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[Nonviolenza] Telegrammi. 5316
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 5316
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Fri, 6 Sep 2024 15:34:21 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5316 del 7 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Sembra
2. Alcune pubblicazioni di Ward Churchill
3. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
4. Jean-Marie Muller: Violenza e nonviolenza nella storia secondo Eric Weil
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. L'ORA. SEMBRA
Sembra di trovarsi sulla scena del Tamerlano di Marlowe.
E invece e' la storia, la politica, i poteri, il costume, l'ideologia totalitaria e la prassi dominante di oggidi' in tutto il gran supermercato del mondo.
Sembra che l'umanita' si sia arresa all'orrore, alle stragi renda omaggio, i piu' nefandi crimini elegga a modello e virtu', specula principis.
Magno cum gaudio si eseguono massacri, ai massacri s'inneggia, ci si gloria di ordinarli e perpetrarli, ci si nutre di carni umane, ci s'inebria di secchi di sangue.
Le vittime non muovono a pieta' ma a scherno, il diluvio vermiglio offusca la visione, il frastuono delle armi e le fanfare rende sordi alle grida di dolore, dalle cattedre dai troni dai seggi dai talk-show invece che parole le labbra eruttano serpenti, serpenti versano nel cuore di chi ascolta. E peste, e paralisi.
*
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Solo l'insurrezione nonviolenta dei popoli puo' salvare l'umanita'.
Salvare le vite e' la politica necessaria.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Rispetto per la vita: e' il nome con cui Schweitzer chiama la nonviolenza, e' l'appello con cui chiama l'umanita' alla lotta, a difendere l'umanita' di ogni persona e di tutte.
Rispetto per la vita: senza del quale diventiamo tutti mostri, draghi, piaghe, abissi, un infinito male, un infinito niente.
2. MATERIALI. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI WARD CHURCHILL
- Ward Churchill, Acts of Rebellion, New York and London 2003, pp. XX + 484.
- Ward Churchill, A Little Matter of Genocide, City Lights Books, San Francisco 1998, pp. XX + 532.
- Ward Churchill, Fantasies of the Master Race: Literature, Cinema, and the Colonization of American Indians, Common Courage Press, 1992, City Lights Books, San Francisco, Ca, 1998, 2001 e successive ristampe, pp. XX + 262.
- Ward Churchill, From a Native Son: Selected Essays on Indigenism 1985–1995, South End Press, Cambridge MA 1996, pp. XX + 588.
- Ward Churchill, Kill the Indian, save the Man. The Genocidal Impact of American Indian Residential Schools, City Light Books, San Francisco 2004, pp. LII + 160.
- Ward Churchill, On the Justice of Roosting Chickens: Reflections on the Consequences of U.S. Imperial Arrogance and Criminality, AK Press, Oakland-Edinburgh s.d. ma 2003, pp. VIII + 312.
- Ward Churchill, Perversions of justice. Indigenous peoples and angloamerican law, City Lights Books, San Francisco 2003, pp. XXII + 466.
- Ward Churchill, Since Predator Came: Notes from the Struggle for American Indian Liberation, Aigis Publishing, 1995, AK Press, Oakland 2005, pp. VIII + 426.
- Ward Churchill, Struggle for the Land: Native North American Resistance to Genocide, Ecocide and Colonization, City Lights Books, San Francisco 2002, pp. 460.
- Ward Churchill, Wielding Words like Weapons. Selected Essays in Indigenism, 1995–2005, PM Press, Oakland 2017, pp. XIV + 572.
- Ward Churchill and Michael Ryan, Pacifism as Pathology, 1986, 1998, third edition, revised and expanded, PM Press, Oakland 2017, pp. 192.
- Ward Churchill & Jim Vander Wall, Agents of Repression: The FBI's Secret Wars Against the Black Panther Party and the American Indian Movement, South End Press, Boulder, Colorado, 1988, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022, pp. XIV + XXVI + 510.
- Ward Churchill & Jim Vander Wall, The COINTELPRO Papers: Documents from the FBI's Secret Wars Against Dissent in the United States, South End Press, Boulder, Colorado, 1990, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022, pp. LXXXVIII + 468.
3. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER
Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
*
Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
*
Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.
4. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: VIOLENZA E NONVIOLENZA NELLA STORIA SECONDO ERIC WEIL
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riproponiamo il capitolo undicesimo: "Violenza e nonviolenza nella storia secondo Eric Weil" (pp. 211-224). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]
L'uomo tra ragione e violenza
Gli scritti filosofici di Eric Weil (1) sono unanimemente considerati come "una delle opere magistrali di questo tempo" (2). Cio' che caratterizza l'opera filosofica di E'ric Weil e' l'essere interamente fondata su una riflessione su violenza e nonviolenza. E' dunque particolarmente interessante per il nostro discorso esplorare quest'opera sforzandoci di esporne tutte le implicazioni.
Vorremmo leggere Eric Weil come lui stesso spiega che ha voluto leggere Kant (PK, p. 9-10). Percio' cercheremo, in un primo tempo, di restare il piu' possibile vicini al suo testo, "di non fargli violenza", di tentare di comprendere il suo discorso mostrandone la coerenza. Ma, dopo questo sforzo di esposizione e di comprensione, cercheremo di fare opera di apprezzamento e valutazione, cioe' di giudizio e di critica. Infatti, "la volonta' di fedelta' al pensiero, ad ogni pensiero di un autore, non esclude affatto la critica o l'opposizione". Si tratta di stabilire un dialogo, una discussione, con l'autore insieme al quale si cammina. Allora e' legittimo mostrare questa o quella insufficienza, imprecisione o equivoco nel pensiero del proprio interlocutore ed esprimere questo o quel disaccordo con lui. Oltretutto, questo e' inevitabile.
Tra tutte le definizioni dell'uomo che sono state date, Eric Weil adotta quella piu' usata: "l'uomo come animale dotato di ragione e di linguaggio, piu' esattamente di linguaggio razionale" (LP, p. 3). Certo, l'uomo non si esprime e non si comporta spontaneamente in conformita' alle esigenze della ragione, ma deve sforzarsi di conformarvisi per diventare pienamente un uomo. E' questo impegno dell'uomo per pensare, per parlare e per vivere ragionevolmente che caratterizza la filosofia. Ma nello stesso momento che l'uomo-filosofo decide di optare per la ragione, egli prende coscienza di cio' che in lui gli impedisce di diventare ragionevole. Il filosofo ha paura, non dei pericoli esteriori, neppure della morte, "egli ha paura di cio' che non e' ragione in lui" (LP, p. 19), ha "paura della violenza" (LP, p. 20). Questa violenza che l'uomo filosofo scopre in se stesso, e che lo porta verso un atteggiamento ir-ragionevole, ostacola la realizzazione della sua umanita'. Questa violenza che e' in lui, e' cio' che "non e' in accordo con cio' che costituisce l'umanita' in lui" (LP, p. 47). Il filosofo teme dunque la violenza perche' "e' la violenza che gli impedira' di diventare o di essere saggio" (LP, p. 20).
Cosi', l'apprendista filosofo, nel momento stesso in cui vuole diventare ragionevole, scopre di essere un uomo di bisogni, di interessi, di desideri, di passioni che, come tale, e' naturalmente portato alla violenza contro i suoi simili. Ma l'uomo non puo' scoprirsi come violenza se non perche' egli e' anche un essere dotato di ragione. La violenza non si comprende che nella ri-flessione, cioe' dopo che l'uomo ha fatto un passo indietro sulla propria violenza. Egli non scopre e non comprende la violenza in se stesso, nella societa' e nella storia, se non perche' "ha gia' l'idea della nonviolenza" (PM, p. 20). L'uomo e' violento, ma non comprende di essere violento se non perche' porta in se' l'esigenza di nonviolenza, che e' l'esigenza stessa della ragione. "La ragione – scrive Eric Weil – e' una possibilita' dell'uomo. (...) Ma non e' che una possibilita', non e' una necessita', ed e' la possibilita' di un essere che possiede un'altra possibilita'. Noi sappiamo che quest'altra possibilita' e' la violenza" (LP, p. 57). Ma la violenza non e' soltanto l'altra possibilita' dell'uomo, essa e' "la possibilita' realizzata in primo luogo" (LP, p. 69).
*
L'opzione per la nonviolenza
L'uomo e' dunque capace di ragione e di violenza, e deve scegliere tra queste due possibilita': "La liberta' sceglie tra la ragione e la violenza" (PM, p. 47). Ma l'esigenza filosofica – che incontra qui l'esigenza morale – conduce l'uomo a optare per la ragione contro la violenza. "La violenza sentita violentemente in noi stessi – afferma categoricamente Eric Weil – deve essere scartata una volta per tutte" (LP, p. 75). Ecco dunque "il segreto della filosofia": "Il filosofo vuole che la violenza scompaia dal mondo. Egli riconosce il bisogno, ammette il desiderio, consente che l'uomo resta animale pur essendo ragionevole: cio' che importa e' eliminare la violenza" (LP, p. 20). Dunque, il filosofo puo' enunciare – per se stesso ma anche per gli altri – la massima morale che deve determinare l'atteggiamento dell'uomo in tutte le circostanze: "E' legittimo desiderare cio' che riduce la quantita' di violenza che entra nella vita dell'uomo; e' illegittimo desiderare cio' che l'aumenta" (LP, p. 20).
Poiche' la ragione e' costitutiva dell'umanita' stessa dell'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini, "e' il dovere principale (dell'uomo morale) rispettare in ogni essere umano la ragione, e rispettarla in se stesso rispettandola negli altri" (PP, p. 31). E cio' significa anzitutto che egli deve proibirsi di fare violenza a chiunque. "Egli non puo' dimenticare (...) che non ha il diritto di volere certe conseguenze (dei suoi atti), per esempio quelle che trasformerebbero altri uomini in cose" (ibidem).
L'uomo che ha optato per la ragione, poiche' vuole che la coerenza del suo discorso informi e trasformi la sua vita, sottomette le sue decisioni al "criterio dell'universalita'" (PM, p. 52): "Ciascuno deve comportarsi in modo tale che il suo modo di agire, la maniera delle sue decisioni, possano essere pensati come modo di agire di ciascuno e di tutti, in altre parole che siano tali da poter essere universalizzati" (PR, p. 269). Ora, la "contraddizione primaria", che distrugge ogni coerenza del discorso e della vita, e' "quella tra violenza e universalita'" (PM, p. 53). Per questo l'uomo non puo' procedere verso l'universalita' se non scegliendo la nonviolenza: "essa e' l'universale" (LP, p. 64).
La violenza, tuttavia, rimane sempre un'altra possibilita' dell'uomo che ha scelto la ragione, l'universale, e dunque la nonviolenza. Cosi', il filosofo non avra' mai finito di trasformarsi lui stesso in-formandosi con la ragione. E, soprattutto, l'uomo sceglie la ragione in un mondo nel quale altri uomini hanno scelto la violenza. Il filosofo deve dunque anche sforzarsi di educare gli altri alla ragione e di trasformare il mondo al fine di mettere un limite – quanto piu' possibile – al regno della violenza. E' per questo che "la nonviolenza e' tanto il punto di partenza quanto lo scopo finale della filosofia" (LP, p. 59).
*
Il confronto con gli altri
L'uomo-filosofo non e' un essere solitario; appartiene ad una comunita' storica ed e' dunque condotto a confrontare il suo discorso con quello degli altri. Egli non e' sicuro che questo confronto si faccia senza alcuna violenza. Colui che ha scelto il discorso ragionevole contro la violenza puo' imbattersi nella "violenza dell'uomo che non accetta il discorso di un altro uomo e che cerca soddisfazione lottando per il suo proprio discorso, che vuole unico non solamente per lui, ma per tutti, e che tenta di rendere realmente unico con la soppressione reale di tutti quelli che hanno altri discorsi" (LP, p. 57). Il dialogo puo' dunque rivelarsi impossibile e cede allora il posto alla lotta violenta. Ma questa si fara' "contro la volonta' degli uomini che hanno per principio fondamentale comune quello della discussione nonviolenta – volonta' abbastanza forte per permettere loro, spesso, di stabilire un accordo sul soggetto del loro disaccordo, cosi' neutralizzato" (PM, p. 45-46).
Cosi' il dialogo e', si', il "luogo della nonviolenza" (LP, p. 24), ma l'uomo ragionevole ne scopre presto lui stesso i limiti. "Il dialogo mente se afferma di potere eliminare la violenza" (PR, p. 280). La discussione, cioe' "il confronto nonviolento degli opposti" (PM, p. 43), non e' possibile che tra quelli che Eric Weil chiama i "veri uomini" (LP, p. 25), cioe' quelli che hanno optato per il discorso ragionevole. Certo, anche in seno alla comunita' dei "veri uomini", la violenza resta sempre possibile, ma colui che la impiega se ne esclude da solo. cosi', la prima constatazione a cui i "veri uomini" arrivano "e' quella della inammissibilita' della violenza tra di loro» (LP, p. 26).
Tuttavia – sottolinea Eric Weil – i "veri uomini" non hanno escluso la violenza in modo assoluto. Al contrario, essa sembra loro necessaria, da una parte per neutralizzare e mettere in condizioni di non nuocere gli uomini irragionevoli che, all'interno della loro stessa comunita', rifiutano il dialogo e scelgono la violenza e, d'altra parte, per combattere e vincere i barbari esterni che, ad ogni momento, possono venire ad aggredirli. Per difendersi contro questa doppia minaccia, la comunita' dei veri uomini "si e' data una costituzione politica e militare" (LP, p. 25).
In effetti, ogni comunita' storica deve organizzarsi per poter costringere gli individui e i gruppi che "rifiutano di sottomettersi alla ragione" (PP, p. 132). Questa organizzazione costituisce lo Stato. Per costringere gli individui e i gruppi che non sentono ragioni e che attentano alla pace sociale e turbano l'ordine pubblico, per metterli in condizioni di non nuocere, lo Stato e' condotto a fare uso della violenza. Eric Weil riprende per conto suo la definizione piu' diffusa dello Stato moderno, secondo la quale esso e' caratterizzato dal fatto che "detiene il monopolio dell'impiego della violenza" (PP, p. 142). Cosi', in una societa' moderna, "nessuno puo' essere costretto, in qualsiasi campo, se non dallo Stato" (PP, p. 142).
Cio' che giustifica la violenza dello Stato e' la necessita' di ricondurre alla ragione gli individui che ricorrono alla violenza nel loro particolare interesse e per soddisfare i propri desideri. "Il primo crimine, il crimine fondamentale nello Stato moderno e' costituito dall'impiego della violenza (anche indiretta) da parte di un individuo a titolo individuale" (PP, p. 142). Lo Stato considera sempre l'individuo come un essere virtualmente violento che, in qualunque momento, puo' diventarlo effettivamente.
Perche' l'azione dello Stato non diventi essa stessa arbitraria, e' importante che sia decisa nel rispetto della legge. Eric Weil completa dunque la prima definizione che ha dato dello Stato moderno precisando che la sua caratteristica essenziale e' di essere uno "Stato di diritto", cioe' che la sua azione, cosi' come l'azione di ogni cittadino, "e' regolata dalle leggi" (PP, p. 143). Cosi', "lo Stato (...) per mezzo della legge regola l'impiego della violenza" (idem). La funzione dello Stato e' dunque di costringere l'individuo, obbligandolo ad obbedire alla legge, a tenere un comportamento ragionevole, e' la funzione di educare l'uomo alla ragione. Per cio' stesso, lo Stato assicura e garantisce la sicurezza degli individui ragionevoli proteggendoli contro la violenza di quelli che ragionevoli non sono.
Certo, Eric Weil ha coscienza che ogni Stato, malgrado tutte le garanzie elaborate teoricamente dalla legge e dalla costituzione, puo' trasformarsi in uno "strumento di oppressione" (PP, p. 132). "Chi pensa (...) – egli scrive – non ignora che ogni Stato e' formato da esseri violenti, che ogni gruppo di governo e' fatto di individui con delle passioni e che, di conseguenza, ogni Stato corre sempre il pericolo di tradire il suo concetto, quel concetto che lo giustifica" e che allora la costrizione che esso esercita diventa una "costrizione ingiusta" (PP, p. 261). Ma il filosofo non puo' fare altro che assumere questo rischio facendo tutto cio' che e' in suo potere per superarlo perche', in definitiva, "egli sa che l'esistenza dell'individuo ragionevole, che giustifica lo Stato, non e' possibile e non puo' durare se non nello Stato ragionevole" (idem).
*
La necessita' della contro-violenza
Cosi', paradossalmente, la filosofia, che e' essenzialmente rifiuto della violenza, non rifiuta la violenza in modo assoluto. Essa stessa – concede Eric Weil - "raccomanda l'impiego della violenza, perche' e' portata a constatare di dovere erigersi contro la violenza" (LP, p. 58). "Ma – precisa subito – questa violenza non e' allora altro che il mezzo necessario (tecnicamente necessario in un mondo che e' ancora sotto la legge della violenza) per creare una condizione di nonviolenza" (LP, p. 58-59).
L'uomo che ha optato per la ragione e per la nonviolenza deve dunque far fronte alla violenza che sorge nella storia e non puo' non entrare nel campo dell'azione politica per lavorare all'avvento di un mondo nel quale la ragione e la nonviolenza prevarranno nei rapporti umani. "E' in rapporto alla storia che l'opzione per la nonviolenza prende il suo senso concreto" (EC II, p. 214). Ma qui Eric Weil afferma con insistenza che, per arrivare a questo scopo, i mezzi della ragione e della nonviolenza si rivelano radicalmente insufficienti. "La violenza, in se stessa, e' la negazione di ogni senso, e' l'assurdo allo stato puro; ma si cadra' nei conflitti esteriori piu' violenti (e piu' evitabili) se si e' convinti che basti parlare di nonviolenza e di vita buona nella societa'" (PP, p. 233). Dal momento che l'uomo irragionevole non si lascia convincere dagli argomenti della ragione, bisogna bene costringerlo con quelli della violenza. Scrive Eric Weil: "Se fosse un procedimento sufficiente per farli diventare ragionevoli proporre agli uomini la ragione, invece di imporgliela, la violenza da lungo tempo non regnerebbe piu' tra noi" (PP, p. 21). L'uomo ragionevole non puo' contare sulla "forza del bene" per combattere la violenza dei malvagi: "Sul piano della realta' e della realizzazione, il bene non ha forza, perche' tutta la forza si trova dal lato del male" (PP, p. 45).
Secondo Eric Weil, "nessun altro procedimento che la persuasione sarebbe permesso a chi non volesse sacrificare la purezza della sua volonta' all'utilita' come la si intende nella vita di tutti i giorni" (PP, p. 21). Ma, dal momento che i mezzi della persuasione, come sono messi in opera nella discussione, si rivelano inoperanti per convincere quelli che hanno scelto la violenza contro la ragione, l'uomo ragionevole, se vuole effettivamente assumere le sue responsabilita' nella storia, e' obbligato a impiegare i mezzi della violenza per costringere costoro. Per Eric Weil, di fronte alla violenza degli uomini irragionevoli, non c'e' altra alternativa che quella che esiste tra, da una parte, il fallimento dei mezzi della nonviolenza (che conduce a un fallimento della nonviolenza nella storia) e, d'altra parte, il successo dei mezzi della violenza (che permette, o almeno preserva, il successo della nonviolenza nella storia).
*
Essere saggio nel mondo
Dunque, l'uomo che volesse fondare il suo atteggiamento nel mondo sui soli principi della morale pura verrebbe, proprio per conservare la purezza della sua volonta', a rifiutare ogni azione. "Senza dubbio – nota Eric Weil – e' possibile respingere ogni violenza; ma chi prende questa decisione, e la prende seriamente, esce per cio' stesso dal campo della politica; egli potra' arrivare alla santita', ma non agira' piu'" (PP, p. 232). Ma, non agendo piu', egli abbandona il mondo all'azione dei violenti. L'uomo morale deve dunque rifiutare di cedere alla "tentazione di riposarsi nel conforto di una coscienza morale pura, ma puramente negativa" (PP, p. 18).
Del resto, questo riposo sara' probabilmente presto turbato, perche' l'uomo dalla morale pura rischia fortemente di essere lui stesso vittima della violenza degli uomini irragionevoli. Egli puo', a quel punto, "accettare di fare il sacrificio della propria vita per non essere violento lui stesso" (PR, p. 273), ma, in questo caso, egli dovra' "accettare anche, secondo il principio di universalizzazione della sua massima, il sacrificio della sopravvivenza di ogni essere morale e cosi' della morale stessa" (idem). L'uomo morale ha dunque il dovere di difendere la sua vita per potere continuare a difendere la morale. Cosi', Eric Weil arriva a enunciare questo formidabile paradosso: "Il difensore della morale" puo' essere ridotto "all'impiego della violenza in vista di difendere la possibilita' della nonviolenza nella propria persona" (PM, p. 39). Eric Weil riconosce tuttavia che "possono presentarsi delle situazioni (...) in cui la morte volontariamente accettata, a volte anche cercata, puo' essere voluta come il solo mezzo per far penetrare la nuova morale concreta nella coscienza dei contemporanei e delle generazioni future" (PM, p. 117).
E' dunque nel mondo che l'uomo-filosofo deve vivere la saggezza alla quale aspira. "Non si tratta di morire al mondo, di distaccarsene, di ritirarsene, non si tratta di essere saggio fuori del mondo, o a lato del mondo, ma nel mondo" (LP, p. 438). Cio' che la filosofia indica e' la via della "saggezza pratica", questa "facolta' dell'uomo di discernere, grazie all'esperienza e alla riflessione, cio' che conduce al risultato voluto" (PM, p. 191). Senza dubbio, se una tale saggezza e' solamente pratica, essa puo' ispirare e dirigere anche il comportamento e l'azione dell'uomo immorale e violento; da questo punto di vista, essa e' moralmente neutra. Ma, dal momento che l'individuo comprende che "la violenza costituisce il male per l'uomo e per gli uomini", "saggezza pratica e morale viva non possono essere separate: la volonta' di nonviolenza e' la guida di questa saggezza, che, senza di essa, non sarebbe che strumento di arbitrio" (PM, p. 191). Per discernere, nella situazione concreta in cui si trova, quale debba essere la sua condotta, l'uomo ragionevole deve dare prova di prudenza. "La prudenza e' questa saggezza pratica che determina l'esecuzione e conduce al successo le imprese dell'individuo morale" (PM, p. 126). Ma la prudenza non consiglia all'uomo ragionevole l'inazione, gli consiglia quale azione egli deve intraprendere.
L'uomo che ha optato per la ragione deve dunque agire al fine di incarnare la ragione nel mondo. "Anche la filosofia dell'uomo filosofo non arriva al suo scopo se non mediante l'azione. (...) La filosofia si realizza e si conclude nell'azione. (...) Ogni fuga e' proibita" (LP, p. 417-418). E, secondo Eric Weil, per essere efficace, l'azione, il piu' delle volte, ha il dovere di essere violenta. Egli non giudica ragionevole rifiutare assolutamente la violenza, perche' un tale atteggiamento non puo' avere altra conseguenza che rafforzare il potere della violenza sul mondo e consegnare il mondo alle forze della irrazionalita'. Dunque, "quando tutto e' stato detto, non ci sono altri mezzi per la ragione che quelli della violenza" (EC II, p. 217). In certi momenti, la violenza puo' essere "nobile e giusta" (PP, p. 233).
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La violenza come mezzo per realizzare la nonviolenza
Eric Weil, tuttavia, non dimentica che e' l'opzione per la nonviolenza che fonda l'atteggiamento dell'uomo ragionevole nel mondo. La nonviolenza non e' soltanto un'esigenza filosofica, e' anche un'esigenza politica. Essa non deve essere soltanto la preoccupazione del filosofo che riflette davanti alla storia, ma anche quella dell'uomo politico che agisce nella storia. "La nonviolenza nella storia e per mezzo della storia e' diventata ed e' concepita come lo scopo della storia. (...) Il progresso verso la nonviolenza definisce per la politica il senso della storia" (PP, p. 133). Ma e' precisamente per realizzare la nonviolenza nella storia che e' necessario – tecnicamente necessario – impiegare i mezzi della violenza. "La nonviolenza come opzione fondamentale e' fondamentale non altrimenti che in senso stretto: e' da essa come dal bene politico supremo che procede la riflessione, la quale non vi scopre il proprio scopo se non perche' da essa ha preso inizio. Tra i punti di partenza e di arrivo, la nonviolenza resta da realizzare, nel luogo della violenza, e dunque anche con l'impiego dei mezzi della violenza" (EC II, p. 410).
E' dunque al servizio della nonviolenza che bisogna impiegare la violenza. La nonviolenza come fine della storia giustifica la violenza come mezzo d'azione nella storia. "L'opzione per la nonviolenza non e' una opzione per il non-impiego della violenza; al contrario, l'opzione non ha senso se non si ammette che, nel mondo della violenza e contro la violenza, cosciente o no della sua natura, solo la violenza e' efficace nell'interesse della nonviolenza" (EC II, p. 409-410). Eric Weil e' dunque formale: i soli argomenti della violenza, che colpiscono, sono suscettibili di essere intesi dall'uomo violento ed essi soli, di conseguenza, possono far progredire la nonviolenza nella storia. "Lo storico impara a vedere questa evidenza, difficile da afferrare, che la volonta' di nonviolenza, a meno di rifiutare la storia e di accettare la violenza e la morte, deve lottare contro la violenza per mezzo della violenza, unico "argomento" comprensibile ai violenti" (EC II, p. 252). Altrove, Eric Weil scrive nello stesso senso: "La violenza esiste tra noi, e la nonviolenza, se non vuole abbandonare il campo alla violenza, e' proprio obbligata ad usare i soli mezzi che il suo avversario riconosce" (EC I, p. 171).
L'uomo politico, che porta la responsabilita' dell'avvenire della comunita', non sa che farsene delle lezioni di morale di coloro che gli predicano la nonviolenza. "Se vuole riuscire sara' proprio obbligato ad usare i mezzi, i soli mezzi ai quali i violenti sono sensibili, che sono i loro mezzi. Quando si porta il peso della politica, non si combattono i violenti da una posizione di rifiuto di ogni violenza" (EC I, p. 165).
Secondo Eric Weil, "la violenza e' stata, ed e' ancora, la causa motrice della storia", benche' l'eliminazione della violenza ne sia la "causa finale" (PP, p. 232). Cosi', riguardo alla storia, e dunque anche allo storico e, per conseguenza, al filosofo, la violenza, benche' considerata in se stessa sia negativa, ha svolto e svolge ancora un ruolo positivo per l'avvento della liberta' nel mondo. La violenza deve essere "compresa in cio' che essa e' positivamente, cioe' l'energia senza la quale non ci sarebbe movimento; pur essendo in ogni suo punto solo negativita', essa e', nella sua totalita', la positivita' dell'Essere che si riconosce ragionevolmente come liberta'" (LP, p. 55).
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Il fine giustifica i mezzi
Per Eric Weil, dunque, non c'e' alcun dubbio che "e' il fine che giustifica i mezzi" (EC I, p. 169). Anzi, egli si meraviglia che questo principio abbia una cattiva reputazione e che scandalizzi gli uomini morali. "Ora, questo principio non soltanto e' vero, ma non fa che enunciare un truismo. Infatti, come sarebbe giustificato un mezzo se non dal suo fine?" (EC II, p. 209). Certo, i mezzi della violenza contraddicono l'esigenza morale di nonviolenza; considerati in se stessi sono immorali e dunque cattivi, ma sono necessari dal momento che essi soli permettono di lottare efficacemente contro la violenza dei malvagi.
Tuttavia, Eric Weil non ignora che questo principio secondo il quale il fine giustifica i mezzi comporta il pericolo che qualunque mezzo sia giustificato da qualunque fine. "Troppo spesso – egli osserva – le promesse piu' nobili, che meritano che ogni uomo collabori alla loro realizzazione, non servono che da paravento alla pigrizia morale, agli istinti piu' bassi, alla vilta', alla freddezza di cuore: lo scopo giustifica allora qualunque mezzo, semplicemente perche' l'invocazione dello scopo deve far tacere ogni obiezione, ogni discussione, sul valore morale e sulla adeguatezza tecnica dei procedimenti" (PM, p. 67). Eric Weil e' dunque cosciente del rischio che questo principio, benche' vero, apra la via all'arbitrio. "Se la politica – egli si chiede – ha il diritto di usare la violenza e l'inganno, non le stiamo accordando il diritto all'arbitrio? (...) Non ci esponiamo forse ai rischi piu' gravi, una volta che ammettiamo la violenza e la menzogna?" (EC II, p. 167). "Come evitare – chiede ancora Eric Weil – che, coscientemente o no (l'incoscienza non e' una scusa), noi ci facciamo partigiani di una violenza che non e' al servizio della ragione, che non lotta contro la violenza privata, arbitraria, egoista, quella che non mira all'universale?" (EC II, p. 168). Chi, in effetti, non proclama che la sua causa e' giusta e che la sua lotta e' quella del bene contro il male, della verita' contro l'errore? "Una volta introdotta la violenza nella vita politica, da qualunque parte essa sia stata invocata per la prima volta, e' poi estremamente difficile rimandarla nell'arsenale delle armi disponibili, ma di cui non ci si serve" (EC II, p. 383). Cosi' pure, pur affermando la verita' di quel principio, Eric Weil non nasconde la sua inquietudine davanti all'utilizzazione che puo' esserne fatta. "Non c'e' nessun bisogno – egli scrive – di cercare degli esempi per provare che, piu' d'una volta nella storia, il pericolo inerente a quel principio e' stato trasformato in catastrofe" (EC I, p. 169).
Il maggiore pericolo e' che si dimentichi che i mezzi della violenza sono soltanto necessari e che non diventano per cio' stesso buoni. "(L'uomo politico) – scrive Eric Weil – non deve mai dimenticare che questi mezzi sono pericolosi, non soltanto perche' possono alimentare le tensioni, i conflitti, le passioni tra le nazioni e i gruppi, ma ugualmente, e soprattutto, perche', proprio la' dove riescono, essi possono essere considerati, e spesso lo sono, come delle azioni ammirevoli in se stesse" (EC I, p. 171-172). Eric Weil ricusa con forza gli storici, i filosofi e i capi politici che predicano "l'evangelo della violenza", perche', "contro di loro la morale astratta (...) ha semplicemente ragione" (EC II, p. 252).
Eric Weil non dimentica neppure che gli uomini che avranno l'incarico di eseguire la decisione del politico di ricorrere ai mezzi violenti dovranno soffrire essi stessi l'effetto dei mezzi cattivi che mettono in opera. "La violenza, per quanto sembri necessario il suo impiego nell'immediato, spinge i cittadini verso degli atti e delle abitudini contrarie alla razionalita'" e "essi ricevono cosi' una specie di contro-educazione" (PP, p. 238). Dunque, l'uomo morale sara' tentato di rifiutare di riconoscere la necessita' di questi mezzi immorali per conservare in pace la sua coscienza. Ma Eric Weil non cessa di considerare questa astensione dell'uomo morale come una fuga davanti alle sue responsabilita'. Il vero obbligo morale non e' di fuggire questa necessita', ma di assumerla sforzandosi di vincerla. Per questo, mentre riconosce la necessita' politica di usare i mezzi cattivi della violenza, Eric Weil afferma che la loro unica vera giustificazione e' il preparare una societa' in cui questi mezzi non saranno piu' necessari. "I mezzi cattivi sono imposti (all'uomo politico) dai cattivi. Ma positivamente – ecco cio' che e' decisivo – il suo scopo resta quello di rendere l'impiego di questi mezzi superfluo e realmente cattivo, cioe' tecnicamente inoperante, tecnicamente ingiustificato" (EC I, p. 170). "Se (l'uomo di Stato) – insiste ancora Eric Weil – deve lottare col male contro il male, tocca a lui dimostrare e far sentire che vi e' stato costretto e che ha obbedito alla necessita', all'unico scopo di eliminare questa stessa necessita'" (EC I, p. 172).
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Superare la necessita' della violenza
Cosi' Eric Weil riafferma, in definitiva, che si tratta proprio di realizzare la nonviolenza nella storia superando e oltrepassando la necessita' di ricorrere, per questo scopo, alla violenza. Del resto, egli pensa che l'umanita' ha gia' realizzato dei progressi considerevoli in questo senso. "Il semplice fatto che noi siamo arrivati a considerare la violenza aperta o camuffata come un male, ne e' la prova, mentre, per millenni, l'umanita' ammirava sinceramente il forte e l'astuto" (EC I, p. 170). Eric Weil e' persuaso che la violenza ha effettivamente fatto progredire la nonviolenza nella storia. "Non esiste – egli afferma – nessuna contraddizione storica assoluta tra violenza e nonviolenza: nella misura (grande in confronto al passato) in cui la nonviolenza esiste nel mondo di oggi, essa proviene dalla violenza e ne rimane lo scopo" (PP, p. 233).
Soprattutto, Eric Weil pensa che l'umanita' oggi e' arrivata a una fase della sua evoluzione in cui le e' divenuto possibile compiere una tappa decisiva verso il compimento di quella evoluzione nella nonviolenza: "D'ora in poi, l'umanita' puo' volere coscientemente cio' che essa ha perseguito nella maniera piu' inconsapevole. Essa puo' pensare la nonviolenza e l'onesta' e puo' agire in vista della loro realizzazione sempre piu' completa" (EC I, p. 171). D'ora in poi, la nonviolenza puo' sempre piu' sostituire la violenza nel realizzare il senso della storia. "Si tratta d'ora in avanti di realizzare un mondo in cui la morale possa vivere con la nonviolenza, un mondo nel quale la nonviolenza non sia semplice assenza di senso, di quel senso che la violenza cercava nella storia senza sapere cio' che cercava, di quel senso che la violenza ha creato violentemente, e che continua a cercare con dei mezzi violenti. Il compito e' costruire un mondo nel quale la nonviolenza sia reale, senza che sia soppressione tanto del non-senso della violenza, quanto di ogni senso positivo della vita degli uomini" (PP, p. 234). Eric Weil arriva a pensare che la societa' possa oggi intravedere la realizzazione dell'ideale che da sempre le ha assegnato l'uomo che ha optato per la ragione e dunque per la nonviolenza: "Il diritto della societa' moderna tendera' sempre a ridurre il ruolo dei fattori storici, per arrivare, come ideale, a un sistema puramente razionale, che regoli i rapporti tra gli individui in modo tale che ogni violenza ne sia esclusa" (PP, p. 83).
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Note
1. Abbreviazioni delle opere di Eric Weil: EC I: Essais et conferences, tome 1, Philosophie, Vrin, Paris, 1991; EC II: Essais et conferences, tome 2, Politique, Vrin, Paris, 1991; LP: Logique de la philosophie, Vrin, Paris, 1974; PK: Problemes kantiens, Vrin, Paris, 1990; PM: Philosophie morale, Vrin, Paris, 1992; PP: Philosophie politique, Vrin, Paris, 1984; PR: Philosophie et realite', Derniers essais et conferences, Vrin, Paris, 1982. Traduzioni italiane: Logica della filosofia, traduzione e cura di Livio Sichirollo, Il Mulino, Bologna 1997; Problemi kantiani, traduzione di Pasquale Venditti, Quattro Venti, Urbino 1980; Filosofia politica, traduzione di L. Battaglia Cofrancesco, Guanda, Napoli 1973.
2. Jean Lacroix, "Raison et histoire selon Eric Weil", in Panorama de la philosophie contemporaine, Paris, PUF, 1968, p. 83.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Andrea Zanzotto, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2011, pp. CXII + 1200.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5316 del 7 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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Numero 5316 del 7 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Sembra
2. Alcune pubblicazioni di Ward Churchill
3. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
4. Jean-Marie Muller: Violenza e nonviolenza nella storia secondo Eric Weil
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'
1. L'ORA. SEMBRA
Sembra di trovarsi sulla scena del Tamerlano di Marlowe.
E invece e' la storia, la politica, i poteri, il costume, l'ideologia totalitaria e la prassi dominante di oggidi' in tutto il gran supermercato del mondo.
Sembra che l'umanita' si sia arresa all'orrore, alle stragi renda omaggio, i piu' nefandi crimini elegga a modello e virtu', specula principis.
Magno cum gaudio si eseguono massacri, ai massacri s'inneggia, ci si gloria di ordinarli e perpetrarli, ci si nutre di carni umane, ci s'inebria di secchi di sangue.
Le vittime non muovono a pieta' ma a scherno, il diluvio vermiglio offusca la visione, il frastuono delle armi e le fanfare rende sordi alle grida di dolore, dalle cattedre dai troni dai seggi dai talk-show invece che parole le labbra eruttano serpenti, serpenti versano nel cuore di chi ascolta. E peste, e paralisi.
*
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Solo l'insurrezione nonviolenta dei popoli puo' salvare l'umanita'.
Salvare le vite e' la politica necessaria.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Rispetto per la vita: e' il nome con cui Schweitzer chiama la nonviolenza, e' l'appello con cui chiama l'umanita' alla lotta, a difendere l'umanita' di ogni persona e di tutte.
Rispetto per la vita: senza del quale diventiamo tutti mostri, draghi, piaghe, abissi, un infinito male, un infinito niente.
2. MATERIALI. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI WARD CHURCHILL
- Ward Churchill, Acts of Rebellion, New York and London 2003, pp. XX + 484.
- Ward Churchill, A Little Matter of Genocide, City Lights Books, San Francisco 1998, pp. XX + 532.
- Ward Churchill, Fantasies of the Master Race: Literature, Cinema, and the Colonization of American Indians, Common Courage Press, 1992, City Lights Books, San Francisco, Ca, 1998, 2001 e successive ristampe, pp. XX + 262.
- Ward Churchill, From a Native Son: Selected Essays on Indigenism 1985–1995, South End Press, Cambridge MA 1996, pp. XX + 588.
- Ward Churchill, Kill the Indian, save the Man. The Genocidal Impact of American Indian Residential Schools, City Light Books, San Francisco 2004, pp. LII + 160.
- Ward Churchill, On the Justice of Roosting Chickens: Reflections on the Consequences of U.S. Imperial Arrogance and Criminality, AK Press, Oakland-Edinburgh s.d. ma 2003, pp. VIII + 312.
- Ward Churchill, Perversions of justice. Indigenous peoples and angloamerican law, City Lights Books, San Francisco 2003, pp. XXII + 466.
- Ward Churchill, Since Predator Came: Notes from the Struggle for American Indian Liberation, Aigis Publishing, 1995, AK Press, Oakland 2005, pp. VIII + 426.
- Ward Churchill, Struggle for the Land: Native North American Resistance to Genocide, Ecocide and Colonization, City Lights Books, San Francisco 2002, pp. 460.
- Ward Churchill, Wielding Words like Weapons. Selected Essays in Indigenism, 1995–2005, PM Press, Oakland 2017, pp. XIV + 572.
- Ward Churchill and Michael Ryan, Pacifism as Pathology, 1986, 1998, third edition, revised and expanded, PM Press, Oakland 2017, pp. 192.
- Ward Churchill & Jim Vander Wall, Agents of Repression: The FBI's Secret Wars Against the Black Panther Party and the American Indian Movement, South End Press, Boulder, Colorado, 1988, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022, pp. XIV + XXVI + 510.
- Ward Churchill & Jim Vander Wall, The COINTELPRO Papers: Documents from the FBI's Secret Wars Against Dissent in the United States, South End Press, Boulder, Colorado, 1990, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022, pp. LXXXVIII + 468.
3. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER
Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
*
Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
*
Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.
4. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: VIOLENZA E NONVIOLENZA NELLA STORIA SECONDO ERIC WEIL
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riproponiamo il capitolo undicesimo: "Violenza e nonviolenza nella storia secondo Eric Weil" (pp. 211-224). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]
L'uomo tra ragione e violenza
Gli scritti filosofici di Eric Weil (1) sono unanimemente considerati come "una delle opere magistrali di questo tempo" (2). Cio' che caratterizza l'opera filosofica di E'ric Weil e' l'essere interamente fondata su una riflessione su violenza e nonviolenza. E' dunque particolarmente interessante per il nostro discorso esplorare quest'opera sforzandoci di esporne tutte le implicazioni.
Vorremmo leggere Eric Weil come lui stesso spiega che ha voluto leggere Kant (PK, p. 9-10). Percio' cercheremo, in un primo tempo, di restare il piu' possibile vicini al suo testo, "di non fargli violenza", di tentare di comprendere il suo discorso mostrandone la coerenza. Ma, dopo questo sforzo di esposizione e di comprensione, cercheremo di fare opera di apprezzamento e valutazione, cioe' di giudizio e di critica. Infatti, "la volonta' di fedelta' al pensiero, ad ogni pensiero di un autore, non esclude affatto la critica o l'opposizione". Si tratta di stabilire un dialogo, una discussione, con l'autore insieme al quale si cammina. Allora e' legittimo mostrare questa o quella insufficienza, imprecisione o equivoco nel pensiero del proprio interlocutore ed esprimere questo o quel disaccordo con lui. Oltretutto, questo e' inevitabile.
Tra tutte le definizioni dell'uomo che sono state date, Eric Weil adotta quella piu' usata: "l'uomo come animale dotato di ragione e di linguaggio, piu' esattamente di linguaggio razionale" (LP, p. 3). Certo, l'uomo non si esprime e non si comporta spontaneamente in conformita' alle esigenze della ragione, ma deve sforzarsi di conformarvisi per diventare pienamente un uomo. E' questo impegno dell'uomo per pensare, per parlare e per vivere ragionevolmente che caratterizza la filosofia. Ma nello stesso momento che l'uomo-filosofo decide di optare per la ragione, egli prende coscienza di cio' che in lui gli impedisce di diventare ragionevole. Il filosofo ha paura, non dei pericoli esteriori, neppure della morte, "egli ha paura di cio' che non e' ragione in lui" (LP, p. 19), ha "paura della violenza" (LP, p. 20). Questa violenza che l'uomo filosofo scopre in se stesso, e che lo porta verso un atteggiamento ir-ragionevole, ostacola la realizzazione della sua umanita'. Questa violenza che e' in lui, e' cio' che "non e' in accordo con cio' che costituisce l'umanita' in lui" (LP, p. 47). Il filosofo teme dunque la violenza perche' "e' la violenza che gli impedira' di diventare o di essere saggio" (LP, p. 20).
Cosi', l'apprendista filosofo, nel momento stesso in cui vuole diventare ragionevole, scopre di essere un uomo di bisogni, di interessi, di desideri, di passioni che, come tale, e' naturalmente portato alla violenza contro i suoi simili. Ma l'uomo non puo' scoprirsi come violenza se non perche' egli e' anche un essere dotato di ragione. La violenza non si comprende che nella ri-flessione, cioe' dopo che l'uomo ha fatto un passo indietro sulla propria violenza. Egli non scopre e non comprende la violenza in se stesso, nella societa' e nella storia, se non perche' "ha gia' l'idea della nonviolenza" (PM, p. 20). L'uomo e' violento, ma non comprende di essere violento se non perche' porta in se' l'esigenza di nonviolenza, che e' l'esigenza stessa della ragione. "La ragione – scrive Eric Weil – e' una possibilita' dell'uomo. (...) Ma non e' che una possibilita', non e' una necessita', ed e' la possibilita' di un essere che possiede un'altra possibilita'. Noi sappiamo che quest'altra possibilita' e' la violenza" (LP, p. 57). Ma la violenza non e' soltanto l'altra possibilita' dell'uomo, essa e' "la possibilita' realizzata in primo luogo" (LP, p. 69).
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L'opzione per la nonviolenza
L'uomo e' dunque capace di ragione e di violenza, e deve scegliere tra queste due possibilita': "La liberta' sceglie tra la ragione e la violenza" (PM, p. 47). Ma l'esigenza filosofica – che incontra qui l'esigenza morale – conduce l'uomo a optare per la ragione contro la violenza. "La violenza sentita violentemente in noi stessi – afferma categoricamente Eric Weil – deve essere scartata una volta per tutte" (LP, p. 75). Ecco dunque "il segreto della filosofia": "Il filosofo vuole che la violenza scompaia dal mondo. Egli riconosce il bisogno, ammette il desiderio, consente che l'uomo resta animale pur essendo ragionevole: cio' che importa e' eliminare la violenza" (LP, p. 20). Dunque, il filosofo puo' enunciare – per se stesso ma anche per gli altri – la massima morale che deve determinare l'atteggiamento dell'uomo in tutte le circostanze: "E' legittimo desiderare cio' che riduce la quantita' di violenza che entra nella vita dell'uomo; e' illegittimo desiderare cio' che l'aumenta" (LP, p. 20).
Poiche' la ragione e' costitutiva dell'umanita' stessa dell'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini, "e' il dovere principale (dell'uomo morale) rispettare in ogni essere umano la ragione, e rispettarla in se stesso rispettandola negli altri" (PP, p. 31). E cio' significa anzitutto che egli deve proibirsi di fare violenza a chiunque. "Egli non puo' dimenticare (...) che non ha il diritto di volere certe conseguenze (dei suoi atti), per esempio quelle che trasformerebbero altri uomini in cose" (ibidem).
L'uomo che ha optato per la ragione, poiche' vuole che la coerenza del suo discorso informi e trasformi la sua vita, sottomette le sue decisioni al "criterio dell'universalita'" (PM, p. 52): "Ciascuno deve comportarsi in modo tale che il suo modo di agire, la maniera delle sue decisioni, possano essere pensati come modo di agire di ciascuno e di tutti, in altre parole che siano tali da poter essere universalizzati" (PR, p. 269). Ora, la "contraddizione primaria", che distrugge ogni coerenza del discorso e della vita, e' "quella tra violenza e universalita'" (PM, p. 53). Per questo l'uomo non puo' procedere verso l'universalita' se non scegliendo la nonviolenza: "essa e' l'universale" (LP, p. 64).
La violenza, tuttavia, rimane sempre un'altra possibilita' dell'uomo che ha scelto la ragione, l'universale, e dunque la nonviolenza. Cosi', il filosofo non avra' mai finito di trasformarsi lui stesso in-formandosi con la ragione. E, soprattutto, l'uomo sceglie la ragione in un mondo nel quale altri uomini hanno scelto la violenza. Il filosofo deve dunque anche sforzarsi di educare gli altri alla ragione e di trasformare il mondo al fine di mettere un limite – quanto piu' possibile – al regno della violenza. E' per questo che "la nonviolenza e' tanto il punto di partenza quanto lo scopo finale della filosofia" (LP, p. 59).
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Il confronto con gli altri
L'uomo-filosofo non e' un essere solitario; appartiene ad una comunita' storica ed e' dunque condotto a confrontare il suo discorso con quello degli altri. Egli non e' sicuro che questo confronto si faccia senza alcuna violenza. Colui che ha scelto il discorso ragionevole contro la violenza puo' imbattersi nella "violenza dell'uomo che non accetta il discorso di un altro uomo e che cerca soddisfazione lottando per il suo proprio discorso, che vuole unico non solamente per lui, ma per tutti, e che tenta di rendere realmente unico con la soppressione reale di tutti quelli che hanno altri discorsi" (LP, p. 57). Il dialogo puo' dunque rivelarsi impossibile e cede allora il posto alla lotta violenta. Ma questa si fara' "contro la volonta' degli uomini che hanno per principio fondamentale comune quello della discussione nonviolenta – volonta' abbastanza forte per permettere loro, spesso, di stabilire un accordo sul soggetto del loro disaccordo, cosi' neutralizzato" (PM, p. 45-46).
Cosi' il dialogo e', si', il "luogo della nonviolenza" (LP, p. 24), ma l'uomo ragionevole ne scopre presto lui stesso i limiti. "Il dialogo mente se afferma di potere eliminare la violenza" (PR, p. 280). La discussione, cioe' "il confronto nonviolento degli opposti" (PM, p. 43), non e' possibile che tra quelli che Eric Weil chiama i "veri uomini" (LP, p. 25), cioe' quelli che hanno optato per il discorso ragionevole. Certo, anche in seno alla comunita' dei "veri uomini", la violenza resta sempre possibile, ma colui che la impiega se ne esclude da solo. cosi', la prima constatazione a cui i "veri uomini" arrivano "e' quella della inammissibilita' della violenza tra di loro» (LP, p. 26).
Tuttavia – sottolinea Eric Weil – i "veri uomini" non hanno escluso la violenza in modo assoluto. Al contrario, essa sembra loro necessaria, da una parte per neutralizzare e mettere in condizioni di non nuocere gli uomini irragionevoli che, all'interno della loro stessa comunita', rifiutano il dialogo e scelgono la violenza e, d'altra parte, per combattere e vincere i barbari esterni che, ad ogni momento, possono venire ad aggredirli. Per difendersi contro questa doppia minaccia, la comunita' dei veri uomini "si e' data una costituzione politica e militare" (LP, p. 25).
In effetti, ogni comunita' storica deve organizzarsi per poter costringere gli individui e i gruppi che "rifiutano di sottomettersi alla ragione" (PP, p. 132). Questa organizzazione costituisce lo Stato. Per costringere gli individui e i gruppi che non sentono ragioni e che attentano alla pace sociale e turbano l'ordine pubblico, per metterli in condizioni di non nuocere, lo Stato e' condotto a fare uso della violenza. Eric Weil riprende per conto suo la definizione piu' diffusa dello Stato moderno, secondo la quale esso e' caratterizzato dal fatto che "detiene il monopolio dell'impiego della violenza" (PP, p. 142). Cosi', in una societa' moderna, "nessuno puo' essere costretto, in qualsiasi campo, se non dallo Stato" (PP, p. 142).
Cio' che giustifica la violenza dello Stato e' la necessita' di ricondurre alla ragione gli individui che ricorrono alla violenza nel loro particolare interesse e per soddisfare i propri desideri. "Il primo crimine, il crimine fondamentale nello Stato moderno e' costituito dall'impiego della violenza (anche indiretta) da parte di un individuo a titolo individuale" (PP, p. 142). Lo Stato considera sempre l'individuo come un essere virtualmente violento che, in qualunque momento, puo' diventarlo effettivamente.
Perche' l'azione dello Stato non diventi essa stessa arbitraria, e' importante che sia decisa nel rispetto della legge. Eric Weil completa dunque la prima definizione che ha dato dello Stato moderno precisando che la sua caratteristica essenziale e' di essere uno "Stato di diritto", cioe' che la sua azione, cosi' come l'azione di ogni cittadino, "e' regolata dalle leggi" (PP, p. 143). Cosi', "lo Stato (...) per mezzo della legge regola l'impiego della violenza" (idem). La funzione dello Stato e' dunque di costringere l'individuo, obbligandolo ad obbedire alla legge, a tenere un comportamento ragionevole, e' la funzione di educare l'uomo alla ragione. Per cio' stesso, lo Stato assicura e garantisce la sicurezza degli individui ragionevoli proteggendoli contro la violenza di quelli che ragionevoli non sono.
Certo, Eric Weil ha coscienza che ogni Stato, malgrado tutte le garanzie elaborate teoricamente dalla legge e dalla costituzione, puo' trasformarsi in uno "strumento di oppressione" (PP, p. 132). "Chi pensa (...) – egli scrive – non ignora che ogni Stato e' formato da esseri violenti, che ogni gruppo di governo e' fatto di individui con delle passioni e che, di conseguenza, ogni Stato corre sempre il pericolo di tradire il suo concetto, quel concetto che lo giustifica" e che allora la costrizione che esso esercita diventa una "costrizione ingiusta" (PP, p. 261). Ma il filosofo non puo' fare altro che assumere questo rischio facendo tutto cio' che e' in suo potere per superarlo perche', in definitiva, "egli sa che l'esistenza dell'individuo ragionevole, che giustifica lo Stato, non e' possibile e non puo' durare se non nello Stato ragionevole" (idem).
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La necessita' della contro-violenza
Cosi', paradossalmente, la filosofia, che e' essenzialmente rifiuto della violenza, non rifiuta la violenza in modo assoluto. Essa stessa – concede Eric Weil - "raccomanda l'impiego della violenza, perche' e' portata a constatare di dovere erigersi contro la violenza" (LP, p. 58). "Ma – precisa subito – questa violenza non e' allora altro che il mezzo necessario (tecnicamente necessario in un mondo che e' ancora sotto la legge della violenza) per creare una condizione di nonviolenza" (LP, p. 58-59).
L'uomo che ha optato per la ragione e per la nonviolenza deve dunque far fronte alla violenza che sorge nella storia e non puo' non entrare nel campo dell'azione politica per lavorare all'avvento di un mondo nel quale la ragione e la nonviolenza prevarranno nei rapporti umani. "E' in rapporto alla storia che l'opzione per la nonviolenza prende il suo senso concreto" (EC II, p. 214). Ma qui Eric Weil afferma con insistenza che, per arrivare a questo scopo, i mezzi della ragione e della nonviolenza si rivelano radicalmente insufficienti. "La violenza, in se stessa, e' la negazione di ogni senso, e' l'assurdo allo stato puro; ma si cadra' nei conflitti esteriori piu' violenti (e piu' evitabili) se si e' convinti che basti parlare di nonviolenza e di vita buona nella societa'" (PP, p. 233). Dal momento che l'uomo irragionevole non si lascia convincere dagli argomenti della ragione, bisogna bene costringerlo con quelli della violenza. Scrive Eric Weil: "Se fosse un procedimento sufficiente per farli diventare ragionevoli proporre agli uomini la ragione, invece di imporgliela, la violenza da lungo tempo non regnerebbe piu' tra noi" (PP, p. 21). L'uomo ragionevole non puo' contare sulla "forza del bene" per combattere la violenza dei malvagi: "Sul piano della realta' e della realizzazione, il bene non ha forza, perche' tutta la forza si trova dal lato del male" (PP, p. 45).
Secondo Eric Weil, "nessun altro procedimento che la persuasione sarebbe permesso a chi non volesse sacrificare la purezza della sua volonta' all'utilita' come la si intende nella vita di tutti i giorni" (PP, p. 21). Ma, dal momento che i mezzi della persuasione, come sono messi in opera nella discussione, si rivelano inoperanti per convincere quelli che hanno scelto la violenza contro la ragione, l'uomo ragionevole, se vuole effettivamente assumere le sue responsabilita' nella storia, e' obbligato a impiegare i mezzi della violenza per costringere costoro. Per Eric Weil, di fronte alla violenza degli uomini irragionevoli, non c'e' altra alternativa che quella che esiste tra, da una parte, il fallimento dei mezzi della nonviolenza (che conduce a un fallimento della nonviolenza nella storia) e, d'altra parte, il successo dei mezzi della violenza (che permette, o almeno preserva, il successo della nonviolenza nella storia).
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Essere saggio nel mondo
Dunque, l'uomo che volesse fondare il suo atteggiamento nel mondo sui soli principi della morale pura verrebbe, proprio per conservare la purezza della sua volonta', a rifiutare ogni azione. "Senza dubbio – nota Eric Weil – e' possibile respingere ogni violenza; ma chi prende questa decisione, e la prende seriamente, esce per cio' stesso dal campo della politica; egli potra' arrivare alla santita', ma non agira' piu'" (PP, p. 232). Ma, non agendo piu', egli abbandona il mondo all'azione dei violenti. L'uomo morale deve dunque rifiutare di cedere alla "tentazione di riposarsi nel conforto di una coscienza morale pura, ma puramente negativa" (PP, p. 18).
Del resto, questo riposo sara' probabilmente presto turbato, perche' l'uomo dalla morale pura rischia fortemente di essere lui stesso vittima della violenza degli uomini irragionevoli. Egli puo', a quel punto, "accettare di fare il sacrificio della propria vita per non essere violento lui stesso" (PR, p. 273), ma, in questo caso, egli dovra' "accettare anche, secondo il principio di universalizzazione della sua massima, il sacrificio della sopravvivenza di ogni essere morale e cosi' della morale stessa" (idem). L'uomo morale ha dunque il dovere di difendere la sua vita per potere continuare a difendere la morale. Cosi', Eric Weil arriva a enunciare questo formidabile paradosso: "Il difensore della morale" puo' essere ridotto "all'impiego della violenza in vista di difendere la possibilita' della nonviolenza nella propria persona" (PM, p. 39). Eric Weil riconosce tuttavia che "possono presentarsi delle situazioni (...) in cui la morte volontariamente accettata, a volte anche cercata, puo' essere voluta come il solo mezzo per far penetrare la nuova morale concreta nella coscienza dei contemporanei e delle generazioni future" (PM, p. 117).
E' dunque nel mondo che l'uomo-filosofo deve vivere la saggezza alla quale aspira. "Non si tratta di morire al mondo, di distaccarsene, di ritirarsene, non si tratta di essere saggio fuori del mondo, o a lato del mondo, ma nel mondo" (LP, p. 438). Cio' che la filosofia indica e' la via della "saggezza pratica", questa "facolta' dell'uomo di discernere, grazie all'esperienza e alla riflessione, cio' che conduce al risultato voluto" (PM, p. 191). Senza dubbio, se una tale saggezza e' solamente pratica, essa puo' ispirare e dirigere anche il comportamento e l'azione dell'uomo immorale e violento; da questo punto di vista, essa e' moralmente neutra. Ma, dal momento che l'individuo comprende che "la violenza costituisce il male per l'uomo e per gli uomini", "saggezza pratica e morale viva non possono essere separate: la volonta' di nonviolenza e' la guida di questa saggezza, che, senza di essa, non sarebbe che strumento di arbitrio" (PM, p. 191). Per discernere, nella situazione concreta in cui si trova, quale debba essere la sua condotta, l'uomo ragionevole deve dare prova di prudenza. "La prudenza e' questa saggezza pratica che determina l'esecuzione e conduce al successo le imprese dell'individuo morale" (PM, p. 126). Ma la prudenza non consiglia all'uomo ragionevole l'inazione, gli consiglia quale azione egli deve intraprendere.
L'uomo che ha optato per la ragione deve dunque agire al fine di incarnare la ragione nel mondo. "Anche la filosofia dell'uomo filosofo non arriva al suo scopo se non mediante l'azione. (...) La filosofia si realizza e si conclude nell'azione. (...) Ogni fuga e' proibita" (LP, p. 417-418). E, secondo Eric Weil, per essere efficace, l'azione, il piu' delle volte, ha il dovere di essere violenta. Egli non giudica ragionevole rifiutare assolutamente la violenza, perche' un tale atteggiamento non puo' avere altra conseguenza che rafforzare il potere della violenza sul mondo e consegnare il mondo alle forze della irrazionalita'. Dunque, "quando tutto e' stato detto, non ci sono altri mezzi per la ragione che quelli della violenza" (EC II, p. 217). In certi momenti, la violenza puo' essere "nobile e giusta" (PP, p. 233).
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La violenza come mezzo per realizzare la nonviolenza
Eric Weil, tuttavia, non dimentica che e' l'opzione per la nonviolenza che fonda l'atteggiamento dell'uomo ragionevole nel mondo. La nonviolenza non e' soltanto un'esigenza filosofica, e' anche un'esigenza politica. Essa non deve essere soltanto la preoccupazione del filosofo che riflette davanti alla storia, ma anche quella dell'uomo politico che agisce nella storia. "La nonviolenza nella storia e per mezzo della storia e' diventata ed e' concepita come lo scopo della storia. (...) Il progresso verso la nonviolenza definisce per la politica il senso della storia" (PP, p. 133). Ma e' precisamente per realizzare la nonviolenza nella storia che e' necessario – tecnicamente necessario – impiegare i mezzi della violenza. "La nonviolenza come opzione fondamentale e' fondamentale non altrimenti che in senso stretto: e' da essa come dal bene politico supremo che procede la riflessione, la quale non vi scopre il proprio scopo se non perche' da essa ha preso inizio. Tra i punti di partenza e di arrivo, la nonviolenza resta da realizzare, nel luogo della violenza, e dunque anche con l'impiego dei mezzi della violenza" (EC II, p. 410).
E' dunque al servizio della nonviolenza che bisogna impiegare la violenza. La nonviolenza come fine della storia giustifica la violenza come mezzo d'azione nella storia. "L'opzione per la nonviolenza non e' una opzione per il non-impiego della violenza; al contrario, l'opzione non ha senso se non si ammette che, nel mondo della violenza e contro la violenza, cosciente o no della sua natura, solo la violenza e' efficace nell'interesse della nonviolenza" (EC II, p. 409-410). Eric Weil e' dunque formale: i soli argomenti della violenza, che colpiscono, sono suscettibili di essere intesi dall'uomo violento ed essi soli, di conseguenza, possono far progredire la nonviolenza nella storia. "Lo storico impara a vedere questa evidenza, difficile da afferrare, che la volonta' di nonviolenza, a meno di rifiutare la storia e di accettare la violenza e la morte, deve lottare contro la violenza per mezzo della violenza, unico "argomento" comprensibile ai violenti" (EC II, p. 252). Altrove, Eric Weil scrive nello stesso senso: "La violenza esiste tra noi, e la nonviolenza, se non vuole abbandonare il campo alla violenza, e' proprio obbligata ad usare i soli mezzi che il suo avversario riconosce" (EC I, p. 171).
L'uomo politico, che porta la responsabilita' dell'avvenire della comunita', non sa che farsene delle lezioni di morale di coloro che gli predicano la nonviolenza. "Se vuole riuscire sara' proprio obbligato ad usare i mezzi, i soli mezzi ai quali i violenti sono sensibili, che sono i loro mezzi. Quando si porta il peso della politica, non si combattono i violenti da una posizione di rifiuto di ogni violenza" (EC I, p. 165).
Secondo Eric Weil, "la violenza e' stata, ed e' ancora, la causa motrice della storia", benche' l'eliminazione della violenza ne sia la "causa finale" (PP, p. 232). Cosi', riguardo alla storia, e dunque anche allo storico e, per conseguenza, al filosofo, la violenza, benche' considerata in se stessa sia negativa, ha svolto e svolge ancora un ruolo positivo per l'avvento della liberta' nel mondo. La violenza deve essere "compresa in cio' che essa e' positivamente, cioe' l'energia senza la quale non ci sarebbe movimento; pur essendo in ogni suo punto solo negativita', essa e', nella sua totalita', la positivita' dell'Essere che si riconosce ragionevolmente come liberta'" (LP, p. 55).
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Il fine giustifica i mezzi
Per Eric Weil, dunque, non c'e' alcun dubbio che "e' il fine che giustifica i mezzi" (EC I, p. 169). Anzi, egli si meraviglia che questo principio abbia una cattiva reputazione e che scandalizzi gli uomini morali. "Ora, questo principio non soltanto e' vero, ma non fa che enunciare un truismo. Infatti, come sarebbe giustificato un mezzo se non dal suo fine?" (EC II, p. 209). Certo, i mezzi della violenza contraddicono l'esigenza morale di nonviolenza; considerati in se stessi sono immorali e dunque cattivi, ma sono necessari dal momento che essi soli permettono di lottare efficacemente contro la violenza dei malvagi.
Tuttavia, Eric Weil non ignora che questo principio secondo il quale il fine giustifica i mezzi comporta il pericolo che qualunque mezzo sia giustificato da qualunque fine. "Troppo spesso – egli osserva – le promesse piu' nobili, che meritano che ogni uomo collabori alla loro realizzazione, non servono che da paravento alla pigrizia morale, agli istinti piu' bassi, alla vilta', alla freddezza di cuore: lo scopo giustifica allora qualunque mezzo, semplicemente perche' l'invocazione dello scopo deve far tacere ogni obiezione, ogni discussione, sul valore morale e sulla adeguatezza tecnica dei procedimenti" (PM, p. 67). Eric Weil e' dunque cosciente del rischio che questo principio, benche' vero, apra la via all'arbitrio. "Se la politica – egli si chiede – ha il diritto di usare la violenza e l'inganno, non le stiamo accordando il diritto all'arbitrio? (...) Non ci esponiamo forse ai rischi piu' gravi, una volta che ammettiamo la violenza e la menzogna?" (EC II, p. 167). "Come evitare – chiede ancora Eric Weil – che, coscientemente o no (l'incoscienza non e' una scusa), noi ci facciamo partigiani di una violenza che non e' al servizio della ragione, che non lotta contro la violenza privata, arbitraria, egoista, quella che non mira all'universale?" (EC II, p. 168). Chi, in effetti, non proclama che la sua causa e' giusta e che la sua lotta e' quella del bene contro il male, della verita' contro l'errore? "Una volta introdotta la violenza nella vita politica, da qualunque parte essa sia stata invocata per la prima volta, e' poi estremamente difficile rimandarla nell'arsenale delle armi disponibili, ma di cui non ci si serve" (EC II, p. 383). Cosi' pure, pur affermando la verita' di quel principio, Eric Weil non nasconde la sua inquietudine davanti all'utilizzazione che puo' esserne fatta. "Non c'e' nessun bisogno – egli scrive – di cercare degli esempi per provare che, piu' d'una volta nella storia, il pericolo inerente a quel principio e' stato trasformato in catastrofe" (EC I, p. 169).
Il maggiore pericolo e' che si dimentichi che i mezzi della violenza sono soltanto necessari e che non diventano per cio' stesso buoni. "(L'uomo politico) – scrive Eric Weil – non deve mai dimenticare che questi mezzi sono pericolosi, non soltanto perche' possono alimentare le tensioni, i conflitti, le passioni tra le nazioni e i gruppi, ma ugualmente, e soprattutto, perche', proprio la' dove riescono, essi possono essere considerati, e spesso lo sono, come delle azioni ammirevoli in se stesse" (EC I, p. 171-172). Eric Weil ricusa con forza gli storici, i filosofi e i capi politici che predicano "l'evangelo della violenza", perche', "contro di loro la morale astratta (...) ha semplicemente ragione" (EC II, p. 252).
Eric Weil non dimentica neppure che gli uomini che avranno l'incarico di eseguire la decisione del politico di ricorrere ai mezzi violenti dovranno soffrire essi stessi l'effetto dei mezzi cattivi che mettono in opera. "La violenza, per quanto sembri necessario il suo impiego nell'immediato, spinge i cittadini verso degli atti e delle abitudini contrarie alla razionalita'" e "essi ricevono cosi' una specie di contro-educazione" (PP, p. 238). Dunque, l'uomo morale sara' tentato di rifiutare di riconoscere la necessita' di questi mezzi immorali per conservare in pace la sua coscienza. Ma Eric Weil non cessa di considerare questa astensione dell'uomo morale come una fuga davanti alle sue responsabilita'. Il vero obbligo morale non e' di fuggire questa necessita', ma di assumerla sforzandosi di vincerla. Per questo, mentre riconosce la necessita' politica di usare i mezzi cattivi della violenza, Eric Weil afferma che la loro unica vera giustificazione e' il preparare una societa' in cui questi mezzi non saranno piu' necessari. "I mezzi cattivi sono imposti (all'uomo politico) dai cattivi. Ma positivamente – ecco cio' che e' decisivo – il suo scopo resta quello di rendere l'impiego di questi mezzi superfluo e realmente cattivo, cioe' tecnicamente inoperante, tecnicamente ingiustificato" (EC I, p. 170). "Se (l'uomo di Stato) – insiste ancora Eric Weil – deve lottare col male contro il male, tocca a lui dimostrare e far sentire che vi e' stato costretto e che ha obbedito alla necessita', all'unico scopo di eliminare questa stessa necessita'" (EC I, p. 172).
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Superare la necessita' della violenza
Cosi' Eric Weil riafferma, in definitiva, che si tratta proprio di realizzare la nonviolenza nella storia superando e oltrepassando la necessita' di ricorrere, per questo scopo, alla violenza. Del resto, egli pensa che l'umanita' ha gia' realizzato dei progressi considerevoli in questo senso. "Il semplice fatto che noi siamo arrivati a considerare la violenza aperta o camuffata come un male, ne e' la prova, mentre, per millenni, l'umanita' ammirava sinceramente il forte e l'astuto" (EC I, p. 170). Eric Weil e' persuaso che la violenza ha effettivamente fatto progredire la nonviolenza nella storia. "Non esiste – egli afferma – nessuna contraddizione storica assoluta tra violenza e nonviolenza: nella misura (grande in confronto al passato) in cui la nonviolenza esiste nel mondo di oggi, essa proviene dalla violenza e ne rimane lo scopo" (PP, p. 233).
Soprattutto, Eric Weil pensa che l'umanita' oggi e' arrivata a una fase della sua evoluzione in cui le e' divenuto possibile compiere una tappa decisiva verso il compimento di quella evoluzione nella nonviolenza: "D'ora in poi, l'umanita' puo' volere coscientemente cio' che essa ha perseguito nella maniera piu' inconsapevole. Essa puo' pensare la nonviolenza e l'onesta' e puo' agire in vista della loro realizzazione sempre piu' completa" (EC I, p. 171). D'ora in poi, la nonviolenza puo' sempre piu' sostituire la violenza nel realizzare il senso della storia. "Si tratta d'ora in avanti di realizzare un mondo in cui la morale possa vivere con la nonviolenza, un mondo nel quale la nonviolenza non sia semplice assenza di senso, di quel senso che la violenza cercava nella storia senza sapere cio' che cercava, di quel senso che la violenza ha creato violentemente, e che continua a cercare con dei mezzi violenti. Il compito e' costruire un mondo nel quale la nonviolenza sia reale, senza che sia soppressione tanto del non-senso della violenza, quanto di ogni senso positivo della vita degli uomini" (PP, p. 234). Eric Weil arriva a pensare che la societa' possa oggi intravedere la realizzazione dell'ideale che da sempre le ha assegnato l'uomo che ha optato per la ragione e dunque per la nonviolenza: "Il diritto della societa' moderna tendera' sempre a ridurre il ruolo dei fattori storici, per arrivare, come ideale, a un sistema puramente razionale, che regoli i rapporti tra gli individui in modo tale che ogni violenza ne sia esclusa" (PP, p. 83).
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Note
1. Abbreviazioni delle opere di Eric Weil: EC I: Essais et conferences, tome 1, Philosophie, Vrin, Paris, 1991; EC II: Essais et conferences, tome 2, Politique, Vrin, Paris, 1991; LP: Logique de la philosophie, Vrin, Paris, 1974; PK: Problemes kantiens, Vrin, Paris, 1990; PM: Philosophie morale, Vrin, Paris, 1992; PP: Philosophie politique, Vrin, Paris, 1984; PR: Philosophie et realite', Derniers essais et conferences, Vrin, Paris, 1982. Traduzioni italiane: Logica della filosofia, traduzione e cura di Livio Sichirollo, Il Mulino, Bologna 1997; Problemi kantiani, traduzione di Pasquale Venditti, Quattro Venti, Urbino 1980; Filosofia politica, traduzione di L. Battaglia Cofrancesco, Guanda, Napoli 1973.
2. Jean Lacroix, "Raison et histoire selon Eric Weil", in Panorama de la philosophie contemporaine, Paris, PUF, 1968, p. 83.
5. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Andrea Zanzotto, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2011, pp. CXII + 1200.
6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
7. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5316 del 7 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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