[Nonviolenza] Telegrammi. 5278



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5278 del 31 luglio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier
2. Marica Tolomelli: Danilo Dolci
3. Ripetiamo ancora una volta...
4. A costo di sembrare il solito grillo parlante... (novembre 2023)
5. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa? (aprile 2023)
6. Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. SCRIVIAMO AL PRESIDENTE STATUNITENSE BIDEN PER CHIEDERE LA GRAZIA PER LEONARD PELTIER

Scriviamo al presidente statunitense Biden per chiedere la grazia per Leonard Peltier.
E' consuetudine dei presidenti statunitensi giunti a fine mandato di concedere la grazia ad alcuni detenuti.
Leonard Peltier e' un illustre attivista nativo americano, difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra.
Leonard Peltier, che a settembre compira' 80 anni, da 48 anni e' detenuto per un crimine che non ha commesso.
Leonard Peltier e' gravemente malato, e le sue malattie non possono essere curate adeguatamente in carcere.
Affinche' non muoia in carcere un uomo innocente, affinche' Leonard Peltier possa tornare libero e trascorrere con i suoi familiari questo poco tempo che gli resta da vivere, la cosa piu' importante ed urgente da fare adesso e' scrivere a Biden per chiedere che conceda la grazia a Leonard Peltier.
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Per scrivere a Biden la procedura e' la seguente.
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: scrivere un breve testo (di seguito una traccia utilizzabile):
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
le scriviamo per chiederle di concedere la grazia al signor Leonard Peltier.
Leonard Peltier ha quasi 80 anni ed e' affetto da plurime gravi patologie che non possono essere adeguatamente curate in carcere: gli resta poco da vivere.
Leonard Peltier ha subito gia' 48 anni di carcere per un delitto che non ha commesso: la sua liberazione e' stata chiesta da Nelson Mandela e da madre Teresa di Calcutta, dal Dalai Lama e da papa Francesco, da Amnesty International, dal Parlamento Europeo, dall'Onu, da milioni di esseri umani.
Egregio Presidente degli Stati Uniti d'America,
restituisca la liberta' a Leonard Peltier; non lasci che muoia in carcere un uomo innocente.
Distinti saluti.
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Sollecitiamo chi legge questo comunicato ad aderire all'iniziativa e a diffondere l'informazione.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.

2. MAESTRI. MARICA TOLOMELLI: DANILO DOLCI
[Dal sito www.treccani.it riproponiamo la seguente voce estratta dal Dizionario biografico degli italiani (2017)]
 
Danilo Dolci, poeta e intellettuale-attivista, impegnato su diversi fronti, nacque a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924. Da alcune biografie (Capitini, 1958; Fontanelli, 1976; Barone, 2000) si ricava l'immagine di un'infanzia e una gioventu' sostanzialmente ordinarie per un ragazzo di estrazione sociale medio-borghese, nato sul confine orientale da una madre slovena, Meli Kondely, donna relativamente colta, amante della musica e animata da una profonda fede religiosa, e un padre italiano (Enrico, per la verita' italo-tedesco), ferroviere. Ebbe una sorella minore, Miriam Lippolis, scrittrice, impegnata ancora in tempi recenti a mantenere viva la memoria del fratello (Bisconti, 2013). A causa del lavoro del padre la famiglia dovette presto trasferirsi in Lombardia, dove Danilo frequento' la scuola fino al conseguimento del diploma tecnico (geometra) a Pavia e poi della maturita' artistica a Milano.
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Gli anni della formazione
Tra gli spostamenti lavorativi del padre occorre ricordare quello, breve ma decisivo, a Trappeto, in provincia di Palermo, nei primi anni Quaranta. Per il ragazzo le visite al seguito del padre furono occasione di un primo incontro con mondi molto lontani da quello in cui viveva, compresa una poverta' a lui sconosciuta.
Le esperienze maggiormente incisive per la biografia del giovane furono due: il rifiuto di arruolarsi nell'esercito della Repubblica sociale italiana (RSI), ragione per cui nel 1943 fuggi' in Abruzzo maturando una profonda avversione per la violenza e il militarismo; l'incontro con la comunita' cattolica di Nomadelfia (presso l'ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Modena) e il suo animatore, don Zeno Saltini. Quest'ultimo avvenimento segno' una svolta nella vita di Dolci: nel 1950, all'eta' di 26 anni, abbandono' gli studi in architettura quasi completati a Milano, la fidanzata e il lavoro come insegnante presso una scuola serale di Sesto S. Giovanni (dove aveva conosciuto Franco Alasia, suo futuro strettissimo collaboratore) per prendere parte alla vita comunitaria di Nomadelfia. L'esperienza fu profondamente formativa, Dolci visse con grande fervore quel periodo e partecipo' anche alla fondazione di un secondo centro comunitario nella provincia di Grosseto. Li' si era "come ripulito ed essenzializzato", poi pero' se ne distacco', sentiva il bisogno di uscire da una comunita' che era "come un'isola, un nido caldo", per entrare in contatto con "il resto del mondo" (Dolci, 1968, p. 15). Trappeto, "il paese piu' misero che ave[esse] mai visto", gli parve pertanto la destinazione ideale.
Nonostante la centralita' del rapporto con don Saltini, questo passaggio segno' una ormai definitiva presa di distanza dalle forme di dedizione umanitaria e sociale tipiche dell'impegno cattolico, per approdare a una prassi piu' apertamente laica e dettata dalla necessita' di intervenire su realta' inaccettabili per modificarle. Questo atteggiamento avvicinava Dolci ad altre figure animate da una profonda spiritualita' 'metaconfessionale', mentre lo allontanava, necessariamente, dal cattolicesimo istituzionale.
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La Sicilia, punto di incontro tra Nord e Sud e "il bisogno di collaborare alla vita"
L'arrivo in Sicilia, nel gennaio 1952, segno' la fase piu' intensa della sua vita. Nei primi anni Cinquanta la Sicilia era una sorta di metafora della condizione di indigenza, arretratezza e noncuranza che ampi strati di popolazione dell'ex Regno delle due Sicilie erano ancora costretti a sopportare senza che le classi dirigenti italiane - in sostanziale continuita' tra il periodo liberale, quello fascista e quello repubblicano - fossero riuscite o si fossero preoccupate di affrontare in maniera risolutiva. Trappeto e Partinico erano luoghi al contempo concreti, caratterizzati da una miseria indicibile e da un bisogno improrogabile di intervento, ma anche simboli del malessere profondo che attraversava diffusamente l'intero Mezzogiorno. L'esistenza di gravissime condizioni di arretratezza e deprivazione - connesse al problema della squilibrata distribuzione fondiaria - non era ignota alla classe dirigente italiana. Nello stesso periodo in cui Dolci decise di recarsi presso i piu' poveri e di denunciare, attraverso la pubblicazione dei suoi studi - tra i primi e più noti Fare presto (e bene) perche' si muore (Torino 1954); Banditi a Partinico (Bari 1955); Inchiesta a Palermo (Torino 1956) -, una Commissione parlamentare incaricata di condurre un'inchiesta "sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla", condusse le proprie ricerche, tra il maggio 1952 e il giugno 1953, mettendo in luce una realta' di arretratezza che strideva dolorosamente con l'orizzonte di sviluppo e benessere che si stava preannunciando (Braghin, 1978; Fiocco, 2004).
Il fatto che la questione della poverta' fosse oggetto di iniziative politiche, nonche' di una certa attenzione pubblica, contribui' probabilmente ad amplificare la risonanza del dramma di Trappeto, dove nell'ottobre 1952 un bambino poco piu' che neonato mori' di stenti. La vicenda avrebbe potuto essere letta semplicemente come una triste conferma della gravita' del problema della miseria, ma assunse un significato ben piu' ampio nel momento in cui il giovane Danilo Dolci, da poco arrivato, intraprese uno sciopero della fame per esprimere pubblicamente la sua indignazione e necessita' di ribellione. Come avrebbe piu' tardi spiegato, la sua iniziativa non si baso' su presupposti teorici, essa fu piuttosto una istintiva, umana reazione di fronte a una realta' inaccettabile: "Allora cominciai a digiunare. Non c'era un ragionamento preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che esistesse un paese senza fognature, senza strade. Anzi le fognature erano le strade stesse. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarieta'. Avevo la vaga intuizione [...] che nella zona le cose potessero cambiare" (Intervista, Tarozzi, 1995).
La sua intuizione che "le cose potessero cambiare" nascondeva la determinazione, costante nella sua vita, a intervenire sulla realta' per infrangere forme di dominio 'naturalizzate'. Si trattava di un'ambizione niente affatto infondata: quando si trasferi' in Sicilia le regioni meridionali della neonata Repubblica italiana avevano gia' alle spalle una intensa stagione di lotte per la riforma agraria. Dai decreti Gullo del 1944 al lodo De Gasperi del 1946, passando per gli eccidi di Portella delle Ginestre (1947), di Melissa, di Montescaglioso e di Torremaggiore (1949), le terre del Sud erano state oggetto di una conflittualita' sociale e politica asperrima, in cui la posta in gioco piu' immediata risiedeva nella riforma della proprieta' fondiaria, quella a piu' lunga scadenza nell'emancipazione sostanziale della maggior parte della popolazione meridionale.
La Sicilia era in quegli anni parte importante dell'orizzonte spaziale, sociale e politico in cui si adoperavano le sinistre italiane per cercare di intercettare, sostenere e guidare il riscatto sociale cui aspirava la popolazione contadina (Rochefort, 2005). Figure come Girolamo Li Causi (primo segretario regionale del Partito comunista), Raniero Panzieri (dal 1949 in Sicilia, dal 1951 segretario regionale del Partito socialista), per non parlare di Giuseppe Di Vittorio e della sua CGIL, ma anche di intellettuali e attivisti come Carlo Levi o Rocco Scotellaro, furono tra i protagonisti piu' impegnati nello spirito di emancipazione e rinnovamento che animo' profondamente le popolazioni meridionali negli anni della ricostruzione - economica, ma anche e soprattutto politica, nel senso di costruzione della democrazia.
Dolci non era dunque solo nel suo anelito a cambiare le cose - in Italia, nel Mezzogiorno, in Sicilia - ma lo espresse, anzi lo agi', in maniera diversa dalla sinistra istituzionale, non solo in merito alla pronunciata connotazione spirituale (ma mai confessionale) che caratterizzo' soprattutto i primi anni della sua esperienza, ma anche rispetto al metodo. Dopo i primi mesi a Trappeto si impegno' nella realizzazione di un progetto comunitario ed educativo, il Borgo di Dio. Si trattava di una forma di intervento di ispirazione umanitaria-religiosa che rifletteva, ma solo in parte, l'esperienza di Nomadelfia. Anche il Borgo, come Nomadelfia, fu creato per accogliere in primo luogo bambini abbandonati a se stessi e destinati a un futuro sventurato. A differenza del progetto di don Saltini, aspirante a una comunita' esemplare, quello di Dolci mirava tuttavia a innescare sinergie virtuose tra le risorse, le energie e i valori gia' presenti all'interno della comunita'. Il suo intento era infatti quello di "collaborare alla vita", non guidarla - cosi' come il suo amico Aldo Capitini ricordava, citando le stesse parole di Dolci, nella biografia che gli dedico' gia' pochi anni dopo averlo conosciuto (Capitini, 1958, p. 33).
Il suo originale modo di porsi dalla parte degli e con gli oppressi esercito' una straordinaria attrazione su alcuni ambienti sia della sinistra che del cristianesimo sociale. Numerosi giovani intellettuali inseriti in contesti culturali e politici agli antipodi di Trappeto o Partinico furono talmente incuriositi da cio' che stava accadendo nella lontana Sicilia, che vi si recarono di persona, trattenendosi per un certo periodo. Scrive Gabriele Corsani: "In particolare intorno alla Trappeto di Dolci ruotano numerosi gruppi di persone, di Milano, Genova, Bologna, Firenze, Siena e Roma [...]; attraverso loro sono collegati i mondi [...] di Ernesto Bonaiuti, Zeno Saltini, Aldo Capitini, Lamberto Borghi, David Maria Turoldo" (Corsani, 2012, p. 168). Accanto a questi luoghi e a questi nomi occorre ricordare anche una vivace rete di giovani donne, soprattutto insegnanti, pedagogiste e scrittrici che si sentirono fortemente attratte dagli innovativi progetti pedagogici prima di Borgo di Dio e poi, dal 1975, del Centro educativo di Mirto. Tra queste ricordiamo Grazia Fresco, Maria Fermi Sacchetti, Margherita Pieracci, Cristina Vittoria Guerrini (poi nota col nome di Cristina Campo), Maria Chiappelli, Anna Bonetti, Ida Sacchetti (Pieracci Harwell, 2012). E, ancora, la pedagogista svedese Elena Norman, futura seconda moglie di Dolci (con cui ebbe i figli Sereno ed En) dopo la rottura del ventennale matrimonio con Vincenzina Mangano, colei che di fatto medio' l'integrazione di Dolci a Trappeto accogliendolo nella sua famiglia - era vedova con cinque figli - per ampliarla e aggiungervi gli altri cinque avuti con lui (Libera, Amico, Cielo, Chiara, Daniela). Occorre inoltre ricordare anche i legami con Torino, da dove presero le mosse giovani sociologi e intellettuali come Vittorio Rieser e Giovanni Mottura e, per altre ragioni, Goffredo Fofi, per andare a conoscere da vicino l'esperienza dolciana. Nonostante la relativa breve durata del loro soggiorno e alcune rilevanti divergenze, politiche e personali - la collaborazione con una personalita' cosi' forte come Dolci non fu sempre facile - questa esperienza fu fondamentale per coloro che, come Raniero Panzieri che aveva seguito da vicino l'attivita' di Dolci (Rizzo, 2001), pochi anni piu' tardi avrebbero dato vita all'esperienza dei Quaderni Rossi, divenendo un nucleo estremamente fecondo della sinistra eterodossa italiana.
Ecco perche' si ritiene che la Sicilia, la Sicilia di Danilo Dolci in particolare, fu uno snodo cruciale per lo formazione politica di un certo ambiente intellettuale su scala nazionale. Alla meta' degli anni Cinquanta le idee della democrazia di base, dell'intervento non al di sopra ma all'interno delle e con le masse, idee che avrebbero caratterizzato profondamente la 'nuova sinistra' transnazionale negli anni a venire, avevano gia' trovato una prima significativa esperienza nel particolare ambiente politico, culturale e umano da lui creato. In particolare la pratica della 'autoanalisi popolare' - un laborioso processo preliminare alla presa di decisioni collettive cosi' come alla costruzione di volonta' politiche condivise - e 'l'inchiesta', volta a trasformare l'oggetto dell'intervento conoscitivo in soggetto consapevole della propria condizione e artefice del cambiamento, furono esperienze cruciali che avrebbero segnato in maniera determinante il lavoro politico del futuro gruppo torinese, il metodo della 'conricerca' (Rieser, 2008; Mottura, 2014) e nuove inchieste sociali, come quella sugli immigrati meridionali a Torino (Fofi, 1964). L'esperienza con Dolci fu sotto questo punto di vista uno snodo cruciale per la circolazione di idee e pratiche di 'vita associata democratica', che per vie e reti relazionali multidirezionali attraversarono l'intero Paese.
L'interesse e il riconoscimento della particolare rilevanza dell'impegno dolciano esorbito' inoltre dai confini nazionali: ne sono prova non solo le numerose traduzioni dei suoi scritti in diverse lingue, ma anche l'attribuzione di una serie di importanti premi e titoli onorari. Tra questi ricordiamo il premio Lenin per la pace (1958), grazie al quale fondo' il Centro studi e iniziative per la piena occupazione a Partinico, e il premio Sonning per il contributo alla civilizzazione europea (1971), ma l'elenco e' ben piu' ricco - ne riporta dettagliate informazioni la nota biografica di Ragone (Ragone, 2011, pp. 13-50) - e comprende anche prestigiosi premi letterari, come il premio internazionale Viareggio per la raccolta di poesie Creatura di creature (Milano 1979).
Cosa contraddistingueva l'impegno di Dolci al punto di farne una figura di riferimento cosi' significativa e influente in Italia come all'estero? Due ci paiono i tratti piu' essenziali della sua ricca biografia.
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La centralita' del lavoro, premessa di liberta' e democrazia
Scriveva Aldo Capitini nel 1958: "Chi puo' negare che ci sia una linea dal Danilo Dolci che nel gennaio 1952 arrivo' a Trappeto per aiutare quelli 'che non ce la facevano' a vivere, al Danilo Dolci di oggi, tutto impegnato a stimolare tutti a fare dell'Italia una Repubblica veramente fondata sul lavoro?" (Capitini, 1958, p. 29). Dolci colse il senso del lavoro come dimensione cruciale per il riscatto sociale e il superamento di rapporti di prevaricazione sin dai primi mesi del suo arrivo a Trappeto e su tale consapevolezza continuo' a lungo a orientare gran parte del suo impegno. Nel particolare tessuto politico e sociale siciliano il lavoro si caricava infatti di un valore particolare di liberazione da un dominio di matrice feudale che continuava a condannare vasti strati di popolazione all'indigenza, all'ignoranza e alla subordinazione passiva su basi di violenza intimidatrice. Tutto cio' era in buona parte riconducibile al fenomeno mafioso, un problema enorme di fronte al quale Dolci, in stretta collaborazione con Franco Alasia, non si sottrasse, intraprendendo inchieste in grado di rendere noti nomi e modalita' di un sistema che lui defini' clientelare-mafioso (Dolci, 1966; Id., 1968), e che gli costo', come pure ad Alasia, un processo per diffamazione e una condanna poi condonata.
Tornando alla questione del lavoro, emerge quanto le azioni di Dolci fossero in sintonia, nonostante le diverse modalita', con le lotte portate avanti dalla sinistra italiana in quello stesso periodo. Negli anni Cinquanta la questione del lavoro riguardava infatti l'intero Paese, basti ricordare la mobilitazione della CGIL di Di Vittorio, che con il suo Piano del lavoro (1949-50) aveva contribuito non poco a caricare di istanze concrete l'art. 1 della neonata Repubblica italiana (Loreto - Musso, 2014). Un raccordo particolarmente significativo tra l'intervento di Dolci in Sicilia e l'impegno civile e politico della sinistra italiana si ebbe in occasione dello 'sciopero a rovescia', organizzato da Dolci nei primi mesi del 1956 per richiamare l'attenzione sull'assenza di infrastrutture elementari, come le strade, e le effettive possibilita' occupazionali nella provincia palermitana. Non si trattava di una forma di lotta inedita nell'Italia di quel periodo, inedita fu tuttavia la rete di solidarieta' nazionale che si sviluppo' a seguito dell'arresto di Dolci e di quattro sindacalisti coinvolti nello sciopero (Schirripa, 2010, p. 73 sgg.). Il processo a Dolci fu tramutato dal suo illustre difensore Piero Calamandrei in un atto d'accusa contro una classe dirigente che non si premurava di onorare il diritto costituzionale al lavoro sancito dall'art. 4. Grazie alla vasta solidarieta' sviluppatasi numerosi intellettuali, politici, e scrittori si presentarono al processo per deporre in favore degli accusati, testimonianze che l'editore Einaudi pubblico' prontamente nel volume Processo all'art. 4 (Torino 1956) e che a distanza di sessant'anni testimoniano della centralita' ascritta a una certa concezione del lavoro per la costruzione della democrazia nell'Italia postfascista (Fofi, 2006). Una concezione che Dolci e i suoi compagni di lotta espressero come segue in una lettera indirizzata alle piu' alte cariche istituzionali per spiegare le ragioni dello 'sciopero a rovescia' e il relativo digiuno intrapreso: "Non per disperazione oggi digiuniamo, ma nella speranza di contribuire perche' l'Italia diventi un paese civile. Sappiamo che lavorando generosamente siamo la vita. Chi ci impedisce e' assassino: non paghiamo le tasse perche' il nostro paese [...] sia una mala galera in mano ai prepotenti. Firmato: mille cittadini che credono nell'articolo 4 della Costituzione" (Dolci in Spagnoletti, 1977, p. 83).
Il lavoro espressione di vita: questa l'idea che avrebbe guidato lunghe e difficili lotte, ma coronate dal successo, per interventi sul territorio atti a favorire l'occupazione e una vita dignitosa alla popolazione. Dolci alterno' progetti concreti, come la realizzazione delle dighe dello Jato e di Roccamena (Barbera, 1964), a iniziative di ricerca, approfondimento e raccolta di fondi per promuovere il lavoro. Rientravano tra queste sia l'organizzazione di importanti convegni che con la partecipazione di studiosi autorevoli contribuirono a fare della piena occupazione una istanza di respiro nazionale, sia la realizzazione di centri permanenti di studio, come il Centro studi e iniziative per la piena occupazione nel 1958 (poi Centro per lo sviluppo creativo) e il Centro di formazione per la pianificazione organica, dal 1968, volto alla formazione di quadri competenti per l'intervento sul territorio a partire da un confronto costante con la popolazione locale.
Tutti i diversi ambiti di azione erano di pari importanza nell'approccio dolciano alla questione del lavoro. Sul piano economico-produttivo egli mirava a promuovere lo sviluppo di un'agricoltura svincolata dal controllo mafioso e capace di garantire il benessere della popolazione; su quello politico e pedagogico si adoperava invece affinche' gli obiettivi perseguiti si realizzassero attraverso pratiche politiche autenticamente democratiche e nonviolente, contribuendo di conseguenza ad alimentare costantemente la cultura politica della partecipazione.
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La nonviolenza e la partecipazione come pratiche di democrazia
La nonviolenza e' stata a lungo, e giustamente, identificata come la cifra peculiare dell'agire dolciano. Per Dolci stesso la nonviolenza costituiva un valore imprescindibile, su di essa scrisse e fu spesso chiamato a esprimersi esplicitamente. Praticare la nonviolenza significava per lui aprirsi al mondo e lottare per il suo cambiamento con mezzi tali da prevenire il riprodursi della violenza. Il rifiuto di uccidere, l'importanza di sottrarsi a schieramenti ideologici e chiusure pregiudiziali, credere nella possibilita' di infrangere consolidate forme di dominio e sopruso furono i principi cardine che orientarono con estrema coerenza la sua vita e le sue numerosissime iniziative. Il digiuno - a partire da quello dell'ottobre 1952 - divenne con lui una pratica originale ed efficace nel panorama politico degli anni Cinquanta, segnato soprattutto da scioperi e proteste di piazza, oltre che repressioni da parte delle forze dell'ordine, troppo spesso degenerate in omicidi di manifestanti.
Come gia' ricordato, il suo primo sciopero della fame non si rifaceva a presupposti teorici di alcun tipo. La notizia dell'atipica protesta dolciana colpi' invece immediatamente l'attenzione di un precursore della nonviolenza nell'Italia repubblicana, il filosofo Aldo Capitini, il quale da Perugia gli fece pervenire parole di piena approvazione e sostegno. Questa presa di contatto fu non solo il primo passo di una nuova e importante amicizia; l'intenso confronto con Capitini, durato fino alla morte di questi (1968), rappresento' anche l'occasione per avviare l'approfondimento teorico dei presupposti della nonviolenza. Sotto questo profilo Capitini fu un vero e proprio maestro per Dolci e questi, dal canto suo, fu indubbiamente uno dei migliori 'allievi' del filosofo. Come emerge dalla corrispondenza tra i due (Barone - Mazzi, 2008), Capitini vedeva nell'agire di Dolci la migliore concretizzazione dei suoi ideali e della sua concezione di azione nonviolenta. La nonviolenza fu per certi versi la base piu' solida di convergenza tra i due, il nucleo valoriale a cui entrambi attinsero nell'alimentare la loro crescente stima reciproca e profonda amicizia.
Ci pare tuttavia che se si sposta il punto di osservazione dall'iniziale afflato spirituale alle attitudini mostrate nei decenni successivi, e' possibile sostituire progressivamente la cifra della nonviolenza con quella di una radicale consapevolezza democratica. Che si considerino la pratica dell'autoanalisi popolare, le sperimentazioni in ambito educativo, la concezione del metodo maieutico, o ancora, la trasformazione del Centro studi sull'occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' constatare la costante presenza di un elemento profondamente qualificante il suo agire: la ricerca, la promozione, l'alimentazione della partecipazione, del coinvolgimento attivo e della presa della parola da parte di tutti i cittadini - non "paesani", come scriveva nella raccolta Il limone lunare (Bari 1970) - di una comunita'. In questo suo procedere Dolci alimentava circuiti comunicativi circolari e processi decisionali il piu' possibile condivisi, e promuoveva di fatto la cultura della democrazia diretta o democrazia di base, quella stessa che in altri contesti ma nello stesso periodo veniva teorizzata in termini di partecipatory democracy.
In questo aspetto, piu' ancora che nella nonviolenza, si distinse dalle pratiche degli altri attori impegnati in progetti di emancipazione di soggetti subalterni, tra cui, in primis, la sinistra istituzionale. Anche questa, nonostante un rapporto difficile con il tema della violenza rivoluzionaria, mai si fece promotrice di pratiche esaltanti la violenza. Se tra i digiuni di Dolci e le manifestazioni sindacali di piazza vi era insomma una sostanziale condivisione di pratiche nonviolente, la differenza risiedeva invece nell'importanza che egli attribuiva alla partecipazione di base. In questo Dolci si distanziava profondamente dalle modalita' verticistiche tipiche dei partiti dell'Italia repubblicana, necessariamente ancorati ai principi della democrazia rappresentativa, cui pero' spesso aggiungevano un di piu' di centralismo che certamente non stimolava la cultura della partecipazione democratica.
Sotto questo profilo Dolci puo' essere piu' adeguatamente collocato vicino all'orientamento della nuova sinistra, pur se egli mai vi si riconobbe esplicitamente. La sua sensibilita' per la democrazia sostanziale, per la cultura politica della partecipazione e della condivisione, cosi' come emerge anche nello scritto indirizzato Ai piu' giovani (Milano 1967), sempre piu' insofferenti all'ordine sociale esistente, attestano una implicita affinita' con l'orizzonte politico e culturale che nel corso degli anni Sessanta ando' strutturandosi attorno al pensiero della nuova sinistra transnazionale. Una certa affinita' puo' essere riscontrata non solo sul piano astratto dell'orizzonte valoriale, ma anche, e forse in misura ancora maggiore, rispetto alle pratiche della politica dolciana. Pratiche definite significativamente 'antiautoritarie' dal gruppo tedesco di solidarieta' terzomondista Brot fur die Welt (Ragone, 2012, p. 41), implicando un nesso, seppur indiretto, con l'antiautoritarismo caro alla nuova sinistra tedesca. L'antiautoritarismo dolciano si esprimeva particolarmente nell'importanza che egli attribuiva alla comunicazione, intesa come processo necessariamente creativo ed educativo, perche' fondato sullo scambio, confronto e sviluppo continuo di idee e saperi (Dolci, 1985). La crescente attenzione sui molteplici potenziali della comunicazione lo porto' peraltro a farsi involontariamente pioniere dell'uso democratico di un mezzo convenzionale quale la radio. Con la creazione di Radio libera Partinico nella primavera del 1970, per denunciare le condizioni in cui ancora viveva la popolazione colpita dal terremoto del Belice due anni prima, si inaugurava un impiego di questo mezzo come strumento di comunicazione dal basso e multidirezionale, in contrapposizione all'uso monodirezionale e controllato dai poteri pubblici fino ad allora praticato (Lorrai, 2015). Sotto questo profilo Dolci ci appare perfettamente in sintonia con le istanze su cui si sviluppo' la nuova sinistra, nonche' un anticipatore di alcune pratiche che l'avrebbero caratterizzata.
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La parabola di un percorso dedicato alla vita (civile)
Tra il Dolci che nel 1952 abbandono' il "caldo nido" di Nomadelfia per aprirsi al "resto del mondo" a quello dedito, negli anni Settanta, al Centro educativo di Mirto - su cui in piu' occasioni fece convenire i piu' competenti pedagogisti di fama internazionale -, al Dolci che nel 1985 trasformo' il Centro studi per la piena occupazione in Centro per lo sviluppo creativo, si puo' riconoscere il percorso di una vita condotta con estrema coerenza. La volonta' di partecipare alla vita per contribuire a cambiarne le condizioni piu' inaccettabili rappresentano un punto fermo nella biografia di Dolci, anche dopo gli anni Cinquanta, il periodo di maggior incisivita' della sua azione. La motivazione che lo porto' a intraprendere il suo primo digiuno fu la stessa che lo porto' a concentrarsi sui metodi educativi negli ultimi decenni della sua vita. Partendo da problemi concreti e circoscritti - l'indigenza, il dominio mafioso, il governo delle acque e l'organizzazione del territorio - focalizzo' progressivamente il suo intervento sull'educazione, intravedendovi le premesse fondamentali da cui partire per infrangere i meccanismi di riproduzione di ignoranza, dominio, violenza. Anche in questo ambito - incentrato sul concetto a lui caro di maieutica (Dolci, 1996; Ragone, 2011, pp. 177-82; Mangano, 1992) - egli non opero' individualmente, bensi' coinvolse pedagogisti, centri di ricerca, scuole, insegnanti, giovani, istituzioni nazionali e internazionali (gia' nel 1980 fu invitato a prendere parte a un simposio sull'educazione organizzato dall'UNESCO). La laurea honoris causa in scienze dell'educazione conferitagli dall'Universita' di Bologna nel 1996 attesta il riconoscimento istituzionale di cui fu coronato questo percorso.
L'evoluzione di Dolci non rifletteva tuttavia unicamente la sua maturazione interiore. Nel frattempo anche la Sicilia era cambiata, numerosi problemi erano rimasti, ma l'indigenza non era piu' causa di morte, la popolazione si era urbanizzata e integrata, soprattutto emigrando al Nord, nei circuiti dell'economia fordista e dei consumi di massa. I 'banditi' di Partinico si erano in qualche modo emancipati, altri erano forse diventati potenti mafiosi, ma la rudezza del tessuto sociale si era indubbiamente mitigata in virtu' di un processo di mobilita' sociale che aveva attraversato anche la Sicilia. Inoltre, le idee della democrazia di base avevano trovato una potente cassa di risonanza nelle culture giovanili, benche' caricate di connotazioni politiche diverse da quelle dolciane.
Va aggiunto, per concludere, che Dolci non coincise mai pienamente coi ruoli che ricopri' nelle diverse fasi della sua vita. La sua figura presentava punti di incontro e convergenza con mondi tra loro molto distanti - la spiritualita' cristiana, la sinistra marxista ortodossa ed eterodossa, il mondo della cultura e della scienza, la povera gente - senza mai aderire, tuttavia, esclusivamente ad alcuno di questi, all'insegna di una soggettivita' eccezionalmente ricca, che rifiutava appartenenze entro rigidi confini identitari. Ancora alla fine degli anni Novanta, quando lo si poteva ormai identificare come un pedagogista, benche' non smise mai di scrivere poesie, il suo impegno debordante si sposto' sulle attivita' della NATO in Sardegna, mettendone in discussione sia la legalita', sia il grave impatto ambientale. Il Dolci pedagogista si ricongiungeva cosi', secondo un moto circolare in continua espansione, col Dolci antimilitarista e pacifista gia' emerso in gioventu'.
La sua vita fu in effetti un moto intenso e continuo che si concluse nella sua amata Partinico il 30 dicembre 1997.
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Opere
Tra i testi selezionati per la stesura di questa voce biografica si vedano Chi gioca solo, Torino 1966; Ai piu' giovani, Milano 1967; Inventare il futuro, Bari 1968; Palpitare di nessi. Ricerca di educare creativo a un mondo nonviolento, Roma 1985; La struttura maieutica e l'evolverci, Scandicci 1996.
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Fonti e bibliografia
A. Capitini, D. D., Manduria 1958; L. Barbera, La diga di Roccamena, Bari 1964 (nuova ed. Porretta - Bologna 2016); G. Fofi, L'immigrazione meridionale a Torino, Milano 1964; Conversazioni con D. D., a cura di G. Spagnoletti, Milano 1977; Inchiesta sulla miseria in Italia, a cura di P. Braghin, Torino 1978; G. Fontanelli, D. D., Firenze 1984; A. Mangano, D. D. educatore. Un nuovo modo di pensare e di essere nell'era atomica, Fiesole 1992; Intervista di M. Tarozzi a D.D., Come l'ape che si posa su un fiore, in DuemilaUno, X (1995), 49, http://www.centrostudialeph.it/archivio/dolci/web_site/dda/tarozzi.html (6 sett. 2016); G. Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di D. D., Napoli 2000; D. Rizzo, Il Partito socialista e Raniero Panzieri in Sicilia (1949-1955), Soveria Mannelli 2001; Raccontare D. D. L'immaginazione sociologica, il sottosviluppo, la costruzione della societa' civile, a cura di S. Costantino, Roma 2003; G. Fiocco, L'Italia prima del miracolo economico: l'inchiesta parlamentare sulla miseria, 1951-1954, Manduria 2004; G. Fofi, L'inchiesta sociale in Italia e le sue diramazioni, in Lo straniero, 2005, n. 62-63, pp. 46-50; R. Rochefort, Sicilia anni Cinquanta. Lavoro cultura societa', Palermo 2005 [Paris 1961]; Perche' l'Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a D. D., a cura di G. Fofi, Napoli 2006; Aldo Capitini - Danilo Dolci. Lettere 1952-1968, a cura di G. Barone - S. Mazzi, Roma 2008; V. Rieser, L'inchiesta nella fabbrica e nella societa', in L'inchiesta sociale in Italia, a cura di E. Pugliese, Roma 2008, pp. 55-59; V. Schirripa, Borgo di Dio. La Sicilia di D. D. (1952-1956), Milano 2010; M. Ragone, Le parole di D. D.. Anatomia lessicale-concettuale, Foggia 2011; Verso la citta' territorio. L'esperienza di D. D., a cura di G. Corsani - L. Guidi - G. Pizziolo, Firenze 2012 (in partic. G. Corsani, La nascita del Borgo di Dio. Presentazione dell'opuscolo, pp. 167-70; M. Pieracci Harwell, D. D. nei primi anni '50, pp. 123-37); P. Bisconti, Il ricordo di D. D. attraverso le parole della sorella, 2013, http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2013/02/10/il-ricordo-di-danilo-dolci-attraverso-le-parole-della-sorella-miriam/14496/ (15 agosto 2016); Il Piano del Lavoro del 1949: contesto storico internazionale e problemi interpretativi, a cura di F. Loreto - S. Musso, Roma 2014; G. Mottura, Vittorio Rieser e l'inchiesta, in Inchiesta, 2014, n. 184, pp. 19-20; M. Lorrai, La breve primavera della radio locale, in L'Italia e le sue regioni, a cura di M. Salvati - L. Sciolla, vol. 4, Societa', Roma 2015, pp. 425-42.
Principale sito di riferimento e' quello del Centro sviluppo creativo Danilo Dolci: http://danilodolci.org/

3. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

4. REPETITA IUVANT. A COSTO DI SEMBRARE IL SOLITO GRILLO PARLANTE... (NOVEMBRE 2023)

Ci sono alcune cose che vanno pur dette, e allora diciamole.
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Ogni manifestazione a favore dell'esistenza dello stato di Israele che non s'impegni anche per la nascita dello stato di Palestina rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione a sostegno del popolo palestinese che non s'impegni anche a sostegno del popolo ebraico rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da un'organizzazione terrorista e non quelle commesse da uno stato e' peggio che inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da uno stato e non quelle commesse da un'organizzazione terrorista e' peggio che inutile.
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Sia il popolo palestinese che il popolo ebraico sono realmente minacciati di genocidio.
E' compito dell'umanita' intera impedire questi genocidi, tutti i genocidi.
Per impedire il genocidio del popolo ebraico e' indispensabile l'esistenza dello stato di Israele.
Per immpedire il genocidio del popolo palestinese e' indispensabile l'esistenza dello stato di Palestina.
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Allo stato di Israele chiediamo:
1. di cessare la guerra a Gaza e il sostegno alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
2. di cessare di occupare i territori palestinesi e di riconoscere l'esistenza dello stato di Palestina nei territori della Cisgiordania e di Gaza devolvendo immediatamente tutte le funzioni giurisdizionali ed amministrative e le risorse relative all'Autorita' Nazionale Palestinese - intesa come governo provvisorio dello stato di Palestina fino alle elezioni democratiche -.
3. di sgomberare immediatamente le illegali colonie nei territori occupati, restituendo quelle aree al popolo palestinese.
4. di concordare con l'Autorita' Nazionale Palestinese l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di essere una piena democrazia abrogando ogni misura legislativa ed amministrativa di discriminazione razzista.
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All'Autorita' Nazionale Palestinese chiediamo:
1. di assumere immediatamente il governo della Striscia di Gaza.
2. di adoperarsi ivi per l'immediata liberazione di tutte le persone rapite da Hamas.
3. di organizzare lo stato di Palestina indipendente e democratico.
4. di concordare con lo stato di Israele l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di adoperarsi affinche' nessuno stato arabo o musulmano possa piu' proseguire in una politica antisraeliana ed antiebraica prendendo abusivamente a pretesto la causa palestinese.
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All'Onu chiediamo:
1. un piano straordinario di aiuti per la Palestina.
2. una deliberazione dell'Assemblea Generale che riconoscendo i due stati di Israele e di Palestina vincoli tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a cessare ogni politica di negazione dello stato di Israele, ogni politica di persecuzione antiebraica.
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Agli stati ed agli organismi politici sovranazionali d'Europa (l'Europa che e' il continente in cui si sono realizzati la bimillenaria persecuzione antiebraica e l'orrore assoluto della Shoah; l'Europa che e' il continente i cui principali stati hanno oppresso i popoli del resto del mondo con il razzismo, il colonialismo, l'imperialismo fin genocida) chiediamo:
1. di risarcire adeguatamente sia lo stato di Israele che lo stato di Palestina per le sofferenze inflitte ai loro popoli sia direttamente che indirettamente.
2. di contrastare il fascismo e il razzismo, l'antisemitismo e l'islamofobia, tutte le ideologie di odio e le organizzazioni che le praticano e le diffondono, e tutti i crimini conseguenti.
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Fermare la guerra.
Fermare le stragi.
Restituire la liberta' a tutte le persone che ne sono state private.
Riconoscere e proteggere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA? (APRILE 2023)

Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
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Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
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E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

6. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Classici
- Denis Diderot, Saggio sui regni di Claudio e Nerone, e sui costumi e gli scritti di Seneca, Sellerio, Palermo 1987, pp. 400.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5278 del 31 luglio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
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