[Nonviolenza] Telegrammi. 5312



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5312 del 3 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. A costo di sembrare il solito grillo parlante... (novembre 2023)
2. Alcune pubblicazioni di Ilan Pappe'
3. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
4. Jean-Marie Muller, La nonviolenza come esigenza politica (parte prima)
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. A COSTO DI SEMBRARE IL SOLITO GRILLO PARLANTE... (NOVEMBRE 2023)

Ci sono alcune cose che vanno pur dette, e allora diciamole.
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Ogni manifestazione a favore dell'esistenza dello stato di Israele che non s'impegni anche per la nascita dello stato di Palestina rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione a sostegno del popolo palestinese che non s'impegni anche a sostegno del popolo ebraico rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da un'organizzazione terrorista e non quelle commesse da uno stato e' peggio che inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da uno stato e non quelle commesse da un'organizzazione terrorista e' peggio che inutile.
*
Sia il popolo palestinese che il popolo ebraico sono realmente minacciati di genocidio.
E' compito dell'umanita' intera impedire questi genocidi, tutti i genocidi.
Per impedire il genocidio del popolo ebraico e' indispensabile l'esistenza dello stato di Israele.
Per immpedire il genocidio del popolo palestinese e' indispensabile l'esistenza dello stato di Palestina.
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Allo stato di Israele chiediamo:
1. di cessare la guerra a Gaza e il sostegno alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
2. di cessare di occupare i territori palestinesi e di riconoscere l'esistenza dello stato di Palestina nei territori della Cisgiordania e di Gaza devolvendo immediatamente tutte le funzioni giurisdizionali ed amministrative e le risorse relative all'Autorita' Nazionale Palestinese - intesa come governo provvisorio dello stato di Palestina fino alle elezioni democratiche -.
3. di sgomberare immediatamente le illegali colonie nei territori occupati, restituendo quelle aree al popolo palestinese.
4. di concordare con l'Autorita' Nazionale Palestinese l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di essere una piena democrazia abrogando ogni misura legislativa ed amministrativa di discriminazione razzista.
*
All'Autorita' Nazionale Palestinese chiediamo:
1. di assumere immediatamente il governo della Striscia di Gaza.
2. di adoperarsi ivi per l'immediata liberazione di tutte le persone rapite da Hamas.
3. di organizzare lo stato di Palestina indipendente e democratico.
4. di concordare con lo stato di Israele l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di adoperarsi affinche' nessuno stato arabo o musulmano possa piu' proseguire in una politica antisraeliana ed antiebraica prendendo abusivamente a pretesto la causa palestinese.
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All'Onu chiediamo:
1. un piano straordinario di aiuti per la Palestina.
2. una deliberazione dell'Assemblea Generale che riconoscendo i due stati di Israele e di Palestina vincoli tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a cessare ogni politica di negazione dello stato di Israele, ogni politica di persecuzione antiebraica.
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Agli stati ed agli organismi politici sovranazionali d'Europa (l'Europa che e' il continente in cui si sono realizzati la bimillenaria persecuzione antiebraica e l'orrore assoluto della Shoah; l'Europa che e' il continente i cui principali stati hanno oppresso i popoli del resto del mondo con il razzismo, il colonialismo, l'imperialismo fin genocida) chiediamo:
1. di risarcire adeguatamente sia lo stato di Israele che lo stato di Palestina per le sofferenze inflitte ai loro popoli sia direttamente che indirettamente.
2. di contrastare il fascismo e il razzismo, l'antisemitismo e l'islamofobia, tutte le ideologie di odio e le organizzazioni che le praticano e le diffondono, e tutti i crimini conseguenti.
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Fermare la guerra.
Fermare le stragi.
Restituire la liberta' a tutte le persone che ne sono state private.
Riconoscere e proteggere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.

2. MATERIALI. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI ILAN PAPPE'

- Ilan Pappe', La prigione piu' grande del mondo. Storia dei territori occupati, Fazi, Roma 2022, 2023, pp. VI + 378.
- Ilan Pappe', La pulizia etnica della Palestina, Fazi, Roma 2008, 2023, pp. 400.
- Ilan Pappe, Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli, Einaudi, Torino 2005, 2014, 2023, pp. XX + 428.
- Noam Chomsky, Ilan Pappe', Palestina e Israele: che fare?, Fazi, Roma 2015, 2023, pp. 228.
- Noam Chomsky, Ilan Pappe', Ultima fermata Gaza. La guerra senza fine tra Israele e Palestina, Ponte alle Grazie - Salani, Milano 2010, 2023, pp. 272.


3. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER

Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
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Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
*
Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.

4. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: LA NONVIOLENZA COME ESIGENZA POLITICA (PARTE PRIMA)
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riproponiamo il capitolo ottavo: "La nonviolenza come esigenza politica" (pp. 157-182). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]

Il fondamento della citta' greca secondo Aristotele
Per definire cio' che caratterizza la comunita' politica, Aristotele formula due proposizioni: "L'uomo e' per natura un animale politico" (1), e "l'uomo, solo tra tutti gli animali, ha la parola" (2). All'inizio, la comunita' e' formata "per soddisfare i soli bisogni vitali", ma il suo vero scopo e' permettere agli uomini di "vivere bene" (3), cioe' di vivere felici conformandosi alle esigenze della virtu'.
La parola permette agli uomini di comunicare tra loro su cio' che e' utile o dannoso, e soprattutto su cio' che e' giusto o ingiusto. La comunita' politica e' costituita per l'associazione degli uomini che vogliono non soltanto soddisfare i bisogni della loro esistenza animale, ma soprattutto le esigenze della loro vita umana. "Lo stato – scrive Aristotele – e' una comunita' di persone uguali col fine di condurre una vita la migliore possibile" (4). Tutti i cittadini sono simili ed eguali e, percio', hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri politici. "Liberta' ed eguaglianza si realizzano pienamente solo se tutti i cittadini, senza eccezione, partecipano ugualmente e senza restrizioni al governo" (5).
Al fine che il governo dello Stato non degeneri in un dominio degli uni sugli altri, ma rimanga una forma di servizio reso alla comunita' in vista dell'utile comune e del bene comune, Aristotele prevede che tutti i cittadini esercitino il potere a turno. "Quando lo Stato – egli scrive – e' fondato sulla perfetta eguaglianza dei cittadini e la loro perfetta parita', essi rivendicano il diritto di governare a turno" (6). "E' giusto – egli afferma ancora – che nessuno comandi piu' di quanto obbedisce e cosi' ogni cittadino sia chiamato a turno a comandare e ad obbedire" (7). A proposito dell'elezione degli anziani Aristotele trova sconveniente che un cittadino candidi se' stesso esibendo cosi' pubblicamente la sua ambizione. "E' il cittadino piu' degno – scrive – che dovrebbe occupare quella carica, che lo voglia o non lo voglia" (8).
Cosi', secondo Aristotele, il potere che governa lo Stato deve essere ugualmente condiviso da tutti i cittadini, che sono tutti degli uomini liberi e pari. In quanto tale, il potere politico non implica alcuna violenza, ma si esercita mediante la deliberazione e il voto dei cittadini riuniti in assemblea. Ma non bisogna ingannarsi: se, nella citta' greca, il potere politico propriamente detto non si esercita con la violenza, la vita degli abitanti della citta' non e' affatto esente da violenze. Prima di tutto, molti di questi abitanti – gli schiavi per primi – sono esclusi dalla cittadinanza e, dunque, non hanno parte alcuna nel governo della citta'. Essi devono dedicare tutto il loro tempo ai compiti "domestici". Solo i cittadini liberi da questi compiti possono occuparsi di filosofia e di politica. Percio', la violenza e' necessaria per mantenere l'ordine nella citta' e difendere la comunita' dalle minacce esterne. "I membri della comunita' – afferma Aristotele - devono avere armi in loro possesso sia per proteggere il governo contro i cittadini disobbedienti sia per opporsi a chi tenta di nuocere loro dall'esterno" (9). Ma il pensiero greco conserva il merito di aver saputo distinguere l'esercizio del potere politico da quello della violenza: se il ricorso alla violenza e' necessario per permettere l'esercizio del potere, il potere si esercita senza violenza.
*
La nonviolenza del potere: Hannah Arendt
Hannah Arendt si riferisce al pensiero greco per mostrare che la violenza e' in realta' l'antitesi del potere politico. "I rapporti politici normali – ella scrive – non sono viziati di violenza. Questa garanzia la troviamo per la prima volta nell'antichita' greca in quanto la polis, la citta'-stato, si definisce in maniera esplicita come il modo di vita fondato esclusivamente sulla persuasione e non sulla violenza" (10).
Secondo Hannah Arendt, il potere politico nasce quando degli uomini si riuniscono per "vivere insieme" e decidono di agire insieme per costruire il loro avvenire entro una stessa citta'. "Il potere – scrive – corrisponde alla capacita' umana non solo di agire, ma di agire in modo concertato" (11). Questo potere che nasce dall'azione comune non ha alcun bisogno, per esercitarsi, di ricorrere agli strumenti della violenza. "Il potere e la violenza si oppongono per natura; quando uno dei due predomina in modo assoluto, l'altro e' eliminato. (...) Parlare di un potere nonviolento e' una tautologia. La violenza puo' distruggere il potere, ma e' perfettamente incapace di crearlo" (12). Cosi' Hannah Arendt respinge con forza la tesi dominante formulata da Max Weber, dal suo punto di vista di sociologo osservatore dei fatti sociali, secondo la quale il potere politico sarebbe un rapporto di dominio dell'uomo sull'uomo fondato sui mezzi della violenza. L'uomo, dal momento che e' essenzialmente un essere di relazione, non puo' essere libero da solo, ma diventa libero soltanto insieme agli altri. Diventa libero quando arriva a stabilire con gli altri delle relazioni di esseri liberi, cioe' delle relazioni prive di ogni minaccia e di ogni paura, di ogni dominio e di ogni sottomissione. La' dove i rapporti di dominio-sottomissione prevalgono tra gli uomini, si stabilisce il regno della violenza e questo e' il fallimento del potere politico.
Quando agli uomini di governo manca il potere, perche' non hanno la fiducia dei loro concittadini, e' allora che essi sono obbligati a ricorrere agli strumenti della costrizione, cioe' della violenza, per costringerli all'obbedienza. Questa violenza permette ai governanti di farsi temere dagli uomini e di dominarli per qualche tempo, ma essa non da' loro alcun potere. E quando i cittadini sapranno dominare la loro paura, quando oseranno di nuovo riunirsi, parlare e agire insieme, allora riprenderanno il loro potere e costringeranno gli uomini di governo ad andarsene.
Il potere politico e' fondato su una parola e un'azione che si rinforzano a vicenda. Di nuovo, Hannah Arendt si riferisce al pensiero greco: "Essere politico, vivere in una polis, significava che ogni cosa si decideva con la parola e la persuasione e non con la forza ne' con la violenza. Agli occhi dei Greci, costringere, dominare invece di convincere, erano metodi pre-politici di trattare gli uomini" (13). Se l'azione politica e' fondata sulla parola, essa e' priva di ogni violenza per il fatto stesso che violenza e parola si escludono a vicenda, e in modo radicale. Certo, la parola puo' essere violenta, ma una parola violenta e' una violenza e non e' piu' una parola. Inoltre, "la violenza stessa – come scrive Hannah Arendt – e' incapace di parola" (14). Certo, il potere politico deve agire per realizzarsi nella storia, ma deve agire mediante un'azione che prolunghi la parola che l'ha fatto nascere: "Il potere non e' attuato se non quando la parola e l'atto non divorziano, quando le parole non sono vuote e gli atti non sono brutali, (...) quando gli atti non servono a violare e distruggere, ma a stabilire delle relazioni e a creare delle nuove realta'" (15).
Per gli uomini, vivere insieme una vita umana e' parlare e agire insieme: sono questo "parlare insieme" e questo "agire insieme", che costituiscono la vita politica. Cio' che inaugura e fonda l'azione politica e' la parola scambiata tra i cittadini, e' la libera discussione, la deliberazione pubblica, il dibattito democratico, la con-versazione. Questa conversazione (dal latino versare, che significa voltare, volgere) avviene quando gli uomini si rivolgono gli uni verso gli altri per parlare, decidere e agire insieme. Cio' che fonda la politica non e' dunque la violenza, ma il suo contrario assoluto: la parola umana. Un regime totalitario si caratterizza per la distruzione totale di ogni spazio pubblico in cui i cittadini abbiano la liberta' di parlare e di agire insieme.
Cio' che costituisce la citta' politica e' uno spazio pubblico in cui gli uomini, che si sono riconosciuti eguali e pari, scambiano liberamente le loro parole allo scopo di prendere insieme le decisioni che impegnano il loro avvenire comune. E' questo "voler vivere insieme" che conduce gli uomini a formare una societa' facendo alleanza tra loro (societas, da socius, in latino significa alleanza). Fondare una societa' e', letteralmente, creare una as-sociazione. Questa si esprime attraverso una costituzione, cioe' un contratto sociale col quale i cittadini decidono il progetto politico che intendono realizzare insieme. Con Hannah Arendt, conviene qui rifiutare "la concezione verticale" e auspicare piuttosto "la versione orizzontale del contratto sociale" mediante il quale gli individui decidono di concludere tra loro un patto fondato su un "rapporto di reciprocita'" che li unisce in un "impegno mutuo" (16).
L'essenza stessa del fatto politico e' il dialogo degli uomini tra loro. La riuscita del politico e' la riuscita di questo dialogo, cioe' l'accordo degli uomini tra loro per decidere del loro comune avvenire. Poiche' la comparsa della violenza tra gli uomini significa sempre il fallimento del loro dialogo, la violenza significa sempre il fallimento della politica. L'essenza dell'azione politica non e' agire gli uni contro gli altri, ma agire gli uni con gli altri. Certo, la vita comune degli uomini in seno al medesimo stato puo' in qualunque momento essere turbata da conflitti provocati da individui che non rispettano l'alleanza originaria. E' importante risolvere questi conflitti per ristabilire la pace sociale e rendere di nuovo possibile il dialogo tra i cittadini. La risoluzione dei conflitti e' una condizione della vita politica, ma la vita politica non e' costituita da quella risoluzione. Gli individui che ricorrono alla violenza per realizzare le loro passioni, soddisfare i loro desideri o far prevalere i loro interessi particolari hanno gia' abbandonato il luogo in cui si elabora e si realizza il progetto politico della comunita' a cui appartengono. La loro azione non si inscrive piu' nello spazio pubblico che costituisce la comunita' politica. Bisognera' certo raggiungerli per combatterli e per neutralizzare la loro capacita' di violenza. Questa lotta e' necessaria per preservare la possibilita' dell'azione politica della comunita', ma non e' affatto costitutiva dell'azione politica degli uomini ragionevoli.
Del resto, la parola offre ancora delle possibilita' per lottare contro la violenza, come dimostra la tradizione della "chiacchierata" praticata in certe societa' africane. "In queste societa' tradizionali – scrive a questo proposito Jean Duvignaud – davanti a un atto di violenza la soluzione non e' la faida familiare, ma un discussione che unisce tutto il gruppo e nella quale la violenza e' tramutata in parola" (17). E' cosi' possibile elaborare una soluzione al conflitto sopravvenuto e reintegrare il o i delinquenti nella comunita' degli uomini che si parlano.
Conviene dunque definire sempre il fatto politico in rapporto al progetto che essa comporta. Questo progetto, che e' riunire gli uomini in un'azione comune, non soltanto non lascia alcuno spazio alla violenza, ma non puo' realizzarsi che mediante la nonviolenza. Nella sua finalita' come nelle sue modalita', l'azione politica e' organicamente accordata alla nonviolenza. Solo la filosofia della nonviolenza situa di nuovo la comunita' politica nella sua vera prospettiva e le da' di nuovo le sue vere dimensioni. Se l'azione politica si caratterizza in effetti per il fatto di essere nonviolenta, allora la violenza, per sua stessa natura, e' "anti-politica", quale che possa essere talvolta la sua necessita'. Al massimo, bisognerebbe forse concedere che essa e' pre-politica nella misura in cui precede e, in certe circostanze, prepara e rende possibile l'azione politica.
Cosi' la violenza, che ha sempre di mira la morte, si trova in contraddizione fondamentale con l'esigenza essenziale della politica, che e' costruire una societa' liberata dalla morsa della violenza. Al fine di far prevalere i diritti rispettivi di tutti i cittadini e di tutti i popoli, il governo dello stato deve sforzarsi di risolvere pacificamente gli inevitabili conflitti che sorgono tra i membri di una societa' e tra le diverse societa'. Cosi', il governo deve pacificare la vita sociale per rendere possibile la vita politica, cio' che implica non soltanto la volonta' di instaurare la pace, ma la volonta' di instaurarla con mezzi pacifici, cioe' nonviolenti.
La riflessione filosofica non ci autorizza ad affermare che la nonviolenza sia la risposta che offre in tutte le circostanze i mezzi tecnici per affrontare le realta' politiche, ma ci porta ad affermare che la nonviolenza e' la domanda che, di fronte alle realta' politiche, ci permette in tutte le circostanze di cercare la migliore risposta. Se, immediatamente, volessimo considerare la nonviolenza come la risposta buona, noi non vedremmo altro che le difficolta' a metterla in atto e rischieremmo di convincerci rapidamente che esse sono insormontabili. Invece, se noi consideriamo la nonviolenza come la domanda buona, potremo allora guardarla come una sfida da raccogliere e applicarci a cercare la migliore risposta che possa esserle data. Fino ad oggi gli uomini generalmente non si sono posti la (buona) domanda della nonviolenza e hanno accettato subito la (cattiva) risposta offerta dalla violenza. Affermare che la nonviolenza e' sempre la buona domanda ci deve far evitare di credere troppo in fretta che la violenza sia la buona risposta. Infatti, se e' vero che la domanda buona non ci da' immediatamente la risposta buona, essa orienta la nostra ricerca nella direzione in cui abbiamo le maggiori probabilita' di trovarla. E questo e' gia' decisivo. Poiche' il fatto di porre la buona domanda e' una condizione necessaria, benche' non sufficiente, per trovare la buona risposta.
Dal momento che la violenza si trova legittimata in nome della ragion di Stato, essa puo' avere libero corso nella storia. E' proprio cio' che la storia ci insegna. Di fronte a tutto quello che la violenza commette di irreparabile quando diventa il mezzo specifico della politica, non e' necessario uscire in riflessioni morali per rifiutarla. E' nell'azione politica stessa che si trovano le ragioni per rifiutarla. E sono ragioni imperative.
Ogni atto di violenza, soprattutto se e' compiuto dal governo, deve essere riconosciuto come un fallimento dell'azione politica nel suo tentativo di controllare le situazioni conflittuali senza ricorrere alla violenza. Il fatto stesso di non aver saputo risolvere un conflitto altrimenti che con la violenza rivela una disfunzione della societa' e non deve essere banalizzato come se facesse parte del suo funzionamento normale. Davanti alla necessita' di ricorrere alla violenza, la cosa urgente non e' giustificarla, ma cercare i mezzi nonviolenti che permetteranno in avvenire di evitare, in tutti i modi possibili, che una tale situazione si ripeta.
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Democrazia e cittadinanza
Si riconosce in generale che la democrazia e' il progetto politico che meglio corrisponde a quello di una societa' di giustizia e di liberta'. Ma il concetto stesso di democrazia si trova affetto da un'ambiguita' fondamentale. Secondo il suo senso etimologico, democrazia significa "governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo", per riprendere l'espressione usata dalla Costituzione francese per definire il principio della Repubblica. Ma la parola democrazia significa ugualmente un governo che rispetti le liberta' e i diritti dell'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini. Certo, questi due significati non sono in contraddizione, ma per realizzare la democrazia il popolo deve avere in se' l'esigenza etica che fonda l'ideale democratico. La democrazia e' una scommessa sulla saggezza del popolo. Sfortunatamente, la saggezza democratica del popolo non arriva sempre all'appuntamento con l'avvenimento politico. Il popolo puo' diventare una folla, e la passione s'impadronisce di una folla piu' facilmente della ragione.
In realta', la vera democrazia non e' popolare, ma cittadina. La democrazia vuole essere il governo dei cittadini, da parte dei cittadini, per i cittadini. Cio' che fonda la democrazia e' la cittadinanza di ogni donna e di ogni uomo della citta'. E' l'esercizio della cittadinanza che da' all'esistenza dell'individuo la dimensione pubblica. Certo, l'uomo ha bisogno di una vita privata, ma la vita privata degli altri non potrebbe bastargli per diventare se' stesso. Per questo, egli deve arrischiarsi ad uscire di casa e venire sulla pubblica piazza ad incontrare gli altri. L'uomo e' essenzialmente un essere di relazione, capace di unirsi agli altri mediante la parola e l’azione. Egli non accede all'esistenza se non mediante questa relazione fondata sul mutuo riconoscimento e sul rispetto reciproco. Allora diventa possibile costruire una societa' fondata sulla liberta' e l'eguaglianza. La liberta' del cittadino non deve essere definita in via negativa per il fatto che non e' sottomesso a costrizioni abusive del potere politico, ma in via positiva per il fatto che partecipa effettivamente a questo potere. L'ideale democratico implica una "uguale" ripartizione tra tutti i cittadini del potere, dell'avere e del sapere. Questo ideale e' perfetto, ma il suo maggiore inconveniente e' di essere irrealizzabile. Tuttavia, indica una direzione, permette una pedagogia, e crea una dinamica.
Per fondare la cittadinanza, e' importante riferirsi a dei princìpi universali che riconoscano e garantiscano i diritti e le liberta' inalienabili di ogni essere umano. Quando, per fondare la cittadinanza, ci si riferisce a dei criteri particolari, che siano la razza, l'etnia o la religione, la democrazia e' gia' negata. Cosi', infatti, si creano delle divisioni e delle opposizioni tra gli uomini, che rischiano fortemente di degenerare un giorno o l'altro in violenze. La cittadinanza non e' possibile che tra uomini i quali, al di la' di tutte le loro differenze, si riconoscono uguali e pari. Tuttavia, non e' con l'uniformare le culture che bisogna cercare di raggiungere l'universalita', ma con la loro convergenza. Ogni cultura tende ad affermare la propria superiorita' sulle altre, e ad arrogarsi i privilegi dell'universalita'. Il concetto di "cultura universale" e' totalitario, perche' giustifica la conquista, la guerra e il dominio. Non e' una cultura che presenta i caratteri dell'universalita', ma l'etica politica che fonda il rispetto dell'uomo, cioe' il rispetto dell'altro nella sua singolarita'.
Se riflettiamo sulla universalita' della bellezza, noi possiamo meglio comprendere l'universalita' della verita'. La verita', come la bellezza, deve rivolgersi alla liberta' dell'uomo, senza mai voler imporsi con la costrizione. La verita', come la bellezza, deve riconciliare l'uomo con se' stesso, aprendo cosi' la via alla riconciliazione di tutti gli uomini tra loro. L'universalita' dell'etica, che fonda la saggezza dell'uomo ragionevole, presenta cosi' una profonda analogia con l'universalita' dell'arte. L'arte arriva a trascendere la cultura in cui nasce, proprio mentre esprime la sua singolarita'. L'arte raggiunge l'universale, mentre nessuna opera d'arte e' simile ad un'altra. Attraverso forme differenti legate alle differenze delle culture, l'arte – che si tratti di poesia, letteratura, musica o pittura – raggiunge un significato che parla ad ogni essere umano. In ogni cultura, l'arte esprime gli stessi interrogativi sul destino dell'uomo, e, attraverso di essi, sono le stesse ricerche e istanze quelle che essa formula. Cosi' l'etica deve arrivare a esprimere l'universale umano.
In realta', il popolo non si esprime e non decide niente. Sono soltanto i cittadini che possono esprimersi ed e' una minoranza di loro che decide. Ma questa decisione non e' democratica che nella misura in cui risulta da una larga discussione pubblica a cui tutti possano partecipare. Ora, nelle democrazie rappresentative, la parola dei cittadini ha qualche importanza soltanto al momento delle elezioni e, eventualmente, dei referendum. Lo spazio pubblico in cui il cittadino esercita il suo diritto di parola tende a ridursi alle dimensioni della cabina elettorale. Se l'essenza della democrazia e' la discussione pubblica, allora niente e' meno democratico di una societa' in cui il cittadino non ha realmente altra possibilita' di esprimersi che nel chiuso di quella cabina. Evidentemente, non intendiamo disconoscere il ruolo decisivo dell'organizzazione di libere elezioni nella lunga marcia dei popoli verso la loro liberazione dalle tirannie e dai dispotismi. Quello che vogliamo sottolineare e' che, se delle elezioni libere sono necessarie alla democrazia, esse non le sono sufficienti. La partecipazione dei cittadini alle elezioni non potrebbe bastare per dire che essi partecipano alla res-publica, cioe' che prendono effettivamente parte alle decisioni che orientano il corso degli affari pubblici. Votando, il cittadino non esercita il suo potere, ma lo delega a un rappresentante sul quale non potra' esercitare alcun controllo fino alla prossima elezione. Votando, il cittadino non esprime la sua voce, ma la consegna a uno di quelli che gliela reclamano rumorosamente. Non e' affatto in questione il principio della delega – necessaria dal momento che la democrazia diretta non e' possibile – ma le sue modalita' pratiche, che la fanno somigliare a un abbandono di potere.
In definitiva, il vanto della democrazia di permettere ai cittadini di governare e' largamente illusorio e ingannevole. Non e' vero che in un regime democratico i cittadini prendono parte direttamente alle decisioni del potere politico. Secondo il filosofo di origine austriaca Karl Popper, l'idea che la democrazia sarebbe "il potere del popolo" e' pericolosa. Infatti, in realta', "ognuno dei membri del popolo sa benissimo che non comanda affatto e ha dunque l'impressione che la democrazia sia una frode" (18). Dunque Popper ritiene che la democrazia debba essere meno pretenziosa: il suo obiettivo non deve essere di dare il potere al popolo, ma di evitare che il potere diventi tirannico e privi il popolo della sua liberta'. In altre parole, "la democrazia e' un modo di preservare lo Stato di diritto" (19). Per Karl Popper, la questione centrale della democrazia non e' tanto il potere quanto la limitazione del potere: "L'essenziale – egli afferma – e' che il governo non abbia troppo potere" (20). Egli vuole uno Stato, ma ne vuole il meno possibile: vuole uno "Stato minimale" (21).
Le democrazie non permettono al popolo di esercitare il potere, ma riconoscono ai cittadini il diritto di controllare il potere. L'essenziale e' che i cittadini possano deporre il governo quando stimano che la sua politica e' contraria agli interessi della comunita', e specialmente quando non rispetta lo Stato di diritto. Per definire la democrazia, dunque, Karl Popper scarta l'idea di "potere da parte del popolo" e la sostituisce con l'idea di "giudizio da parte del popolo" (22). "Noi non possiamo tutti governare e dirigere, ma noi possiamo tutti giudicare il governo, possiamo esercitare il ruolo di giurati" (23). Tuttavia, il giudizio dei giurati che sono i cittadini e' anch'esso fallibile e non puo' costituire una garanzia assoluta contro la violazione dei diritti della persona da parte del governo. I giurati possono lasciarsi sedurre dalle "ideologie alla moda che sono quasi sempre di una stupidita' infinita e prendono immancabilmente il falso per il vero" (24). Per questo, Karl Popper pensa che il compito piu' importante e' sviluppare tra i cittadini una cultura della nonviolenza, che miri ad eliminare la violenza dagli spiriti e dalle intelligenze.
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Il numero e il diritto
La democrazia pretende di fondare la sua legittimita' sulla legge del numero. Ma questa puo' non corrispondere al rispetto del diritto. Il principio di maggioranza non garantisce il rispetto dell'esigenza etica che fonda la democrazia. La dittatura del numero puo' essere piu' implacabile della tirannia di uno solo. Le forze antidemocratiche si sono sempre appoggiate sulla regola della maggioranza per tentare di imporre il loro potere all'insieme della societa'. Che cosa deve succedere quando la volonta' del maggior numero, cioe' "la volonta' del popolo", si oppone alla giustizia? Per il cittadino democratico non puo' esserci dubbio: l'esigenza etica deve valere piu' della volonta' della maggioranza, il diritto deve prevalere contro il numero. In una vera democrazia, il rispetto del diritto e' infinitamente piu' cogente del rispetto del suffragio universale.
La cittadinanza non puo' essere fondata sulla disciplina collettiva di tutti, ma sulla responsabilita' e dunque sull'autonomia personale di ciascuno. In nome della sua coscienza, ogni cittadino puo' e deve opporsi alla legge di maggioranza quando questa produce una chiara ingiustizia. Esiste cosi' un civismo del dissenso, una dissidenza civica, che, in nome dell'ideale democratico, rifiuta di piegarsi alla legge della maggioranza.
Cio' che garantisce la democrazia non e' uno Stato forte, ma lo Stato di diritto. Questo non e' costituito dai valori della democrazia, ma dalle istituzioni della democrazia, che incarnano e storicizzano quei valori. Lo Stato di diritto e' un equilibrio istituzionale fragile che rischia sempre di venire rotto. Le minacce che pesano sull'ordine democratico sono generate anzitutto da delle ideologie fondate sulla discriminazione e l'esclusione. Che si tratti del nazionalismo, del razzismo, della xenofobia, dell'integrismo religioso o del liberalismo economico esclusivamente fondato sulla ricerca del profitto, sono queste ideologie che minacciano la democrazia. Dunque, promuovere e difendere la democrazia – questi due passi si rafforzano l'un l'altro e devono essere intrapresi insieme – vuol dire anzitutto lottare contro queste ideologie i cui germi proliferano tanto all'interno che all'esterno della societa'. Queste ideologie, infatti, non conoscono frontiere.
Le ideologie antidemocratiche sono tutte legate all'ideologia della violenza. Non esitano mai a proclamare che la violenza e' necessaria e legittima quando e' messa al loro servizio. Per questo, in definitiva, la minaccia contro la democrazia e' sempre quella della violenza e, di conseguenza, la difesa della democrazia e' sempre una lotta contro la violenza. Ma non e' possibile respingere efficacemente le ideologie antidemocratiche che affermano la legittimita' della violenza a servizio della loro causa, se non opponendo loro la filosofia politica della nonviolenza come fondamento della democrazia.
Le minacce che pesano sulla democrazia non si esprimono soltanto con la diffusione di idee perverse in grado di minare i principi della democrazia, ma si manifestano anche e soprattutto con l'organizzazione di azioni che mirano a destabilizzare le istituzioni democratiche. La lotta contro queste ideologie non puo' ridursi a un dibattito di idee, ma deve essere una vera lotta. Tocca dunque a tutti i cittadini che restano attaccati alla democrazia mobilitarsi, riunirsi, e organizzarsi per resistere. Ma, inoltre, e' essenziale che i mezzi della lotta per difendere la democrazia siano coerenti con i valori e i principi della democrazia stessa, cioe' siano mezzi nonviolenti.
Le grandi violenze della storia – le guerre, i massacri e i genocidi – non sono naturali ne' spontanee, ma sono state pensate e organizzate. Gli odi e le passioni che le hanno accompagnate sono stati generati da propagande ideologiche e costruzioni politiche. L'insorgere dell'irrazionale, che ha orientato il comportamento degli individui verso l'omicidio, e' stato armato da costruzioni razionali. E' dovuto al fatto che nessuna forza politica e' stata in grado di opporsi per tempo a queste costruzioni, che cio' e' diventato inevitabile ed e' arrivato a creare l'irreparabile.
Le ideologie fondate sulla discriminazione e l'esclusione prosperano sul terreno fertile delle emozioni e delle passioni che orientano i comportamenti collettivi degli uomini. Il razzismo, la xenofobia e, piu' generalmente, ogni atteggiamento di odio verso altri, non poggiano soltanto su idee false, ma altrettanto su un insieme di paure e di sofferenze. Per combattere efficacemente quelle idee bisogna nello stesso tempo comprendere quelle paure e quelle sofferenze e sforzarsi di guarirle. Sotto questo aspetto, l'azione nonviolenta si presenta come una terapia collettiva.
Ogni filosofia politica, ogni progetto di societa' e ogni strategia di lotta che non tenessero conto dei fattori irrazionali e affettivi che intervengono potentemente nelle relazioni umane sarebbero votati al fallimento. Quando la passione e' la spinta principale dei comportamenti collettivi non basta, per pacificare la vita sociale e politica, rivolgersi agli individui con degli argomenti logici e razionali. Non che sia inutile appellarsi alla ragione, ma la migliore delle filosofie non puo' dispensare dall'appoggiarsi sui contributi della psicologia sociale che possono aiutare gli individui a rendersi piu' ragionevoli. Di fronte a una patologia sociale che infetta, certo, gli individui, ma in quanto membri di un gruppo determinato, conviene cercare di mettere in opera quello che Charles Rojzman chiama una "terapia sociale" (25). Si tratta di un metodo di intervento che mira a formare gli individui allo "spirito democratico". "Questa formazione – precisa Charles Rojzman – deve essenzialmente poggiare su una diagnosi riguardante i bisogni, i desideri, le paure e gli odi degli individui, dei gruppi e delle istituzioni e su un trattamento terapeutico che, per sua natura, non puo' che indirizzarsi a degli individui. Una nuova educazione civica dovra' insegnarci a conoscere questi bisogni, queste emozioni, queste passioni e darci degli strumenti per regolarle" (26).
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Note
1. Aristotele, La Politica, 1253, a 1; Etica Nicomachea, 1, 1169, b 18.
2. Ibidem, 1253, a 5.
3. Ibidem, 1252, b 25.
4. Ibidem, 1328, a 35.
5. Ibidem, 1291, b 35.
6. Ibidem, 1279, a 5.
7. Ibidem, 1287, a 15.
8. Ibidem, 1271, a 10.
9. Ibidem, 1328, b 5.
10. Hannah Arendt, La crise de la culture, Paris, Gallimard, 1992, Folio-Essais, p. 11.
11. Hannah Arendt, Du mensonge a' la violence, Paris, Calmann-Levy, 1972, p. 153. Questa affermazione corrisponde letteralmente a quella che si trova in On Violence, Harcourt Brice & Company, 1970, nella traduzione italiana di Savino D'Amico, Sulla violenza, Guanda, Parma 1996, p. 40.
12. Ibidem, p.166; tr. it. Sulla violenza cit., p. 51 e 48.
13. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, Paris, Calmann-Levy, 1992, Presses Pocket, p. 64; edizione originale The Human Condition, The University of Chicago, 1958; tr. it. di Sergio Finzi, Vita activa. La condizione umana, Bompiani 1998, p. 20.
14. Hannah Arendt, Essai sur la revolution, Paris, Gallimard, 1985, coll. Tel. P. 21-22; edizione originale On Revolution (1963); tr. it. Sulla rivoluzione, Comunita' 1983.
15. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, op. cit. p. 260; tr. it. cit.
16. Hannah Arendt, Du mensonge a' la violence, op. cit., p. 93.
17. Jean Duvignaud, "Violence et societe'", in Raison presente, n. 54, 1980, p.7.
18. Karl Popper, La leçon de ce siecle, Paris, Anatolia, 1993, p. 131; tr. it. La lezione di questo secolo, Venezia 1992.
19. Ibidem, p. 190.
20. Ibidem, p. 106.
21. Ibidem, p. 114.
22. Ibidem, p. 108.
23. Ibidem, p. 133.
24. Ibidem, p. 142.
25. Charles Rojzman, La peur, la haine et la democratie, Paris, Desclee de Brouwer, 1992, p. 35.
26. Ibidem, p. 43-44.
(Parte prima - segue)

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Classici
- Augustinus Merk S. J. (ed.), Novum Testamentum graece et latinae, Editrice pontificio istituto biblico, Roma 1933, 1992 (editio undecima), pp. 48 + 880 (di cui le pp. 2-852 doppie, con testo greco e latino a fronte).
- Nestle-Aland (edd.), Nuovo Testamento greco-italiano, a cura di Bruno Corsani e Carlo Buzzetti, prefazione di C. M. Martini e B. Aland, Societa' biblica britannica & forestiera, Roma 1996, pp. XII + 51 + 840 (di cui le pp. 1-680 doppie, con testo greco e italiano a fronte). Il testo greco e' quello della XXVII edizione dell'opera di Eberhard ed Erwin Nestle a cura di Barbara e Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, Bruce M. Metzger, in collaborazione con l'Istituto per la ricerca testuale del Nuovo Testamento di Muenster, Westfalia; il testo italiano e' quello della versione della Conferenza episcopale italiana; il testo delle note italiane e' tratto dall'edizione italiana della Traduction Oecumenique de la Bible. E' l'edizione manuale diglotta dell'edizione critica Nestle-Aland del Nuovo Testamento.
- Alfred Rahlfs, Robert Hanhart (a cura di), Septuaginta. Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 2006, pp. LXXVIII + 942.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5312 del 3 settembre 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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