[Nonviolenza] Telegrammi. 5315



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5315 del 6 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Alcune pubblicazioni di e su Hannah Arendt
2. Andrea De Lotto: Free Leonard Peltier. Cinque appuntamenti
3. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
4. Jean-Marie Muller: Alternative nonviolente alla guerra
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI E SU HANNAH ARENDT

- Hannah Arendt, Il concetto d'amore in Agostino, Se, Milano 1992, pp. 168.
- Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, pp. 318.
- Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, pp. 630.
- Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Comunita', Milano 1967, 1999, Einaudi, Torino 2004, Mondadori, Milano 2010, pp. LXXXIV + 710.
- Hannah Arendt, Rahel Varnhagen, Il Saggiatore, Milano 1988, 2004, pp. XLVI + 292 (+ un inserto fotografico di 16 pp.).
- Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, Comunita', Milano 1983, 1996, pp. LXXVIII + 342.
- Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 312.
- Hannah Arendt, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, 1994, pp. XXXIV + 286.
- Hannah Arendt, Antologia, Feltrinelli, Milano 2006, pp. XXXVIII + 246.
- Hannah Arendt, Il pensiero secondo. Pagine scelte, Rcs, Milano 1999, pp. II + 238.
- Hannah Arendt, Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 272.
- Hannah Arendt, Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003, pp. XXVI + 230.
- Hannah Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, trad. it., Einaudi, Torino 2003, pp. X + 116.
- Hannah Arendt, Che cos'e' la politica, Comunita', Milano 1995, 1997, Einaudi, Torino 2001, 2006, pp. XIV + 194.
- Hannah Arendt, Disobbedienza civile, Chiarelettere, Milano 2017, 2019, pp. XXIV + 72.
- Hannah Arendt, Ebraismo e modernita', Unicopli, Milano 1986, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 232.
- Hannah Arendt, Humanitas mundi. Scritti su Karl Jaspers, Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 102.
- Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna 1981, 1995, pp. X + 166.
- Hannah Arendt, Illuminismo e questione ebraica, Cronopio, Napoli 2009, pp. 48.
- Hannah Arendt, Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Mondadori, Milano 1993, pp. VI +  106.
- Hannah Arendt, Il razzismo prima del razzismo, Castelvecchi, Roma 2018, pp. 80.
- Hannah Arendt, La lingua materna, Mimesis, Milano-Udine 1993, 2005, 2019, pp. 114.
- Hannah Arendt, La menzogna in politica, Marietti 1820, Bologna 2006, 2018, 2019, pp. XXXVIII + 88.
- Hannah Arendt, L'ebreo come paria. Una tradizione nascosta, Giuntina, Firenze 2017, pp. 68.
- Hannah Arendt, L'umanita' in tempi bui, Cortina, Milano 2006, 2019, pp. 90.
- Hannah Arendt, Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, pp. 168.
- Hannah Arendt, Per un'etica della repsonsabilita'. Lezioni di teoria politica, Mimesis, Milano-Udine 2017, pp. 152.
- Hannah Arendt, Politica ebraica, Cronopio, Napoli 2013, pp. 312.
- Hannah Arendt, Politica e menzogna, Sugarco, Milano 1985, pp. 288.
- Hannah Arendt, Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004, pp. XXXII + 238.
- Hannah Arendt, Ritorno in Germania, Donzelli, Roma 1996, pp. 64.
- Hannah Arendt, Socrate, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, pp. 126.
- Hannah Arendt, Sulla violenza, Guanda, Parma 1996, pp. 96.
- Hannah Arendt, Verita' e politica, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 98.
- Hannah Arendt, Verita' e umanita', Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 76.
- Hannah Arendt, Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007, pp. 656.
- Hannah Arendt - Karl Jaspers, Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989, pp. XXIV + 248.
- Hannah Arendt - Mary McCarthy, Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999, pp. 720.
- Hannah Arendt - Kurt Blumenfeld, Carteggio 1933-1963, Ombre corte, Verona 2015, pp. 280.
- Hannah Arendt - Martin Heidegger, Lettere 1925-1975, Einaudi, Torino 2000, 2007, pp. VI + 320 (+ un inserto fotografico di 16 pp.).
- Hannah Arendt - Joachim Fest, Eichmann o la banalita' del male. Interviste, lettere, documenti, Giuntina, Firenze 2013, 2014, pp. 222.
- Hannah Arendt - Walter Benjamin, L'angelo della storia. Testi, lettere, documenti, Giuntina, Firenze 2017, 2018, pp. 270.
- Hannah Arendt - Guenther Anders, Scrivimi qualcosa di te. Lettere e documenti, Carocci, Roma 2017, pp. XII + 194.
- Hannah Arendt, L'amicizia e la Shoah. Corrispondenza con Leni Yahil, Edb, Bologna 2017, pp. 112.
- Hannah Arendt, Guenther Stern-Anders, Le Elegie duinesi di R. M. Rilke, Asterios, Trieste 2014, 2019, pp. 80.
*
- AA. VV., Hannah Arendt e la questione sociale, a cura di Ilaria Possenti, volume monografico di "aut aut", n. 386, giugno 2020, Il Saggiatore, Milano 2020.
- Guenther Anders, La battaglia delle ciliege, Donzelli, Roma 2015.
- Laura Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, Feltrinelli, Milano 1995.
- Laura Boella, Hannah Arendt. Un umanesimo difficile, Feltrinelli, Milano 2020.
- Adriana Cavarero, Arendt e la banalita' del male, Gedi, Roma 2019.
- Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996.
- Elzbieta Ettinger, Hannah Arendt e Martin Heidegger. Una storia d'amore, Garzanti, Milano 2000.
- Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995.
- Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999.
- Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994.
- Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001.
- Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000.
- Olivia Guaraldo, Arendt, Rcs, Milano 2014.
- Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999.
- Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005.
- Ana Nuno, Hannah Arendt, Rba, Milano 2019.
- Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009.
- Paul Ricoeur, Hannah Arendt, Morcelliana, Brescia 2017.
- Cristina Sanchez, Arendt. La politica in tempi bui, Hachette, Milano 2015.
- Agustin Serrano de Haro, Hannah Arendt, Rba, Milano 2018.
- Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994.

2. INIZIATIVE. ANDREA DE LOTTO: FREE LEONARD PELTIER. CINQUE APPUNTAMENTI
[Riceviamo e diffondiamo]

Il 12 Settembre 2024 compira' 80 anni Leonard Peltier che entro' in prigione il 6 febbraio 1976 e da quasi 49 anni si trova quindi in carcere. Leonard Peltier faceva parte dell'American Indian Movement, AIM, che in quegli anni era stato preso di mira da governo Usa ed FBI in particolare.
Accusato di aver ucciso due agenti dell'FBI il 26 giugno del 1975, venne condannato a due ergastoli senza alcuna prova, lo stesso giudice a posteriori disse: "Qualcuno dovevamo pur mettere dentro".
Quel 26 giugno avvenne il cosiddetto "Incidente ad Oglala" (titolo anche del lungo documentario prodotto negli anni successivi da Robert Redford) quando due agenti senza alcun segno di riconoscimento arrivarono sgommando nella comunita' di Pine Ridge dove la tensione era gia' molto alta. Ne nacque una sparatoria dove vennero sparati 35.000 colpi (dopo poco, infatti, i primi due agenti vennero raggiunti da decine di altri agenti). Quel giorno restarono a terra i due primi agenti e uno dei nativi. Per il nativo, come per le decine di nativi morti in quei mesi, nessuno indago', ma per quei due agenti l'FBI ottenne la vendetta che voleva.
Leonard Peltier si e' sempre dichiarato innocente, per lui si sono stratificate in questi anni decine e decine di campagne, raccolte firme, murales, appelli, concerti, presidi, manifestazioni. Per la sua liberazione si sono espressi Amnesty International, Human Rights Watch, Nelson Mandela, Desmond Tutu, Madre Teresa di Calcutta, il Dalai Lama, Rigoberta Menchu', Michail Gorbaciov, oltre a centinaia di uomini e donne del mondo della cultura. Ultimamente si era espresso, pochi mesi prima di morire, anche il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli.
Tutti chiedono la sua liberazione, anche i giudici che a suo tempo lo condannarono. Il suo stato di salute e' critico.
Ora, solo una firma del presidente Biden puo' permettere la sua liberazione. In questi ultimi mesi dell'anno si moltiplicheranno le iniziative per rendere visibile questa assurda vicenda, questa ingiustizia che viene da lontano.
Leonard Peltier, simbolo dell'AIM, dei nativi americani, e' il loro Nelson Mandela.
Spingiamo tutti e tutte (attraverso appelli, messaggi, iniziative di piazza, incontri) affinche' il presidente Biden firmi la sua liberazione prima di lasciare la carica che ricopre.
Per questo nei giorni in prossimita' del suo compleanno sono stati organizzati 5 presidi davanti alle sedi istituzionali del governo USA in cinque citta' italiane, come se ne svolgeranno altri in altre citta' del mondo. Bisogna fare pressione affinche' Leonard Peltier possa terminare la sua vita da uomo libero, in mezzo alla sua gente, ai suoi affetti.
*
Gli appuntamenti, del mese di settembre 2024, in Italia saranno i seguenti:
Martedi' 10 ore 18.30 Milano: davanti al consolato Usa
Mercoledi' 11 ore 18 Genova: davanti all'agenzia consolare Usa
Giovedi' 12 ore 18.30 Roma: davanti all'ambasciata Usa
Venerdi' 13 ore 18.30 Napoli: davanti al consolato Usa
Sabato 14 ore 18.30 Firenze: davanti al consolato Usa
*
Il comitato di solidarieta' con Leonard Peltier, Italia
Gruppo su Facebook: Free Leonard Peltier Italy
per contatti e info: Andrea De Lotto 349 0931155 - bigoni.gastone at gmail.com

3. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER

Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
*
Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
*
Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.

4. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: ALTERNATIVE NONVIOLENTE ALLA GUERRA
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riproponiamo il capitolo decimo: "Alternative nonviolente alla guerra" (pp. 199-210). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]

La guerra pone alla filosofia un tremendo problema: essa non soltanto contraddice, ma annulla l'esigenza primordiale dell'etica: "non uccidere". Dichiarare la guerra e' dare l'ordine – imperativo – a degli uomini di uccidere altri uomini. "Lo stato di guerra – scrive Emmanuel Levinas – sospende la morale; esso priva le istituzioni e le obbligazioni eterne della loro eternita' e, quindi, annulla nel provvisorio gli imperativi incondizionali. Esso proietta fin dall’inizio la sua ombra sugli atti degli uomini. La guerra non è soltanto una delle prove - la piu' grande tra l'altro - di cui vive la morale. Essa rende irrilevante la morale" (1). La guerra non e' soltanto lo scacco della filosofia, ne e' la negazione e il rinnegamento.
*
Clausewitz e la riflessione sulla guerra
Carl von Clausewitz ci propone una "filosofia della guerra" (2); egli presenta la sua riflessione come una "elaborazione filosofica dell'arte della guerra" (3). Secondo lui, l'essenza della guerra e' di essere un "duello" (4) e "il suo scopo immediato e' di abbattere l'avversario per renderlo incapace di ogni resistenza" (5). La guerra e' dunque lo scontro di due volonta' con i mezzi della violenza, avendo ognuno dei due avversari l'intenzione deliberata di imporre la propria volonta' all'altro.
Ma la guerra nasce da un conflitto politico tra due governi, e dunque il suo obiettivo e' politico. "La guerra – afferma Clausewitz – e' una semplice continuazione della politica con altri mezzi" (6). Dicendo questo, il generale prussiano non voleva dire, come si lascia talvolta intendere, che la politica era gia' guerra, ma, tutto al contrario, che la guerra doveva essere ancora una azione politica. "Se si pensa – egli scrive – che la guerra nasce da un disegno politico, e' naturale che questo motivo centrale da cui e' nata resti la prima considerazione che dettera' la sua condotta" (7). "La guerra – egli precisa ancora – non e' soltanto un atto politico, ma un vero strumento politico, un proseguimento delle relazioni politiche, una realizzazione di queste con altri mezzi. (...) L'intenzione politica e' il fine, mentre la guerra e' il mezzo, e non si puo' concepire il mezzo indipendentemente dal fine" (8). Piu' precisamente, la guerra e' una continuazione della politica con mezzi diversi da quelli della diplomazia: il governo "da' battaglia invece di scrivere delle note diplomatiche" (9). "La condotta della guerra – scrive ancora Clausewitz – e' dunque, nelle sue grandi linee, la politica stessa che impugna la spada invece della penna, senza per questo cessare di pensare secondo le proprie leggi" (10). I nuovi mezzi della guerra non devono essere altro che una "aggiunta", perche' "la guerra stessa non fa cessare le relazioni politiche" (11). In questa prospettiva, Clausewitz pensa che nell'elaborazione dei piani di una guerra, la preoccupazione maggiore dei governi deve essere di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" (12).
Ma e' possibile sostenere – come fa Clausewitz – che la guerra e' un semplice mezzo per continuare la politica? In realta', affermando, da una parte, che "la guerra e' un atto di violenza" (13), e, d'altra parte, che "la guerra e' un atto politico" (14), Clausewitz enuncia una contraddizione irreparabile. Infatti, il ricorso alla violenza non significa altro che uno scacco della politica, della quale tutto il progetto e' precisamente costruire e mantenere, anzitutto dentro la polis, ma anche al di fuori delle sue porte, un ordine che non debba nulla alla violenza. La politica e la guerra sono fondamentalmente anti-nomiche (la parola antinomia, dal greco anti e nomos, designa una contraddizione tra due leggi), cioe' le leggi della guerra sono contrarie alle leggi della politica. Del resto, Clausewitz e' consapevole di questa antinomia e parla della "contraddizione che c'e' nella natura della guerra verso gli altri interessi umani, individuali o sociali" (15). Ma allora la guerra non puo' essere una continuazione della politica: essa e' una interruzione della politica. Nel momento stesso della dichiarazione di guerra, la politica cede il terreno alla violenza e questa lo occupera' fino alla fine dello scontro. Nel migliore dei casi, la politica riprendera' i suoi diritti solo al momento dell'armistizio, quando cesseranno di parlare le armi e gli avversari si sederanno per parlare allo stesso tavolo di negoziazione.
Analizzando "il puro concetto teorico della guerra" (16), Clausewitz definisce quella che chiama "la legge degli estremi" (17): in astratto, "la guerra e' un atto di violenza e non c'e' limite alla manifestazione di questa violenza" (18). Ne risulta "un'azione reciproca che, in teoria, deve arrivare agli estremi" (19). Ma, in realta' – afferma Clausewitz – la guerra e' diversa da cio' che dovrebbe essere secondo il suo concetto teorico, perche' la sua condotta dipende essenzialmente dagli uomini e gli uomini non agiscono secondo i principi della logica pura: "La teoria deve tener conto dell'elemento umano" (20). Per questo, con ogni probabilita', la legge della salita fino agli estremi non si riscontrera' applicata nella realta'. "Tutta l'azione di guerra – conclude Clausewitz – cessa cosi' di essere sottomessa alle strette leggi che spingono le forze fino all'estremo" (21). Egli e' contento che sia cosi', altrimenti l'obiettivo politico della guerra si troverebbe "inghiottito dalla legge degli estremi" (22) e "noi avremmo a che fare con una cosa priva di senso e di intenzionalita'" (23). Se la guerra "fosse un atto completo, che niente intralcia, una manifestazione di violenza assoluta, come si potrebbe dedurla dal suo concetto puro, essa prenderebbe il posto della politica nello stesso istante in cui questa la provoca, e la eliminerebbe, e seguirebbe le proprie leggi come qualcosa di assolutamente indipendente dalla politica" (24). Se la legge dell'arrivare fino agli estremi si trovasse applicata nei fatti, si arriverebbe al "parossismo dello sforzo", "si perderebbe allora di vista la discussione delle esigenze politiche, e i mezzi non avrebbero piu' alcun rapporto con il fine" (25).
L'esigenza formulata da Clausewitz di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" effettivamente si impone, in linea teorica, per salvare la coerenza della sua teoria della guerra, ma ci possiamo chiedere se, in pratica, quel principio non urti contro piu' ostacoli di quanti egli non ne lasci intendere. Ci si puo' chiedere se, nella realta', la contraddizione oggettiva tra la natura della guerra e quella della politica, e, in altre parole, l'antinomia tra i mezzi (violenti) della guerra e il fine (nonviolento) della politica, non siano piu' forti di quella ricercata coerenza, e se, in definitiva, quale che sia l'intenzione soggettiva degli uomini politici che conducono le operazioni, non sia proprio il punto di vista politico che finisce subordinato al punto di vista militare. Certo, la manifestazione della violenza non e' mai senza limiti, ma non supera forse sempre i limiti entro i quali il punto di vista militare potrebbe essere subordinato al punto di vista politico? Quell'"elemento umano", di cui Clausewitz dice che la teoria deve tener conto, non e' forse la passione molto piu' spesso che la ragione? E la passione non e' forse di natura tale da spingere gli uomini a manifestare la loro violenza ben al di la' dei limiti imposti dalla ragione politica? Certo, Clausewitz non mancherebbe di rifiutare la "guerra totale" con l'argomento che i mezzi militari utilizzati cancellerebbero in quel caso "totalmente" il fine politico che pretende giustificare quella guerra. Ma dal momento che, nella realta', non e' possibile superare la contraddizione tra i mezzi della guerra e il fine della politica, grande e' la probabilita' che, in fin dei conti, i mezzi cancellino il fine. Come minimo, questa probabilita' e' troppo importante perche' non ci domandiamo se non esistano altri mezzi diversi dalla guerra, dei mezzi che siano essi stessi politici, quindi nonviolenti, per proseguire la politica quando la diplomazia ha fallito nel risolvere un conflitto. E senza dubbio si puo' tentare di rispondere a questa domanda appoggiandosi sulla riflessione di Clausewitz.
Quando chiede: "Come si puo' influire sulla probabilita' del  successo?", Clausewitz risponde: "Anzitutto, materialmente con gli stessi mezzi che servono a vincere il nemico, cioe' la distruzione delle sue forze militari" (26). Senza dubbio alcuno, la scelta della nonviolenza ci priva totalmente di questi mezzi. Ma Clausewitz espone in seguito "un altro particolare modo di pesare sulla probabilita' di successo senza che vi sia disfatta delle forze armate del nemico, cioe' operazioni che siano in rapporto diretto con la politica" (27).  Egli suggerisce che, se noi arriviamo in questo modo a "suscitare delle attivita' politiche in nostro favore", questo vale a "condurci allo scopo molto piu' rapidamente che la disfatta delle forze armate nemiche" (28). Poi, egli pone la "questione di sapere come fare pressione sul dispendio di forza del nemico" e risponde che la soluzione "consiste nell'usura delle sue forze" (29). Precisamente scrive: "Non e' soltanto per fornire una definizione verbale che scegliamo questa espressione, l'usura, ma perche' essa definisce esattamente la cosa ed e' meno figurata di quel che sembri a prima vista. L'idea di usura mediante il combattimento implica un esaurimento graduale delle forze fisiche e della volonta' per mezzo della durata dell'azione" (30).
Alla luce stessa dei principi della teoria di Clausewitz sull'affrontare le forze nemiche, e' possibile qui definire il concetto di una difesa civile fondata sulla strategia della resistenza nonviolenta. Questa strategia, se non puo' pretendere di esaurire le forze fisiche del nemico, puo' darsi l'obiettivo di usurare la sua volonta' politica fino al punto che esso rinunci alla sua impresa. Se qui non puo' essere questione di distruggere le forze nemiche, si tratta pero' di "arrivare alla distruzione delle intenzioni avverse, cioe' arrivare alla pura resistenza, che non mira ad altro che a prolungare la durata dell'azione fino a sfinirvi l'avversario" (31). Se noi concentriamo tutte le nostre risorse in vista di una pura resistenza, "allora la semplice durata del combattimento bastera' poco a poco a ottenere il dispendio di forza del nemico, fino al punto che il suo obiettivo politico non sara' piu' un equivalente adeguato, dunque fino ad un punto in cui dovra' abbandonare la lotta" (32). Si tratta dunque di "perseverare nella durata del combattimento piu' a lungo del nemico, cioe' di esaurirlo" (33).
Con la durata, interviene un altro fattore che ha pure un effetto determinante sull'efficacia di una resistenza popolare: quello dello spazio. L'efficacia di una resistenza e' direttamente proporzionale alla durata dell'azione, ma anche alla sua estensione. Parlando della "guerra del popolo", Clausewitz osserva: "L'azione della resistenza, come il processo di evaporazione nel campo fisico, dipende dall'estensione della superficie esposta" (34). Le forze di repressione, specialmente, potranno tanto piu' difficilmente neutralizzare la resistenza quanto piu' questa sara' estesa: "Lo spirito di resistenza diffuso dappertutto non e' afferrabile in alcun luogo" (35).
Le "operazioni ostili" (36) terminano e la guerra finisce quando la volonta' dell'uno o dell'altro dei due avversari si trova stroncata ed egli decide di firmare la pace. "Non appena i consumi di forza – scrive Clausewitz – diventano cosi' grandi che non corrispondono piu' al valore dell'obiettivo politico, bisognera' abbandonare questo obiettivo e firmare la pace" (37). Allo stesso modo, una resistenza civile nonviolenta deve darsi come strategia il condurre l'avversario a constatare che l'impegno dei suoi soldati e funzionari gli chiede dei dispendi di forza sproporzionati all'obiettivo politico che si e' dato e che, allora, il suo interesse gli impone di negoziare un trattato di pace.
Riferendoci cosi' alle proposizioni di Clausewitz, prendendo da lui molte delle sue formule e applicandole alla strategia della resistenza nonviolenta, non vogliamo assolutamente pretendere che il generale prussiano avrebbe fatto, senza saperlo, un'arringa a favore della difesa nonviolenta. Per lui non c'e' alcun dubbio che "la decisione con le armi" (38) e' la legge suprema dello scontro tra due Stati. Egli afferma: "La soluzione cruenta della crisi, lo sforzo tendente all'annientamento delle forze nemiche e' il figlio legittimo della guerra" (39). Per lui sarebbe un errore di principio "dare la preferenza a una decisione che non comporti effusione di sangue" (40). Se si sceglie questo metodo, lo si fa a rischio che non sia il migliore.
Noi sosteniamo soltanto che molte delle categorie definite da Clausewitz per costruire la sua teoria della guerra permettono di elaborare una teoria coerente e pertinente della difesa civile nonviolenta. E' ovvio che le due teorie restano largamente antagoniste in molti dei loro postulati e delle loro conclusioni. Ma questo, ci sembra, non puo' proibirci i prestiti che abbiamo fatto e le corrispondenze che abbiamo stabilito.
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La difesa civile nonviolenta (*)
Di per se' il disarmo non offre nessuna soluzione al problema della guerra. In realta', l'armamento non e' la causa delle guerre. Non sono le armi che creano le guerre, ma, al contrario, sono le guerre che creano le armi. Non si tratta dunque di volere sopprimere le armi per sopprimere le guerre, ma si tratta di sopprimere le guerre per potere sopprimere le armi. Ora, non si sopprimeranno le guerre volendo sopprimere i conflitti. Questi, i conflitti, costituiscono la trama stessa della storia degli uomini, delle comunita' e dei popoli. Si sopprimeranno le guerre se si vorranno risolvere i conflitti con dei mezzi diversi dalle armi. Si tratta dunque chiaramente di immaginare degli altri mezzi da quelli dalla violenza per risolvere in modo umano gli inevitabili conflitti umani.
Non si tratta tanto di reclamare il disarmo quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi rischi. Mentre la parola "disarmo" non esprime che un rifiuto, la parola "transarmo" vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una prospettiva negativa il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione, il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di rendere possibili delle misure effettive di disarmo.
Il transarmo (**) mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata.
Ma questo non puo' essere che un obiettivo a lungo termine. Prima che la difesa civile nonviolenta possa essere considerata dalla maggioranza della popolazione e dai poteri pubblici come un'alternativa efficace alla difesa armata, il primo obiettivo e' stabilire la sua fattibilita' e di farle acquistare una reale credibilita'.
Clausewitz sottolinea che uno dei fattori che agiscono sulla guerra e' il "teatro delle operazioni", che e' costituito dal "territorio con il suo spazio e con la sua popolazione" (41). Nel quadro della strategia della difesa civile nonviolenta, il teatro delle operazioni e' costituito dalla societa' con le sue istituzioni democratiche e la sua popolazione. In realta', l'invasione e l'occupazione di un territorio non costituiscono gli scopi di un'aggressione; non sono che dei mezzi per stabilire il controllo e il dominio di una societa'. Gli obiettivi piu' probabili che un avversario cerca di raggiungere occupando un territorio sono l'influenza ideologica, il dominio politico e lo sfruttamento economico. Per raggiungere questi obiettivi gli occorre occupare la societa', piu' precisamente gli e' necessario occupare le istituzioni democratiche della societa'. Di conseguenza, le frontiere che un popolo deve difendere per salvaguardare la sua liberta' sono quelle della democrazia. Il territorio la cui integrita' garantisce la sovranita' di una nazione non e' quello della geografia ma quello della democrazia. Ne risulta che, in una societa' democratica, la politica di difesa non deve avere per fondamento la difesa dello stato, ma la difesa dello stato di diritto.
Conviene dunque ricentrare il dibattito sulla difesa attorno ai concetti di democrazia e di cittadinanza. Se l'oggetto della difesa e' la democrazia, l'attore della difesa e' il cittadino, perche' egli e' l'attore della democrazia. Importa dunque riflettere sul rapporto che una societa' democratica deve stabilire tra la difesa e il cittadino. Fino ad oggi, al di la' delle affermazioni retoriche secondo le quali la difesa e' "l'affare di tutti", le nostre societa' non hanno saputo permettere ai cittadini di assumere una responsabilita' effettiva nell'organizzazione della difesa della democrazia contro le aggressioni di cui essa puo' essere l'oggetto, sia che queste vengano dall'interno o dall'esterno. L'ideologia securitaria della dissuasione militare ha avuto come effetto di deresponsabilizzare l'insieme dei cittadini in rapporto ai loro obblighi di difesa. Dal momento che la tecnologia precede, soppianta e finisce per svuotare la riflessione politica e la ricerca strategica, non e' piu' il cittadino che e' l'attore della difesa, ma lo strumento tecnico, la macchina militare, il sistema d'armi.
Importa dunque che i cittadini si riapproprino del ruolo che deve essere il loro nella difesa della democrazia. Per fare partecipare i cittadini alla difesa della societa' non basta voler immettere uno "spirito di difesa" nella popolazione civile, si tratta invece di preparare una vera "strategia di difesa" che possa mobilitare l'insieme dei cittadini in una "difesa civile" della democrazia. Fino ad oggi la sensibilizzazione dei cittadini, compresi i bambini, ai doveri di difesa si e' situata nel quadro stretto dell'organizzazione della difesa militare. Questa restrizione non puo' che ostacolare lo sviluppo di una reale volonta' di difendere le  istituzioni che garantiscono il funzionamento della democrazia. Perche' lo spirito di difesa si diffonda realmente nella societa', bisogna civilizzare la difesa e non militarizzare i civili. La mobilitazione dei cittadini potra' essere tanto piu' effettiva e operativa, se i compiti che sono loro proposti saranno nel quadro di istituzioni  politiche, amministrative, sociali ed economiche nelle quali essi lavorano quotidianamente. La preparazione della difesa civile si inscrive in totale continuita' ed in perfetta omogeneita' con la vita dei cittadini nelle istituzioni in cui essi esercitano le loro responsabilita' civiche. Lo spirito di difesa che e' loro richiesto si radica direttamente nello spirito civico che anima le loro attivita' quotidiane.
Di fronte ad ogni tentativo di destabilizzazione, di controllo, di dominio, di aggressione o di occupazione della societa' intrapreso da un potere illegittimo, e' dunque essenziale che la resistenza civile dei cittadini si organizzi sul fronte delle istituzioni democratiche che permettono il libero esercizio dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, la cui funzione e' di garantire le liberta' e i diritti di tutti e di ciascuno. E' responsabilita' dei cittadini che esercitano delle funzioni in queste istituzioni di vegliare perche' queste continuino a funzionare secondo le regole della democrazia. Tocca dunque a loro, ai cittadini, di rifiutare ogni sottomissione a qualunque potere illegittimo che, ispirandosi ad una ideologia antidemocratica, tentasse di distogliere queste istituzioni dai loro propri fini.
Obiettivo ultimo di ogni potere illegittimo che voglia prendere il controllo di una societa' e' di ottenere, con mezzi congiunti di persuasione, di pressione, di costrizione, e di repressione, la collaborazione e la complicita' oggettiva dei cittadini, almeno del piu' grande numero di questi. Da questo segue che l'asse centrale di una difesa civile e' l'organizzazione del rifiuto generalizzato, ma selettivo e perfettamente mirato, di questa collaborazione. Si puo' cosi' definire la difesa civile come una politica di difesa della societa' democratica contro ogni tentativo di controllo politico o di occupazione militare, mobilitando l'insieme dei cittadini in una resistenza che coniughi, in maniera preparata ed organizzata, delle azioni nonviolente di non-cooperazione e delle azioni di confronto con ogni potere illegittimo, in modo che questo sia messo nell'incapacita' di raggiungere i suoi obiettivi ideologici, politici ed economici con i quali esso giustifica la sua aggressione.
E' essenziale che l'organizzazione di questa difesa non sia lasciata all'iniziativa individuale. E' compito dei poteri pubblici preparare la difesa civile di tutti gli spazi istituzionali della societa' politica. Occorre dunque che il governo elabori delle istruzioni ufficiali sugli obblighi dei funzionari, qualora essi si trovino in una situazione di crisi acuta in cui debbano fare fronte agli ordini di un potere illegittimo. Queste istruzioni devono sottolineare che le amministrazioni pubbliche hanno un ruolo strategico decisivo nella difesa della democrazia, cioe' il ruolo di privare qualsiasi potere usurpatore dei mezzi esecutivi di cui ha bisogno per mettere in atto la sua politica.
Mentre e' preparata nella societa' politica, la difesa civile deve essere preparata anche in seno alla societa' civile, nel quadro delle varie organizzazioni e associazioni che i cittadini stessi si sono dati per radunarsi secondo le proprie affinita' politiche, sociali, culturali o religiose. Le reti formate da queste associazioni di cittadini, che occupano tutto la spazio sociale del paese, e che comportano principalmente i movimenti politici, i sindacati, i movimenti associativi e le comunita' religiose, devono poter diventare, in una situazione di crisi che metta in pericolo la democrazia, altrettante reti di resistenza. A proposito del ruolo specifico delle associazioni, Alain Refalo scrive: "La responsabilita' civica dei cittadini inseriti nell'ambiente associativo deve prolungarsi nella difesa della societa' civile quando questa e' aggredita. Le associazioni, attrici della democrazia, devono ugualmente essere le attrici della difesa della democrazia" (42).
La messa in opera istituzionale della difesa civile nonviolenta da parte dei poteri pubblici si urta e con ogni probabilita' si urtera' ancora a lungo con molte pesantezze sociologiche. In realta', lo Stato ha prima di tutto bisogno dell'esercito per se stesso, al fine di assicurare la propria autorita', mantenerla e, nel caso, ristabilirla. Se la mistica militare confessa una religione della liberta', la politica militare pratica una religione dell'ordine. D'altra parte, lo Stato ha troppo il culto dell'obbedienza per non provare una forte ripugnanza al fatto che si insegni ai cittadini a rifiutare di obbedire agli ordini illegittimi. A questo proposito Gene Sharp scrive: "E'  molto probabile che questa fede nell'onnipotenza della violenza e questa ignoranza della potenza della lotta popolare nonviolenta, siano state perfettamente compatibili con gli interessi delle elites dominanti del passato, le quali non volevano che il popolo prendesse coscienza del proprio potere potenziale" (43).
Cosi', oggi come ieri, la messa in opera della difesa civile nonviolenta resta una vera sfida. Non sarebbe ragionevole attendersi dai poteri pubblici che essi l'organizzino nella stessa maniera in cui organizzano la difesa militare, per mezzo di un processo che sarebbe imposto dall'alto dello Stato al basso della societa'. E' compito anzitutto dei cittadini essere loro stessi convinti che questo e' necessario per la difesa della democrazia, cioe', in definitiva, per la difesa dei loro propri diritti e liberta'. Qui come in altri aspetti, ogni volta che e' anzitutto ed essenzialmente in questione la democrazia, la parola e' anzitutto ai cittadini.
*
Note dell'autore
1. Emmanuel Levinas, Totalite' et infini, op. cit., p. 5; tr. it. cit., di Adriano Dell'Asta, Jaca Book Edizioni, Milano 1982, p. 19.
2. Carl von Clausewitz, De la guerre, Paris, Les Editions de Minuit, 1955, p. 52; tr. it. Della guerra, a cura e traduzione di Gian Enrico Rusconi, Einaudi, Torino 2000.
3. Ibidem, p. 44.
4. Ibidem, p. 51.
5. Ibidem.
6. Ibidem, p. 67.
7. Ibidem, p. 66.
8. Ibidem, p. 67.
9. Ibidem, p. 705.
10. Ibidem, p. 710.
11. Ibidem, p. 703.
12. Ibidem, p. 706.
13. Ibidem, p. 53.
14. Ibidem, p. 66.
15. Ibidem, p. 703.
16. Ibidem, p. 55.
17. Ibidem, p. 58.
18. Ibidem, p. 53.
19. Ibidem.
20. Ibidem, p. 65.
21. Ibidem, p. 58.
22. Ibidem.
23. Ibidem, p. 704.
24. Ibidem, p. 66.
25. Ibidem, p. 678.
26. Ibidem, p. 73.
27. Ibidem.
28. Ibidem, p. 73-74.
29. Ibidem, p. 74.
30. Ibidem.
31. Ibidem, p. 81.
32. Ibidem, p. 75.
33. Ibidem.
34. Ibidem, p. 552.
35. Ibidem, p. 553.
36. Ibidem, p. 70.
37. Ibidem, p. 72.
38. Ibidem, p. 82.
39. Ibidem, p. 83.
40. Ibidem, p. 82.
41. Ibidem, p. 57.
42. Alain Refalo, "Place et role des associations dans une strategie de dissuasions civile", Alternatives non-violentes, n. 72, octobre 1989, p. 28.
43. Gene Sharp, "A la recherche d'une solution au probleme de la guerre", Alternatives non-violentes, n. 34, p. 72.
*
Note supplementari del traduttore
* Conserviamo nella traduzione questa espressione dell'Autore per esprimere il concetto che ora, in Italia, e' prevalentemente denominato "difesa nonarmata e nonviolenta" (n. d. tr.).
** Questo concetto di transarmo presentato da Muller differisce un poco da quello proposto da Johan Galtung e piu' noto in Italia: "Processo di transizione da un modello di difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso della difesa popolare nonviolenta" (Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, p. 151; vedi anche pp. 35, 99-115, 132). La nozione di Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (n. d. tr.).

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Giorgio Colli, La natura ama nascondersi, Milano 1948, Adelphi, Milano 1988, 2014, pp. 358.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5315 del 6 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
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