[Nonviolenza] Telegrammi. 5416



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5416 del 16 dicembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Movimento Nonviolento: Obiezione alla guerra, scriviamolo su tutti i muri
2. Aldo Capitini: La mia opposizione al fascismo
3. Due pensieri nella Giornata internazionale dei diritti umani
4. Donald 'C-Note' Hooker: It's time for justice: Why Leonard Peltier must be granted clemency
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. MOVIMENTO NONVIOLENTO: OBIEZIONE ALLA GUERRA, SCRIVIAMOLO SU TUTTI I MURI
[Riceviamo e diffondiamo]

La Campagna di Obiezione alla guerra presenta un nuovo strumento operativo: un poster diffuso a livello nazionale.
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La Campagna di Obiezione alla guerra presenta un nuovo strumento operativo:
un poster diffuso a livello nazionale con il simbolo del fucile spezzato e la scritta "Con la nonviolenza: per cessare il fuoco bisogna non sparare, per fermare la guerra bisogna non farla".
Il volantone, inviato a tutti gli iscritti e ai Centri del Movimento Nonviolento, agli abbonati alla rivista Azione nonviolenta e a tutti coloro che ne faranno richiesta, rilancia la Dichiarazione di obiezione di coscienza rivolta a chi rifiuta la chiamata alle armi e contiene tutte le informazioni su quanto realizzato finora a sostegno degli obiettori di coscienza di Russia, Ucraina, Bielorussia, Israele e Palestina, e i prossimi obiettivi che la Campagna vuole raggiungere.
Sono ormai centinaia di migliaia gli obiettori, disertori, renitenti alla leva che nei luoghi di guerra, rifiutano le armi e la divisa, negandosi al reclutamento militare, ripudiando il proprio esercito senza passare a quello avverso. Alcuni affrontano processo e carcere, altri espatriano, altri ancora scappano o si nascondono. Il Movimento Nonviolento ha scelto di stare dalla loro parte, di sostenerli concretamente, di difendere il loro diritto umano alla vita e alla pace, e di chiedere all'Unione Europea e al Governo italiano di riconoscere, per loro e per chi firma la Dichiarazione, lo "status" di obiettori di coscienza.
La Campagna si sviluppa su due direttrici:
- la raccolta fondi per sostenere nelle loro attivita' i movimenti nonviolenti di Russia, Bielorussia, Ucraina, Israele e Palestina, le spese legali per i processi che obiettori e nonviolenti di quei paesi subiscono, per aiutare chi espatria per non farsi arruolare, per gli strumenti di informazione necessari a diffondere la scelta dell'obiezione;
- la diffusione della Dichiarazione di Obiezione di coscienza alla guerra e alla sua preparazione, il rifiuto della chiamata alle armi e fin da ora della futura mobilitazione militare. La procedura e' semplice: si compila e si sottoscrive la Dichiarazione (per tutti, giovani o adulti, donne e uomini ) rivolta ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio.
Sul sito del Movimento Nonviolento azionenonviolenta.it alla voce Obiezione alla guerra si trovano tutti gli aggiornamenti e la possibilita' di adesione e contribuzione.
Movimento Nonviolento
Settembre 2024
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Movimento Nonviolento
via Spagna, 8, 37123 Verona
Tel 045 8009803
Cell. 348 2863190
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per sostegno e donazioni
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2. REPETITA IUVANT. ALDO CAPITINI: LA MIA OPPOSIZIONE AL FASCISMO
[Nuovamente riproponiamo il seguente articolo di Aldo Capitini originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960, disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org]

Non e' facile elevarsi su quel patriottismo scolastico che ci coglie proprio nel momento, dai dieci ai quindici anni, in cui cerchiamo un impiego esaltante delle nostre energie, una tensione attiva e appoggiata a miti ed eroi.
Quaranta anni successivi di esperienza in mezzo ad una storia movimentatissima ci hanno ben insegnato due cose: che la devozione alla patria deve essere messa in rapporto e mediata con ideali piu' alti e universali; che la nazione e' una vera societa' solo in quanto risolve i problemi delle moltitudini lavoratrici nei diritti e nei doveri, nel potere, nella cultura, in tutte le liberta' concretamente e responsabilmente utilizzabili.
Quella "patria" che la scuola ci insegno', che era del Foscolo e del Carducci, e diventava del D'Annunzio e del Marinetti, non poteva essere il centro di tutti gli interessi; e percio' potei essere nazionalista tra i dieci e i quindici anni, ma non poi restarlo quando vidi la guerra in rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente e divisa; quando dalla letteratura vociana e di avaguardia salii (da autodidatta e piu' tardi che i coetanei) alla piu' strenua, vigorosa, e anche filologica classicita', vista nei testi latini, greci e biblici, come valori originali; quando portai la riflessione politica, precoce ma intorbidata dall'attivismo nazionalistico, ad apprezzare i diritti della liberta' e l'apertura al socialismo come cose fondamentali, insopprimibili per qualsiasi motivo.
Umanitario e moralista, tutto preso dalla ricostruzione della mia cultura (eseguita tardi ma con consapevolezza) e anche dal dolore fisico, il dopoguerra 1918-'22 mi trovo' del tutto estraneo al fascismo, anche se avevo coetanei che vi erano attivissimi: non sentii affatto l'impulso ad accompagnarmi con loro. Anzi, mi permettevo nella mia indipendenza, di leggere la "Rivoluzione liberale", di offrire lieto il mio letto ad un assessore socialista cercato dagli squadristi, e la mattina della "Marcia su Roma" sentii bene che non dovevo andarci, perche' era contro la liberta'.
Certo, per chi e' stato, purtroppo (e purtroppo dura ancora), educato a quel tal patriottismo scolastico, per chi non ha potuto nell'adolescenza non assorbire del dannunzianesimo e del marinettismo, qualche volta il fascismo poteva sembrare un qualche cosa di energico, di impegnato a far qualche cosa; e comprendo percio' le esitazioni e le cadute di tanti miei coetanei, che hanno come me press'a poco gli anni del secolo.
Se io fui preservato e salvato per opera di quell'evangelismo umanitario-moralistico e indipendente, per cui non ero diventato ne' cattolico (pur essendo teista) ne' fascista, e preferii rinunciare alla politica attiva, a cui pur da ragazzo tendevo, scegliendo un lavoro di studio, di poesia, di filosofia, di ricerca religiosa; tanti altri, anche per il fatto di essere stati in guerra (io ero stato escluso perche' riformato), lungo il binario del patriottismo, del combattentismo, dello squadrismo, videro nel fascismo la realizzazione di tutto.
Queste mie parole sono percio' un invito a diffidare del patriottismo scolastico, che puo' portare a tanto e a giustificare tanti delitti, e un proposito di lavorare per un'educazione ben diversa. Questa e' dunque la prima esperienza che ho vissuto in pieno: ho potuto contrastare al fascismo fin dal principio perche' mi ero venuto liberando (se non perfettamente) dal patriottismo scolastico; esso fu uno degli elementi principalmente responsabili dell'adesione di tanti al fascismo.
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Ed ora vengo alla seconda esperienza fondamentale. Si capisce che mentre il fascismo si svolgeva, quasi insensibile com'ero alla soddisfazione "patriottica", mi trovavo contrario alla politica estera ed interna. Per l'estero io ero press'a poco un federalista, e mi pareva che un'unione dell'Italia, Francia, Germania (circa centocinquanta milioni di persone) avrebbe costituito una forza viva e civile, anche se l'Inghilterra fosse voluta rimanere per suo conto; ma ci voleva uno spirito comune, che, invece, il nazionalismo fece rovinare. Ebbi sempre un certo rispetto per la Societa' delle Nazioni; e mi pareva che l'Italia avesse avuto molto col Trattato di Versailles, malgrado le strida dei nazionalisti. Approvavo il lavoro di Amendola e degli altri per un patto con gli Jugoslavi, che ci avrebbe risparmiato tante tragedie e tante vergogne.
Per la politica interna la Milizia in mano a Mussolini, il delitto Matteotti, la dittatura e il fastidio, a me lettore e raccoglitore di vari giornali, che dava la lettura di giornali eguali, l'avversione che sentivo per il saccheggio e la distruzione e l'abolizione di tutto cio' che era stata la vita politica di una volta, le Camere del lavoro, le varie sedi dei partiti, le logge massoniche; mi tenevano staccato dal fascismo.
Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov'era piu' quel bel fermento di idee, quella vivacita' di spirito di riforme che avevo vissuto dal '18 al '24? Quanti libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo come preziosa), erano finiti! L'Italia che avrebbe dovuto riformarsi in tutto, era ora affidata ad un governo reazionario e militarista! E io ricordavo il mio entusiasmo per le amministrazioni socialiste: come seguivo quella di Milano, quella di Perugia, mia citta'!
Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro, alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una cosa preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e "diversi", la' impegnati ad amministrare per tutti.
Sicche' ero contrario al regime, e la seconda esperienza fondamentale lo confermo': fu la Conciliazione del febbraio del '29.
Non ero piu' cattolico dall'eta' di tredici anni, ma ero tornato ad un sentimento religioso sul finire della guerra, e lo studio successivo, anche filosofico e storico sulle origini del cristianesimo, di la' dalle leggende e dai dogmi mi aveva concretato un teismo di tipo morale.
Guardando il fascismo, vedevo che lo avevano sostenuto in modo decisivo due forze: la monarchia che aveva portato con se' (piu' o meno) l'esercito e la burocrazia; l'alta cultura (quella parte vittima del patriottismo scolastico) che aveva portato con se' molto della scuola. C'era una terza forza: la Chiesa di Roma. Se essa avesse voluto, avrebbe fatto cadere, dispiegando una ferma non collaborazione, il fascismo in una settimana. Invece aveva dato aiuti continui. Si venne alla Conciliazione tra il governo fascista e il Vaticano.
La religione tradizionale istituzionale cattolica, che aveva educato gli italiani per secoli, non li aveva affatto preparati a capire, dal '19 al '24, quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava in un modo profondo, visibile, perfino con frasi grottesche, con prestazione di favori disgustose, con reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla " scuola liberale " e ai "conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c'e' una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista, e' di aver chiarito per sempre che la religione e' una cosa diversa dall'istituzione romana.
Perche' noi abbiamo avuto da fanciulli un certo imbevimento di idee e di riti cattolici, che sono rimasti la', nel fondo nostro; ed anche se si e' studiato, e si sanno bene le ragioni storiche, filosofiche, sociali, anche religiose, per cui non si puo' essere cattolici, tuttavia ascoltando suonare le campane, vedendo l'edificio chiesa, incontrando il sacerdote, uno potrebbe sempre sentire un certo fascino.
Ebbene, se si pensa che quelle campane, quell'edificio, quell'uomo possono significare una cerimonia, un'espressione di adesione al fascismo, basta questo per insegnare che bisogna controllare le proprie emozioni, non farsi prendere da quei fatti che sono "esteriori" rispetto alla doverosita' e purezza della coscienza.
La Chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il fascismo, realmente le ottenne. Ma per me quello fu un insegnamento intimo che vale piu' di ogni altra cosa. Non aver visto il male che c'era nel fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l'Italia e l'Europa, aver ottenuto da un potere brigantesco sorto uccidendo la liberta', la giustizia, il controllo civico, la correttezza internazionale; non sono errori che ad individui si possono perdonare, come si deve perdonare tutto, ma sono segni precisi di inadeguatezza di un'istituzione, ancora una volta alleata di tiranni.
Fu li', su questa esperienza che l'opposizione al fascismo si fece piu' profonda, e divenne in me religiosa; sia nel senso che cercai piu' radicale forza per l'opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S. Francesco, Gandhi, di la' dall'istituzionalismo tradizionale che tradiva quell'autenticita'; sia nel senso che mi apparve chiarissimo che la liberazione vera dal fascismo stesse in una riforma religiosa, riprendendo e portando al culmine i tentativi che erano stati spenti dall'autoritarismo ecclesiastico congiunto con l'indifferenza generale italiana per tali cose.
Vidi chiaro che tutto era collegato nel negativo, e tutto poteva essere collegato nel positivo. Mi approfondii nella nonviolenza. Imparai il valore della noncollaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perche' rifiutai l'iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli italiani si liberassero dal fascismo noncollaborando, senza odio e strage dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio che li avrebbe purificati di tante scorie, e li avrebbe rinnovati, resi degni d'essere, cosi' si', tra i primi popoli nel nuovo orizzonte del secolo ventesimo.
Divenni vegetariano, perche' vedevo che Mussolini portava gli italiani alla guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si sarebbe sentita maggiore avversione nell'uccidere gli uomini.
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Nel lavoro di suscitamento e collegamento antifascista, svolto da me dal 1932 al 1942, sta la terza esperienza fondamentale: il ritrovamento del popolo e la saldatura con lui per la lotta contro il fascismo. Figlio di persone del popolo, vissuto in poverta' e in disagi, con parenti tutti operai o contadini, i miei studi (vincendo un posto gratuito universitario nella Scuola normale superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi avevano veramente messo a contatto con la classe lavoratrice nella sua qualita' sociale e politica.
Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il primo maggio sonavano di lontano l'Inno dei lavoratori, di la' dal velo della pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal mio libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli incendi devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell'"Avanti!", ma, preso da altro lavoro, non le avevo studiate.
Accertai veramente la profondita' e l'ampiezza del mondo socialista nel periodo fascista, quando le possibilita' di trovare documentazioni e libri (lo sappiano i giovani di ora, che se vogliono possono andare da un libraio e acquistare cio' che cercano) erano di tanto diminuite, ma c'era, insieme, il modo di ritrovare i vecchi socialisti e comunisti, che erano rimasti saldi nella loro fede, veramente "fede" "sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi", malgrado le botte, gli sfregi, la poverta', le prigioni, le derisioni degli ideali e dei loro rappresentanti uccisi ("con Matteotti faremo i salsicciotti") e sebbene vedessero che le persone "dotte" erano per Mussolini e il regime.
Ritrovare queste persone, unirsi con loro di la' dalle differenze su un punto o l'altro dell'ideologia, festeggiare insieme il primo maggio magari in una soffitta o in un magazzino di legname, andare insieme in campagna una domenica (che per il popolo e' sempre qualche cosa di bello), e talvolta anche in prigione: nella lotta contro il fascismo si formo' questa unione, che non fu soltanto di persone e di aiuto reciproco, ma fu studio, approfondimento, constatazione degli interessi comuni dei lavoratori e degli intellettuali contro i padroni del denaro e del potere: si apriva cosi l'orizzonte del mondo, l'incontro di Occidente e Oriente in nome di una civilta' nuova, non piu' individualistica ne' totalitaria.
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Questo io debbo al fascismo, ma in quanto ebbi, direi la Grazia, o interni scrupoli o ideali che mi portarono all'opposizione. Opponendomi al fascismo, non per cose di superficie o di persone o di barzellette, ma pensando seriamente nelle sue ragioni, nella sua sostanza, nel suo esperimento e impegno, non solo me ne purificavo completamente per cio' che potesse essercene in me, ma accertavo le direzioni di un lavoro positivo e di una persuasione interiore che dovevo continuare a svolgere anche dopo.
Il fascismo aveva unito in un insieme tutto cio' contro cui dovevo lottare per profonda convinzione, e non per caso, per un un male che mi avesse fatto, per un'avversione o invidia verso persone, o perche' avessi trovato in casa o presso maestri autorevoli un impulso antifascista. Nulla di questo ebbi, ed anche percio' ad un'attiva opposizione con propaganda non passai che lentamente e dopo circa un decennio.
Posso assicurare i giovani di oggi che il mio rifiuto fu dopo aver sentito le premesse del fascismo proprio nell'animo adolescente, e dopo averle consumate; sicche' i fascisti mi apparvero dei ritardatari. Ero arrivato al punto in cui non potevo accettare:
1, il nazionalismo che esasperava un riferimento nazionale e guerriero a tutti i valori, proprio quando ero convinto che la guerra avrebbe indebolito l'Europa, e che la nazione dovesse trovare precisi nessi con le altre;
2, l'imperialismo colonialistico, che, oltre a portare l'Italia fuori dalla sua influenza in Europa, nei Balcani e a freno della Germania, era un metodo arretrato, per la fine del colonialismo nel mondo;
3, il centralismo assolutistico e burocratico con quel far discendere tutto dall'alto (per giunta corrotto), mentre io ero decentralista, regionalista, per l'educazione democratica di tutti all'amministrazione e al controllo;
4, il totalitarismo, con la soppressione di ogni apporto di idee e di correnti diverse, si' che quando parlavo ai giovanissimi della vecchia possibilita' di scegliersi a vent'anni un partito, che aveva sue sedi e sua stampa, sembrava che parlassi di un sogno, di un regno felice sconosciuto;
5, il prepotere poliziesco, per cui uno doveva sempre temere parlando ad alta voce, conversando con ignoti, scrivendo una lettera, facendo un telefonata;
6, quel gusto dannunziano e quell'esaltazione della violenza, del manganello come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, delle bombe a mano, e, infine, l'orribile persecuzione contro gli ebrei;
7, quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale conservatorismo, difesa dei proprietari, di cio' che era vecchio e perfino anteriore alla rivoluzione francese;
8, quell'alleanza con il conservatorismo della chiesa, della parrocchia, delle gerarchie ecclesiastiche, prendendo della religione i riti e il lato reazionario, affratellandosi con i gesuiti, perseguitando gli ex-sacerdoti;
9, quel corporativismo con una insostenibile parita' tra capitale e lavoro che si risolveva in una prigione per moltitudini lavoratrici alla merce' dei padroni in gambali ed orbace;
10, quel rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di educazione, quella fascista, e il traviamento degli adolescenti, mentre ero convinto che della libera produzione e circolazione delle varie forme di cultura una societa' nazionale ha bisogno come del pane;
11, quell'ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e delle Isole;
12, l'onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la grossolanita', la mutevolezza, l'egotismo, l'iniziativa brigantesca, la leggerezza nell'affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piu' possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perche' lo splendore stia nei valori puri della liberta', della giustizia, dell'onesta', della produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei valori.
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Percio' il fascismo, nel problema dell'Italia di educarsi a popolo onesto, libero, competente, corretto, collaborante, mi parve un potenziamento del peggio e del fondo della nostra storia infelice, una malattia latente nell'organismo e venuta fuori, l'ostacolo che doveva, per il bene comune, essere rimosso, non in un modo semplicemente materiale, ma prendendo precisa e attiva coscienza delle ragioni per cui era sbagliato, e trasformando in questo lavoro se' e persuadendo gli altri italiani.

3. REPETITA IUVANT. DUE PENSIERI NELLA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI UMANI

Il primo pensiero: occorre abolire le guerre che sempre e solo consistono nell'uccisione di esseri umani.
E per abolire le guerre occorre abolire gli eserciti e le armi.
E per abolire gli eserciti e le armi occorre la scelta della nonviolenza come unica politica necessaria alla salvezza dell'umanita'.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e' il primo dovere.
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Il secondo pensiero: occorre contrastare il male facendo il bene.
Ed il bene supremo essendo la vita, il primo dovere e' rispettare, aiutare, salvare tutte le vite.
C'e' un uomo da 48 anni prigioniero innocente che sempre ha lottato per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Si chiama Leonard Peltier, ed e' ormai vecchio e gravemente malato.
Gli sia restituita la liberta': non muoia in carcere Leonard Peltier.

4. DOCUMENTAZIONE. DONALD 'C-NOTE' HOOKER: IT'S TIME FOR JUSTICE: WHY LEONARD PELTIER MUST BE GRANTED CLEMENCY
[Dal sito https://sfbayview.com/ riprendiamo e difondiamo il seguente articolo dell'11 dicembre 2024]

Leonard Peltier's name has become a rallying cry for justice - a symbol of how systemic inequities can devastate individuals and entire communities. For nearly 50 years, Peltier has been imprisoned for crimes he may not have committed, convicted in a trial marred by fabricated testimony, suppressed evidence and political motivations. As President Joe Biden's term draws to a close, the question of whether he will commute Peltier's sentence is about more than correcting a miscarriage of justice. It is about whether Democrats can reclaim their core constituency by delivering tangible actions - not just symbolic gestures.
For decades, the Democratic Party has been seen as the party of social justice and equality, promising to uplift marginalized communities and address systemic wrongs. Yet, time and again, the party has fallen short, offering rhetoric without results. The 2024 election sent a clear message: Without deliverables, even loyal constituencies will turn away. Leonard Peltier's clemency is an opportunity for the Democratic Party to prove it still stands for the principles it claims to champion.
At the same time, Peltier's case exposes the broader failures of America's justice system, particularly in its treatment of elderly inmates. Peltier, who was not sentenced to death or life without parole, has effectively been condemned to die in prison through repeated parole denials. This abuse of power, which we at Parole Elder Abuse Concerns Everyone (PEACE) call "unauthorized quasi-executions," reflects a systemic disregard for judicial and legislative oversight. Correcting this injustice is not just a moral imperative - it is a test of the Democratic Party's commitment to its core values and constituents.
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Leonard Peltier's case
Leonard Peltier's story is one of profound injustice. Born in 1944 on the Turtle Mountain Chippewa Reservation in North Dakota, Peltier grew up amid systemic neglect, poverty and the long shadow of federal policies designed to undermine Native sovereignty. By the 1970s, he had become a leading figure in the American Indian Movement (AIM), which fought to address the systemic injustices faced by Indigenous communities. This activism, however, placed him directly in the crosshairs of government surveillance and repression.
On June 26, 1975, a shootout on the Pine Ridge Reservation in South Dakota left two FBI agents, Ronald Williams and Jack Coler, dead. The incident occurred against the backdrop of extreme violence and federal overreach on the reservation. Peltier, along with Robert Robideau and Darrelle Butler, was charged with the agents' deaths. While Robideau and Butler were acquitted on grounds of self-defense, Peltier fled to Canada, where he was later extradited under false pretenses based on coerced testimony.
Peltier's trial in 1977 was marred by prosecutorial misconduct, including the suppression of key ballistics evidence that could have exonerated him. Testimony from Myrtle Poor Bear, a witness who later admitted she had been coerced by the FBI, was used to secure his extradition and conviction. Despite these glaring issues, Peltier was sentenced to two consecutive life terms. His imprisonment has since been widely condemned by human rights organizations, including Amnesty International, as well as legal experts and former law enforcement officials.
Crucially, neither the judicial nor legislative branches sentenced Leonard Peltier to death or life without parole. Yet, through repeated parole denials, he has effectively been condemned to die in prison. This abuse of the parole system undermines the fundamental principles of justice and due process, particularly when significant flaws in his trial have been acknowledged by figures like Judge Gerald Heaney, who presided over Peltier's appeal.
Leonard Peltier's continued imprisonment is not just about one man - it is a reflection of a justice system that fails to protect marginalized communities from systemic abuses. His case is a glaring example of how unchecked power and political motivations can devastate lives and perpetuate injustice.
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Systemic issues: Elder abuse and the creation of quasi-executions
Leonard Peltier's nearly five-decade imprisonment highlights a disturbing practice in the American justice system: the use of parole denials to impose what Parole Elder Abuse Concerns Everyone (P.E.A.C.E.) calls "unauthorized quasi-executions." These are cases where elderly inmates, sentenced to neither death nor life without the possibility of parole, are effectively condemned to die in prison through repeated and often arbitrary parole denials.
Peltier's sentence of two consecutive life terms, while severe, did not carry a death sentence. Nor was he sentenced to life without parole. The judicial and legislative branches, which set the boundaries for punishment, did not intend for his incarceration to become an extrajudicial death penalty. Yet, through a lack of oversight and unchecked authority, parole boards have transformed his imprisonment into exactly that.
The federal parole board's treatment of Leonard Peltier epitomizes this abuse. In June 2024, during his most recent parole hearing, Peltier - now 80 years old and suffering from significant health issues - was denied parole yet again. His next review was delayed for another 15 years, meaning he would not be eligible until the age of 94. This effectively ensures that he will never leave prison alive unless clemency is granted. The parole board's decision is not rooted in justice or public safety but rather in perpetuating punishment, bypassing the intent of the original sentencing.
This is not about mercy - it is about legality. Parole boards are not authorized under the law to impose de facto death sentences. Their unchecked power to turn parole decisions into tools of retribution undermines the separation of powers and violates the constitutional principles that govern our justice system. Leonard Peltier's imprisonment is a stark reminder of the need to rein in these abuses and hold parole boards accountable to the law.
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The role of lawmakers and what Democrats must learn
Leonard Peltier's continued imprisonment has sparked a growing wave of advocacy among lawmakers, human rights organizations and even former law enforcement officials. Federal legislators have become increasingly vocal, with some calling on President Biden to grant clemency as a moral imperative. However, Peltier's case also serves as a critical lesson for the Democratic Party - a stark warning about the consequences of failing to deliver tangible results to its core constituencies.
Lawmakers such as Rep. Alexandria Ocasio-Cortez (D-N.Y.) and Sen. Brian Schatz (D-Hawaii) have been at the forefront of calls for Peltier's release. Ocasio-Cortez recently highlighted Peltier's case as emblematic of systemic failures in the justice system, particularly for marginalized communities. In a statement to The Independent, she connected clemency to broader efforts to address systemic racism and the legacy of government oppression against Native Americans. Schatz similarly urged President Biden to act, emphasizing that Peltier's trial was deeply flawed and his continued imprisonment an affront to justice.
Peltier's story is deeply tied to the systemic abuses that President Biden addressed in his October 2024 apology for the federal government's role in Native boarding schools. These schools, designed to strip Native children of their language, culture and identity, were a horrific chapter in America's history. What Biden failed to mention, however, is that Leonard Peltier himself was a victim of this system. As a child, Peltier was forcibly removed from his family and sent to a boarding school where assimilation policies inflicted lasting trauma. His later activism with the American Indian Movement (AIM) was shaped by this experience, making his imprisonment not just a personal injustice but a continuation of a historical legacy of oppression.
The bipartisan and international support for Peltier's clemency underscores the political stakes. For decades, Democrats have positioned themselves as the party of social justice and equity, claiming to champion the rights of marginalized communities. Yet, in recent years, the party has relied more on symbolic gestures than substantive action. This disconnection became glaringly evident in the 2024 presidential election, where disillusionment among core Democratic voters - especially Native, Black and Brown communities - contributed to devastating losses.
Peltier's case represents a clear opportunity for Democrats to reaffirm their commitment to these communities. Granting clemency is not just about correcting a historical injustice - it is about demonstrating that the party is willing to take bold, meaningful action. Without such action, Democrats risk alienating their base further, leaving their promises of justice and equity hollow.
President Biden's apology for the boarding school crisis was significant, but apologies, however heartfelt, mean little without follow-through. Clemency for Leonard Peltier would show that Democrats are prepared to deliver results, not just rhetoric. It would also send a powerful message that systemic abuses, such as the quasi-executions imposed by parole boards, will no longer be tolerated.
For Democrats, the stakes are high. Peltier's clemency is not just about one man's freedom - it is a test of the party's ability to reconnect with the very communities it claims to represent. Tangible action on this front could begin to repair trust and rebuild the party's credibility. Failure to act, however, risks further erosion of support and a deepening of the divide between the party and its core constituencies.
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Commutation as a balanced solution
Commuting Leonard Peltier's sentence offers President Biden a balanced resolution to a case that has long divided opinions. It acknowledges the systemic injustices surrounding Peltier's trial while respecting the gravity of the events at Pine Ridge in 1975. Importantly, commutation would not absolve Peltier of responsibility in the eyes of the law but would allow him the freedom to pursue his innocence - a path that has been obstructed by his decades-long imprisonment.
Peltier's original sentence of two consecutive life terms did not include the death penalty or life without the possibility of parole. Yet, through repeated parole denials, he has effectively been sentenced to die in prison. This de facto death sentence has occurred despite widespread acknowledgment of misconduct during his trial, including suppressed evidence, coerced testimony, and procedural irregularities. Commuting his sentence is not an act of mercy but a recognition that his imprisonment has far exceeded the bounds of justice.
Commutation also presents a compromise. It addresses concerns raised by those who believe Peltier's trial was deeply flawed, while avoiding the full exoneration that some might perceive as erasing accountability for the deaths of FBI agents Ronald Williams and Jack Coler. By commuting Peltier's sentence, President Biden would allow him to spend his remaining years with his family and pursue the legal avenues necessary to prove his innocence - an opportunity he has been denied for decades.
For Peltier, freedom would mean the chance to clear his name and tell his story outside the confines of a prison cell. It would allow him to bring attention to the systemic issues that contributed to his conviction and imprisonment, shedding light on the broader injustices faced by Native Americans within the justice system. This is not just a victory for one man - it is an essential step toward accountability and reform.
Commutation aligns with Biden's broader promises to address systemic injustices and promote reconciliation. His October 2024 apology for the federal government's role in Native boarding schools was a significant gesture, but words alone are not enough. Clemency for Leonard Peltier would signal a commitment to turning those words into action, offering tangible relief to a man whose life has been shaped by systemic failures.
Finally, this decision would reinforce the principle that parole boards must operate within their legal authority. Their repeated denials have extended Peltier's imprisonment beyond what the judicial and legislative branches authorized, turning his sentence into an extrajudicial punishment. Commutation is not about undermining justice - it is about restoring it.
By commuting Leonard Peltier's sentence, President Biden would grant him the freedom to pursue his innocence, while also addressing a profound injustice that has persisted for nearly 50 years. It is a compromise that respects the complexities of the case while affirming the importance of fairness, humanity, and accountability.
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Personal reflections from Donald 'C-Note' Hooker
Leonard Peltier's story resonates deeply with me, a volunteer with Parole Elder Abuse Concerns Everyone (P.E.A.C.E.). His imprisonment, now stretching nearly 50 years, is not just an individual tragedy - it is a glaring example of the systemic injustices that have plagued marginalized communities for generations. Advocating for his freedom has revealed not only the flaws within the justice system but also the resilience of those fighting against it.
What stands out most about Leonard's case is how profoundly it connects to the broader struggles of Native Americans and other oppressed communities. Peltier is a victim not only of a flawed trial but also of a larger system of oppression. From his forced removal as a child to attend a federal boarding school to his conviction in a trial marred by prosecutorial misconduct, his life story mirrors the historical and ongoing injustices faced by Native peoples in this country. His imprisonment is a continuation of a system designed to silence and marginalize.
My work with P.E.A.C.E. has opened my eyes to how parole boards operate as unchecked extensions of the justice system, imposing unauthorized punishments that defy the original terms of sentencing. Leonard was never sentenced to death or life without parole, yet the parole board's repeated denials have effectively condemned him to die in prison. This is not justice - it is a systemic failure that undermines the principles of accountability and fairness.
Advocating for Leonard has also been personal. As someone who has worked to expose the inequities faced by marginalized groups, I see his case as emblematic of a broader fight for dignity and justice. Leonard's imprisonment represents the intersection of race, power and systemic bias, reminding us that the fight for justice is far from over.
Freedom for Leonard Peltier would mean more than his release - it would be a victory for all those who have fought for decades to correct this injustice. It would give him the opportunity to pursue his innocence, to tell his story, and to expose the system that failed him. For Native communities, it would symbolize a step toward healing and reconciliation. For the rest of us, it would affirm that even in the face of overwhelming odds, justice can prevail.
Leonard's commutation would not mark the end of his journey, but it would offer him the chance to reclaim his life and legacy. It would show that the power of advocacy, resilience and collective action can overcome even the most entrenched injustices. For me, and for so many others, Leonard's freedom would be a testament to the possibility of change and the enduring importance of fighting for what is right.
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A call to action
The continued imprisonment of Leonard Peltier is an undeniable failure of justice, and the time to correct this injustice is running out. At 80 years old, Leonard has spent nearly five decades behind bars, enduring a punishment that was neither intended nor authorized by the judicial system. His case is not just about one man's freedom - it is a test of our collective commitment to fairness, accountability and the rule of law.
President Biden has the power to act. By commuting Leonard Peltier's sentence, he can bring an end to this unauthorized quasi-execution and allow Peltier the freedom to pursue his innocence and spend his remaining years with his family. Clemency in this case is not an act of mercy - it is a legal and moral imperative. It is a step toward rectifying a grave injustice that has persisted for nearly half a century.
This is also a moment of reckoning for the Democratic Party. The 2024 election made it clear that symbolic gestures are no longer enough to inspire trust or loyalty from marginalized communities. Tangible action is required. Commuting Peltier's sentence is an opportunity for Democrats to demonstrate that they stand with their core constituencies, that they are willing to back up their promises of justice and equity with real deliverables.
But action cannot come from leadership alone - it must be demanded by the people. I urge every reader to contact their representatives, write to the White House and amplify Leonard Peltier's story. Use your voice to insist that President Biden do what is right before his term ends. This is not just about Leonard - it is about holding our justice system accountable and ensuring that no one else suffers under its unchecked abuses.
Leonard Peltier's commutation would be a victory for justice, but it would also be a challenge to all of us to continue the fight for reform. His release would show that even after decades of injustice, change is possible. Let us seize this moment to push for fairness, humanity and accountability - not just for Leonard but for all those still trapped in a system that prioritizes punishment over justice.
This is our chance to act. This is our chance to demand justice. Let us not allow this moment to slip away.

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Benjamin Moser, Sontag. Una vita, Rizzoli, Milano 2023, 2024, pp. 704 (+ 32 pp. di inserto fotografico), euro 19.
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Riletture
- Angela Davis, La rivolta nera, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 344.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5416 del 16 dicembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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