giustificare la sua repressione.
Ogni dibattito pubblico che sara' aperto da atti di violenza non vertera' sulle motivazioni politiche che hanno ispirato quegli atti, ma sui mezzi, sui metodi che sono stati utilizzati. L'azione armata attira l'attenzione dell'opinione pubblica sulla violenza che io commetto, non sull'ingiustizia che io combatto.
La forza della nonviolenza consiste nel rifiutare di offrire all'avversario i pretesti che giustifichino la sua repressione. Con questo non voglio dire che i movimenti nonviolenti non diano luogo a repressione - e' certo che in una prova di forza che si prolungasse, ci sarebbe una repressione esercitata sul movimento nonviolento e la sua forza consistera' nella misura della capacita' che avra' di resistere a questa repressione - ma questa repressione restera' senza vera giustificazione; essa arrivera' al contrario a screditare quelli che l'esercitano e ad accreditare, per cio' stesso, il movimento.
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La nonviolenza e' preferibile
Data l'ignoranza e insieme il disprezzo nei quali e' stata tenuta fino ad ora la nonviolenza, non e' concepibile che essa sia in grado di risolvere tutti i nostri problemi e subito.
Molti conflitti si sono sviluppati in un crescendo di violenza dall'una e dall'altra parte; non e' facile, a partire di la', tentare di intravvedere una soluzione nonviolenta.
Ma noi potremmo almeno metterci d'accordo su questa ipotesi di lavoro: se la nonviolenza e' possibile, allora essa e' preferibile.
Ad un algerino che durante e dopo la rivoluzione algerina aveva ricoperto cariche di grossissima responsabilita' nel governo rivoluzionario, chiedevo se credesse che la nonviolenza avrebbe potuto essere impiegata dal popolo algerino. Mi diede questa risposta paradossale: "In linea di fatto, Gandhi era il maestro al quale ci ispiravamo". Perche' diceva questo? Precisamente perche' Gandhi fu il primo a scuotere il giogo del colonialismo. Ci siamo lasciati prendere forse troppo dall'idea che il colonialismo britannico fosse un colonialismo dove il "fair-play" prevaleva sulla brutalita' - cio' costituisce, invece, una contro-verita' storica. Gandhi appariva in effetti ai popoli colonizzati come colui che, per primo, si oppose a questa oppressione. Ma, aggiungeva quest'algerino, non conoscevamo proprio niente di questa nonviolenza, non ne eravamo per niente preparati, e non ci era assolutamente possibile costruire la nostra lotta in questa prospettiva. Diceva ancora - ed e' proprio questo che mi pare molto interessante: "attualmente mi interesso e studio sulla possibilita' della nonviolenza, perche' se la nonviolenza e' possibile, sarebbe criminoso per un rivoluzionario usare la violenza".
Se la nonviolenza e', dunque, da preferire, ci spetta ora il compito di studiare le possibilita' offerte dalla nonviolenza.
Bisogna ammettere che finora non l'abbiamo mai fatto. Ci siamo sempre accontentati di idee ricevute, di schemi prefabbricati e di vere e proprie caricature della nonviolenza; cio', evidentemente, ci permetteva di condannarla piu' facilmente.
Se misuriamo gli investimenti che a destra o a sinistra sono stati fatti per la violenza, e se misuriamo gli investimenti che non sono stati compiuti per la nonviolenza, allora avremo la giusta misura di cio' che puo' essere fatto, cercando di discernere cio' che e' possibile da cio' che non lo e'. Comunque, se la nonviolenza non puo' permetterci di risolvere subito tutti i nostri problemi, ci permette almeno di impostarli in maniera giusta.
E concludo con questa riflessione di Rilke: "entrando insieme nelle vere questioni, finiremo certamente con l'entrare insieme nelle vere risposte".
3. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Joanna Bourke, Paura. Una storia culturale, Laterza, Roma-Bari 2007, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp. XII + 476.
- Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale dal 1860 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2009, 2011, pp. VI + 602.
- Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976, 1977, pp. VIII + 336.
- Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 272.
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Strumenti
- Georges Duby, Michelle Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente, Laterza, Roma-Bari, 1990-1992, 1994-1996, 5 voll. (vol. I. L'Antichita', a cura di Pauline Schmitt Pantel, pp. XVIII + 606; vol. II. Il Medioevo, a cura di Christiane Klapisch-Zuber, pp. VIII + 600; vol. III. Dal Rinascimento all'eta' moderna, a cura di Natalie Zemon Davis e Arlette Farge, pp. VI + 568; vol. IV. L'Ottocento, a cura di Genevieve Fraisse e Michelle Perrot, pp. VI + 618; vol. V. Il Novecento, a cura di Françoise Thebaud, pp. VI + 714).
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5566 del 15 maggio 2025
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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Numero 5566 del 15 maggio 2025
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. "Alfio Pannega, poeta ed educatore, resistente nonviolento". Un incontro a Viterbo il 14 maggio
2. Jean-Marie Muller: Significato della nonviolenza (parte seconda e conclusiva)
3. Ripetiamo ancora una volta...
4. Segnalazioni librarie
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. "ALFIO PANNEGA, POETA ED EDUCATORE, RESISTENTE NONVIOLENTO". UN INCONTRO A VITERBO IL 14 MAGGIO
La mattina di mercoledi' 14 maggio 2025 a Viterbo, presso il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera", si e' tenuto un incontro di riflessione e di testimonianza in ricordo di Alfio Pannega, l'indimenticabile poeta e costruttore di pace viterbese.
All'incontro hanno preso parte Paolo Arena e Peppe Sini, due tra i molti amici di Alfio Pannega che con lui hanno condiviso per decenni ragionamenti e lotte, prendendo parte anche all'esperienza del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di cui Alfio fu anima e simbolo.
Nel corso dell'incontro e' stato confermato ancora una volta l'impegno contro tutte le guerre e le uccisioni; in difesa della vita, della dignita' e dei diritti di ogni essere umano; in difesa dell'intero mondo vivente.
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Altre iniziative commemorative di Alfio Pannega in programma nei prossimi giorni
- Il 16 maggio per iniziative del "Tavolo per la pace" si svolgera' a Viterbo un convegno nazionale per la pace con la partecipazione di autorevolissime personalita'; nel corso del convegno e' previsto un ricordo di Alfio Pannega a cura di Pietro Benedetti.
Diamo il dettaglio dell'iniziativa: a Viterbo, venerdi' 16 maggio con inizio alle ore 16, presso l'Universita' della Tuscia, Aula 14, in via S. Maria in Gradi si svolge il convegno per la pace "Se il piu' forte detta legge – Costruire l'alternativa alla guerra totale". Il convegno e' promosso dal "Tavolo per la Pace" di Viterbo e dal "Meic – Lo Studiolo". Partecipano: Fabrizio Battistelli, sociologo e presidente dell'Archivio Disarmo; Francesco Vignarca, analista esperto di spesa militare e coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo; Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci; Antonella Litta, medico e rappresentante dell'Isde – Associazione Medici per l'Ambiente; don Tonio Dell'Olio, presidente della Pro Civitate Christiana; interverra' con un videomessaggio anche Moni Ovadia, celebre attore e regista teatrale; e Roberta Leoni dell'Osservatorio Nazionale contro la Militarizzazione delle Scuole in collegamento. L'attore, regista e scrittore Pietro Benedetti ricordera' la figura del poeta viterbese Alfio Pannega, simbolo di un impegno popolare per la pace mai dimenticato.
- Domenica 25 maggio nel corso del festival del volontariato "Viterbo citta' a colori" per iniziativa di "Viterbo con amore" sara' allestito uno stand dedicato, esposta una mostra fotografica e realizzata un'iniziativa in memoria di Alfio Pannega.
Diamo il dettaglio dell'iniziativa: Domenica 25 maggio, nell'ambito del festival del volontariato "Viterbo citta' a colori" con inizio alle ore 11 a Valle Faul presso il Bic Lazio (ex-mattatoio, via Faul n. 20-22) "Viterbo con amore" propone varie attivita' dedicate al ricordo di Alfio: da una mostra multimediale a un reading di poesia, a un incontro di testimonianza.
- Sabato 31 maggio nel corso del consueto incontro settimanale dell'Afesopsit ("Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia") presso la "Fattoria di Alice" (strada Tuscanese n. 20, Viterbo) sara' ricordato Alfio Pannega.
Diamo il dettaglio dell'iniziativa: Dalle ore 13 alle ore 15 si terra' una riunione per organizzare le prossime iniziative promossa dalle amiche e dagli amici di Alfio Pannega impegnati nelle commemorazioni in occasione del centenario della nascita. L'incontro conviviale e di solidarieta' si prolunghera' per l'intera giornata.
- In maggio inizia anche la raccolta di fondi per la pubblicazione della seconda edizione ampliata del libro di e su Alfio Pannega "Allora ero giovane pure io".
Il punto di riferimento e' la casa editrice Davide Ghaleb Editore; informazioni sul sito: www.ghaleb.it
Ogni persona interessata e' invitata a partecipare.
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Altre iniziative commemorative in programma nei prossimi mesi nel corso dell'anno
Tra le molte altre iniziative proposte, da realizzare nei prossimi mesi, segnaliamo in particolare le seguenti:
- Rappresentazione, particolarmente nelle scuole, dello spettacolo teatrale "Allora ero giovane pure io", ad Alfio Pannega dedicato.
- Raccolta e catalogazione della documentazione di e su Alfio Pannega (fotografie, registrazioni audio e video, manoscritti e memorabilia, testimonianze e omaggi) attualmente dispersa tra varie persone, associazioni ed istituzioni per costituire un "Archivio Alfio Pannega" di pubblica consultazione.
- Realizzazione di una mostra multimediale da esporre dapprima a Viterbo e poi anche altrove.
- Realizzazione di un concerto e/o di una festa popolare.
- Realizzazione di una pubblicazione che riprenda, consistentemente ampliandolo ed arricchendolo, il volume di e su Alfio Pannega gia' edito nel 2010.
- Realizzazione di iniziative commemorative nelle scuole, all'universita', nelle biblioteche e nei centri culturali, di aggregazione sociale e d'impegno civile.
- Realizzazione di un sito internet ad Alfio Pannega dedicato, e realizzazione altresi' di pagine web ad Alfio Pannega dedicate nei siti di varie associazioni ed istituzioni che siano interessate e disponibili ad ospitarne la memoria.
- Per l'11 luglio (anniversario della nascita nel 1993 del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul") realizzazione di una giornata d'iniziative commemorative di Alfio, che del centro sociale e delle sue attivita' solidali e nonviolente fu cuore pulsante e luminoso testimone.
- Per il 21 settembre (centenario della nascita) realizzazione di una commemorazione pubblica preferenzialmente a Palazzo dei Priori (nella cui Sala Regia Alfio Pannega su invito del Comune tenne una indimenticabile "lectio magistralis" nel 2010).
- Collocazione di una lapide commemorativa sulla facciata della casa a ridosso di Porta Faul in cui Alfio visse a lungo.
- Intitolazione di un luogo pubblico ad Alfio Pannega (ad esempio in uno spazio ancora privo di denominazione specifica nell'area di Valle Faul).
- Realizzazione di una "Casa-museo Alfio Pannega" (in cui eventualmente potrebbe essere conservato anche l'"Archivio Alfio Pannega"), preferenzialmente nella casa a ridosso di Porta Faul in cui Alfio visse a lungo (o in uno degli altri edifici recentemente recuperati e ristrutturati siti in Valle Faul).
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Una minima notizia su Alfio Pannega
Alfio Pannega nacque a Viterbo il 21 settembre 1925, figlio della Caterina (ma il vero nome era Giovanna), epica figura di popolana di cui ancor oggi in citta' si narrano i motti e le vicende trasfigurate ormai in leggende omeriche, deceduta a ottantaquattro anni nel 1974. E dopo gli anni di studi in collegio, con la madre visse fino alla sua scomparsa, per molti anni abitando in una grotta nella Valle di Faul, un tratto di campagna a ridosso ed entro la cinta muraria cittadina. A scuola da bambino aveva incontrato Dante e l'Ariosto, ma fu lavorando "in mezzo ai butteri della Tolfa" che si appassiono' vieppiu' di poesia e fiori' come poeta a braccio, arguto e solenne declamatore di impeccabili e sorprendenti ottave di endecasillabi. Una vita travagliata fu la sua, di duro lavoro fin dalla primissima giovinezza. La raccontava lui stesso nell'intervista che costituisce la prima parte del libro che raccoglie le sue poesie che i suoi amici e compagni sono riusciti a pubblicare pochi mesi prima dell'improvvisa scomparsa (Alfio Pannega, Allora ero giovane pure io, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2010, a cura di Antonello Ricci e Alfonso Prota): tra innumerevoli altri umili e indispensabili lavori manuali in campagna e in citta', per decine di anni ha anche raccolto gli imballi e gli scarti delle attivita' artigiane e commerciali, recuperando il recuperabile e riciclandolo: consapevole maestro di ecologia pratica, quando la parola ecologia ancora non si usava. Nel 1993 la nascita del centro sociale occupato autogestito nell'ex gazometro abbandonato: ne diventa immediatamente protagonista, e lo sara' fino alla fine della vita. Sapeva di essere un monumento vivente della Viterbo popolare, della Viterbo migliore, e il popolo di Viterbo lo amava visceralmente. E' deceduto il 30 aprile 2010, non risvegliandosi dal sonno dei giusti.
Molte fotografie di Alfio scattate da Mario Onofri, artista visivo profondo e generoso compagno di lotte che gli fu amico e che anche lui ci ha lasciato anni fa, sono disperse tra vari amici di entrambi, ed altre ancora restano inedite nell'immenso, prezioso archivio fotografico di Mario, che tuttora attende curatela e pubblicazione.
Negli ultimi anni il regista ed attore Pietro Benedetti, che gli fu amico, ha sovente con forte empatia rappresentato - sulle scene teatrali, ma soprattutto nelle scuole e nelle piazze, nei luoghi di aggregazione sociale e di impegno politico, di memoria resistente all'ingiuria del tempo e alla violenza dei potenti - un monologo dal titolo "Allora ero giovane pure io" dalle memorie di Alfio ricavato, personalmente interpretandone e facendone cosi' rivivere drammaturgicamente la figura.
La proposta di costituire un "Archivio Alfio Pannega" per raccogliere, preservare e mettere a disposizione della collettivita' le tracce della sua vita e delle sue lotte, e' restata fin qui disattesa.
Alcuni testi commemorativi sono stati piu' volte pubblicati sul notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino", ad esempio negli "Archivi della nonviolenza in cammino" nn. 56, 57, 58, 60; cfr. anche il fascicolo monografico dei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 265 ed ancora i "Telegrammi della nonviolenza in cammino" nn. 907-909, 1172, 1260, 1261, 1272, 1401, 1622-1624, 1763, 1971, 2108-2113, 2115, 2329, 2331, 2334-2335, 2476-2477, 2479, 2694, 2833, 3049, 3051-3052, 3369-3373, 3448, 3453, 3515-3517, 3725, 4089-4091, 4235-4236, 4452, 4455-4458, 4599-4601, 4819-4821, 4962-4965, 5184-5187, 5328, 5331, 5470, 5477, 5485, 5487, 5489, 5501-5503, 5505, 5507, 5513-5514, 5516-5518, 5523, 5526, 5528, 5530-5531, 5534, 5538, 5540-5543, 5545-5565, i fascicoli di "Coi piedi per terra" n. 546 e 548-552, e "Voci e volti della nonviolenza" nn. 687-691, 754-755, 881, il fascicolo di "Ogni vittima ha il volto di Abele" n. 170, i fascicoli di "Una persona, un voto" nn. 88-90, 206, 209, i fascicoli de "La domenica della nonviolenza" nn. 420 e 511, i fascicoli de "La nonviolenza contro il razzismo" nn. 202-206, 213, 437-438, 445-446, i fascicoli de "La biblioteca di Zorobabele" nn. 430-433.
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Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta contro la guerra, contro la militarizzazione, contro il riarmo.
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta in difesa di ogni essere vivente e dell'intero mondo vivente.
Nel ricordo e alla scuola di Alfio Pannega proseguiamo nell'azione nonviolenta per la salvezza, la liberazione, il bene comune dell'umanita' intera.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Prendersi cura tutte e tutti di quest'unico mondo vivente, casa comune dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
2. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: SIGNIFICATO DELLA NONVIOLENZA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Riproponiamo ancora una volta questo testo di uno dei massimi studiosi e amici della nonviolenza; esso e' stato pubblicato nel 1974 e tradotto in italiano nel 1980 per le cure di Matteo Soccio in Jean Marie Muller, Significato della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Torino 1980: da questo opuscolo abbiamo ripreso il testo del solo saggio mulleriano, ivi alle pp. 7-27.
Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' stato tra i piu' importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' stato direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. E' deceduto nel 2021. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004; Dictionnaire de la non-violence, Les Editions du Relie', Gordes 2005; Desarmer les dieux. Le christianisme et l'slam face a' la non-violence, Editions du Relie', Gordes 2009]
Lo sciopero
Lo sciopero, nel senso in cui l'intendiamo generalmente, e' un metodo che si apparente direttamente all'azione nonviolenta: e' una azione di non-cooperazione, di non-collaborazione con le strutture ingiuste. L'analisi sulla quale si fonda lo sciopero e' questa: se i borghesi, vale a dire i proprietari dei mezzi di produzione, non possono mantenere il loro potere e la loro ricchezza che grazie alla collaborazione dei lavoratori, si tratta per questi di cessare ogni attivita' per obbligarli a cedere.
Sarebbe sicuramente derisorio, e cio' e' al di fuori del nostro proposito, pretendere di recuperare gli scioperi operai nel grembo della nonviolenza. Spesso gli scioperi sono stati condotti in un clima di violenza, anche se queste violenze sono state marginali in rapporto allo sciopero propriamente detto. Ci si puo' d'altronde chiedere se queste violenze non siano venute piuttosto a screditare lo sciopero che a rafforzarlo. Parecchi esempi (come lo sciopero di Perus in Brasile) ci mostrano che uno sciopero puo' essere condotto con piu' efficacia in una prospettiva nonviolenta.
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Il boicottaggio
Il boicottaggio e' ugualmente un metodo di non-cooperazione sul piano economico: rifiuto di far beneficiare l'altro del mio potere d'acquisto che diventa allora veramente un potere che io oppongo a quello del mio avversario. C'e' soltanto da constatare che questa forma di lotta e' stata pochissimo utilizzata se non in maniera troppo spontanea ed effimera; potrebbe certamente essere utilizzata meglio, in particolare nell'ambito delle lotte operaie.
Per togliere la segregazione nei grandi magazzini bianchi degli Stati Uniti, che avevano una fortissima clientela nera e nonostante cio' si rifiutavano di assumere personale nero - creando per conseguenza situazioni di sottoimpiego e dunque di miseria -, Martin Luther King e il suo gruppo decisero il boicottaggio di questi magazzini fino a che un numero sufficiente di posti di lavoro non fossero stati creati per i neri. Da quel giorno piu' nessun nero ando' a rifornirsi in quei magazzini. Molto rapidamente, dopo una settimana o due, i proprietari di quei magazzini decisero di soddisfare le richieste di M. L. King.
E' interessante chiedersi quali abbiano potuto essere le ragioni che hanno indotto i proprietari di quei magazzini a cedere alle rivendicazioni di Martin Luther King. Si erano forse convinti dei giusti diritti dei neri? Si erano forse convertiti? Forse. Noi avremmo torto ad escludere del tutto questa eventualita'. Tuttavia la piu' verosimile e' che la minaccia del fallimento, che incombeva su quei magazzini, li ha costretti e cedere: cio' traduce perfettamente la nozione di costrizione e tuttavia di una costrizione senza violenze.
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La lotta di classe
Esaminero' un altro esempio concreto, recente, che illustra in maniera notevolissima la possibilita' di condurre con la nonviolenza uno sciopero e un boicottaggio nel quadro della lotta di classe.
Si dice spesso che la nonviolenza puo' forse soddisfare le esigenze spirituali o intellettuali dei ricchi e dei benestanti, ma che non puo' assolutamente armare la lotta degli oppressi. Credo che tutto cio' sia fondato, soprattutto, su malintesi.
Gli ambienti spiritualisti, o notoriamente gli ambienti cristiani, hanno per molto tempo rifiutato di riconoscere non soltanto la lotta di classe, ma la realta' stessa della lotta di classe. Si diceva che il cristianesimo non insegnava la lotta di classe, ma l'amore delle classi, come se fosse possibile l'amore in situazioni di ingiustizia. E' una presa in giro predicare l'amore quando da una parte esistono poveri che restano poveri e dall'altra parte ricchi che intendono restare ricchi. Logicamente, cio' non vuol nemmeno dire che il fatto di riconoscere la lotta di classe e parteciparvi debba necessariamente sfociare in scontri violenti. Ma c'e' una certa nonviolenza che non merita nemmeno di essere presa in considerazione: quando i poveri sono pronti a scendere in piazza per far riconoscere i loro diritti, forse da quel momento i ricchi saranno tentati di parlare di nonviolenza. In questo senso vi e' un rischio di recupero della nonviolenza da parte delle classi privilegiate. Cio' spiega quella diffidenza, cosi' caratteristica di quelli che sono impegnati nella lotta per la giustizia, nei confronti della nonviolenza: hanno paura che essa generi una certa smobilitazione. Ma, al di la' degli equivoci, deve essere invece chiaro che non soltanto la nonviolenza non e' smobilitazione, ma che e' un appello alla mobilitazione, un appello alla lotta.
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L'azione di Cesar Chavez
L'azione di Cesar Chavez condotta in California, purtroppo poco conosciuta da noi, e' un esempio di come anche quelli che sono i meno preparati hanno la possibilita' di mettere in opera i metodi nonviolenti, a condizione che i responsabili dell'azione, i leaders del movimento, diano ordini precisi in questo senso.
Cesar Chavez non e' venuto in mezzo ai poveri, e' nato in mezzo a loro; e' nato in mezzo a quegli americani di origine messicana gli "chicanos", che costituiscono la mano d'opera preferita dai grandi proprietari agricoli degli Stati Uniti. Se i sindacati operai sono completamente integrati nello "establishment" della societa' americana, non e' la stessa cosa nel campo agricolo.
Tradizionalmente, i proprietari di vigneti californiani, che sono veri e propri imperi industriali, utilizzavano una popolazione di origine messicana, che costituiva un tipo di sottoproletariato, al tempo stesso disorganizzato e supersfruttato. Tutti gli sforzi che erano stati compiuti fino allora per giungere all'organizzazione di questa popolazione erano falliti. Tanto erano potenti i proprietari di questi vigneti.
Cesar Cbavez ha fatto prima di tutto, per parecchi anni, un lavoro di "coscientizzazione" e di organizzazione.
Indisse, poi, uno sciopero con certe esigenze precise riguardo alla nonviolenza, che si estese molto rapidamente. I proprietari, aiutati dalle autorita' federali, cioe' governative, poterono comunque reclutare altrettanto rapidamente altri lavoratori messicani che non chiedevano altro che guadagnare un po' di denaro per sopravvivere. C'erano dunque dei "crumiri" che hanno permesso il raccolto dell'uva, sebbene ci fossero stati picchetti di sciopero che, ancora una volta, non intendevano fare uso della violenza ma tentavano di mostrare il senso dello sciopero e che era nell'interesse di tutti parteciparvi.
A questo punto, davanti al rischio di veder fallire lo sciopero, Cesar Chavez decise di affiancare allo sciopero il bolcottaggio. Proclamo' cosi' il boicottaggio dell'uva, dapprima nelle grandi citta' degli Stati Uniti. Gli scioperanti organizzarono picchetti di boicottaggio in cui cercavano di spiegare le ragioni del loro movimento e i suoi obiettivi. Questo boicottaggio si dimostro', molto presto, di un'efficacia sorprendente. Cbavez ottenne subito il concorso dei militanti del movimento di M. L. King, e in particolare degli studenti impegnati in quel movimento. In breve tempo, il boicottaggio dell'uva divenne effettivo su tutto il mercato nazionale.
Allora, come in tutte le azioni nonviolente d'un qualche rilievo, la repressione si abbatte' su questo movimento: gli scioperanti ebbero a subire violenze fisiche; ci furono processi promossi dai proprietari, il presidente Nixon prese posizione contro gli scioperanti e arrivo' al punto di prendersi beffa di loro mangiando un grappolo d'uva davanti alle telecamere. Per vendere il loro prodotto i proprietari decisero di esportare l'uva: interi mercantili furono spediti a Londra; ma i dockers di Londra, per solidarieta' col movimento di Cesar Chavez, si rifiutarono di scaricare l'uva. Ultimo tentativo fu quello di spedire l'uva ai soldati americani nel Vietnam che dovettero mangiare uva dalla mattina alla sera. Ma cio' non e' stato sufficiente. Dopo uno sciopero e un boicottaggio durati cinque anni, i proprietari furono costretti a cedere alle rivendicazioni di Cesar Chavez.
Oggi, questi e' diventato il leader di tutti gli operai agricoli americani; i sindacati riprendono sempre di piu' questi metodi nonviolenti e tentano di accoppiare lo sciopero col boicottaggio.
Per mostrare come per Cesar Chavez la nonviolenza non fosse un aspetto secondario della sua lotta, conviene precisare il suo atteggiamento di fronte ai rischi di violenza che ha dovuto fronteggiate.
Se l'azione nonviolenta consiste in un primo tempo nel risvegliare l'aggressivita' dei poveri, nel creare il conflitto, e' dunque inevitabile che ci siano rischi di violenze. Se si risveglio la coscienza degli oppressi e se questi prendono coscienza del loro stato di oppressione, non ci sara' da stupirsi se da un momento all'altro, esasperati, ricorrono alla violenza. Ma a questo punto, Cesar Chavez, al fine di evitare la crescita della violenza, intraprese un digiuno sia per motivi personali che per ragioni tattiche (sapeva bene che se scoppiava la violenza, i proprietari avrebbero potuto benissimo scatenare una repressione brutale). Digiuno' per venticinque giorni, non perche' i proprietari cedessero alle sue esigenze, ma perche' gli operai stessi accettassero di attenersi ai principi dell'azione nonviolenta. Dopo quei 25 giorni di digiuno, essi giunsero ad un accordo, cio' che ha certamente reso possibile al movimento di durare e infine di riuscire.
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Il boicottaggio del caffe' dell'Angola
Ricordiamo anche il boicottaggio del caffe' dell'Angola organizzato nei Paesi Bassi agli inizi del 1972.
Una delle fonti piu' importanti per il finanziamento della guerra coloniale condotta dal Portogallo proveniva dalle imposte che pesavano sull'esportazione dei prodotti agricoli delle colonie.
Ora, da una parte, il caffe' dell'Angola rappresentava una parte importante dell'esportazione totale (32%) e, dall'altra parte, i Paesi Bassi erano il secondo paese importatore di questo caffe' (21% del totale).
Nel febbraio 1972 un comitato d'azione per l'Angola lancia il boicottaggio del caffe' organizzando una campagna d'informazione sulla situazione nelle colonie portoghesi e mostrando come il fatto di consumare del caffe' angolano e' un atto di collaborazione con la politica condotta dal Portogallo. Questa azione ebbe una larga eco tra la popolazione olandese e il boicottaggio riscontro' rapidamente un grande successo. Alla fine di un mese, nemmeno un grano di caffe' dell'Angola era piu' in vendita sul mercato dei Paesi Bassi.
Il Portogallo aveva perduto una battaglia e l'opinione pubblica olandese era mobilitata per altre battaglie.
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La disobbedienza civile
La piu' forte azione di non-collaborazione e' l'azione di disobbedienza civile.
Si rimprovera spesso alla nonviolenza di promuovere talvolta la disobbedienza alle leggi.
Se da sinistra siamo accusati di disinnescare la rivoluzione e di smobilitare le energie e le volonta' necessarie nella lotta per la giustizia, cosi' da destra siamo accusati di rimettere in discussione la legalita' e l'ordine stabilito e di preparare la strada ad una rivoluzione che non sarebbe affatto nonviolenta.
E' vero che la nonviolenza preconizza la disobbedienza alle leggi, ma non la preconizza a sproposito. In ogni societa' le leggi hanno una loro funzione. La funzione della legge e' insieme quella di mantenere l'ordine e di promuovere la giustizia; essa percio' deve difendere i diritti dei piu' poveri contro i privilegi dei piu' ricchi. C'e' da dire poi che le leggi non sono stabilite una volta per tutte: bisogna costantemente rimetterle in discussione per migliorarle. Quando la legge non adempie piu' alla sua funzione, anzi, al contrario, viene a difendere maggiormente gli interessi dei privilegiati, dei ricchi e dei potenti contro, invece, gli interessi dei piu' sfavoriti, quando la legge copre e garantisce l'ingiustizia, non soltanto e' un diritto, ma e' un dovere disobbedire ad essa.
Non si tratta evidentemente di predicare la disobbedienza alla legge in maniera sistematica; si tratta semplicemente di non predicare sistematicamente l'obbedienza alla legge.
La legge della maggioranza non puo' imporsi a noi su dei problemi di coscienza. E' ragionevole che noi ci sottomettiamo su problemi di ordine puramente tecnico alla legge della maggioranza, anche perche' su tali problemi le nostre non sono convinzioni ma soltanto opinioni. Su problemi che impegnano invece realmente la nostra responsabilita' morale, non ci e' possibile rimetterci in maniera pura e semplice alla legge della maggioranza. E' a questo punto che la nonviolenza preconizza la disobbedienza civile. Questa possibilita' di disobbedire alla legge e' necessaria all'equilibrio stesso della democrazia.
Infatti, non si tratta di cessare di essere solidali: colui che in coscienza obietta, accetta di essere solidale, ma si rifiuta di essere complice.
Nella dottrina ufficiale degli Stati, ogni cittadino ha veramente la possibilita' di esprimersi votando. Se non dobbiamo disprezzare il suffragio universale (penso a certi amici nostri che sono in lotta nei paesi totalitari per ottenere il suffragio universale) dobbiamo, pero', riconoscerne i limiti. Bernanos diceva che "il suffragio universale non rende alla fin fine piu' liberi gli uomini di quanto la lotteria nazionale non li renda ricchi".
Non conviene operare soltanto perche' il potere cambi politica o per provocare un cambiamento di potere, conviene esercitare effettivamente il proprio potere di cittadino libero rifiutando da questo momento, con un atto di disobbedienza civile, ogni collaborazione personale con l'ingiustizia. Gandhi afferma: "la vera democrazia non verra' dalla presa del potere da parte di qualcuno, ma dal potere che tutti avranno un giorno di opporsi agli abusi delle autorita'". Sulla strada che conduce alla vera democrazia, la presa del potere per il popolo e' una delle piu' pericolose deviazioni dove si finisce molto spesso per perdersi. La nonviolenza ci insegna, percio', a evitare questa deviazione: nel suo aspetto rivoluzionario, essa non ha per proprio fine la presa del potere per il popolo, ma la presa del potere direttamente da parte del popolo stesso. Non e' lo Stato forte a costituire la vera democrazia, ma i cittadini liberi.
Tra l'insufficienza della scheda elettorale e l'inefficacia del lancio di pietre, la disobbedienza civile appare qui come una via privilegiata per l'azione politica.
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La vera figura di Gandhi
Prendero' un esempio concreto di disobbedienza civile nella lotta condotta da Gandhi per l'indipendenza dell'India.
Voglio aprire una parentesi sulla figura di Gandhi perche' nella maggior parte dei casi mi pare lo si conosca male. Il suo personaggio e' stato volgarizzato da qualche immagine di Epinal che ce lo rappresenta seduto per terra, il dorso nudo, che fila la lana, e ci diciamo allora volentieri che questo saggio orientale non ha nulla da dirci sui nostri problemi.
Facciamo nostra la sprezzante espressione di Churchill che derideva Gandhi accusandolo di non essere che un "fachiro magro e nudo". Se riconosciamo che Gandhi ha potuto acquistare l'indipendenza del suo paese di fronte all'impero britannico, attribuiamo allora il merito di questo al "fair-play" dei gentlemen britannici, come se a quell'epoca l'impero britannico fosse pronto a lasciare le Indie e come se fosse bastata la santita' attribuita, a torto o a ragione, a Gandhi perche' gli Inglesi accettassero di partire. Credo che sarebbe interessante studiare a fondo quali siano le azioni di Gandhi e quale fu la sua strategia. E' utile sottolineare, a questo proposito, che i membri del Congresso dell'India, primo dei quali Nehru, non condividevano le convinzioni religiose e morali di Gandhi. Se Nehru accetto' di seguire Gandhi nella pratica della nonviolenza e' soltanto perche' questa si dimostro' efficace. E il popolo indiano non era per niente pronto ad attenersi alle esigenze della nonviolenza di Gandhi, che e' estranea alla tradizione religiosa dell'India. Come tutti gli altri popoli, e forse piu' ancora degli altri, il popolo indiano oscilla tra la rassegnazione e la violenza. Infatti, la nonviolenza di Gandhi non e' orientale ma occidentale, non invita alla meditazione al di fuori dei conflitti ma all'azione all'interno dei conflitti.
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La marcia del sale
Nel 1930, Gandhi decise di sfidare il governo (ogni azione di disobbedienza civile e' una sfida al governo) organizzando la disobbedienza ad una legge che nel contesto globale della dominazione britannica appariva irrisoria: si trattava della legge sul sale. Essa imponeva a tutti gli indiani di pagare una tassa relativamente alta al governo inglese. Questa minima ingiustizia veniva a simboleggiare tutta l'ingiustizia della dominazione britannica.
Gandhi organizzo' una lunga marcia attraverso l'India per diverse centinaia di chilometri. In ogni villaggio che attraversava, coscientizzava gli abitanti e li invitava alla disobbedienza civile. Giunto sulla spiaggia del mare, compi' il simbolico gesto di raccogliere dell'acqua per poterne estrarre il sale. Da quel momento preciso, Gandhi per l'impero britannico era diventato un ribelle. Il governo, a dir la verita', era molto imbarazzato perche', o arrestava Gandhi, facendone cosi' un martire e aumentandone di conseguenza il prestigio presso le masse indiane, o non lo arrestava affatto, dimostrando cosi' di tollerare la sfida aperta e dando, in tal modo, prova di debolezza. Il riflesso professionale delle autorita' ebbe il sopravvento nella risoluzione di questo dilemma: si arresto' Gandhi ma si dovettero arrestare pure tutti quelli che lo avevano imitato; perche' questi, non soltanto accettavano di andare in prigione, ma esigevano di andarci. Esiste, pero', un limite di saturazione delle prigioni oltre il quale un governo non puo' piu' governare in completa serenita'. Si puo' discutere sulla proporzione necessaria di quelli che sono disposti ad andate in prigione per far si' che un popolo sia piu' forte di qualsiasi governo - Martin Luther King parlava di un 5 per cento.
Alla fine il governo dovette cedere e accettare di negoziare con Gandhi: non soltanto discussero del problema del sale, ma anche del problema dell'indipendenza.
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La violenza e' l'arma dei ricchi
Vorrei ancora insistere su questo punto che mi pare essenziale: di fronte alle situazioni d'ingiustizia, arriviamo spesso a pensare e a dire che non esiste piu' che una sola soluzione e che questa soluzione e' la violenza.
Ma dobbiamo chiederci: quale soluzione puo' essere la violenza? E anche: la violenza puo' veramente essere una soluzione?
Prendo un esempio su cui abbiamo molto parlato: quando M. L. King mori', ovunque si sostenne che con lui la nonviolenza era finita, che se egli aveva potuto migliorare di qualcosa la sorte dei neri, spettava ora ai movimenti violenti di condurre in porto il lavoro che lui aveva incominciato. Pareva allora che il "Potere Nero", il partito delle "Pantere Nere", i "Musulmani Neri", fossero in grado, e solamente loro, di liberare i neri. Ci si poteva chiedere, gia' da allora, se era ragionevole credere che i neri ponendosi sul piano della violenza, sarebbero stati in grado di riuscire vincitori e di stabilire un rapporto di forza in loro favore.
Quando si pensa alla capacita' di repressione di cui dispone il potere bianco, era realista per i neri situarsi sul piano della violenza per intraprendere la prova di forza?
Ora, accadde quello che poteva gia' essere previsto: i movimenti neri che si richiamano alla violenza si trovarono nella incapacita' di mettere in opera azioni rilevanti all'infuori di qualche colpo di mano che potevano effettuare. La stampa ne parlo': il partito delle "Pantere Nere" che e' stato il piu' rappresentativo di questo movimento violento e' attualmente smantellato, si trova ad essere completamente disorganizzato sotto i colpi della repressione del potere bianco. Certamente Eldridge Cleaver puo' moltiplicare, da Algeri dove si trova in esilio, le dichiarazioni fracassanti contro il potere bianco, ma cio' non puo' venire in aiuto ai neri che sono negli USA; cosi' pure Stokely Carmichael, che fu uno dei leaders del "Potere Nero", che milito' nelle file delle "Pantere Nere" e che si trova ora in Guinea, di la' non puo' proporre ai suoi fratelli degli Stati Uniti che un impossibile ritorno verso la madre terra Africa.
Cosi' nel nome stesso del realismo, non cadiamo troppo facilmente nella affermazione che solo la violenza puo' essere una soluzione?
Sapete pure che questo argomento e' stato trattato da dom Helder Camara quando gli e' stato chiesto se non sarebbe, almeno in un primo momento, necessario usare la violenza. "Certo, potremo avere qualche arma, ma il nostro avversario avra' sempre un numero maggiore di armi e piu' perfette delle nostre; e' vano voler intraprendere su questo terreno la nostra prova di forza".
Il Padre Comblin e' venuto a confermarci nell'aprile '72 le affermazioni di dom Helder Camara: "Una piccola parte dell'opposizione e' entrata nella clandestinita', ha creato dei piccoli movimenti di guerriglia, ha lanciato delle operazioni di terrorismo. Questo ha provocato da parte del potere un apparato di repressione estremamente potente, che e' riuscito praticamente non solo a contenere questa opposizione violenta ma anche a ridurla sempre piu'. E, in questo momento, il potere alimenta una psicosi d'angoscia che sta creando un "circolo vizioso del terrore" che coinvolge lo stesso potere: sentendosi minacciato, esso reagisce in maniera angosciosa, donde dei controlli sempre raddoppiati, cosa che mantiene nelle masse un sentimento di paura, la quale provoca a sua volta una piu' grande angoscia nei dirigenti... e cosi' di seguito". ("Informations catholiques internationales", 15 aprile '72).
Forse che noi non possiamo arrivare a questa ipotesi di lavoro: la capacita' di violenza degli oppressori sara' sempre smisuratamente piu' grande della capacita' di violenza degli oppressi? Abbandonare il piano della giustizia per porci sul piano della violenza e', in fondo, un errore strategico: quando un movimento di resistenza ricorre esso stesso alla violenza, viene ad offrire all'avversario le ragioni di cui ha bisogno per giustificare la sua repressione.
Ogni dibattito pubblico che sara' aperto da atti di violenza non vertera' sulle motivazioni politiche che hanno ispirato quegli atti, ma sui mezzi, sui metodi che sono stati utilizzati. L'azione armata attira l'attenzione dell'opinione pubblica sulla violenza che io commetto, non sull'ingiustizia che io combatto.
La forza della nonviolenza consiste nel rifiutare di offrire all'avversario i pretesti che giustifichino la sua repressione. Con questo non voglio dire che i movimenti nonviolenti non diano luogo a repressione - e' certo che in una prova di forza che si prolungasse, ci sarebbe una repressione esercitata sul movimento nonviolento e la sua forza consistera' nella misura della capacita' che avra' di resistere a questa repressione - ma questa repressione restera' senza vera giustificazione; essa arrivera' al contrario a screditare quelli che l'esercitano e ad accreditare, per cio' stesso, il movimento.
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La nonviolenza e' preferibile
Data l'ignoranza e insieme il disprezzo nei quali e' stata tenuta fino ad ora la nonviolenza, non e' concepibile che essa sia in grado di risolvere tutti i nostri problemi e subito.
Molti conflitti si sono sviluppati in un crescendo di violenza dall'una e dall'altra parte; non e' facile, a partire di la', tentare di intravvedere una soluzione nonviolenta.
Ma noi potremmo almeno metterci d'accordo su questa ipotesi di lavoro: se la nonviolenza e' possibile, allora essa e' preferibile.
Ad un algerino che durante e dopo la rivoluzione algerina aveva ricoperto cariche di grossissima responsabilita' nel governo rivoluzionario, chiedevo se credesse che la nonviolenza avrebbe potuto essere impiegata dal popolo algerino. Mi diede questa risposta paradossale: "In linea di fatto, Gandhi era il maestro al quale ci ispiravamo". Perche' diceva questo? Precisamente perche' Gandhi fu il primo a scuotere il giogo del colonialismo. Ci siamo lasciati prendere forse troppo dall'idea che il colonialismo britannico fosse un colonialismo dove il "fair-play" prevaleva sulla brutalita' - cio' costituisce, invece, una contro-verita' storica. Gandhi appariva in effetti ai popoli colonizzati come colui che, per primo, si oppose a questa oppressione. Ma, aggiungeva quest'algerino, non conoscevamo proprio niente di questa nonviolenza, non ne eravamo per niente preparati, e non ci era assolutamente possibile costruire la nostra lotta in questa prospettiva. Diceva ancora - ed e' proprio questo che mi pare molto interessante: "attualmente mi interesso e studio sulla possibilita' della nonviolenza, perche' se la nonviolenza e' possibile, sarebbe criminoso per un rivoluzionario usare la violenza".
Se la nonviolenza e', dunque, da preferire, ci spetta ora il compito di studiare le possibilita' offerte dalla nonviolenza.
Bisogna ammettere che finora non l'abbiamo mai fatto. Ci siamo sempre accontentati di idee ricevute, di schemi prefabbricati e di vere e proprie caricature della nonviolenza; cio', evidentemente, ci permetteva di condannarla piu' facilmente.
Se misuriamo gli investimenti che a destra o a sinistra sono stati fatti per la violenza, e se misuriamo gli investimenti che non sono stati compiuti per la nonviolenza, allora avremo la giusta misura di cio' che puo' essere fatto, cercando di discernere cio' che e' possibile da cio' che non lo e'. Comunque, se la nonviolenza non puo' permetterci di risolvere subito tutti i nostri problemi, ci permette almeno di impostarli in maniera giusta.
E concludo con questa riflessione di Rilke: "entrando insieme nelle vere questioni, finiremo certamente con l'entrare insieme nelle vere risposte".
3. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...
... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
4. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Joanna Bourke, Paura. Una storia culturale, Laterza, Roma-Bari 2007, Il sole 24 ore, Milano 2010, pp. XII + 476.
- Joanna Bourke, Stupro. Storia della violenza sessuale dal 1860 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2009, 2011, pp. VI + 602.
- Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976, 1977, pp. VIII + 336.
- Sheila Rowbotham, Esclusa dalla storia, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 272.
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Strumenti
- Georges Duby, Michelle Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente, Laterza, Roma-Bari, 1990-1992, 1994-1996, 5 voll. (vol. I. L'Antichita', a cura di Pauline Schmitt Pantel, pp. XVIII + 606; vol. II. Il Medioevo, a cura di Christiane Klapisch-Zuber, pp. VIII + 600; vol. III. Dal Rinascimento all'eta' moderna, a cura di Natalie Zemon Davis e Arlette Farge, pp. VI + 568; vol. IV. L'Ottocento, a cura di Genevieve Fraisse e Michelle Perrot, pp. VI + 618; vol. V. Il Novecento, a cura di Françoise Thebaud, pp. VI + 714).
5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
6. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5566 del 15 maggio 2025
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXVI)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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