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[Nonviolenza] Telegrammi. 5077
- Subject: [Nonviolenza] Telegrammi. 5077
- From: Centro di ricerca per la pace Centro di ricerca per la pace <centropacevt at gmail.com>
- Date: Thu, 11 Jan 2024 15:20:51 +0100
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5077 del 12 gennaio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Jean-Marie Muller: L'uomo nonviolento di fronte alla morte
2. La redazione de "La nonviolenza e' in cammino" scrive alla Presidente del Parlamento Europeo: "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier"
3. A costo di sembrare il solito grillo parlante... (novembre 2023)
4. Adesione popolare alla denuncia sulla presenza di armi nucleari in Italia
5. Sosteniamo Narges Mohammadi e la lotta delle donne in Iran. Chiediamo la liberazione dell'attivista Premio Nobel per la Pace e che siano accolte le sue richieste di rispetto dei diritti umani
6. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa? (aprile 2023)
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: L'UOMO NONVIOLENTO DI FRONTE ALLA MORTE
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo quarto: "L'uomo nonviolento di fronte alla morte" (pp. 91-101). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]
Secondo Tommaso d'Aquino "la virtu' della forza ha la funzione di mantenere la volonta' umana nella linea del bene morale, nonostante il timore di un male corporale. [...] Ora, il piu' terribile dei mali corporali e' la morte, che ci toglie tutti i beni" (1). Cosi', secondo Tommaso, "la forza ha la funzione di rafforzare l'anima contro i pericoli della morte" (2). Egli afferma allora che l'atto principale della virtu' della forza non e' di attaccare ma di sopportare: "Sopportare e' piu' difficile che attaccare" (3). Poiche' colui che sopporta l'attacco dell'avversario senza rendere colpo su colpo affronta la paura della morte, mentre colui che attacca l'avversario non fa che allontanare quella paura. "Per colui che attacca – scrive Tommaso d'Aquino - il pericolo resta allontanato, mentre e' presente per colui che sopporta l'attacco. [...] Colui che sostiene l'urto non teme, benche' abbia un motivo attuale di temere, ma colui che attacca non ha alcun motivo di timore presente allo spirito" (4).
Commentando questi pensieri di Tommaso d'Aquino, Jacques Maritain scrive: "La forza che colpisce mira a distruggere il male con l'aiuto di un altro male [fisico] inflitto ai corpi. Da cio' viene che il male, per quanto possa essere diminuito, passera' ancora dall'uno all'altro, e cio' senza fine. [...] La forza che sopporta tende a annullare il male ricevendolo e esaurendolo nell'amore, assorbendolo nell'anima sotto forma di dolore accettato; la' il male si arresta, non andra' oltre" (5).
Al contrario di chi colpisce, l'uomo che sceglie la nonviolenza ha coscienza che, rifiutando di uccidere, si assume il rischio di essere ucciso. Non e' detto che questo rischio sia necessariamente piu' grande per il nonviolento che per il violento. E' possibile, e anche probabile, che questo rischio sia meno grande per il nonviolento. Ma, comunque sia, la vera differenza non sta in questo. Cio' che cambia veramente e' che il nonviolento affronta direttamente il rischio di morire senza poter ricorrere a sotterfugi. Anche lui sente la paura della morte – e come potrebbe essere diversamente? – ma, scegliendo la nonviolenza, egli ha scelto di farle fronte e di tentare di superarla senza barare. E' per questo che, in definitiva, solo colui che accetta di morire puo' assumere il rischio di essere ucciso senza minacciare di uccidere. "Se si sa con tutta l'anima - scrive Simone Weil - che si e' mortali e se si accetta questo con tutta l'anima, non si uccide" (6). La vera saggezza, la vera liberta', e' nel poter affrontare la morte senza paura, nel poter dire come Socrate, proprio mentre e' condannato a morte: "Della morte non me ne importa proprio un bel niente, ma di non commettere ingiustizia o empieta', questo mi importa soprattutto" (7). Diventando libero riguardo alla morte, l'uomo diventa libero riguardo alla violenza; padroneggiando l'angoscia della morte, egli acquista la liberta' della nonviolenza. Ma accettare di morire piuttosto di uccidere, non e' accettare la morte. Tutto al contrario, per protestare realmente contro la morte bisogna prima di tutto rifiutare di uccidere.
Spesso le grandi persone spirituali hanno raggiunto il linguaggio della filosofia per esprimere che l'amore per gli altri uomini implica di superare la paura della morte. Cosi', Guy Riobe', che fu un autentico mistico cristiano, scrive: "L'amore vero degli uomini implica che ci si faccia il prossimo degli altri, riconosciuti come altri, come differenti da noi, come stranieri a noi, nel loro mistero inviolabile. L'incontro fraterno di due esseri racchiude sempre una sfida alla morte; c'e' sempre un muro di separazione da superare; e quell'incontro non raggiunge la sua vera perfezione che nella risposta vittoriosa a questa sfida. E' chiaro che la sfida raggiunge proporzioni estreme quando si tratta per l'uomo di incontrare fraternamente il suo nemico o, piu' generalmente, quando gli uomini hanno da superare i muri della separazione che sono stati elevati tra i loro popoli o tra gli universi culturali ai quali appartengono" (8).
Nella logica della violenza, accettare di morire per la buona causa e' anzitutto voler uccidere per quella causa. Nella logica della nonviolenza, si tratta ugualmente di accettare di morire per la buona causa, ma di morire per non uccidere, perche' la volonta' di non uccidere precede la volonta' di non morire, e perche' la paura di uccidere e' piu' forte della paura di morire. La paura della morte diventa allora la paura della morte dell'altro. La trascendenza dell'uomo e' questa possibilita' di preferire il morire per non uccidere che l'uccidere per non morire, perche' la dignita' della propria vita ha piu' valore ai propri occhi che non la propria vita stessa. Poiche' da' senso alla vita dell'uomo, per questo il rischio della nonviolenza vale realmente la pena: esso vale la pena di soffrire e, se si presenta il caso, di morire.
Quando sara' vittima di un complotto dei poteri stabiliti, coalizzati contro di lui, Gesu' di Nazareth affrontera' la morte in atteggiamento di totale nonviolenza. Poiche' sa che sara' arrestato e consegnato ai suoi giustizieri, sente "tristezza e angoscia" (9), ma sapra' superare l'una e l'altra. Quando uno dei suoi compagni vorra' ricorrere alla violenza per difenderlo, gli chiedera' di rimettere la sua spada nel fodero (10). In seguito, e' con la piu' grande determinazione che egli fara' fronte ai suoi accusatori che lo condanneranno a morte. Gesu' muore cosi' in perfetta conformita' con il consiglio che aveva dato ai suoi amici: "Non temete niente da coloro che uccidono il corpo e dopo di cio' non possono farvi niente di piu'" (11).
Se Gesu' di Nazareth ha un tale atteggiamento davanti alla morte, e' perche' per lui – come ha sottolineato Rene' Girard – "la decisione di nonviolenza non puo' essere un impegno revocabile, una specie di contratto di cui non si sarebbe tenuti a rispettare le clausole che nella misura in cui le altre parti contraenti le rispettassero ugualmente" (12). E' dunque per essere fedele alle esigenze di nonviolenza che Gesu' accetta di morire piuttosto che ricorrere alla violenza: "Si tratta di morire, perche' continuare a vivere significherebbe sottomettersi alla violenza" (13). Rene' Girard esprime cosi' cio' che costituisce il centro stesso della saggezza di Gesu': "Non bisogna esitare a dare la propria vita per non uccidere, per uscire, cosi' facendo, dal cerchio dell'omicidio e della morte" (14). Bisogna quindi prendere alla lettera il precetto secondo il quale "colui che vuole salvare la propria vita la perdera'" (15) perche' "gli sara' necessario, in effetti, uccidere il suo fratello e questo e' morire, nel disconoscimento fatale dell'altro e di se stesso" (16). Quanto a colui che accetta di perdere la sua vita, "egli e' il solo a non uccidere, il solo a conoscere la pienezza dell'amore" (17).
Assumere il rischio della nonviolenza e' voler assumere totalmente il rischio della vita. La bellezza della vita, la sua grandezza e la sua nobilta', stanno nell'assumere il rischio della morte e superarlo ad ogni istante. Se la morte e' presente al nostro fianco dall'inizio della nostra vita, non dovremmo prendere coscienza che noi non ci avviciniamo ad essa, ma anzi ce ne allontaniamo ad ogni istante? Ogni istante di vita e' una vittoria sulla morte. Il senso stesso della vita e' quello di vincere la morte ad ogni istante. La morte in realta' non e' presente ma sempre futura: ogni giorno e' rinviata. Abbiamo dunque ancora il tempo di vivere. E' scegliendo la nonviolenza, preferendo il rischio di morire al rischio di uccidere, che l'uomo afferma il senso trascendente della vita. La violenza appare allora come la negazione della trascendenza della vita.
La violenza e la nonviolenza sono guardate e giudicate attraverso il prisma deformante dell'ideologia della violenza: noi mettiamo sul conto del coraggio, dell'onore, dell'eroismo la morte di colui che e' ucciso in un combattimento violento, mentre mettiamo sul conto dello scacco e dell'inefficacia la morte di colui che muore in un combattimento nonviolento. Riteniamo, da una parte, che lo scacco della violenza non sia un argomento che prova la sua inefficacia, ma pensiamo che provi piuttosto che la vittoria esige piu' violenza; e dall'altra parte, riteniamo che lo scacco della nonviolenza sia un argomento che prova la sua inefficacia e pensiamo che provi che solo la violenza puo' permettere di ottenere la vittoria.
L'estremo tragico dell'opzione per la nonviolenza non e' di morire per non uccidere, bensi' di non uccidere quando la violenza potrebbe forse permettere al mio prossimo piu' prossimo di non morire. L'uomo raggiunge qui il limite ultimo dell'esigenza della nonviolenza. Tuttavia, conviene non dimenticare che colui che ha optato per la violenza puo' ugualmente conoscere una situazione altrettanto tragica, perche' la sua azione rischia di provocare una maggiore violenza che uccide il suo prossimo piu' prossimo. Ma, inoltre, se conosce tale rischio, l'uomo violento pensa che vi sfuggira', mentre l'uomo nonviolento deve farvi fronte in tutta consapevolezza.
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La nonviolenza e' un atteggiamento corporeo
Bisogna che non solamente la ragione, ma anche il corpo si decida alla nonviolenza. Il soggetto che ha paura della violenza, cioe' della morte, e' un essere incarnato, di carne, corporeo. La paura e' corporale e, per dominarla, il soggetto deve dominare il proprio corpo. Le tecniche che permettono all'individuo di conoscere e padroneggiare meglio il proprio corpo sono a questo punto molto utili per camminare sulla via della nonviolenza. Nell'azione nonviolenta e' il corpo che si avventura e rimane in prima linea, si espone ai colpi, sfida la violenza e affronta la morte. Se il corpo e' davvero troppo riluttante, paralizzato dalla paura e si impunta, sara' difficile alla ragione di ragionare. E' importante che il corpo si prepari e si alleni a padroneggiare se stesso, le sue emozioni e paure.
Cosi', la nonviolenza e' allo stesso tempo un atteggiamento corporale e razionale. Ogni pensiero e' inseparabile dalla sua espressione corporale. Il pensiero del soggetto incarnato si radica nel suo corpo, ed e' nell'azione nonviolenta che il soggetto fa l'esperienza corporale della nonviolenza. E' nell'azione nonviolenta che l'uomo di carne puo' pensare la nonviolenza e non gli e' possibile avere un pensiero chiaro e preciso della nonviolenza se essa non si radica in una esperienza corporea dell'azione nonviolenta.
La filosofia e' sempre una ri-flessione, cioe' un ritorno su di se', sulla propria esperienza e la propria azione. Se il filosofo non ha l'esperienza corporea della nonviolenza, come potra' elaborarne un pensiero razionale? Bisogna avere provato nel proprio corpo che l'azione nonviolenta e' possibile – il che non significa sempre vittoriosa – per arrivare a una concezione chiara della filosofia della nonviolenza. Non basta fare esperienza della violenza per comprendere la nonviolenza, bisogna inoltre fare esperienza della nonviolenza, cioe' dell'azione nonviolenta. La nonviolenza, in definitiva, non puo' essere pensata se non e' vissuta. Cosi', la filosofia della nonviolenza non e' intelligibile che attraverso l'esperienza dell'azione nonviolenta. Se la filosofia resta esterna all'azione nonviolenta – come chi, restando fuori da una casa, non puo' vederne che i muri – accadra' che ne constatera' solo i limiti, le debolezze, e sara' incapace di comprenderne la dinamica interna che le da' la sua forza.
Dunque, potra' il filosofo riflettere sulla nonviolenza se non e' lui stesso un "militante"? Ma l'uomo ragionatore diffida del militante. Costui non ha forse la cattiva reputazione di essere un attivista? Poiche' prende partito, non gli si rimprovera di cadere nell'intolleranza? Non e' egli sospetto di avere idee troppo fisse per essere ancora capace di riflettere? Certo, nessuno dubita che il militante sia un uomo di convinzioni, ma – paradossalmente – e' proprio per questo che si dubita che possa essere uomo di riflessione. Come se l'agire con convinzione non gli permettesse di avere la distanza necessaria alla riflessione, come se fosse meglio non agire per meglio riflettere!... Non conviene invece mettere in questione l'immagine del filosofo che riflette tenendosi fuori dalle beghe della citta'? Come se il fatto di non impegnarsi, di non prendere partito permettesse di riflettere meglio!... Non bisogna piuttosto affermare che, se la filosofia e' una ri-flessione sull'azione, il filosofo non puo' non agire e, in questo senso, non puo' non essere un militante? Noi pensiamo in effetti che si debba procedere a una riabilitazione filosofica della militanza. Non e' senza significato che il termine militante abbia la stessa radice etimologica della parola militare (dal latino miles, soldato): come il militare pratica l'arte del combattimento armato, il militante nonviolento pratica l'arte della lotta nonviolenta.
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Le quattro virtu' cardinali
Il vero coraggio dell'uomo forte - e il coraggio, come suggerisce il suo senso etimologico, e' proprio dell'uomo: il termine latino virtus, di cui e' la traduzione, ha la radice vir, che significa "uomo" – e' l'essere pronto ad assumere il rischio della nonviolenza piuttosto che quello della violenza. Il coraggio e' una delle quattro virtu' cardinali, sulle quali deve poggiare come su dei cardini - cardinale viene dal latino cardo che designa il cardine, o ganghero, di una porta - la vita dell'uomo morale, che intende conformare i suoi pensieri e i suoi atti alle esigenze del bene. E infatti, come si dice, l'uomo che si abbandona alla violenza "esce dai gangheri". Piu' ancora che la collera, la violenza e' una follia. Le altre tre virtu' cardinali sono la prudenza, la temperanza e la giustizia, e anch'esse sono dei fondamenti dell'atteggiamento nonviolento dell'uomo morale. Secondo Aristotele, "la prudenza e' una disposizione, accompagnata dalla giusta ragione, rivolta verso l'azione e riguardante cio' che e' bene e male per l'uomo" (18). "Le persone prudenti – egli precisa - si caratterizzano per la loro capacita' di determinarsi saggiamente, la saggia deliberazione e' la rettitudine del giudizio conforme all'utilita' e riferentesi a qualche scopo di cui la prudenza ha permesso il giusto apprezzamento" (19). La violenza, in effetti, e' sempre una in-prudenza ed esiste un legame organico tra la virtu' della prudenza e l'esigenza di nonviolenza. Sulla temperanza, Aristotele dice che "costituisce un giusto mezzo relativamente ai piaceri" (20). "La nostra facolta' di desiderare – egli scrive - deve conformarsi alle prescrizioni della ragione. Cosi', per l'uomo temperante e' necessario che ci sia accordo fra questa facolta' e la ragione. Tutte e due si propongono infatti lo stesso scopo, che e' il bene" (21). Quanto alla giustizia, Aristotele la definisce come "la disposizione che ci rende capaci di compiere atti giusti, ce li fa compiere effettivamente, e ci fa desiderare di compierli" (22).
Ma, per un malinteso tragico fra storia e geografia, le virtu' cardinali sono nate in esilio, in terra di violenza. Lungo i secoli, la gente d'armi le ha costrette a parlare la loro lingua, a condividere le loro credenze, a sottomettersi alle loro ideologie, ad adottare i loro usi e costumi, a sostenere le loro cause. Ma oggi esse rivendicano che si riconosca la loro vera identita' e richiedono che le si lasci vivere in terra di nonviolenza. E' urgente organizzare il loro rimpatrio.
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Il perdono
Bisogna ammetterlo: il perdono non ha una buona reputazione. E' troppo spesso rivestito di una connotazione religiosa che imbroglia il suo significato associandolo all'oscura nozione di peccato. Le religioni storiche – e in modo del tutto particolare il cristianesimo – hanno cosi' sviluppato tutta una retorica sul perdono dei peccati che in definitiva non concerneva molto la storia degli uomini. E' dunque un'impresa difficile, ma allo stesso tempo necessaria, legittima e feconda, riportare l'atteggiamento del perdono nel suo ordine proprio, quello della filosofia.
L'importanza decisiva dell'esigenza etica del perdono nelle relazioni umane e' messa in evidenza da cio' che la sua negazione implica fatalmente: la catena spietata delle vendette e delle rivincite. La vendetta e' stretta reciprocita', e' pura imitazione della violenza dell'avversario. Anzitutto il perdono viene a spezzare questa reciprocita' e questa imitazione. Mentre il risentimento, il rancore e l'odio imprigionano l'individuo nelle catene del passato, il perdono viene a liberarlo e a permettergli di entrare nell'avvenire. "Il perdono - scrive Vladimir Jankelevitch - scioglie cosi' l'ultimo laccio che ci legava al passato, che ci teneva indietro e ci tratteneva in basso: lasciando irrompere l'avvenire e accelerandone l'avvento, il perdono conferma bene la direzione generale e il senso di un divenire che mette l'accento tonico sul suo futuro" (23). La vendetta prolunga e ripercuote nell'avvenire le conseguenze distruttrici di un atto malefico commesso in circostanze che ora non esistono piu'. La vendetta e' inopportuna, intempestiva, anacronistica; essa viene sempre fuori tempo.
Colui che perdona non ignora affatto il desiderio di vendetta, ma decide di superarlo e sorpassarlo. La decisione di non vendicarsi puo' essere presa proprio per il fatto che, precisamente, il desiderio di vendetta c'e', ben presente in noi, e vuole trascinare la nostra decisione. E' per questo che il perdono richiede un grande coraggio. E' perch' la vendetta e' desiderabile che il perdono e' un dovere difficile. Il perdono non e' frutto dell'inclinazione, non si radica in un sentimento, ma in una decisione della volonta'; e' un atto, e' un'azione, e' – dice Jankelevitch – "un evento" (24) che avviene nella storia per cambiarne il corso. "Il perdono - scrive Hannah Arendt - e' la sola reazione che non si limita a re-agire, ma agisce in modo inatteso, non condizionato dall'atto che l'ha provocato, e che libera dalle conseguenze dell'atto sia colui che perdona sia colui che e' perdonato" (25).
Il perdono, certo, non perde la memoria del passato – l'oblio non e' una virtu' ma solo una distrazione – ma si rivolge risolutamente verso l'avvenire. Esiste un "dovere della memoria" del passato, che e' un dovere di vigilanza per l'avvenire, ma bisogna ugualmente vegliare a che la memoria del male non ingombri il futuro. "L'oblio - scrive Emmanuel Levinas - annulla le relazioni con il passato, mentre il perdono conserva il passato perdonato nel presente purificato. L'essere perdonato non e' l'essere innocente" (26). Cosi' il perdono non distrugge il ricordo, ma e' una scommessa sull'avvenire. Questa scommessa puo' essere perduta, ma non perde per questo il suo senso. Il perdono e' senza condizioni, e' dunque senza garanzie. Il perdono e' un dono, dunque non si merita e non si riprende. Per divenire effettiva nel divenire storico, la decisione di perdonare deve stabilirsi nella durata. Quando uno dei suoi compagni gli chiede se dovra' perdonare fino a sette volte le offese che gli fara' subire suo fratello, Gesu' risponde: "Io non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette volte" (27). Mentre la vendetta e' una forma di disperazione, il perdono e' interamente animato dalla speranza di ricominciare. Rifiutare la vendetta e offrire il perdono al proprio avversario non e' affatto rinunciare alla giustizia. Questo presuppone che vendicarsi non e' affatto farsi giustizia, cio' che noi effettivamente siamo portati ad ammettere. Tutto al contrario, perdonare è aprire il cammino della giustizia.
Il dovere del perdono si situa nel cuore stesso dell'esigenza di nonviolenza. Perdonare, in definitiva, e' sempre perdonare una violenza. Perdonare, e' decidere unilateralmente di rompere la catena senza fine delle violenze che si giustificano le une con le altre, e' rifiutare di continuare indefinitamente la guerra, e' voler fare la pace con gli altri come con se stesso. Infatti, colui che e' preoccupato di vendicarsi, non si trova in pace. Perdonare, e' pacificare il nostro avvenire, rifiutando di restare noi stessi prigionieri di un ciclo perpetuo di violenze. La vendetta rende veramente la vita impossibile e la morte molto probabile.
Ma il rifiuto della vendetta non e' tutta l'opera del perdono. Questo deve ancora ricostruire una nuova relazione tra l'offeso e l'offensore. Qui conviene distinguere il perdono personale, quando l'offesa stessa si inscrive direttamente in un rapporto da persona a persona, e il perdono impersonale, quando l'offesa si colloca nel rapporto da una collettivita' ad un'altra, cioe' in un rapporto sociale o politico. In una relazione personale si tratta di perdonare al proprio prossimo; in un rapporto politico si tratta di perdonare a qualcuno lontano da noi. In un caso come nell'altro, il perdono rende possibile, se non la riconciliazione, almeno la conciliazione, cioe' permette di ristabilire, o di stabilire, delle relazioni di giustizia. Ma, affinche' queste relazioni diventino effettive, importa che colui che ha fatto il male riconosca le proprie responsabilita', entri lui stesso nella storia del perdono e partecipi alla sua dinamica.
In realta', i grandi massacri della storia non sono stati generati da rancori personali, ma da odi collettivi. Sono dunque soprattutto questi che bisogna spegnere e solo l'opera del perdono puo' arrivarvi. Il perdono appare allora come un momento decisivo dell'azione politica che si da' per finalita' la liberazione della storia dal meccanismo cieco della violenza.
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Note
1. Tommaso d'Aquino, Somma teologica, 2-2, questione 123, articolo 4.
2. Idem ibidem, articolo 5.
3. Idem ibidem, articolo 6.
4. Idem, ibidem.
5. Jacques Maritain, Du regime temporel et de la liberte', Paris, Desclee de Brouwer, 1933, p. 207; tr. it. Strutture politiche e liberta', a cura di A. Pavan, Brescia 1968.
6. Simone Weil, Cahiers II, op. cit. p. 147; tr. it. cit.
7. Platone, Apologia di Socrate, XX, 32-d (trad. it. di Manara Valgimigli).
8. Citato da Jean-François Six, Le Pere Riobe', un homme libre, Paris, Desclee de Brouwer, 1988, p. 69.
9. Vangelo di Matteo, 26, 37.
10. Idem, ibidem, 26, 51-52.
11. Vangelo di Luca, 12, 4.
12. Rene' Girard, Des choses cachees depuis la fondation du monde, op. cit., p. 230; tr. it. cit.
13. Idem, ibidem, p. 237.
14. Idem, ibidem, p. 238.
15. Vangelo di Matteo, 16, 25.
16. Rene' Girard, Des choses cachees depuis la fondation du monde, op. cit., p. 238; tr. it. cit.
17. Idem, ibidem.
18. Aristotele, Etica Nicomachea, libro VI, capitolo V.
19. Idem, ibidem, libro VI, capitolo X.
20. Idem, ibidem, libro III, capitolo V.
21. Idem, ibidem, libro III, capitolo XII.
22. Idem, ibidem, libro V, capitolo I.
23. Vladimir Jankelevitch, Le pardon, Paris, Aubier, 1967, p. 24. In italiano vedi: Il perdono, IPL, Milano 1969; Perdonare?, Giuntina, Firenze, 1987.
24. Idem, ibidem, p. 12.
25. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, Paris, Calmann-Levy, Presses Pocket, 1988, p. 307; tr. it. dell'originale The Human Condition, The University of Chicago, Usa, 1958, Vita activa. La condizione umana, RCS Libri, Milano 1997; Saggi Tascabili Bompiani, Milano 1998.
26. Emmanuel Levinas, Totalite' et Infini, op. cit., p. 316; tr. it. cit.
27. Vangelo di Matteo, 18, 21-22.
2. APPELLI. LA REDAZIONE DE "LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO" SCRIVE ALLA PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO: "PORTIAMO A COMPIMENTO L'INIZIATIVA DI DAVID SASSOLI PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER"
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo, on. Roberta Metsola,
numerose personalita' della societa' civile e varie associazioni democratiche italiane hanno promosso l'appello "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier".
Come redazione del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" ci associamo alla richiesta che lei voglia proseguire nell'impegno del suo illustre e non dimenticato predecessore.
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Qui di seguito il testo dell'appello.
Il 23 agosto 2021 David Sassoli, l'indimenticato Presidente del Parlamento Europeo che sarebbe deceduto pochi mesi dopo nel gennaio 2022, tenne una conferenza stampa in cui annuncio' il suo personale impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da quasi mezzo secolo prigioniero innocente.
L'iniziativa di David Sassoli si ricollegava idealmente a due precedenti importanti pronunciamenti del Parlamento Europeo, del 1994 e del 1999.
E si collegava anche al movimento che in Italia in quel momento riproponeva con forza l'esigenza e l'urgenza che Leonard Peltier venisse finalmente liberato.
In un suo tweet che accompagnava e sintetizzava la conferenza stampa del 23 agosto 2021 David Sassoli dichiarava, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Lanciamo un appello a riprendere e portare a compimento quell'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier.
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Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
le saremmo assai grati se lei, che ha assunto l'incarico di Presidente del Parlamento Europeo succedendo all'on. Sassoli, volesse porsi a capo di questa iniziativa volta a richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
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Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
sicuramente lei ricorda che il Parlamento Europeo gia' in passato ripetutamente si espresse in tal senso nel 1994 e nel 1999.
E sicuramente lei sa che una Commissione giuridica ad hoc dell'ONU, dopo aver accuratamente riesaminato tutti gli atti processuali, lo scorso anno ha concluso i suoi lavori chiedendo la liberazione di Leonard Peltier.
E sicuramente lei sa anche che nel corso del tempo la liberazione di Leonard Peltier e' stata richiesta da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, da prestigiose organizzazioni umanitarie come Amnesty International, da innumerevoli istituzioni democratiche, da milioni - letteralmente milioni - di esseri umani di ogni parte del mondo, tra cui anche il magistrato che nel 1976 sostenne l'accusa contro di lui e che da anni e' impegnato per la sua liberazione (da allora ad oggi peraltro e' stato definitivamente dimostrato che le cosiddette "testimonianze" e le cosiddette "prove" contro Leonard Peltier erano false).
Come ha scritto nel suo appello l'indimenticato Presidente Sassoli, "I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
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Ringraziandola fin d'ora per l'attenzione ed auspicando un suo intervento, voglia gradire distinti saluti.
3. REPETITA IUVANT. A COSTO DI SEMBRARE IL SOLITO GRILLO PARLANTE... (NOVEMBRE 2023)
Ci sono alcune cose che vanno pur dette, e allora diciamole.
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Ogni manifestazione a favore dell'esistenza dello stato di Israele che non s'impegni anche per la nascita dello stato di Palestina rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione a sostegno del popolo palestinese che non s'impegni anche a sostegno del popolo ebraico rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da un'organizzazione terrorista e non quelle commesse da uno stato e' peggio che inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da uno stato e non quelle commesse da un'organizzazione terrorista e' peggio che inutile.
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Sia il popolo palestinese che il popolo ebraico sono realmente minacciati di genocidio.
E' compito dell'umanita' intera impedire questi genocidi, tutti i genocidi.
Per impedire il genocidio del popolo ebraico e' indispensabile l'esistenza dello stato di Israele.
Per immpedire il genocidio del popolo palestinese e' indispensabile l'esistenza dello stato di Palestina.
*
Allo stato di Israele chiediamo:
1. di cessare la guerra a Gaza e il sostegno alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
2. di cessare di occupare i territori palestinesi e di riconoscere l'esistenza dello stato di Palestina nei territori della Cisgiordania e di Gaza devolvendo immediatamente tutte le funzioni giurisdizionali ed amministrative e le risorse relative all'Autorita' Nazionale Palestinese - intesa come governo provvisorio dello stato di Palestina fino alle elezioni democratiche -.
3. di sgomberare immediatamente le illegali colonie nei territori occupati, restituendo quelle aree al popolo palestinese.
4. di concordare con l'Autorita' Nazionale Palestinese l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di essere una piena democrazia abrogando ogni misura legislativa ed amministrativa di discriminazione razzista.
*
All'Autorita' Nazionale Palestinese chiediamo:
1. di assumere immediatamente il governo della Striscia di Gaza.
2. di adoperarsi ivi per l'immediata liberazione di tutte le persone rapite da Hamas.
3. di organizzare lo stato di Palestina indipendente e democratico.
4. di concordare con lo stato di Israele l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di adoperarsi affinche' nessuno stato arabo o musulmano possa piu' proseguire in una politica antisraeliana ed antiebraica prendendo abusivamente a pretesto la causa palestinese.
*
All'Onu chiediamo:
1. un piano straordinario di aiuti per la Palestina.
2. una deliberazione dell'Assemblea Generale che riconoscendo i due stati di Israele e di Palestina vincoli tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a cessare ogni politica di negazione dello stato di Israele, ogni politica di persecuzione antiebraica.
*
Agli stati ed agli organismi politici sovranazionali d'Europa (l'Europa che e' il continente in cui si sono realizzati la bimillenaria persecuzione antiebraica e l'orrore assoluto della Shoah; l'Europa che e' il continente i cui principali stati hanno oppresso i popoli del resto del mondo con il razzismo, il colonialismo, l'imperialismo fin genocida) chiediamo:
1. di risarcire adeguatamente sia lo stato di Israele che lo stato di Palestina per le sofferenze inflitte ai loro popoli sia direttamente che indirettamente.
2. di contrastare il fascismo e il razzismo, l'antisemitismo e l'islamofobia, tutte le ideologie di odio e le organizzazioni che le praticano e le diffondono, e tutti i crimini conseguenti.
*
Fermare la guerra.
Fermare le stragi.
Restituire la liberta' a tutte le persone che ne sono state private.
Riconoscere e proteggere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.
4. REPETITA IUVANT. ADESIONE POPOLARE ALLA DENUNCIA SULLA PRESENZA DI ARMI NUCLEARI IN ITALIA
[Riceviamo e diffondiamo. Andando sul sito www.peacelink.it o sul sito www.pressenza.com e' possibile attivare i link per accedere a ulteriori materiali e per sottoscrivere l'iniziativa]
Il prossimo passo della denuncia trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma lo scorso 2 ottobre, riguardante la presenza delle armi nucleari in Italia e in attesa che si attivi la corrispondente inchiesta, riguarda l'adesione popolare a tale denuncia: parte oggi con una sottoscrizione popolare che si puo' realizzare online grazie alla piattaforma predisposta all'interno del sito di PeaceLink, storico portale telematico del pacifismo italiano.
Andando a questo indirizzo sara' possibile firmare la petizione di adesione di cui riportiamo il testo:
Ho appreso che in data 2 ottobre 2023 e' stata depositata alla Procura presso il Tribunale di Roma una denuncia per accertare la presenza di armi nucleari in Italia, verificarne la illegittimita' ed individuare i responsabili. Ho letto il testo e lo condivido. Approvo l'iniziativa alla quale vorrei partecipare. Non potendo piu' sottoscrivere la denuncia, ormai depositata, chiedo che questa mia lettera venga allegata agli atti del procedimento come segno di sostegno all'iniziativa.
In particolare mi sembrano significative le seguenti norme riportate nel testo della denuncia.
"In data 24 aprile 1975 l'Italia ha sottoscritto il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), trattato internazionale incentrato, in particolare su:
a) la c.d. "non proliferazione" del nucleare, in base alla quale gli Stati in possesso di armi nucleari (c.d. "Paesi nucleari") si impegnano a non trasferire armi di tale natura a quelli che ne sono privi (c.d. "Paesi non nucleari"), mentre questi ultimi si obbligano a non ricevere e/o acquisire il controllo diretto o indiretto di ordigni nucleari (artt. I, II, III);
b) il disarmo nucleare, che impone il ricorso a trattative finalizzate alla definitiva cessazione della prassi di armamento nucleare (art. VI).
Il diritto bellico internazionale vieta l'uso e la minaccia dell'uso delle armi nucleari in qualsiasi circostanza.
La L. 185/1990 vieta la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiale di armamento senza l'autorizzazione dell'autorita' e, in ogni caso, di armi nucleari.
Ciononostante, la presenza di armi nucleari sul suolo nazionale puo' ormai considerarsi certa".
Sono consapevole della rilevanza politica dell'iniziativa giudiziaria. Credo, pero', fermamente nello Stato di diritto, nella ripartizione dei poteri e, soprattutto, nell'indipendenza della magistratura.
Sono certo che anche questa denuncia sara' valutata senza timori per le implicazioni politiche sottese.
*
Informazioni sulla denuncia
La denuncia e' sottoscritta a livello individuale da 22 esponenti di associazioni pacifiste e antimilitariste: Abbasso la guerra, Donne e uomini contro la guerra, Associazione Papa Giovanni XXIII, Centro di documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, Tavola della Pace Friuli Venezia Giulia, Rete Diritti Accoglienza Solidarieta' Internazionale, Pax Christi, Pressenza, WILPF, Centro sociale 28 maggio, Coordinamento No Triv, e singoli cittadini. Alcune di queste associazioni condividono collettivamente i contenuti di questa iniziativa.
Il testo della denuncia e' visionabile cliccando su questo link.
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Aderisci:
Come persona
Come associazione
5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO NARGES MOHAMMADI E LA LOTTA DELLE DONNE IN IRAN. CHIEDIAMO LA LIBERAZIONE DELL'ATTIVISTA PREMIO NOBEL PER LA PACE E CHE SIANO ACCOLTE LE SUE RICHIESTE DI RISPETTO DEI DIRITTI UMANI
Sosteniamo Narges Mohammadi, Premio Nobel per la pace, detenuta in Iran per la sua lotta nonviolenta in difesa dei diritti umani e per l'abolizione della pena di morte.
Sosteniamo la lotta nonviolenta delle donne in Iran per la dignita' umana di tutti gli esseri umani.
Sia liberata Narges Mohammadi e tutte le prigioniere e tutti i prigionieri di coscienza, tutte le detenute e tutti i detenuti politici, tutte le persone innocenti perseguitate e sequestrate, in Iran come ovunque.
Cessi l'oppressione delle donne in Iran come ovunque nel mondo, siano rispettati i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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Chiediamo al Parlamento e al governo italiano di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo e alla Commissione Europea di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Segretario Generale e all'Assemblea Generale dell'Onu di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
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Chiediamo a tutte le persone di volonta' buona, a tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni sollecite del bene comune e della dignita' umana, a tutti i mezzi d'informazione impegnati per la verita' e la giustizia, d'impegnarsi a sostegno di Narges Mohammadi e delle donne iraniane.
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Donna, vita, liberta'.
6. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA? (APRILE 2023)
Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
*
Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
*
E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Vasilij Grossman, Vita e destino, Adelphi, Milano 2008, 2013, pp. 758.
- Nelson Mandela, Io, Nelson Mandela. Conversazioni con me stesso, Sperling & Kupfer, Milano 2010, 2013, pp. XXII + 450.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5077 del 12 gennaio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Nuova informativa sulla privacy
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Numero 5077 del 12 gennaio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Sommario di questo numero:
1. Jean-Marie Muller: L'uomo nonviolento di fronte alla morte
2. La redazione de "La nonviolenza e' in cammino" scrive alla Presidente del Parlamento Europeo: "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier"
3. A costo di sembrare il solito grillo parlante... (novembre 2023)
4. Adesione popolare alla denuncia sulla presenza di armi nucleari in Italia
5. Sosteniamo Narges Mohammadi e la lotta delle donne in Iran. Chiediamo la liberazione dell'attivista Premio Nobel per la Pace e che siano accolte le sue richieste di rispetto dei diritti umani
6. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa? (aprile 2023)
7. Segnalazioni librarie
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: L'UOMO NONVIOLENTO DI FRONTE ALLA MORTE
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo quarto: "L'uomo nonviolento di fronte alla morte" (pp. 91-101). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]
Secondo Tommaso d'Aquino "la virtu' della forza ha la funzione di mantenere la volonta' umana nella linea del bene morale, nonostante il timore di un male corporale. [...] Ora, il piu' terribile dei mali corporali e' la morte, che ci toglie tutti i beni" (1). Cosi', secondo Tommaso, "la forza ha la funzione di rafforzare l'anima contro i pericoli della morte" (2). Egli afferma allora che l'atto principale della virtu' della forza non e' di attaccare ma di sopportare: "Sopportare e' piu' difficile che attaccare" (3). Poiche' colui che sopporta l'attacco dell'avversario senza rendere colpo su colpo affronta la paura della morte, mentre colui che attacca l'avversario non fa che allontanare quella paura. "Per colui che attacca – scrive Tommaso d'Aquino - il pericolo resta allontanato, mentre e' presente per colui che sopporta l'attacco. [...] Colui che sostiene l'urto non teme, benche' abbia un motivo attuale di temere, ma colui che attacca non ha alcun motivo di timore presente allo spirito" (4).
Commentando questi pensieri di Tommaso d'Aquino, Jacques Maritain scrive: "La forza che colpisce mira a distruggere il male con l'aiuto di un altro male [fisico] inflitto ai corpi. Da cio' viene che il male, per quanto possa essere diminuito, passera' ancora dall'uno all'altro, e cio' senza fine. [...] La forza che sopporta tende a annullare il male ricevendolo e esaurendolo nell'amore, assorbendolo nell'anima sotto forma di dolore accettato; la' il male si arresta, non andra' oltre" (5).
Al contrario di chi colpisce, l'uomo che sceglie la nonviolenza ha coscienza che, rifiutando di uccidere, si assume il rischio di essere ucciso. Non e' detto che questo rischio sia necessariamente piu' grande per il nonviolento che per il violento. E' possibile, e anche probabile, che questo rischio sia meno grande per il nonviolento. Ma, comunque sia, la vera differenza non sta in questo. Cio' che cambia veramente e' che il nonviolento affronta direttamente il rischio di morire senza poter ricorrere a sotterfugi. Anche lui sente la paura della morte – e come potrebbe essere diversamente? – ma, scegliendo la nonviolenza, egli ha scelto di farle fronte e di tentare di superarla senza barare. E' per questo che, in definitiva, solo colui che accetta di morire puo' assumere il rischio di essere ucciso senza minacciare di uccidere. "Se si sa con tutta l'anima - scrive Simone Weil - che si e' mortali e se si accetta questo con tutta l'anima, non si uccide" (6). La vera saggezza, la vera liberta', e' nel poter affrontare la morte senza paura, nel poter dire come Socrate, proprio mentre e' condannato a morte: "Della morte non me ne importa proprio un bel niente, ma di non commettere ingiustizia o empieta', questo mi importa soprattutto" (7). Diventando libero riguardo alla morte, l'uomo diventa libero riguardo alla violenza; padroneggiando l'angoscia della morte, egli acquista la liberta' della nonviolenza. Ma accettare di morire piuttosto di uccidere, non e' accettare la morte. Tutto al contrario, per protestare realmente contro la morte bisogna prima di tutto rifiutare di uccidere.
Spesso le grandi persone spirituali hanno raggiunto il linguaggio della filosofia per esprimere che l'amore per gli altri uomini implica di superare la paura della morte. Cosi', Guy Riobe', che fu un autentico mistico cristiano, scrive: "L'amore vero degli uomini implica che ci si faccia il prossimo degli altri, riconosciuti come altri, come differenti da noi, come stranieri a noi, nel loro mistero inviolabile. L'incontro fraterno di due esseri racchiude sempre una sfida alla morte; c'e' sempre un muro di separazione da superare; e quell'incontro non raggiunge la sua vera perfezione che nella risposta vittoriosa a questa sfida. E' chiaro che la sfida raggiunge proporzioni estreme quando si tratta per l'uomo di incontrare fraternamente il suo nemico o, piu' generalmente, quando gli uomini hanno da superare i muri della separazione che sono stati elevati tra i loro popoli o tra gli universi culturali ai quali appartengono" (8).
Nella logica della violenza, accettare di morire per la buona causa e' anzitutto voler uccidere per quella causa. Nella logica della nonviolenza, si tratta ugualmente di accettare di morire per la buona causa, ma di morire per non uccidere, perche' la volonta' di non uccidere precede la volonta' di non morire, e perche' la paura di uccidere e' piu' forte della paura di morire. La paura della morte diventa allora la paura della morte dell'altro. La trascendenza dell'uomo e' questa possibilita' di preferire il morire per non uccidere che l'uccidere per non morire, perche' la dignita' della propria vita ha piu' valore ai propri occhi che non la propria vita stessa. Poiche' da' senso alla vita dell'uomo, per questo il rischio della nonviolenza vale realmente la pena: esso vale la pena di soffrire e, se si presenta il caso, di morire.
Quando sara' vittima di un complotto dei poteri stabiliti, coalizzati contro di lui, Gesu' di Nazareth affrontera' la morte in atteggiamento di totale nonviolenza. Poiche' sa che sara' arrestato e consegnato ai suoi giustizieri, sente "tristezza e angoscia" (9), ma sapra' superare l'una e l'altra. Quando uno dei suoi compagni vorra' ricorrere alla violenza per difenderlo, gli chiedera' di rimettere la sua spada nel fodero (10). In seguito, e' con la piu' grande determinazione che egli fara' fronte ai suoi accusatori che lo condanneranno a morte. Gesu' muore cosi' in perfetta conformita' con il consiglio che aveva dato ai suoi amici: "Non temete niente da coloro che uccidono il corpo e dopo di cio' non possono farvi niente di piu'" (11).
Se Gesu' di Nazareth ha un tale atteggiamento davanti alla morte, e' perche' per lui – come ha sottolineato Rene' Girard – "la decisione di nonviolenza non puo' essere un impegno revocabile, una specie di contratto di cui non si sarebbe tenuti a rispettare le clausole che nella misura in cui le altre parti contraenti le rispettassero ugualmente" (12). E' dunque per essere fedele alle esigenze di nonviolenza che Gesu' accetta di morire piuttosto che ricorrere alla violenza: "Si tratta di morire, perche' continuare a vivere significherebbe sottomettersi alla violenza" (13). Rene' Girard esprime cosi' cio' che costituisce il centro stesso della saggezza di Gesu': "Non bisogna esitare a dare la propria vita per non uccidere, per uscire, cosi' facendo, dal cerchio dell'omicidio e della morte" (14). Bisogna quindi prendere alla lettera il precetto secondo il quale "colui che vuole salvare la propria vita la perdera'" (15) perche' "gli sara' necessario, in effetti, uccidere il suo fratello e questo e' morire, nel disconoscimento fatale dell'altro e di se stesso" (16). Quanto a colui che accetta di perdere la sua vita, "egli e' il solo a non uccidere, il solo a conoscere la pienezza dell'amore" (17).
Assumere il rischio della nonviolenza e' voler assumere totalmente il rischio della vita. La bellezza della vita, la sua grandezza e la sua nobilta', stanno nell'assumere il rischio della morte e superarlo ad ogni istante. Se la morte e' presente al nostro fianco dall'inizio della nostra vita, non dovremmo prendere coscienza che noi non ci avviciniamo ad essa, ma anzi ce ne allontaniamo ad ogni istante? Ogni istante di vita e' una vittoria sulla morte. Il senso stesso della vita e' quello di vincere la morte ad ogni istante. La morte in realta' non e' presente ma sempre futura: ogni giorno e' rinviata. Abbiamo dunque ancora il tempo di vivere. E' scegliendo la nonviolenza, preferendo il rischio di morire al rischio di uccidere, che l'uomo afferma il senso trascendente della vita. La violenza appare allora come la negazione della trascendenza della vita.
La violenza e la nonviolenza sono guardate e giudicate attraverso il prisma deformante dell'ideologia della violenza: noi mettiamo sul conto del coraggio, dell'onore, dell'eroismo la morte di colui che e' ucciso in un combattimento violento, mentre mettiamo sul conto dello scacco e dell'inefficacia la morte di colui che muore in un combattimento nonviolento. Riteniamo, da una parte, che lo scacco della violenza non sia un argomento che prova la sua inefficacia, ma pensiamo che provi piuttosto che la vittoria esige piu' violenza; e dall'altra parte, riteniamo che lo scacco della nonviolenza sia un argomento che prova la sua inefficacia e pensiamo che provi che solo la violenza puo' permettere di ottenere la vittoria.
L'estremo tragico dell'opzione per la nonviolenza non e' di morire per non uccidere, bensi' di non uccidere quando la violenza potrebbe forse permettere al mio prossimo piu' prossimo di non morire. L'uomo raggiunge qui il limite ultimo dell'esigenza della nonviolenza. Tuttavia, conviene non dimenticare che colui che ha optato per la violenza puo' ugualmente conoscere una situazione altrettanto tragica, perche' la sua azione rischia di provocare una maggiore violenza che uccide il suo prossimo piu' prossimo. Ma, inoltre, se conosce tale rischio, l'uomo violento pensa che vi sfuggira', mentre l'uomo nonviolento deve farvi fronte in tutta consapevolezza.
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La nonviolenza e' un atteggiamento corporeo
Bisogna che non solamente la ragione, ma anche il corpo si decida alla nonviolenza. Il soggetto che ha paura della violenza, cioe' della morte, e' un essere incarnato, di carne, corporeo. La paura e' corporale e, per dominarla, il soggetto deve dominare il proprio corpo. Le tecniche che permettono all'individuo di conoscere e padroneggiare meglio il proprio corpo sono a questo punto molto utili per camminare sulla via della nonviolenza. Nell'azione nonviolenta e' il corpo che si avventura e rimane in prima linea, si espone ai colpi, sfida la violenza e affronta la morte. Se il corpo e' davvero troppo riluttante, paralizzato dalla paura e si impunta, sara' difficile alla ragione di ragionare. E' importante che il corpo si prepari e si alleni a padroneggiare se stesso, le sue emozioni e paure.
Cosi', la nonviolenza e' allo stesso tempo un atteggiamento corporale e razionale. Ogni pensiero e' inseparabile dalla sua espressione corporale. Il pensiero del soggetto incarnato si radica nel suo corpo, ed e' nell'azione nonviolenta che il soggetto fa l'esperienza corporale della nonviolenza. E' nell'azione nonviolenta che l'uomo di carne puo' pensare la nonviolenza e non gli e' possibile avere un pensiero chiaro e preciso della nonviolenza se essa non si radica in una esperienza corporea dell'azione nonviolenta.
La filosofia e' sempre una ri-flessione, cioe' un ritorno su di se', sulla propria esperienza e la propria azione. Se il filosofo non ha l'esperienza corporea della nonviolenza, come potra' elaborarne un pensiero razionale? Bisogna avere provato nel proprio corpo che l'azione nonviolenta e' possibile – il che non significa sempre vittoriosa – per arrivare a una concezione chiara della filosofia della nonviolenza. Non basta fare esperienza della violenza per comprendere la nonviolenza, bisogna inoltre fare esperienza della nonviolenza, cioe' dell'azione nonviolenta. La nonviolenza, in definitiva, non puo' essere pensata se non e' vissuta. Cosi', la filosofia della nonviolenza non e' intelligibile che attraverso l'esperienza dell'azione nonviolenta. Se la filosofia resta esterna all'azione nonviolenta – come chi, restando fuori da una casa, non puo' vederne che i muri – accadra' che ne constatera' solo i limiti, le debolezze, e sara' incapace di comprenderne la dinamica interna che le da' la sua forza.
Dunque, potra' il filosofo riflettere sulla nonviolenza se non e' lui stesso un "militante"? Ma l'uomo ragionatore diffida del militante. Costui non ha forse la cattiva reputazione di essere un attivista? Poiche' prende partito, non gli si rimprovera di cadere nell'intolleranza? Non e' egli sospetto di avere idee troppo fisse per essere ancora capace di riflettere? Certo, nessuno dubita che il militante sia un uomo di convinzioni, ma – paradossalmente – e' proprio per questo che si dubita che possa essere uomo di riflessione. Come se l'agire con convinzione non gli permettesse di avere la distanza necessaria alla riflessione, come se fosse meglio non agire per meglio riflettere!... Non conviene invece mettere in questione l'immagine del filosofo che riflette tenendosi fuori dalle beghe della citta'? Come se il fatto di non impegnarsi, di non prendere partito permettesse di riflettere meglio!... Non bisogna piuttosto affermare che, se la filosofia e' una ri-flessione sull'azione, il filosofo non puo' non agire e, in questo senso, non puo' non essere un militante? Noi pensiamo in effetti che si debba procedere a una riabilitazione filosofica della militanza. Non e' senza significato che il termine militante abbia la stessa radice etimologica della parola militare (dal latino miles, soldato): come il militare pratica l'arte del combattimento armato, il militante nonviolento pratica l'arte della lotta nonviolenta.
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Le quattro virtu' cardinali
Il vero coraggio dell'uomo forte - e il coraggio, come suggerisce il suo senso etimologico, e' proprio dell'uomo: il termine latino virtus, di cui e' la traduzione, ha la radice vir, che significa "uomo" – e' l'essere pronto ad assumere il rischio della nonviolenza piuttosto che quello della violenza. Il coraggio e' una delle quattro virtu' cardinali, sulle quali deve poggiare come su dei cardini - cardinale viene dal latino cardo che designa il cardine, o ganghero, di una porta - la vita dell'uomo morale, che intende conformare i suoi pensieri e i suoi atti alle esigenze del bene. E infatti, come si dice, l'uomo che si abbandona alla violenza "esce dai gangheri". Piu' ancora che la collera, la violenza e' una follia. Le altre tre virtu' cardinali sono la prudenza, la temperanza e la giustizia, e anch'esse sono dei fondamenti dell'atteggiamento nonviolento dell'uomo morale. Secondo Aristotele, "la prudenza e' una disposizione, accompagnata dalla giusta ragione, rivolta verso l'azione e riguardante cio' che e' bene e male per l'uomo" (18). "Le persone prudenti – egli precisa - si caratterizzano per la loro capacita' di determinarsi saggiamente, la saggia deliberazione e' la rettitudine del giudizio conforme all'utilita' e riferentesi a qualche scopo di cui la prudenza ha permesso il giusto apprezzamento" (19). La violenza, in effetti, e' sempre una in-prudenza ed esiste un legame organico tra la virtu' della prudenza e l'esigenza di nonviolenza. Sulla temperanza, Aristotele dice che "costituisce un giusto mezzo relativamente ai piaceri" (20). "La nostra facolta' di desiderare – egli scrive - deve conformarsi alle prescrizioni della ragione. Cosi', per l'uomo temperante e' necessario che ci sia accordo fra questa facolta' e la ragione. Tutte e due si propongono infatti lo stesso scopo, che e' il bene" (21). Quanto alla giustizia, Aristotele la definisce come "la disposizione che ci rende capaci di compiere atti giusti, ce li fa compiere effettivamente, e ci fa desiderare di compierli" (22).
Ma, per un malinteso tragico fra storia e geografia, le virtu' cardinali sono nate in esilio, in terra di violenza. Lungo i secoli, la gente d'armi le ha costrette a parlare la loro lingua, a condividere le loro credenze, a sottomettersi alle loro ideologie, ad adottare i loro usi e costumi, a sostenere le loro cause. Ma oggi esse rivendicano che si riconosca la loro vera identita' e richiedono che le si lasci vivere in terra di nonviolenza. E' urgente organizzare il loro rimpatrio.
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Il perdono
Bisogna ammetterlo: il perdono non ha una buona reputazione. E' troppo spesso rivestito di una connotazione religiosa che imbroglia il suo significato associandolo all'oscura nozione di peccato. Le religioni storiche – e in modo del tutto particolare il cristianesimo – hanno cosi' sviluppato tutta una retorica sul perdono dei peccati che in definitiva non concerneva molto la storia degli uomini. E' dunque un'impresa difficile, ma allo stesso tempo necessaria, legittima e feconda, riportare l'atteggiamento del perdono nel suo ordine proprio, quello della filosofia.
L'importanza decisiva dell'esigenza etica del perdono nelle relazioni umane e' messa in evidenza da cio' che la sua negazione implica fatalmente: la catena spietata delle vendette e delle rivincite. La vendetta e' stretta reciprocita', e' pura imitazione della violenza dell'avversario. Anzitutto il perdono viene a spezzare questa reciprocita' e questa imitazione. Mentre il risentimento, il rancore e l'odio imprigionano l'individuo nelle catene del passato, il perdono viene a liberarlo e a permettergli di entrare nell'avvenire. "Il perdono - scrive Vladimir Jankelevitch - scioglie cosi' l'ultimo laccio che ci legava al passato, che ci teneva indietro e ci tratteneva in basso: lasciando irrompere l'avvenire e accelerandone l'avvento, il perdono conferma bene la direzione generale e il senso di un divenire che mette l'accento tonico sul suo futuro" (23). La vendetta prolunga e ripercuote nell'avvenire le conseguenze distruttrici di un atto malefico commesso in circostanze che ora non esistono piu'. La vendetta e' inopportuna, intempestiva, anacronistica; essa viene sempre fuori tempo.
Colui che perdona non ignora affatto il desiderio di vendetta, ma decide di superarlo e sorpassarlo. La decisione di non vendicarsi puo' essere presa proprio per il fatto che, precisamente, il desiderio di vendetta c'e', ben presente in noi, e vuole trascinare la nostra decisione. E' per questo che il perdono richiede un grande coraggio. E' perch' la vendetta e' desiderabile che il perdono e' un dovere difficile. Il perdono non e' frutto dell'inclinazione, non si radica in un sentimento, ma in una decisione della volonta'; e' un atto, e' un'azione, e' – dice Jankelevitch – "un evento" (24) che avviene nella storia per cambiarne il corso. "Il perdono - scrive Hannah Arendt - e' la sola reazione che non si limita a re-agire, ma agisce in modo inatteso, non condizionato dall'atto che l'ha provocato, e che libera dalle conseguenze dell'atto sia colui che perdona sia colui che e' perdonato" (25).
Il perdono, certo, non perde la memoria del passato – l'oblio non e' una virtu' ma solo una distrazione – ma si rivolge risolutamente verso l'avvenire. Esiste un "dovere della memoria" del passato, che e' un dovere di vigilanza per l'avvenire, ma bisogna ugualmente vegliare a che la memoria del male non ingombri il futuro. "L'oblio - scrive Emmanuel Levinas - annulla le relazioni con il passato, mentre il perdono conserva il passato perdonato nel presente purificato. L'essere perdonato non e' l'essere innocente" (26). Cosi' il perdono non distrugge il ricordo, ma e' una scommessa sull'avvenire. Questa scommessa puo' essere perduta, ma non perde per questo il suo senso. Il perdono e' senza condizioni, e' dunque senza garanzie. Il perdono e' un dono, dunque non si merita e non si riprende. Per divenire effettiva nel divenire storico, la decisione di perdonare deve stabilirsi nella durata. Quando uno dei suoi compagni gli chiede se dovra' perdonare fino a sette volte le offese che gli fara' subire suo fratello, Gesu' risponde: "Io non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette volte" (27). Mentre la vendetta e' una forma di disperazione, il perdono e' interamente animato dalla speranza di ricominciare. Rifiutare la vendetta e offrire il perdono al proprio avversario non e' affatto rinunciare alla giustizia. Questo presuppone che vendicarsi non e' affatto farsi giustizia, cio' che noi effettivamente siamo portati ad ammettere. Tutto al contrario, perdonare è aprire il cammino della giustizia.
Il dovere del perdono si situa nel cuore stesso dell'esigenza di nonviolenza. Perdonare, in definitiva, e' sempre perdonare una violenza. Perdonare, e' decidere unilateralmente di rompere la catena senza fine delle violenze che si giustificano le une con le altre, e' rifiutare di continuare indefinitamente la guerra, e' voler fare la pace con gli altri come con se stesso. Infatti, colui che e' preoccupato di vendicarsi, non si trova in pace. Perdonare, e' pacificare il nostro avvenire, rifiutando di restare noi stessi prigionieri di un ciclo perpetuo di violenze. La vendetta rende veramente la vita impossibile e la morte molto probabile.
Ma il rifiuto della vendetta non e' tutta l'opera del perdono. Questo deve ancora ricostruire una nuova relazione tra l'offeso e l'offensore. Qui conviene distinguere il perdono personale, quando l'offesa stessa si inscrive direttamente in un rapporto da persona a persona, e il perdono impersonale, quando l'offesa si colloca nel rapporto da una collettivita' ad un'altra, cioe' in un rapporto sociale o politico. In una relazione personale si tratta di perdonare al proprio prossimo; in un rapporto politico si tratta di perdonare a qualcuno lontano da noi. In un caso come nell'altro, il perdono rende possibile, se non la riconciliazione, almeno la conciliazione, cioe' permette di ristabilire, o di stabilire, delle relazioni di giustizia. Ma, affinche' queste relazioni diventino effettive, importa che colui che ha fatto il male riconosca le proprie responsabilita', entri lui stesso nella storia del perdono e partecipi alla sua dinamica.
In realta', i grandi massacri della storia non sono stati generati da rancori personali, ma da odi collettivi. Sono dunque soprattutto questi che bisogna spegnere e solo l'opera del perdono puo' arrivarvi. Il perdono appare allora come un momento decisivo dell'azione politica che si da' per finalita' la liberazione della storia dal meccanismo cieco della violenza.
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Note
1. Tommaso d'Aquino, Somma teologica, 2-2, questione 123, articolo 4.
2. Idem ibidem, articolo 5.
3. Idem ibidem, articolo 6.
4. Idem, ibidem.
5. Jacques Maritain, Du regime temporel et de la liberte', Paris, Desclee de Brouwer, 1933, p. 207; tr. it. Strutture politiche e liberta', a cura di A. Pavan, Brescia 1968.
6. Simone Weil, Cahiers II, op. cit. p. 147; tr. it. cit.
7. Platone, Apologia di Socrate, XX, 32-d (trad. it. di Manara Valgimigli).
8. Citato da Jean-François Six, Le Pere Riobe', un homme libre, Paris, Desclee de Brouwer, 1988, p. 69.
9. Vangelo di Matteo, 26, 37.
10. Idem, ibidem, 26, 51-52.
11. Vangelo di Luca, 12, 4.
12. Rene' Girard, Des choses cachees depuis la fondation du monde, op. cit., p. 230; tr. it. cit.
13. Idem, ibidem, p. 237.
14. Idem, ibidem, p. 238.
15. Vangelo di Matteo, 16, 25.
16. Rene' Girard, Des choses cachees depuis la fondation du monde, op. cit., p. 238; tr. it. cit.
17. Idem, ibidem.
18. Aristotele, Etica Nicomachea, libro VI, capitolo V.
19. Idem, ibidem, libro VI, capitolo X.
20. Idem, ibidem, libro III, capitolo V.
21. Idem, ibidem, libro III, capitolo XII.
22. Idem, ibidem, libro V, capitolo I.
23. Vladimir Jankelevitch, Le pardon, Paris, Aubier, 1967, p. 24. In italiano vedi: Il perdono, IPL, Milano 1969; Perdonare?, Giuntina, Firenze, 1987.
24. Idem, ibidem, p. 12.
25. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, Paris, Calmann-Levy, Presses Pocket, 1988, p. 307; tr. it. dell'originale The Human Condition, The University of Chicago, Usa, 1958, Vita activa. La condizione umana, RCS Libri, Milano 1997; Saggi Tascabili Bompiani, Milano 1998.
26. Emmanuel Levinas, Totalite' et Infini, op. cit., p. 316; tr. it. cit.
27. Vangelo di Matteo, 18, 21-22.
2. APPELLI. LA REDAZIONE DE "LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO" SCRIVE ALLA PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO: "PORTIAMO A COMPIMENTO L'INIZIATIVA DI DAVID SASSOLI PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER"
Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo, on. Roberta Metsola,
numerose personalita' della societa' civile e varie associazioni democratiche italiane hanno promosso l'appello "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier".
Come redazione del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino" ci associamo alla richiesta che lei voglia proseguire nell'impegno del suo illustre e non dimenticato predecessore.
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Qui di seguito il testo dell'appello.
Il 23 agosto 2021 David Sassoli, l'indimenticato Presidente del Parlamento Europeo che sarebbe deceduto pochi mesi dopo nel gennaio 2022, tenne una conferenza stampa in cui annuncio' il suo personale impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da quasi mezzo secolo prigioniero innocente.
L'iniziativa di David Sassoli si ricollegava idealmente a due precedenti importanti pronunciamenti del Parlamento Europeo, del 1994 e del 1999.
E si collegava anche al movimento che in Italia in quel momento riproponeva con forza l'esigenza e l'urgenza che Leonard Peltier venisse finalmente liberato.
In un suo tweet che accompagnava e sintetizzava la conferenza stampa del 23 agosto 2021 David Sassoli dichiarava, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Lanciamo un appello a riprendere e portare a compimento quell'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier.
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Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
le saremmo assai grati se lei, che ha assunto l'incarico di Presidente del Parlamento Europeo succedendo all'on. Sassoli, volesse porsi a capo di questa iniziativa volta a richiedere al Presidente degli Stati Uniti d'America la concessione della grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
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Gentilissima Presidente del Parlamento Europeo,
sicuramente lei ricorda che il Parlamento Europeo gia' in passato ripetutamente si espresse in tal senso nel 1994 e nel 1999.
E sicuramente lei sa che una Commissione giuridica ad hoc dell'ONU, dopo aver accuratamente riesaminato tutti gli atti processuali, lo scorso anno ha concluso i suoi lavori chiedendo la liberazione di Leonard Peltier.
E sicuramente lei sa anche che nel corso del tempo la liberazione di Leonard Peltier e' stata richiesta da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, da prestigiose organizzazioni umanitarie come Amnesty International, da innumerevoli istituzioni democratiche, da milioni - letteralmente milioni - di esseri umani di ogni parte del mondo, tra cui anche il magistrato che nel 1976 sostenne l'accusa contro di lui e che da anni e' impegnato per la sua liberazione (da allora ad oggi peraltro e' stato definitivamente dimostrato che le cosiddette "testimonianze" e le cosiddette "prove" contro Leonard Peltier erano false).
Come ha scritto nel suo appello l'indimenticato Presidente Sassoli, "I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
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Ringraziandola fin d'ora per l'attenzione ed auspicando un suo intervento, voglia gradire distinti saluti.
3. REPETITA IUVANT. A COSTO DI SEMBRARE IL SOLITO GRILLO PARLANTE... (NOVEMBRE 2023)
Ci sono alcune cose che vanno pur dette, e allora diciamole.
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Ogni manifestazione a favore dell'esistenza dello stato di Israele che non s'impegni anche per la nascita dello stato di Palestina rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione a sostegno del popolo palestinese che non s'impegni anche a sostegno del popolo ebraico rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da un'organizzazione terrorista e non quelle commesse da uno stato e' peggio che inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da uno stato e non quelle commesse da un'organizzazione terrorista e' peggio che inutile.
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Sia il popolo palestinese che il popolo ebraico sono realmente minacciati di genocidio.
E' compito dell'umanita' intera impedire questi genocidi, tutti i genocidi.
Per impedire il genocidio del popolo ebraico e' indispensabile l'esistenza dello stato di Israele.
Per immpedire il genocidio del popolo palestinese e' indispensabile l'esistenza dello stato di Palestina.
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Allo stato di Israele chiediamo:
1. di cessare la guerra a Gaza e il sostegno alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
2. di cessare di occupare i territori palestinesi e di riconoscere l'esistenza dello stato di Palestina nei territori della Cisgiordania e di Gaza devolvendo immediatamente tutte le funzioni giurisdizionali ed amministrative e le risorse relative all'Autorita' Nazionale Palestinese - intesa come governo provvisorio dello stato di Palestina fino alle elezioni democratiche -.
3. di sgomberare immediatamente le illegali colonie nei territori occupati, restituendo quelle aree al popolo palestinese.
4. di concordare con l'Autorita' Nazionale Palestinese l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di essere una piena democrazia abrogando ogni misura legislativa ed amministrativa di discriminazione razzista.
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All'Autorita' Nazionale Palestinese chiediamo:
1. di assumere immediatamente il governo della Striscia di Gaza.
2. di adoperarsi ivi per l'immediata liberazione di tutte le persone rapite da Hamas.
3. di organizzare lo stato di Palestina indipendente e democratico.
4. di concordare con lo stato di Israele l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di adoperarsi affinche' nessuno stato arabo o musulmano possa piu' proseguire in una politica antisraeliana ed antiebraica prendendo abusivamente a pretesto la causa palestinese.
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All'Onu chiediamo:
1. un piano straordinario di aiuti per la Palestina.
2. una deliberazione dell'Assemblea Generale che riconoscendo i due stati di Israele e di Palestina vincoli tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a cessare ogni politica di negazione dello stato di Israele, ogni politica di persecuzione antiebraica.
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Agli stati ed agli organismi politici sovranazionali d'Europa (l'Europa che e' il continente in cui si sono realizzati la bimillenaria persecuzione antiebraica e l'orrore assoluto della Shoah; l'Europa che e' il continente i cui principali stati hanno oppresso i popoli del resto del mondo con il razzismo, il colonialismo, l'imperialismo fin genocida) chiediamo:
1. di risarcire adeguatamente sia lo stato di Israele che lo stato di Palestina per le sofferenze inflitte ai loro popoli sia direttamente che indirettamente.
2. di contrastare il fascismo e il razzismo, l'antisemitismo e l'islamofobia, tutte le ideologie di odio e le organizzazioni che le praticano e le diffondono, e tutti i crimini conseguenti.
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Fermare la guerra.
Fermare le stragi.
Restituire la liberta' a tutte le persone che ne sono state private.
Riconoscere e proteggere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.
4. REPETITA IUVANT. ADESIONE POPOLARE ALLA DENUNCIA SULLA PRESENZA DI ARMI NUCLEARI IN ITALIA
[Riceviamo e diffondiamo. Andando sul sito www.peacelink.it o sul sito www.pressenza.com e' possibile attivare i link per accedere a ulteriori materiali e per sottoscrivere l'iniziativa]
Il prossimo passo della denuncia trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma lo scorso 2 ottobre, riguardante la presenza delle armi nucleari in Italia e in attesa che si attivi la corrispondente inchiesta, riguarda l'adesione popolare a tale denuncia: parte oggi con una sottoscrizione popolare che si puo' realizzare online grazie alla piattaforma predisposta all'interno del sito di PeaceLink, storico portale telematico del pacifismo italiano.
Andando a questo indirizzo sara' possibile firmare la petizione di adesione di cui riportiamo il testo:
Ho appreso che in data 2 ottobre 2023 e' stata depositata alla Procura presso il Tribunale di Roma una denuncia per accertare la presenza di armi nucleari in Italia, verificarne la illegittimita' ed individuare i responsabili. Ho letto il testo e lo condivido. Approvo l'iniziativa alla quale vorrei partecipare. Non potendo piu' sottoscrivere la denuncia, ormai depositata, chiedo che questa mia lettera venga allegata agli atti del procedimento come segno di sostegno all'iniziativa.
In particolare mi sembrano significative le seguenti norme riportate nel testo della denuncia.
"In data 24 aprile 1975 l'Italia ha sottoscritto il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), trattato internazionale incentrato, in particolare su:
a) la c.d. "non proliferazione" del nucleare, in base alla quale gli Stati in possesso di armi nucleari (c.d. "Paesi nucleari") si impegnano a non trasferire armi di tale natura a quelli che ne sono privi (c.d. "Paesi non nucleari"), mentre questi ultimi si obbligano a non ricevere e/o acquisire il controllo diretto o indiretto di ordigni nucleari (artt. I, II, III);
b) il disarmo nucleare, che impone il ricorso a trattative finalizzate alla definitiva cessazione della prassi di armamento nucleare (art. VI).
Il diritto bellico internazionale vieta l'uso e la minaccia dell'uso delle armi nucleari in qualsiasi circostanza.
La L. 185/1990 vieta la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiale di armamento senza l'autorizzazione dell'autorita' e, in ogni caso, di armi nucleari.
Ciononostante, la presenza di armi nucleari sul suolo nazionale puo' ormai considerarsi certa".
Sono consapevole della rilevanza politica dell'iniziativa giudiziaria. Credo, pero', fermamente nello Stato di diritto, nella ripartizione dei poteri e, soprattutto, nell'indipendenza della magistratura.
Sono certo che anche questa denuncia sara' valutata senza timori per le implicazioni politiche sottese.
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Informazioni sulla denuncia
La denuncia e' sottoscritta a livello individuale da 22 esponenti di associazioni pacifiste e antimilitariste: Abbasso la guerra, Donne e uomini contro la guerra, Associazione Papa Giovanni XXIII, Centro di documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, Tavola della Pace Friuli Venezia Giulia, Rete Diritti Accoglienza Solidarieta' Internazionale, Pax Christi, Pressenza, WILPF, Centro sociale 28 maggio, Coordinamento No Triv, e singoli cittadini. Alcune di queste associazioni condividono collettivamente i contenuti di questa iniziativa.
Il testo della denuncia e' visionabile cliccando su questo link.
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Aderisci:
Come persona
Come associazione
5. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO NARGES MOHAMMADI E LA LOTTA DELLE DONNE IN IRAN. CHIEDIAMO LA LIBERAZIONE DELL'ATTIVISTA PREMIO NOBEL PER LA PACE E CHE SIANO ACCOLTE LE SUE RICHIESTE DI RISPETTO DEI DIRITTI UMANI
Sosteniamo Narges Mohammadi, Premio Nobel per la pace, detenuta in Iran per la sua lotta nonviolenta in difesa dei diritti umani e per l'abolizione della pena di morte.
Sosteniamo la lotta nonviolenta delle donne in Iran per la dignita' umana di tutti gli esseri umani.
Sia liberata Narges Mohammadi e tutte le prigioniere e tutti i prigionieri di coscienza, tutte le detenute e tutti i detenuti politici, tutte le persone innocenti perseguitate e sequestrate, in Iran come ovunque.
Cessi l'oppressione delle donne in Iran come ovunque nel mondo, siano rispettati i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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Chiediamo al Parlamento e al governo italiano di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo e alla Commissione Europea di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Segretario Generale e all'Assemblea Generale dell'Onu di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
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Chiediamo a tutte le persone di volonta' buona, a tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni sollecite del bene comune e della dignita' umana, a tutti i mezzi d'informazione impegnati per la verita' e la giustizia, d'impegnarsi a sostegno di Narges Mohammadi e delle donne iraniane.
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Donna, vita, liberta'.
6. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA? (APRILE 2023)
Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani, sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
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Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
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E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Vasilij Grossman, Vita e destino, Adelphi, Milano 2008, 2013, pp. 758.
- Nelson Mandela, Io, Nelson Mandela. Conversazioni con me stesso, Sperling & Kupfer, Milano 2010, 2013, pp. XXII + 450.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5077 del 12 gennaio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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