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[Nonviolenza] Telegrammi. 5299
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 5299
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Tue, 20 Aug 2024 13:10:25 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5299 del 21 agosto 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Daniele Garrone ricorda Paolo Ricca
2. Maria Speranza Perna ricorda Pio Russo Krauss
3. Enrico Peyretti: Contemplazione e azione nel lavoro di pace di Pier Cesare Bori
4. Pasquale Pugliese: L'umanita' al bivio
5. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
6. Alcune poesie di Wislawa Szymborska
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. DANIELE GARRONE RICORDA PAOLO RICCA
[Dal sito dell'agenzia "Nev" riprendiamo e diffondiamo il seguente ricordo dal titolo "Paolo Ricca, un uomo di visioni e progetti"]
L'ampia e crescente risonanza della notizia della sua morte e' un segno tangibile di quanto Paolo Ricca fosse non solo noto e stimato, ma anche amato. Quante volte, nei contesti piu' diversi, in Italia, come in Germania o in Svizzera o in Francia o negli Stati Uniti, ci siamo sentiti dire, e dagli interlocutori piu' diversi: "Ho conosciuto Paolo Ricca", e spesso "Come sta Paolo Ricca?". Il protestantesimo italiano, in primis quello delle chiese riunite nella Federazione, ha per decenni avuto in lui un esponente autorevole, in ambito ecumenico, nelle relazioni con le chiese sorelle, nello spazio pubblico.
L'incontro con lui come oratore o predicatore, come docente o come membro di un gruppo di lavoro, perfino se episodico, lasciava sempre una traccia e, se seguito da un colloquio, spesso faceva nascere un legame, al quale non si sottraeva, spesso coltivandolo con la corrispondenza o il telefono. Era difficile che rifiutasse un invito, anche sapendo che avrebbe dovuto affrontare la fatica di un viaggio o che lo avrebbe atteso un uditorio esiguo. Questa disponibilita' lo ha caratterizzato fino agli ultimi giorni della sua vita.
Sapeva costruire ponti, ispirando simpatia e generando fiducia. In ambito ecumenico, anche con interlocuzioni che altri avrebbe ritenuto impossibili, lo guidava la convinzione che la fede comune, seppur vissuta in forme diverse e a volte dissonanti se non dissenzienti, dovesse per sua natura condurre all'incontro e aprirsi al dialogo, che non si alimentava con abili strategie o accorte mediazioni, ma consisteva in un passo in avanti verso l’unico Signore che tutti ci chiama. L'incontro non e' a meta' strada dalle nostre posizioni attuali, ma piu' avanti. Per le piccole realta' protestanti ed evangeliche in Italia; per le piu' o meno grandi denominazioni protestanti in Europa o oltre Oceano, per il rapporto con il cattolicesimo romano.
Forse traspare di meno, vista l'imponenza della sua opera di oratore e di scrittore fecondo e dalla prosa di illuminante chiarezza e di grande vigore - come del resto i suoi discorsi, dalle lezioni accademiche alle conferenze - ma Paolo Ricca e' stato un uomo di visioni e progetti. Era convinto che quando si hanno posizioni di responsabilita' nella chiesa, non basta gestire al meglio l'esistente, bene operare con quel che c'e', bisogna avere "un progetto", individuare cio' che manca e cercare di costruire, sensibilizzando e mobilitando chi puo' sostenere l'idea, affrontando le obiezioni di chi per prima cosa vede gli ostacoli.
In una vita poliedrica come la sua e vissuta con intensita' in ogni sua dimensione e' difficile attribuire piu' peso a un aspetto, ma certamente non si poteva non essere colpiti dalla sua passione per la predicazione, cioe' per "dire Dio" in pubblico, parlare di Dio - e non in primo luogo di morale, di saggezza - ascoltando e ridicendo cio' che Dio dice lui, attraverso le parole della Scrittura. Ogni testo era per lui da scavare, per poi dire non l'impressione che ci ha fatto, ma ridire cio' che abbiamo udito nel corpo a corpo con una parola che viene da fuori di noi. Si trattava per lui di parlare di Dio nell'attesa fiduciosa che Dio parli e parli a noi, per noi, come aveva imparato dal suo amato Lutero. Parlare di Dio senza eludere nessuna domanda, anche scomoda, senza sottrarsi a nessuna inquietudine, a nessun dubbio, a nessuna sfida...
La sua vita e' stata una continua e appassionata interlocuzione su Dio, davanti a Dio, sapendo che si puo' contare sul fatto che Dio parla. Credo che Paolo Ricca non mi redarguirebbe se riassumessi la passione che ha mosso tutta la sua poliedrica attivita' e il fine che si prefiggeva, con il termine "predicazione". Che si trattasse di sondare la storia della chiesa o i grandi temi della teologia, che si trattasse di approfondimenti accademici o di divulgazione, di ecumenismo o impegno civile, di cura d'anime o di prendere sul serio interrogativi critici, il motore e lo scopo erano sempre l'ascolto del Dio che parla e del quale percio' possiamo, anzi dobbiamo, parlare.
Nella tristezza per la sua scomparsa, si scopre la gratitudine per quello che ci ha dato e insegnato. Una cospicua eredita', ma anche una grande responsabilita'.
Daniele Garrone, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
2. AMICIZIE. MARIA SPERANZA PERNA RICORDA PIO RUSSO KRAUSS
[Ringraziamo di cuore Maria Speranza Perna per averci inviato questo ricordo]
Ho conosciuto Pio Russo Krauss, mio grande amico, circa cinquanta anni fa, quasi per caso.
Ero andata a Messa in una chiesa non abituale, per me, all'epoca credente e praticante, anche se con qualche dubbio... all'uscita della celebrazione, due-tre ragazzi stavano distribuendo volantini con l'invito, rivolto ai cattolici, a votare "NO" al referendum promosso dalla stragrande maggioranza della Chiesa ufficiale, contro la legge sul divorzio, gia' approvata al Parlamento. In calce al volantino: "La CdB (Comunita' di Base) del Vomero, con nomi dei referenti e numeri di telefono.
Gia' convinta di votare per il divorzio (cioe' "NO" all'abrogazione della legge), contatto subito uno dei ragazzi il cui numero di telefono compare su ciclostilato: conosco quindi Paolo Siani che mi invita ad un incontro della "Comunita' di Base" del Vomero.
Qui conosco, tra gli altri, Pio Russo Krauss e Gigliola Golia, all'epoca sua fidanzata (poi diventata sua moglie). Mi colpisce l'atmosfera di fermento, di voglia di partecipazione... Pio, Paolo e gli altri fanno "scuola popolare" con i ragazzi poveri del quartiere. Siamo negli anni de "Lettera a una professoressa" di don Milani...
Ora vorrei consigliare il romanzo "Come la luce dell'alba", edizione La valle de tempo, di Pio Russo Krauss, dove, meglio d quanto possa fare io, si raccontano quegli anni e l'impegno politico e sociale dei ventenni di allora (anni Settanta).
Nel frattempo, conosco il mio attuale marito, Maurizio, che si lascia coinvolgere in questo gruppo di cristiani impegnati. Pio diventa nostro amico e con lui, Gigliola. Nel frattempo, ci laureiamo. Pio e Paolo in Medicina per poi diventare pediatri.
Pio ha sempre un atteggiamento aperto, mai supponente, nonostante la notevole cultura, non solo in ambito medico. Il suo impegno e' saldo nella fede, ma senza assolutismi.
Oltre all'impegno, pero', non dimentichiamo di essere giovani e quindi uscite in gruppo per pizze, panini, qualche veglione... poi il CCG (Centro Culturale Giovanile) del quale Pio e' presidente per qualche anno... poi matrimoni, lavoro, figlie e figli, e ancora impegno con associazioni pacifiste, ambientaliste, per i senza fissa dimora, con i quali Pio mette a disposizione gratuitamente le sue competenze mediche e tanto altro...
Ma mi fermo qui e vi racconto solo quello che per me e per mio marito e' stato Pio: un amico che, nei momenti difficili (tanti e gravosi), ci ha ascoltato, consigliato, supportato, sempre con uno sguardo sereno, incoraggiante.
Gli abbiamo voluto bene e lui ne ha voluto a noi, grazie, Pio.
Un abbraccio, dovunque tu sia.
Speranza
3. MAESTRI. ENRICO PEYRETTI: CONTEMPLAZIONE E AZIONE NEL LAVORO DI PACE DI PIER CESARE BORI
[Ringraziamo Enrico Peyretti per averci messo a disposizione il seguente intervento originariamente apparso sul sito www.inchiestaonline.it]
Individuare gli elementi comuni alle diverse vie spirituali dell'umanita' (culture, religioni, etiche) e' un profondo lavoro di pace, antidoto allo spirito violento dello scontro di culture. Questo ha fatto, come pochi altri maestri, Pier Cesare Bori (caro amico, scomparso il 4 novembre 2012, per causa dell'amianto respirato da giovane a Casale Monferrato). Nell'autobiografia scritta durante la malattia (CV, curriculum vitae, Ed. Il Mulino 2012), Bori narra il suo cammino morale e intellettuale. In Universalismo come pluralita' delle vie (Marietti, 2004), egli propone un modello interculturale, tratto dalla Bhagavadgita, il libro chiave dell'induismo (Gandhi ne fece il proprio vangelo), che distingue, nella vita spirituale: contemplazione, azione, devozione.
La devozione (culto personale o fede in un Dio, divinita' "intesa come potenza distinta essenzialmente dal mondo, ma non separata da questo quanto a realta' ultima") e' un complemento possibile, non necessario, di azione e contemplazione.
La contemplazione e' "volta a contemplare – teologicamente o filosoficamente – la realta' come necessaria, senza divaricazione tra essere e dover essere". L'azione, vista la divaricazione tra essere e dover essere (il problema del male!), e' l'assumersi "anche il compito di superare la realta' nella prassi, sia essa motivata religiosamente, sia essa un'etica laica" (p. 40-41).
Le diverse vie spirituali e religiose dell'umanita' si differenziano per l'accentuazione dell'uno o dell'altro aspetto - contemplazione e azione – non per la presenza o assenza dell'uno o dell'altro. "Spirituale" e' piu' ampio di "religioso" e include anche "quegli orientamenti etici e contemplativi che non implicano una fede in una divinita' personale" (p. 39).
Nella Bibbia e nel Corano, Bori distingue profezia da sapienza: l'appello profetico (profezia significa parlare "al posto di altri", caratteristica dei monoteismi) contiene nel suo centro stesso "una sostanza di razionalita' etica", cioe' di sapienza, in quanto "esige una corrispondenza necessaria tra il culto di Dio e la giustizia verso gli uomini" (p. 53). Questo impegno etico si trova, per esempio, in Isaia 1,11-17; Giovanni 4,23 e ss.; Corano 98,4 e ss.; 2,172, e anche nella sapienza egizia, nella razionalita' etica ellenistica, nella cultura religiosa del Medio Oriente cristiano e persiano. C'e' una sapienza etica prima e dopo le rivelazioni profetiche.
La novita' degli appelli profetici e' che la divinita' stessa si impegna a fare cio' che esige dagli uomini. Max Weber parla del "grandioso razionalismo etico che scaturisce da ogni profezia religiosa" (p. 55). La versione sapienziale etica della profezia tende all'universalismo interculturale, mondano, secolare, della regola etica enunciata in contesto profetico religioso.
Tra le culture umane c'e' dunque un parallelismo non nei contenuti ma nella struttura, che permetterebbe una convergenza finale e, intanto, un sostanziale consenso etico (pp. 43-44). Su tale consenso, Bori ha due libri, uno teorico, uno di testi.
La nonviolenza coinvolge la persona in profondita'. Non basta il pragmatismo, proprio perche' essa si confronta col male, nulla di meno; anzi, essa nasce proprio dal confronto col male-violenza (cfr Jean-Marie Muller, Aldo Capitini, gli "esperimenti con la verita'" di Gandhi e di ogni lottatore nonviolento).
La nonviolenza e' dunque una via spirituale; e' contemplazione (riflessione, ricerca, individuazione del "bene" umano); e' azione (riforma di se', riforma di strutture e culture); non e' necessariamente religione esplicita, ma l'esperienza religiosa, purificata da scorie di cultura violenta, contribuisce ad ispirare ricerca e azione, nei termini sapienziali razionali, sul terreno comune di ogni autentico cammino di liberazione.
Bori indica alcuni "convincimenti fondamentali, che la parte migliore dell'umanita' ha posto a base del suo vivere in societa', ha espresso in una straordinaria varieta' di culture popolari tra loro non isolate e ha trasmesso soprattutto attraverso la sapienza della donna, sino al momento presente: il diritto non si attua senza il sentimento dell'obbligo verso ogni essere umano; il rispetto, privilegio e onore riconosciuti ai deboli; la superiorita' di chi sa non rispondere al male col male, ma con la forza persuasiva della parola indifesa; il valore dell'agire secondo coscienza, a prescindere dai frutti; l'idea che occorra saper governare se stessi e la propria casa per governare anche gli altri; l'idea che la maggior guerra sia quella contro se stessi; l'esistenza assunta come somma di benefici che occorre restituire; il rispetto e la pieta' per ogni vivente; la vita che si acquista perdendola; la tranquillita' e la pace che vengono dalla certezza di una giustizia non affidata alla storia" (Per un consenso etico fra culture, Marietti 1995, p. 106-108).
4. RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: L'UMANITA' AL BIVIO
[Da Pasquale Pugliese riceviamo e diffondiamo questo intervento originariamente pubblicato sulla rivista "Missioni della Consolata", agosto-settembre 2024]
Nel 2019 un gruppo di ricercatori dell'universita' di Princeton, guidati dal professor Alex Glaser, svolse una simulazione sugli effetti di una guerra nucleare tra Russia e Nato. Il modello era basato sulla reale dotazione nucleare delle potenze in campo e sui rispettivi obiettivi strategici ed aveva come ipotesi di avvio un primo colpo "tattico" nucleare inviato dall'esclave russa di Kaliningrad – l'antica Königsberg, citta' di Immanuel Kant autore, tra l'altro, del progetto Per la pace perpetua... – con l'obiettivo di fermare l'avanzata della Nato verso i confini russi, e la conseguente risposta nucleare USA-Nato. La previsione realistica fu che in soli 45 minuti sarebbero stati causati 85,3 milioni di morti, senza contare le vittime legate agli effetti successivi delle radiazioni nucleari. Una immane e repentina ecatombe dell'umanita' e della civilta'. Quella distruzione di mondi della Bhagavadgita, evocata da Robert Oppheneimer ("sono diventato morte, distruttore di mondi"), il fisico a capo del progetto Manhattan, quando assistette all'effetto dirompente dell'esplosione della bomba Trinity nel deserto di Los Alamos, test definitivo con il quale il presidente degli USA Harry Truman dara' il via allo sganciamento delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto del 1945. Come abilmente narrato nel pluripremiato film di Cristopher Nolan.
Ricordiamo brevemente i fatti. Sempre di piu' gli storici che hanno potuto esaminare i documenti USA desecretati riconoscono che il governo giapponese era pronto ad arrendersi circa un mese prima che piovesse le prima bomba atomica, e sicuramente prima che arrivasse anche la seconda. Ma il presidente Truman, che era da poco succeduto a Roosevelt, non intendeva dissipare i risultati della costosissima tecnologia messa a punto segretamente con il progetto Mahanattan, e diede ugualmente il via allo sganciamento dei due ordigni atomici. "La vera posta in gioco" – scrisse Zygmunt Baumann su quella decisione – "puo' essere facilmente dedotta dal trionfante discorso presidenziale il giorno successivo alla distruzione di centinaia di migliaia di vite a Hiroshima: "Abbiamo fatto la scommessa scientifica piu' audace della Storia, una scommessa da due miliardi di dollari – e abbiamo vinto!" (Le sorgenti del male, 2021). Tre giorni dopo la stessa funesta scommessa venne riversata anche su Nagasaki. Furono 220.000 le vittime dirette delle due esplosioni, quasi esclusivamente civili inermi, e circa altre 150.000 quelle successive per le conseguenze delle radiazioni nucleari. Il piu' grande e impunito crimine di guerra della storia dell'umanita'. Mentre chiudeva la Seconda guerra mondiale, si avviava la corsa agli armamenti della cosiddetta Guerra fredda e iniziava per l'umanita' l'era della possibilita' dell'autodistruzione
Non passarono neanche dieci mesi da quel cambio di paradigma nella guerra moderna, avvenuto a spese degli inermi abitanti delle due citta' giapponesi rase al suolo, quando in Italia cominciarono i lavori dell'Assemblea Costituente. Essa aveva perfettamente chiaro che la guerra non era ormai piu' utilizzabile, non solo "come strumento di offesa della liberta' degli altri popoli" ma neanche come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Dopo gli oltre sessanta milioni di morti della della guerra appena conclusa, le armi nucleari avrebbero dovuto rendere definitivamente obsoleta la guerra, fenomeno da archiviare tra i ferrivecchi della storia. L'articolo 11, posto tra i Principi Fondamentali della Costituzione, dice esplicitamente proprio questo ed obbliga, implicitamente, a ricercare e costruire le alternative alla violenza bellica ("pace con mezzi pacifici", recita la Carta delle Nazioni Unite), compatibili con la continuazione della specie umana sulla terra. E' l'etica della responsabilita' che innerva la Costituzione e attraversa la parte migliore del pensiero politico del Novecento.
A cominciare dal Manifesto per il disarmo nucleare stilato pochi anni dopo da Albert Einstein e Bertrand Russell e sottoscritto da illustri scienziati del tempo, da Max Born a Linus Pauling, di una disarmante attualita':
"Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non gia' quali misure adottare affinche' il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiche' tali misure ormai non sono piu' contemplabili; la domanda che dobbiamo porci e': quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?".
Secondo Einstein e Russell l'alternativa ormai e' radicale: "metteremo fine al genere umano o l'umanita' sapra' rinunciare alla guerra?". E, per noi, qui e ora, piu' attuale che mai. Vale la pena aggiungere che nel 1955, anno di pubblicazione del Manifesto, uno dei momenti di maggiore crisi durante la Guerra fredda, le lancette del Doomsday clock, l'orologio dell'Apocalisse – indicatore simbolico del pericolo nucleare dell'umanita' messo a punto dal Bollettino degli scienziati atomici fin dal 1947 a Chiacago – era fissato pericolosamente a due minuti dalla mezzanotte, ossia dall'ora della fine dell'umanita'. Oggi la situazione e' estremamente peggiorata: a quasi un anno dall'invasione russa dell'Ucraina, nel gennaio 2023, la nuova posizione delle lancette aveva toccato i 90 secondi, il punto piu' pericoloso mai raggiunto per la sicurezza dell'umanita', confermato ancora quest'anno. Ed Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, lo scorso 8 giugno ha ribadito che "L’umanita' e' sul filo del rasoio: il rischio che venga usata un'arma nucleare ha raggiunto livelli mai visti dai tempi della Guerra Fredda".
Eppure, salvo alcuni Grandi vecchi come Papa Francesco ed Edgar Morin, entrambi intervenuti all'Arena di Pace di Verona del 18 maggio scorso (seppure il secondo con un video-messaggio registrato), decisori, intellettuali e media sembrano, in grande maggioranza, non avere la percezione del pericolo che stiamo correndo, in questo varco della storia, con la continua escalation della guerra tra potenze nucleari in corso in Europa. Dimenticando colpevolmente la lezione di filosofi come Guenther Anders che avevano messo al centro della propria riflessione esattamente la questione della situazione dell'umanita' nell'epoca della possibilita' dell'autodistruzione atomica. Secondo Anders, nella nostra epoca, qualunque azione politica, in particolare all'interno di una dimensione di conflitto internazionale, non puo' non tenere conto della "situazione atomica":
"La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche armi atomiche, e' un inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente dall'esistenza di armi atomiche, e' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica". (Tesi sull'eta' atomica, si trovano in Appendice a Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki, 1995).
L'agire politico, dunque, per essere dotato di responsabilita' e realismo deve inevitabilmente tenere conto di questo contesto all'interno del quale bisogna ritrovare "il coraggio di aver paura". La paura, infatti, e' segno di consapevolezza e ha percio' un valore euristico, cioe' di strumento di conoscenza della realta', oltre che di sprone alla mobilitazione.
Ricordare, dunque, lo sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, non e' – non puo' essere – la celebrazione di un irripetibile evento storico passato ma rappresenta – deve rappresentare – la presa di coscienza dello stato presente del mondo. Della sua attuale riproducibilita': "il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima" – scrive ancora Anders – "e' cominciata una nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima". Se questa possibilita' e' ormai irreversibile sul piano dell'acquisizione delle competenze tecnologiche – ed appare sempre piu' vicina – e' tuttavia modificabile attraverso l'acquisizione dei saperi etici che consentano di imboccare l'unica uscita di sicurezza esistente: la cancellazione delle armi nucleari dalla faccia della terra, con la loro definitiva proibizione, e il superamento della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Si tratta di colmare cio' che Anders chiama lo "scarto prometeico", ossia la frattura che passa tra l'infinita capacita' produttiva di distruzione e la nostra capacita' immaginativa delle conseguenze.
In un pianeta nel quale, mentre la crisi sistemica globale moltiplica i conflitti, i governi moltiplicano le armi e le guerre, e' necessario declinare il piano etico del dover essere sul piano politico della possibilita' di essere ancora, dando un'ulteriore chance all'umanita' attraverso precise scelte di disarmo. A partire dall'adesione al Trattato internazionale per la messa al bando delle armi nucleari. Si tratta del Trattato ONU voluto dall'azione dal basso dei popoli attraverso la campagna ICAN, vincitrice nel Nobel per la Pace nel 2017. In vigore dal 22 gennaio del 2021, esso mette fuori legge le testate atomiche, ma non e' stato sottoscritto ne' dai nove governi dei paesi atomici (USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Gran Bretagna, Francia, Israele, Corea del Nord) ne' dai governi dei paesi che "ospitano" testate altrui. Come l'Italia che "custodisce" tra le basi militari di Ghedi (Brescia) ed Aviano (Pordenone) diverse decine di testate atomiche statunitensi, facendo cosi' della pianura padana il primario obiettivo di un possibile attacco nucleare su territorio europeo. Preparandone il non essere piu', come nella realistica simulazione di Priceton.
Mentre scrivo queste righe da consegnare alla redazione, i popoli europei stanno votando per le elezioni del Parlamento di Strasburgo. Questo mi fa tornare in mente le note preparatorie, scritte probabilmente nel 1987, per il testo di un intervento di Alberto Moravia mai svolto al Parlamento europeo, dove l'intellettuale italiano era stato eletto nel 1984 (oggi inserito in appendice a L'inverno nucleare, 2022), che e' utile rileggere ancora:
"Nei primi anni del dopoguerra la situazione era questa: la Germania nazista aveva elaborato una teoria (quella della cosiddetta soluzione finale ossia del genocidio totale) che giustificava la bomba come la sola arma che permettesse la strage di massa ma non aveva saputo creare la bomba. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica dal canto loro non avevano alcuna teoria che giustificasse la bomba ma avevano la bomba. Anzi, gli Stati Uniti, nel 1945, avevano costruito e lanciato la bomba (...). Al processo di Norimberga" – continuava lucidamente Moravia – "la teoria della bomba (cioe' della soluzione finale) fu solennemente condannata come una teoria contraria alle leggi della guerra. Ma non ci si accorse che non bastava condannare la teoria ma si doveva mettere fuori legge l'arma nucleare che di quella teoria era l'indispensabile corollario. Questa mancata consapevolezza del segreto e strettissimo rapporto tra bomba e teoria della soluzione finale impedi' di rendersi conto che Hitler, lungi dall'essere stato sconfitto, era il vero vincitore della seconda guerra mondiale".
Sapra' l'Europa, questa volta, impedire il dispiegamento della soluzione finale dell'umanita', con la resistenza attiva e nonviolenta contro la Terza guerra mondiale, che, se sara', sara' nucleare? A ciascuno il compito urgente di fare la sua parte.
5. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER
Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
*
Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
*
Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.
6. REPETITA IUVANT. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA
[Riproponiamo ancora una volta alcune poesie di Wislawa Szymborska estratte da Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009, a cura di Pietro Marchesani.
Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata a Bnin, in Polonia, il 2 luglio 1923 ed e' deceduta a Cracovia il primo febbraio 2012; ha studiato lettere e sociologia a Cracovia; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria", nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e "Kultura"; oltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991 il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book of the Month Club Translation Prize". Tra le opere di Wislawa Szymborska in edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano 1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998; Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore, Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004; La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009]
Vietnam
Donna, come ti chiami? - Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
Perche' ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
Perche' mi hai morso la mano? - Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
Da che parte stai? - Non lo so.
Ora c'e' la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? - Si'.
*
Discorso all'Ufficio oggetti smarriti
Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord,
e anche molti dei per via dall'Est all'Ovest.
Mi si e' spenta per sempre qualche stella, svanita.
Mi e' sprofondata nel mare un'isola, e un'altra.
Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli,
chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio.
Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva
e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza.
Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe,
me ne uscivo di senno piu' e piu' volte.
Da tempo ho chiuso su tutto cio' il mio terzo occhio,
ci ho messo una pinna sopra, ho scrollato le fronde.
Perduto, smarrito, ai quattro venti se n'e' volato.
Mi stupisco io stessa del poco di me che e' restato:
una persona singola per ora di genere umano,
che ha perso solo ieri l'ombrello sul treno.
*
Sulla morte senza esagerare
Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessiture, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure cio'
che attiene al suo mestiere:
ne' scavare una fossa,
ne' mettere insieme una bara,
ne' rassettare il disordine che lascia.
Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo ne' abilita'.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Piu' d'un bruco
la batte in velocita'.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo ingrato lavoro.
La cattiva volonta' non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
e', almeno finora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.
Chi ne afferma l'onnipotenza,
e' lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non e'.
Non c'e' vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.
La morte
e' sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno puo' sottrarre
il tempo raggiunto.
*
La fine e l'inizio
Dopo ogni guerra
c'e' chi deve ripulire.
In fondo un po' d'ordine
da solo non si fa.
C'e' chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C'e' chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
C'e' chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.
Non e' fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia' partite
per un'altra guerra.
Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C'e' chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com'era.
C'e' chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto li' si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po' noioso.
C'e' chi talvolta
dissotterrera' da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti.
Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull'erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c'e' chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
*
L'odio
Guardate com'e' sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l'odio.
Con quanta facilita' supera gli ostacoli.
Come gli e' facile avventarsi, agguantare.
Non e' come gli altri sentimenti.
Insieme piu' vecchio e piu' giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non e' mai un sonno eterno.
L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione -
purche' ci si inginocchi per il via.
Patria o no -
purche' si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre tutto solo.
L'odio. L'odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti -
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
puo' contare sulle folle?
La compassione e' mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verita':
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile e' il pathos delle rovine
e l'umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
E' un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante e' pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspettera'.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
- lui solo.
*
La veglia
La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido ne' fracasso
puo' strapparci da essa.
Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che puo' spiegarsi
in molti modi.
La veglia significa la veglia
ed e' un enigma maggiore.
Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giu' farfalle
e anime di vecchi ferri da stiro,
berretti senza teste
e cocci di nuvole.
Ne viene fuori un rebus
irrisolvibile.
Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
e' ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.
Non i sogni sono folli,
folle e' la veglia,
non fosse che per l'ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.
Nei sogni vive ancora
chi ci e' morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra d'un passo.
La fugacita' dei sogni fa si'
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l'oblio.
E' un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.
Non le si puo' sfuggire,
perche' ci accompagna in ogni fuga.
E non c'e' stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.
*
Le tre parole piu' strane
Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba gia' va nel passato.
Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.
Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.
*
Contributo alla statistica
Su cento persone:
che ne sanno sempre piu' degli altri
- cinquantadue;
insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purche' la cosa non duri molto
- ben quarantanove;
buoni sempre,
perche' non sanno fare altrimenti
- quattro, be', forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;
dotati per la felicita'
- al massimo poco piu' di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro piu' della meta';
crudeli,
se costretti dalle circostanze
- e' meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
- non molti di piu'
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatre'
prima o poi;
degni di compassione
- novantanove;
mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.
*
Fotografia dell'11 settembre
Sono saltati giu' dai piani in fiamme -
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno e' ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C'e' abbastanza tempo
perche' si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell'aria,
nell'ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro -
descrivere quel volo
e non aggiungere l'ultima frase.
*
Tutto
Tutto -
una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece e' soltanto
un brandello di bufera.
*
Esempio
Una bufera
di notte ha strappato tutte le foglie dell'albero
tranne una fogliolina,
lasciata
a dondolarsi in un a solo sul ramo nudo.
Con questo esempio
la Violenza dimostra
che certo -
a volte le piace scherzare un po'.
*
Vermeer
Finche' quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Joel Kotek, Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio: la tragedia del Novecento, Mondadori, Milano 2001, 2002, pp. VI + 618.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5299 del 21 agosto 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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Numero 5299 del 21 agosto 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Daniele Garrone ricorda Paolo Ricca
2. Maria Speranza Perna ricorda Pio Russo Krauss
3. Enrico Peyretti: Contemplazione e azione nel lavoro di pace di Pier Cesare Bori
4. Pasquale Pugliese: L'umanita' al bivio
5. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
6. Alcune poesie di Wislawa Szymborska
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. DANIELE GARRONE RICORDA PAOLO RICCA
[Dal sito dell'agenzia "Nev" riprendiamo e diffondiamo il seguente ricordo dal titolo "Paolo Ricca, un uomo di visioni e progetti"]
L'ampia e crescente risonanza della notizia della sua morte e' un segno tangibile di quanto Paolo Ricca fosse non solo noto e stimato, ma anche amato. Quante volte, nei contesti piu' diversi, in Italia, come in Germania o in Svizzera o in Francia o negli Stati Uniti, ci siamo sentiti dire, e dagli interlocutori piu' diversi: "Ho conosciuto Paolo Ricca", e spesso "Come sta Paolo Ricca?". Il protestantesimo italiano, in primis quello delle chiese riunite nella Federazione, ha per decenni avuto in lui un esponente autorevole, in ambito ecumenico, nelle relazioni con le chiese sorelle, nello spazio pubblico.
L'incontro con lui come oratore o predicatore, come docente o come membro di un gruppo di lavoro, perfino se episodico, lasciava sempre una traccia e, se seguito da un colloquio, spesso faceva nascere un legame, al quale non si sottraeva, spesso coltivandolo con la corrispondenza o il telefono. Era difficile che rifiutasse un invito, anche sapendo che avrebbe dovuto affrontare la fatica di un viaggio o che lo avrebbe atteso un uditorio esiguo. Questa disponibilita' lo ha caratterizzato fino agli ultimi giorni della sua vita.
Sapeva costruire ponti, ispirando simpatia e generando fiducia. In ambito ecumenico, anche con interlocuzioni che altri avrebbe ritenuto impossibili, lo guidava la convinzione che la fede comune, seppur vissuta in forme diverse e a volte dissonanti se non dissenzienti, dovesse per sua natura condurre all'incontro e aprirsi al dialogo, che non si alimentava con abili strategie o accorte mediazioni, ma consisteva in un passo in avanti verso l’unico Signore che tutti ci chiama. L'incontro non e' a meta' strada dalle nostre posizioni attuali, ma piu' avanti. Per le piccole realta' protestanti ed evangeliche in Italia; per le piu' o meno grandi denominazioni protestanti in Europa o oltre Oceano, per il rapporto con il cattolicesimo romano.
Forse traspare di meno, vista l'imponenza della sua opera di oratore e di scrittore fecondo e dalla prosa di illuminante chiarezza e di grande vigore - come del resto i suoi discorsi, dalle lezioni accademiche alle conferenze - ma Paolo Ricca e' stato un uomo di visioni e progetti. Era convinto che quando si hanno posizioni di responsabilita' nella chiesa, non basta gestire al meglio l'esistente, bene operare con quel che c'e', bisogna avere "un progetto", individuare cio' che manca e cercare di costruire, sensibilizzando e mobilitando chi puo' sostenere l'idea, affrontando le obiezioni di chi per prima cosa vede gli ostacoli.
In una vita poliedrica come la sua e vissuta con intensita' in ogni sua dimensione e' difficile attribuire piu' peso a un aspetto, ma certamente non si poteva non essere colpiti dalla sua passione per la predicazione, cioe' per "dire Dio" in pubblico, parlare di Dio - e non in primo luogo di morale, di saggezza - ascoltando e ridicendo cio' che Dio dice lui, attraverso le parole della Scrittura. Ogni testo era per lui da scavare, per poi dire non l'impressione che ci ha fatto, ma ridire cio' che abbiamo udito nel corpo a corpo con una parola che viene da fuori di noi. Si trattava per lui di parlare di Dio nell'attesa fiduciosa che Dio parli e parli a noi, per noi, come aveva imparato dal suo amato Lutero. Parlare di Dio senza eludere nessuna domanda, anche scomoda, senza sottrarsi a nessuna inquietudine, a nessun dubbio, a nessuna sfida...
La sua vita e' stata una continua e appassionata interlocuzione su Dio, davanti a Dio, sapendo che si puo' contare sul fatto che Dio parla. Credo che Paolo Ricca non mi redarguirebbe se riassumessi la passione che ha mosso tutta la sua poliedrica attivita' e il fine che si prefiggeva, con il termine "predicazione". Che si trattasse di sondare la storia della chiesa o i grandi temi della teologia, che si trattasse di approfondimenti accademici o di divulgazione, di ecumenismo o impegno civile, di cura d'anime o di prendere sul serio interrogativi critici, il motore e lo scopo erano sempre l'ascolto del Dio che parla e del quale percio' possiamo, anzi dobbiamo, parlare.
Nella tristezza per la sua scomparsa, si scopre la gratitudine per quello che ci ha dato e insegnato. Una cospicua eredita', ma anche una grande responsabilita'.
Daniele Garrone, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
2. AMICIZIE. MARIA SPERANZA PERNA RICORDA PIO RUSSO KRAUSS
[Ringraziamo di cuore Maria Speranza Perna per averci inviato questo ricordo]
Ho conosciuto Pio Russo Krauss, mio grande amico, circa cinquanta anni fa, quasi per caso.
Ero andata a Messa in una chiesa non abituale, per me, all'epoca credente e praticante, anche se con qualche dubbio... all'uscita della celebrazione, due-tre ragazzi stavano distribuendo volantini con l'invito, rivolto ai cattolici, a votare "NO" al referendum promosso dalla stragrande maggioranza della Chiesa ufficiale, contro la legge sul divorzio, gia' approvata al Parlamento. In calce al volantino: "La CdB (Comunita' di Base) del Vomero, con nomi dei referenti e numeri di telefono.
Gia' convinta di votare per il divorzio (cioe' "NO" all'abrogazione della legge), contatto subito uno dei ragazzi il cui numero di telefono compare su ciclostilato: conosco quindi Paolo Siani che mi invita ad un incontro della "Comunita' di Base" del Vomero.
Qui conosco, tra gli altri, Pio Russo Krauss e Gigliola Golia, all'epoca sua fidanzata (poi diventata sua moglie). Mi colpisce l'atmosfera di fermento, di voglia di partecipazione... Pio, Paolo e gli altri fanno "scuola popolare" con i ragazzi poveri del quartiere. Siamo negli anni de "Lettera a una professoressa" di don Milani...
Ora vorrei consigliare il romanzo "Come la luce dell'alba", edizione La valle de tempo, di Pio Russo Krauss, dove, meglio d quanto possa fare io, si raccontano quegli anni e l'impegno politico e sociale dei ventenni di allora (anni Settanta).
Nel frattempo, conosco il mio attuale marito, Maurizio, che si lascia coinvolgere in questo gruppo di cristiani impegnati. Pio diventa nostro amico e con lui, Gigliola. Nel frattempo, ci laureiamo. Pio e Paolo in Medicina per poi diventare pediatri.
Pio ha sempre un atteggiamento aperto, mai supponente, nonostante la notevole cultura, non solo in ambito medico. Il suo impegno e' saldo nella fede, ma senza assolutismi.
Oltre all'impegno, pero', non dimentichiamo di essere giovani e quindi uscite in gruppo per pizze, panini, qualche veglione... poi il CCG (Centro Culturale Giovanile) del quale Pio e' presidente per qualche anno... poi matrimoni, lavoro, figlie e figli, e ancora impegno con associazioni pacifiste, ambientaliste, per i senza fissa dimora, con i quali Pio mette a disposizione gratuitamente le sue competenze mediche e tanto altro...
Ma mi fermo qui e vi racconto solo quello che per me e per mio marito e' stato Pio: un amico che, nei momenti difficili (tanti e gravosi), ci ha ascoltato, consigliato, supportato, sempre con uno sguardo sereno, incoraggiante.
Gli abbiamo voluto bene e lui ne ha voluto a noi, grazie, Pio.
Un abbraccio, dovunque tu sia.
Speranza
3. MAESTRI. ENRICO PEYRETTI: CONTEMPLAZIONE E AZIONE NEL LAVORO DI PACE DI PIER CESARE BORI
[Ringraziamo Enrico Peyretti per averci messo a disposizione il seguente intervento originariamente apparso sul sito www.inchiestaonline.it]
Individuare gli elementi comuni alle diverse vie spirituali dell'umanita' (culture, religioni, etiche) e' un profondo lavoro di pace, antidoto allo spirito violento dello scontro di culture. Questo ha fatto, come pochi altri maestri, Pier Cesare Bori (caro amico, scomparso il 4 novembre 2012, per causa dell'amianto respirato da giovane a Casale Monferrato). Nell'autobiografia scritta durante la malattia (CV, curriculum vitae, Ed. Il Mulino 2012), Bori narra il suo cammino morale e intellettuale. In Universalismo come pluralita' delle vie (Marietti, 2004), egli propone un modello interculturale, tratto dalla Bhagavadgita, il libro chiave dell'induismo (Gandhi ne fece il proprio vangelo), che distingue, nella vita spirituale: contemplazione, azione, devozione.
La devozione (culto personale o fede in un Dio, divinita' "intesa come potenza distinta essenzialmente dal mondo, ma non separata da questo quanto a realta' ultima") e' un complemento possibile, non necessario, di azione e contemplazione.
La contemplazione e' "volta a contemplare – teologicamente o filosoficamente – la realta' come necessaria, senza divaricazione tra essere e dover essere". L'azione, vista la divaricazione tra essere e dover essere (il problema del male!), e' l'assumersi "anche il compito di superare la realta' nella prassi, sia essa motivata religiosamente, sia essa un'etica laica" (p. 40-41).
Le diverse vie spirituali e religiose dell'umanita' si differenziano per l'accentuazione dell'uno o dell'altro aspetto - contemplazione e azione – non per la presenza o assenza dell'uno o dell'altro. "Spirituale" e' piu' ampio di "religioso" e include anche "quegli orientamenti etici e contemplativi che non implicano una fede in una divinita' personale" (p. 39).
Nella Bibbia e nel Corano, Bori distingue profezia da sapienza: l'appello profetico (profezia significa parlare "al posto di altri", caratteristica dei monoteismi) contiene nel suo centro stesso "una sostanza di razionalita' etica", cioe' di sapienza, in quanto "esige una corrispondenza necessaria tra il culto di Dio e la giustizia verso gli uomini" (p. 53). Questo impegno etico si trova, per esempio, in Isaia 1,11-17; Giovanni 4,23 e ss.; Corano 98,4 e ss.; 2,172, e anche nella sapienza egizia, nella razionalita' etica ellenistica, nella cultura religiosa del Medio Oriente cristiano e persiano. C'e' una sapienza etica prima e dopo le rivelazioni profetiche.
La novita' degli appelli profetici e' che la divinita' stessa si impegna a fare cio' che esige dagli uomini. Max Weber parla del "grandioso razionalismo etico che scaturisce da ogni profezia religiosa" (p. 55). La versione sapienziale etica della profezia tende all'universalismo interculturale, mondano, secolare, della regola etica enunciata in contesto profetico religioso.
Tra le culture umane c'e' dunque un parallelismo non nei contenuti ma nella struttura, che permetterebbe una convergenza finale e, intanto, un sostanziale consenso etico (pp. 43-44). Su tale consenso, Bori ha due libri, uno teorico, uno di testi.
La nonviolenza coinvolge la persona in profondita'. Non basta il pragmatismo, proprio perche' essa si confronta col male, nulla di meno; anzi, essa nasce proprio dal confronto col male-violenza (cfr Jean-Marie Muller, Aldo Capitini, gli "esperimenti con la verita'" di Gandhi e di ogni lottatore nonviolento).
La nonviolenza e' dunque una via spirituale; e' contemplazione (riflessione, ricerca, individuazione del "bene" umano); e' azione (riforma di se', riforma di strutture e culture); non e' necessariamente religione esplicita, ma l'esperienza religiosa, purificata da scorie di cultura violenta, contribuisce ad ispirare ricerca e azione, nei termini sapienziali razionali, sul terreno comune di ogni autentico cammino di liberazione.
Bori indica alcuni "convincimenti fondamentali, che la parte migliore dell'umanita' ha posto a base del suo vivere in societa', ha espresso in una straordinaria varieta' di culture popolari tra loro non isolate e ha trasmesso soprattutto attraverso la sapienza della donna, sino al momento presente: il diritto non si attua senza il sentimento dell'obbligo verso ogni essere umano; il rispetto, privilegio e onore riconosciuti ai deboli; la superiorita' di chi sa non rispondere al male col male, ma con la forza persuasiva della parola indifesa; il valore dell'agire secondo coscienza, a prescindere dai frutti; l'idea che occorra saper governare se stessi e la propria casa per governare anche gli altri; l'idea che la maggior guerra sia quella contro se stessi; l'esistenza assunta come somma di benefici che occorre restituire; il rispetto e la pieta' per ogni vivente; la vita che si acquista perdendola; la tranquillita' e la pace che vengono dalla certezza di una giustizia non affidata alla storia" (Per un consenso etico fra culture, Marietti 1995, p. 106-108).
4. RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: L'UMANITA' AL BIVIO
[Da Pasquale Pugliese riceviamo e diffondiamo questo intervento originariamente pubblicato sulla rivista "Missioni della Consolata", agosto-settembre 2024]
Nel 2019 un gruppo di ricercatori dell'universita' di Princeton, guidati dal professor Alex Glaser, svolse una simulazione sugli effetti di una guerra nucleare tra Russia e Nato. Il modello era basato sulla reale dotazione nucleare delle potenze in campo e sui rispettivi obiettivi strategici ed aveva come ipotesi di avvio un primo colpo "tattico" nucleare inviato dall'esclave russa di Kaliningrad – l'antica Königsberg, citta' di Immanuel Kant autore, tra l'altro, del progetto Per la pace perpetua... – con l'obiettivo di fermare l'avanzata della Nato verso i confini russi, e la conseguente risposta nucleare USA-Nato. La previsione realistica fu che in soli 45 minuti sarebbero stati causati 85,3 milioni di morti, senza contare le vittime legate agli effetti successivi delle radiazioni nucleari. Una immane e repentina ecatombe dell'umanita' e della civilta'. Quella distruzione di mondi della Bhagavadgita, evocata da Robert Oppheneimer ("sono diventato morte, distruttore di mondi"), il fisico a capo del progetto Manhattan, quando assistette all'effetto dirompente dell'esplosione della bomba Trinity nel deserto di Los Alamos, test definitivo con il quale il presidente degli USA Harry Truman dara' il via allo sganciamento delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto del 1945. Come abilmente narrato nel pluripremiato film di Cristopher Nolan.
Ricordiamo brevemente i fatti. Sempre di piu' gli storici che hanno potuto esaminare i documenti USA desecretati riconoscono che il governo giapponese era pronto ad arrendersi circa un mese prima che piovesse le prima bomba atomica, e sicuramente prima che arrivasse anche la seconda. Ma il presidente Truman, che era da poco succeduto a Roosevelt, non intendeva dissipare i risultati della costosissima tecnologia messa a punto segretamente con il progetto Mahanattan, e diede ugualmente il via allo sganciamento dei due ordigni atomici. "La vera posta in gioco" – scrisse Zygmunt Baumann su quella decisione – "puo' essere facilmente dedotta dal trionfante discorso presidenziale il giorno successivo alla distruzione di centinaia di migliaia di vite a Hiroshima: "Abbiamo fatto la scommessa scientifica piu' audace della Storia, una scommessa da due miliardi di dollari – e abbiamo vinto!" (Le sorgenti del male, 2021). Tre giorni dopo la stessa funesta scommessa venne riversata anche su Nagasaki. Furono 220.000 le vittime dirette delle due esplosioni, quasi esclusivamente civili inermi, e circa altre 150.000 quelle successive per le conseguenze delle radiazioni nucleari. Il piu' grande e impunito crimine di guerra della storia dell'umanita'. Mentre chiudeva la Seconda guerra mondiale, si avviava la corsa agli armamenti della cosiddetta Guerra fredda e iniziava per l'umanita' l'era della possibilita' dell'autodistruzione
Non passarono neanche dieci mesi da quel cambio di paradigma nella guerra moderna, avvenuto a spese degli inermi abitanti delle due citta' giapponesi rase al suolo, quando in Italia cominciarono i lavori dell'Assemblea Costituente. Essa aveva perfettamente chiaro che la guerra non era ormai piu' utilizzabile, non solo "come strumento di offesa della liberta' degli altri popoli" ma neanche come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Dopo gli oltre sessanta milioni di morti della della guerra appena conclusa, le armi nucleari avrebbero dovuto rendere definitivamente obsoleta la guerra, fenomeno da archiviare tra i ferrivecchi della storia. L'articolo 11, posto tra i Principi Fondamentali della Costituzione, dice esplicitamente proprio questo ed obbliga, implicitamente, a ricercare e costruire le alternative alla violenza bellica ("pace con mezzi pacifici", recita la Carta delle Nazioni Unite), compatibili con la continuazione della specie umana sulla terra. E' l'etica della responsabilita' che innerva la Costituzione e attraversa la parte migliore del pensiero politico del Novecento.
A cominciare dal Manifesto per il disarmo nucleare stilato pochi anni dopo da Albert Einstein e Bertrand Russell e sottoscritto da illustri scienziati del tempo, da Max Born a Linus Pauling, di una disarmante attualita':
"Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non gia' quali misure adottare affinche' il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiche' tali misure ormai non sono piu' contemplabili; la domanda che dobbiamo porci e': quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?".
Secondo Einstein e Russell l'alternativa ormai e' radicale: "metteremo fine al genere umano o l'umanita' sapra' rinunciare alla guerra?". E, per noi, qui e ora, piu' attuale che mai. Vale la pena aggiungere che nel 1955, anno di pubblicazione del Manifesto, uno dei momenti di maggiore crisi durante la Guerra fredda, le lancette del Doomsday clock, l'orologio dell'Apocalisse – indicatore simbolico del pericolo nucleare dell'umanita' messo a punto dal Bollettino degli scienziati atomici fin dal 1947 a Chiacago – era fissato pericolosamente a due minuti dalla mezzanotte, ossia dall'ora della fine dell'umanita'. Oggi la situazione e' estremamente peggiorata: a quasi un anno dall'invasione russa dell'Ucraina, nel gennaio 2023, la nuova posizione delle lancette aveva toccato i 90 secondi, il punto piu' pericoloso mai raggiunto per la sicurezza dell'umanita', confermato ancora quest'anno. Ed Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, lo scorso 8 giugno ha ribadito che "L’umanita' e' sul filo del rasoio: il rischio che venga usata un'arma nucleare ha raggiunto livelli mai visti dai tempi della Guerra Fredda".
Eppure, salvo alcuni Grandi vecchi come Papa Francesco ed Edgar Morin, entrambi intervenuti all'Arena di Pace di Verona del 18 maggio scorso (seppure il secondo con un video-messaggio registrato), decisori, intellettuali e media sembrano, in grande maggioranza, non avere la percezione del pericolo che stiamo correndo, in questo varco della storia, con la continua escalation della guerra tra potenze nucleari in corso in Europa. Dimenticando colpevolmente la lezione di filosofi come Guenther Anders che avevano messo al centro della propria riflessione esattamente la questione della situazione dell'umanita' nell'epoca della possibilita' dell'autodistruzione atomica. Secondo Anders, nella nostra epoca, qualunque azione politica, in particolare all'interno di una dimensione di conflitto internazionale, non puo' non tenere conto della "situazione atomica":
"La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche armi atomiche, e' un inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente dall'esistenza di armi atomiche, e' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica". (Tesi sull'eta' atomica, si trovano in Appendice a Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki, 1995).
L'agire politico, dunque, per essere dotato di responsabilita' e realismo deve inevitabilmente tenere conto di questo contesto all'interno del quale bisogna ritrovare "il coraggio di aver paura". La paura, infatti, e' segno di consapevolezza e ha percio' un valore euristico, cioe' di strumento di conoscenza della realta', oltre che di sprone alla mobilitazione.
Ricordare, dunque, lo sganciamento delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, non e' – non puo' essere – la celebrazione di un irripetibile evento storico passato ma rappresenta – deve rappresentare – la presa di coscienza dello stato presente del mondo. Della sua attuale riproducibilita': "il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima" – scrive ancora Anders – "e' cominciata una nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima". Se questa possibilita' e' ormai irreversibile sul piano dell'acquisizione delle competenze tecnologiche – ed appare sempre piu' vicina – e' tuttavia modificabile attraverso l'acquisizione dei saperi etici che consentano di imboccare l'unica uscita di sicurezza esistente: la cancellazione delle armi nucleari dalla faccia della terra, con la loro definitiva proibizione, e il superamento della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Si tratta di colmare cio' che Anders chiama lo "scarto prometeico", ossia la frattura che passa tra l'infinita capacita' produttiva di distruzione e la nostra capacita' immaginativa delle conseguenze.
In un pianeta nel quale, mentre la crisi sistemica globale moltiplica i conflitti, i governi moltiplicano le armi e le guerre, e' necessario declinare il piano etico del dover essere sul piano politico della possibilita' di essere ancora, dando un'ulteriore chance all'umanita' attraverso precise scelte di disarmo. A partire dall'adesione al Trattato internazionale per la messa al bando delle armi nucleari. Si tratta del Trattato ONU voluto dall'azione dal basso dei popoli attraverso la campagna ICAN, vincitrice nel Nobel per la Pace nel 2017. In vigore dal 22 gennaio del 2021, esso mette fuori legge le testate atomiche, ma non e' stato sottoscritto ne' dai nove governi dei paesi atomici (USA, Russia, Cina, India, Pakistan, Gran Bretagna, Francia, Israele, Corea del Nord) ne' dai governi dei paesi che "ospitano" testate altrui. Come l'Italia che "custodisce" tra le basi militari di Ghedi (Brescia) ed Aviano (Pordenone) diverse decine di testate atomiche statunitensi, facendo cosi' della pianura padana il primario obiettivo di un possibile attacco nucleare su territorio europeo. Preparandone il non essere piu', come nella realistica simulazione di Priceton.
Mentre scrivo queste righe da consegnare alla redazione, i popoli europei stanno votando per le elezioni del Parlamento di Strasburgo. Questo mi fa tornare in mente le note preparatorie, scritte probabilmente nel 1987, per il testo di un intervento di Alberto Moravia mai svolto al Parlamento europeo, dove l'intellettuale italiano era stato eletto nel 1984 (oggi inserito in appendice a L'inverno nucleare, 2022), che e' utile rileggere ancora:
"Nei primi anni del dopoguerra la situazione era questa: la Germania nazista aveva elaborato una teoria (quella della cosiddetta soluzione finale ossia del genocidio totale) che giustificava la bomba come la sola arma che permettesse la strage di massa ma non aveva saputo creare la bomba. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica dal canto loro non avevano alcuna teoria che giustificasse la bomba ma avevano la bomba. Anzi, gli Stati Uniti, nel 1945, avevano costruito e lanciato la bomba (...). Al processo di Norimberga" – continuava lucidamente Moravia – "la teoria della bomba (cioe' della soluzione finale) fu solennemente condannata come una teoria contraria alle leggi della guerra. Ma non ci si accorse che non bastava condannare la teoria ma si doveva mettere fuori legge l'arma nucleare che di quella teoria era l'indispensabile corollario. Questa mancata consapevolezza del segreto e strettissimo rapporto tra bomba e teoria della soluzione finale impedi' di rendersi conto che Hitler, lungi dall'essere stato sconfitto, era il vero vincitore della seconda guerra mondiale".
Sapra' l'Europa, questa volta, impedire il dispiegamento della soluzione finale dell'umanita', con la resistenza attiva e nonviolenta contro la Terza guerra mondiale, che, se sara', sara' nucleare? A ciascuno il compito urgente di fare la sua parte.
5. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER
Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
*
Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
*
Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.
6. REPETITA IUVANT. MAESTRE. ALCUNE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA
[Riproponiamo ancora una volta alcune poesie di Wislawa Szymborska estratte da Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009, a cura di Pietro Marchesani.
Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata a Bnin, in Polonia, il 2 luglio 1923 ed e' deceduta a Cracovia il primo febbraio 2012; ha studiato lettere e sociologia a Cracovia; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria", nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e "Kultura"; oltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991 il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book of the Month Club Translation Prize". Tra le opere di Wislawa Szymborska in edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano 1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998; Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore, Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004; La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009]
Vietnam
Donna, come ti chiami? - Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
Perche' ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
Perche' mi hai morso la mano? - Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
Da che parte stai? - Non lo so.
Ora c'e' la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? - Si'.
*
Discorso all'Ufficio oggetti smarriti
Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord,
e anche molti dei per via dall'Est all'Ovest.
Mi si e' spenta per sempre qualche stella, svanita.
Mi e' sprofondata nel mare un'isola, e un'altra.
Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli,
chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio.
Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva
e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza.
Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe,
me ne uscivo di senno piu' e piu' volte.
Da tempo ho chiuso su tutto cio' il mio terzo occhio,
ci ho messo una pinna sopra, ho scrollato le fronde.
Perduto, smarrito, ai quattro venti se n'e' volato.
Mi stupisco io stessa del poco di me che e' restato:
una persona singola per ora di genere umano,
che ha perso solo ieri l'ombrello sul treno.
*
Sulla morte senza esagerare
Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessiture, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure cio'
che attiene al suo mestiere:
ne' scavare una fossa,
ne' mettere insieme una bara,
ne' rassettare il disordine che lascia.
Occupata a uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo ne' abilita'.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Piu' d'un bruco
la batte in velocita'.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo ingrato lavoro.
La cattiva volonta' non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
e', almeno finora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.
Chi ne afferma l'onnipotenza,
e' lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non e'.
Non c'e' vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale.
La morte
e' sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno puo' sottrarre
il tempo raggiunto.
*
La fine e l'inizio
Dopo ogni guerra
c'e' chi deve ripulire.
In fondo un po' d'ordine
da solo non si fa.
C'e' chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.
C'e' chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.
C'e' chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.
Non e' fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia' partite
per un'altra guerra.
Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C'e' chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com'era.
C'e' chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto li' si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po' noioso.
C'e' chi talvolta
dissotterrera' da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti.
Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull'erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c'e' chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
*
L'odio
Guardate com'e' sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l'odio.
Con quanta facilita' supera gli ostacoli.
Come gli e' facile avventarsi, agguantare.
Non e' come gli altri sentimenti.
Insieme piu' vecchio e piu' giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non e' mai un sonno eterno.
L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione -
purche' ci si inginocchi per il via.
Patria o no -
purche' si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre tutto solo.
L'odio. L'odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti -
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
puo' contare sulle folle?
La compassione e' mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verita':
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile e' il pathos delle rovine
e l'umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
E' un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante e' pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspettera'.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
- lui solo.
*
La veglia
La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido ne' fracasso
puo' strapparci da essa.
Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che puo' spiegarsi
in molti modi.
La veglia significa la veglia
ed e' un enigma maggiore.
Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giu' farfalle
e anime di vecchi ferri da stiro,
berretti senza teste
e cocci di nuvole.
Ne viene fuori un rebus
irrisolvibile.
Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
e' ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.
Non i sogni sono folli,
folle e' la veglia,
non fosse che per l'ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.
Nei sogni vive ancora
chi ci e' morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra d'un passo.
La fugacita' dei sogni fa si'
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l'oblio.
E' un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.
Non le si puo' sfuggire,
perche' ci accompagna in ogni fuga.
E non c'e' stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.
*
Le tre parole piu' strane
Quando pronuncio la parola Futuro,
la prima sillaba gia' va nel passato.
Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.
Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.
*
Contributo alla statistica
Su cento persone:
che ne sanno sempre piu' degli altri
- cinquantadue;
insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purche' la cosa non duri molto
- ben quarantanove;
buoni sempre,
perche' non sanno fare altrimenti
- quattro, be', forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
- settantasette;
dotati per la felicita'
- al massimo poco piu' di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro piu' della meta';
crudeli,
se costretti dalle circostanze
- e' meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
- non molti di piu'
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
- ottantatre'
prima o poi;
degni di compassione
- novantanove;
mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.
*
Fotografia dell'11 settembre
Sono saltati giu' dai piani in fiamme -
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno e' ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C'e' abbastanza tempo
perche' si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell'aria,
nell'ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro -
descrivere quel volo
e non aggiungere l'ultima frase.
*
Tutto
Tutto -
una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece e' soltanto
un brandello di bufera.
*
Esempio
Una bufera
di notte ha strappato tutte le foglie dell'albero
tranne una fogliolina,
lasciata
a dondolarsi in un a solo sul ramo nudo.
Con questo esempio
la Violenza dimostra
che certo -
a volte le piace scherzare un po'.
*
Vermeer
Finche' quella donna del Rijksmuseum
nel silenzio dipinto e in raccoglimento
giorno dopo giorno versa
il latte dalla brocca nella scodella,
il Mondo non merita
la fine del mondo.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Joel Kotek, Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio: la tragedia del Novecento, Mondadori, Milano 2001, 2002, pp. VI + 618.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5299 del 21 agosto 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
*
Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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