[Nonviolenza] Telegrammi. 5016



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5016 del 12 novembre 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Sosteniamo Narges Mohammadi e la lotta delle donne in Iran
2. Severino Vardacampi: A costo di sembrare il solito grillo parlante...
3. Elena Buccoliero: Il sorriso di Vivian Silver, il privilegio, l'equivicinanza
4. Luigi Ferrajoli: Serve un risveglio della ragione
5. Luigi Ferrajoli: Il sogno di un varco impossibile
6. Luigi Ferrajoli: La risposta al terrorismo non e' la guerra
7. L'associazione "Respirare" di Viterbo aderisce all'appello "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier"
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO NARGES MOHAMMADI E LA LOTTA DELLE DONNE IN IRAN

Donna, vita, liberta'.
Sosteniamo Narges Mohammadi, Premio Nobel per la pace, detenuta in Iran per la sua lotta nonviolenta in difesa dei diritti umani, in sciopero della fame per i diritti di tutte e tutti.
Sosteniamo la lotta nonviolenta delle donne in Iran per la dignita' umana di tutti gli esseri umani.
Donna, vita, liberta'.
Sia liberata Narges Mohammadi e tutte le prigioniere e tutti i prigionieri di coscienza, tutte le detenute e tutti i detenuti politici, tutte le persone innocenti perseguitate e sequestrate, in Iran come ovunque.
Cessi l'oppressione delle donne in Iran come ovunque nel mondo, siano rispettati i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Donna, vita, liberta'.

2. REPETITA IUVANT. SEVERINO VARDACAMPI: A COSTO DI SEMBRARE IL SOLITO GRILLO PARLANTE...

Ci sono alcune cose che vanno pur dette, e allora diciamole.
*
Ogni manifestazione a favore dell'esistenza dello stato di Israele che non s'impegni anche per la nascita dello stato di Palestina rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione a sostegno del popolo palestinese che non s'impegni anche a sostegno del popolo ebraico rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da un'organizzazione terrorista e non quelle commesse da uno stato e' peggio che inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da uno stato e non quelle commesse da un'organizzazione terrorista e' peggio che inutile.
*
Sia il popolo palestinese che il popolo ebraico sono realmente minacciati di genocidio.
E' compito dell'umanita' intera impedire questi genocidi, tutti i genocidi.
Per impedire il genocidio del popolo ebraico e' indispensabile l'esistenza dello stato di Israele.
Per immpedire il genocidio del popolo palestinese e' indispensabile l'esistenza dello stato di Palestina.
*
Allo stato di Israele chiediamo:
1. di cessare la guerra a Gaza e il sostegno alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
2. di cessare di occupare i territori palestinesi e di riconoscere l'esistenza dello stato di Palestina nei territori della Cisgiordania e di Gaza devolvendo immediatamente tutte le funzioni giurisdizionali ed amministrative e le risorse relative all'Autorita' Nazionale Palestinese - intesa come governo provvisorio dello stato di Palestina fino alle elezioni democratiche -.
3. di sgomberare immediatamente le illegali colonie nei territori occupati, restituendo quelle aree al popolo palestinese.
4. di concordare con l'Autorita' Nazionale Palestinese l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di essere una piena democrazia abrogando ogni misura legislativa ed amministrativa di discriminazione razzista.
*
All'Autorita' Nazionale Palestinese chiediamo:
1. di assumere immediatamente il governo della Striscia di Gaza.
2. di adoperarsi ivi per l'immediata liberazione di tutte le persone rapite da Hamas.
3. di organizzare lo stato di Palestina indipendente e democratico.
4. di concordare con lo stato di Israele l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di adoperarsi affinche' nessuno stato arabo o musulmano possa piu' proseguire in una politica antisraeliana ed antiebraica prendendo abusivamente a pretesto la causa palestinese.
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All'Onu chiediamo:
1. un piano straordinario di aiuti per la Palestina.
2. una deliberazione dell'Assemblea Generale che riconoscendo i due stati di Israele e di Palestina vincoli tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a cessare ogni politica di negazione dello stato di Israele, ogni politica di persecuzione antiebraica.
*
Agli stati ed agli organismi politici sovranazionali d'Europa (l'Europa che e' il continente in cui si sono realizzati la bimillenaria persecuzione antiebraica e l'orrore assoluto della Shoah; l'Europa che e' il continente i cui principali stati hanno oppresso i popoli del resto del mondo con il razzismo, il colonialismo, l'imperialismo fin genocida) chiediamo:
1. di risarcire adeguatamente sia lo stato di Israele che lo stato di Palestina per le sofferenze inflitte ai loro popoli sia direttamente che indirettamente.
2. di contrastare il fascismo e il razzismo, l'antisemitismo e l'islamofobia, tutte le ideologie di odio e le organizzazioni che le praticano e le diffondono, e tutti i crimini conseguenti.
*
Fermare la guerra.
Fermare le stragi.
Restituire la liberta' a tutte le persone che ne sono state private.
Riconoscere e proteggere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.

3. L'ORA. ELENA BUCCOLIERO: IL SORRISO DI VIVIAN SILVER, IL PRIVILEGIO, L'EQUIVICINANZA
[Dal sito di "Azione nonviolenta" riprendiamo e diffondiamo]

Vivian Silver ha 74 anni, e' canadese e israeliana. Di lei, su Avvenire: Ha dedicato la sua vita ai diritti dei palestinesi. E' la leader di Alleanza per la pace in Medio Oriente, un network formato da 170 associazioni pacifiste di cui due guidate da donne: Women Wage peace e Women of the Sun. Vivian sarebbe stata prelevata a forza dai terroristi dalla sua casa nel kibbutz Be'eri, al confine con Gaza. A sua sorella al telefono diceva che sentiva i militanti di Hamas fuori della sua casa, poi si e' nascosta in un armadio e da li' ha mandato messaggi ad amici. "Qui c'e' il caos - ha digitato alle 7.54 di mattina -, sento spari e urla".
Una delle azioni recenti di Vivian e' stata accompagnare i palestinesi malati di tumore all'ospedale di Gerusalemme: un'israeliana al loro fianco avrebbe permesso di raggiungere le cure in modo piu' veloce e sicuro.
Quando si dice che l'attacco terribile di Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso e' stato una reazione a decenni di assedio, oppressione, occupazione e violenza, penso che lo capirei meglio se Hamas avesse scelto di colpire persone che sostengono il governo di Israele. Invece Vivian e' una dei 240 ostaggi e non e' l'unica attivista ad essere stata catturata. Non ho strumenti per capire quale messaggio ci sia dietro questo accanimento verso i pacifisti israeliani. Mi piacerebbe che qualcuno si esprimesse su questo a ragion veduta. Cosi' come stride la reazione governativa a fronte di dichiarazioni come quelle di questi sopravvissuti: "Non usate i nostri morti e il nostro dolore per causare morte e dolore di altre persone o di altre famiglie. Chiedo che fermiamo il circolo di dolore e comprendiamo che l'unica via e' la liberta' e la parita' di diritti. Pace, fratellanza, e sicurezza per tutti gli esseri umani" (Noi Katsman dopo la morte del fratello Haym, un attivista anti-occupazione assassinato nel Kibbutz Holit), o "Non sento bisogno di vendetta, niente fara' tornare coloro che non ci sono piu'. Bombardamenti indiscriminati a Gaza e l'uccisione di civili non coinvolti in questi orribili crimini non sono una soluzione" (Ziv Stahl, direttrice esecutiva dell'organizzazione per i diritti umani Yesh Din, sopravvissuta).
Al sorriso di Vivian arrivo ascoltando il webinar di Rete Italiana Pace e Disarmo "Women Wage Peace: le donne portano la pace", condotto da Sergio Bassoli, con le ospiti Hyam Tannous, arabo-israeliana, e Na'ama Barak Wolfman, israeliana, entrambe nel Comitato Direttivo dell'associazione. L'ottima traduzione e' di Lisa Clark, come nell'incontro precedente, "Prospettive di pace oltre il conflitto: voci da Palestina e Israele", con Nivine Sandouka, attivista palestinese di "Our Rights", e Eran Nissan, attivista israeliano di Mehazkim.
Di Women Wage Peace, organizzazione cui aderiscono circa 5.000 donne israeliane di ogni estrazione, credo religioso e orientamento politico, gemellata a Gaza con Women of the Sun, abbiamo gia' scritto su queste pagine.
Nel recente incontro Hyam Tannous, counsellor psicologica, ricorda: Il 4 ottobre abbiamo avuto una manifestazione straordinaria: 3.000 donne. Siamo state raggiunte da 800 donne palestinesi intorno al Mar Morto ed eravamo sicure che stavamo costruendo la pace per le nostre comunita'. E poi la mattina del 7 ottobre ricevo una telefonata dalla mia amica di Women of the Sun, la nostra associazione palestinese gemella, che mi dice: "Svegliati, svegliati, stanno succedendo cose terribili in Israele". Ho avuto notizie di uccisioni, di massacri, non riuscivo a crederci. Ed era Hamas, un'organizzazione per la quale non ho mai avuto nessun rispetto. Ho capito che per gli ebrei questa era una riedizione dell'Olocausto. Mi dicevo: "Ma perche'?".
Sulla stessa onda si esprime Na'ama Barak Wofman, biografa: La mattina del 7 ottobre non ho capito subito quello che stava succedendo. La tv israeliana ne parlava ma non mostrava le immagini o non diceva tutto per non turbare la sensibilita' di amici e familiari delle vittime. Ho chiamato un'amica che vive in un kibbuz di frontiera e lei mi ha detto "Spero solo di riuscire a sopravvivere". Mi e' stato chiaro in seguito cio' che stava dicendo, del resto altre persone della sua comunita' non ci sono piu'. Non avrei mai immaginato che l'azione fosse cosi' estesa e cosi' brutale.
Riprende Hyam: Un vicino di mio figlio ha avuto la figlia uccisa al rave, una ragazza bellissima di 18 anni che e' partita per andare a una festa ed e' tornata cadavere. Qui tutti piangono qualcuno. E' terribile. Noi arabi israeliani ci sentiamo sia israeliani che palestinesi in questo momento. Il 7 di ottobre, con gli israeliani vittime di queste orrende sevizie, ci siamo commossi, ma adesso ci sono 9.000 dei nostri uccisi a Gaza e quindi il nostro cuore e' di qua e di la'. In questo momento siamo tutti impauriti: noi arabi abbiamo il timore di essere tutti giudicati come terroristi, e gli israeliani temono che qualche terrorista si nasconda e possa riprendere quella violenza. Il nostro obiettivo come WWP e' far rinascere un rapporto di fiducia. Non sara' facile.
Alla richiesta del conduttore, su come possiamo essere di aiuto da qui, Na'ama pensa agli ostaggi: Aiutateci a chiedere il loro rilascio, scrivete alla Croce Rossa Italiana perche' li visiti e accerti le loro condizioni, come in guerra si deve fare, e Hyam alle sorelle pacifiste palestinesi a Gaza: Sostenete le Women of the Sun, non sappiamo piu' niente di loro, non sappiamo neanche se sono ancora vive.
L'equivicinanza ai due popoli mi pare espressa perfettamente da Hyam, che incarna entrambe le appartenenze. Ci aiuta a ricordare che il dolore e' dolore per ogni essere umano. Mantiene su ogni fronte la medesima dignita'.
Lia Tagliacozzo, nel suo intervento su "Il Manifesto" del 5.11.23, riporta queste parole di Yuval Noah Harari, storico e protagonista del movimento democratico israeliano: "Coloro che in Europa hanno il privilegio di non patire direttamente il dolore, di non vivere sotto i missili e le bombe, di non sentirsi fragili (...) hanno il dovere di tenere alta la bandiera della saggezza e della ragione". E a me tornano in mente le volte che ho ascoltato Daniele Lugli raccontare il suo incontro piu' significativo con Alexander Langer.
Era in corso la guerra nei Balcani, Alex si sentiva dilaniato dal suo essere in salvo, lontano dai bombardamenti, invece di condividere fino in fondo il destino di quei popoli amati, e Daniele lo incitava a pensare a quel privilegio non come a una colpa ma come alla possibilita' di offrire alle parti in guerra un punto di vista differente. Una visione che le arricchisce, come arricchisce noi ascoltare le vittime della guerra.
Ecco, mi sembra che questo messaggio riguardi anche noi ora. Che nelle manifestazioni per la pace in Israele e Palestina risuoni in parte il senso di colpa di non essere a Gaza - meno quello di non essere ostaggi di Hamas, e mi dispiace: il dolore e' dolore sempre - ma forse dovremmo cogliere le opportunita' del nostro privilegio. Che non e' essere piu' intelligenti di chi rischia la pelle ma accettare che il nostro posto ora e' qui, con quello che siamo, e chiederci quanto di meglio possiamo dare dalla nostra prospettiva.

4. L'ORA. LUIGI FERRAJOLI: SERVE UN RISVEGLIO DELLA RAGIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 novembre 2023 riprendiamo e diffondiamo]

Dopo un mese la risposta della guerra ai crimini di Hamas non sta provocando soltanto migliaia di morti innocenti, decine di migliaia di feriti, le povere case di Gaza rase al suolo, le bombe sugli ospedali, le scuole e le ambulanze, la fame e la sete di un milione di sfollati senza tetto ne' tutele.
Con paradosso apparente, essa ha anche enormemente aggravato la minaccia alla sicurezza futura di Israele. I suoi effetti politici sono tutti disastrosi: la sempre piu' improbabile liberazione degli ostaggi, la crescita vergognosa dell'antisemitismo nel mondo, il pericolo di un allargamento del conflitto, il rafforzamento di Hamas sia all'interno del popolo palestinese che all'interno del mondo islamico. Il solo effetto che non sara' raggiunto sara' la distruzione, proclamata da Netanyahu, del terrorismo jiadista e criminale di Hamas.
Potranno essere uccisi tutti i capi militari di Hamas scovati nel territorio di Gaza, ma non lo saranno i suoi capi politici che vivono al sicuro nel Qatar o in Iran o in altri paesi islamici. Tanto meno saranno distrutti il consenso e la capacita' di attrazione del terrorismo, che al contrario saranno potenziati dagli orrori della guerra: dal massacro di innocenti uccisi, in gran parte bambini, dalla crescita dell'odio e della volonta' di vendetta, che non potranno non allevare nuove generazioni di terroristi.
E' questo il risultato della risposta autolesionista, ottusa e simmetrica, della guerra e dei bombardamenti sulle popolazioni civili all'aggressione atroce del 7 ottobre. Che non e' stata un atto di guerra, essendo la guerra solo tra Stati ed eserciti regolari, bensi' un crimine orrendo al quale occorreva rispondere con il diritto, cioe' con un intervento diretto a colpire i soli colpevoli. La risposta della guerra e' stata invece esattamente cio' che volevano i terroristi: l'annullamento dell'asimmetria elementare tra guerra e violenza criminale, perche' e' come "guerra santa", diretta a distruggere Israele, che essi concepiscono, legittimano e vogliono che siano riconosciuti e temuti i loro eccidi. Ovviamente la distinzione tra crimine e atto di guerra e' una convenzione stipulata dalla nostra civilta' giuridica. Ma e' una convenzione indispensabile a porre un limite alla guerra e a preservare la necessaria asimmetria tra l'incivilta' del crimine e la civilta' del diritto.
Ben altra sarebbe stata l'efficacia di una lotta al terrorismo ove questo fosse stato riconosciuto e perseguito come fenomeno essenzialmente criminale: innanzitutto l'identificazione, ovviamente con un uso adeguato della forza e con la mobilitazione solidale di tutte le polizie dei paesi civili, dei terroristi, della loro rete clandestina e soprattutto dei loro capi, molti dei quali non vivono a Gaza; in secondo luogo la prova di superiorita' morale e politica che Israele avrebbe dato ai criminali e al mondo intero; in terzo luogo la netta distinzione, che dobbiamo tutti pretendere, tra Hamas e la povera popolazione di Gaza; in quarto luogo l'apertura di una prospettiva di pace ed anche, finalmente, di una soluzione politica della questione palestinese. Senza la quale la guerra non finira' mai, cresceranno gli odi, la disumanizzazione reciproca e la volonta' di distruzione che accomuna entrambe le parti in conflitto. Biden, in un momento di sincerita', aveva avvertito il governo israeliano: non fate il nostro stesso errore, quando chiamammo atto di guerra il crimine dell'11 settembre e ad esso rispondemmo con due guerre che produssero centinaia di migliaia di morti innocenti, la nascita dell'Isis, gli attentati terroristici in mezzo mondo e la crescita dell'odio contro l'occidente.
Il risveglio della ragione sarebbe ancora possibile. Occorrerebbe la cessazione del fuoco - non una semplice tregua - e soprattutto dei bombardamenti dal cielo. Per non provocare una catastrofe umanitaria, ma anche per contrapporre ai terroristi il rispetto della vita e della dignita' di persona di ogni essere umano, Israele dovrebbe inoltre aprire un varco nel suo confine con Gaza, onde prestare soccorso quanto meno ai bambini e alle donne e offrire cure mediche ai malati e ai feriti. Sarebbe, questa, un'iniziativa tanto costosa e generosa quanto inaspettata e vincente, che oltre a salvare migliaia di vite umane varrebbe a ristabilire l'asimmetria tra uno Stato che si vuole democratico e la brutalita' fanatica del terrorismo. Sarebbe il miglior antidoto al veleno dell'antisemitismo. Indebolirebbe radicalmente il terrorismo jihadista, soprattutto di fronte al popolo palestinese. Faciliterebbe una trattativa e la liberazione degli ostaggi. Porrebbe fine, almeno da parte israeliana, alla logica della vendetta e del nemico da annientare, il cui superamento e' il presupposto di qualunque soluzione politica.
Naturalmente, in politica, cio' che e' razionale non e' quasi mai reale e cio' che e' reale non e' quasi mai razionale. Naturalmente Israele sconfiggera' i terroristi che si trovano a Gaza, al prezzo di altre migliaia di morti innocenti. Ma non vincera' la guerra, ormai endemica e permanente, come ha scritto domenica 29 ottobre Tommaso Di Francesco. Dovra', per sopravvivere, accentuare la politica violenta di oppressione nei confronti dei palestinesi, la quale a sua volta rafforzera' Hamas o altre formazioni terroristiche, costringera' la popolazione israeliana a vivere in uno stato di crescente insicurezza e paura e produrra', inevitabilmente, nuove tragedie, in una spirale senza fine.

5. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: IL SOGNO DI UN VARCO IMPOSSIBILE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 ottobre 2023 riprendiamo e diffondiamo]

La qualificazione dell'aggressione di Hamas come un atto di guerra, anziche' come un crimine efferato da combattere con gli strumenti del diritto, e la conseguente risposta israeliana della guerra hanno gia' prodotto i loro terribili effetti.
L'imposizione a un milione di palestinesi di lasciare le loro case e di affollarsi al sud del loro minuscolo territorio, l'assedio di Gaza che sta lasciando senza cibo ne' acqua due milioni di persone, i bombardamenti sulle popolazioni civili che hanno gia' provocato piu' di 4.000 morti, di cui 1.400 bambini, e decine di migliaia di abitazioni distrutte.
E' una risposta ottusa ancor prima che illecita. La guerra e' soltanto tra Stati: "publicum armorum contentio" la defini' Alberico Gentili nel suo De iure belli libri tres, piu' di quattro secoli fa, e altrettanto hanno sempre fatto i teorici del diritto internazionale. Chiamare guerra le atrocita' del 7 ottobre equivale ad elevare Hamas al livello di un pubblico esercito. Rispondere con i bombardamenti sui civili vuol dire abbassare lo Stato al livello dei terroristi e compattare con Hamas il popolo palestinese.
Israele avrebbe ancora un modo per rompere il legame tra Hamas e il popolo palestinese, per non confondere i due milioni di persone che vivono a Gaza con i criminali e recuperare l'identita' di uno Stato democratico. Se considerasse l'aggressione del 7 ottobre non come un atto di guerra, ma come un crimine orrendo non condivisibile da milioni di palestinesi, potrebbe compiere un atto di straordinaria lungimiranza e intelligenza politica: l'apertura di un varco nel confine con Gaza, onde consentire l'ingresso in Israele a tutti i palestinesi chiaramente disarmati, primi tra tutti i bambini e le donne, ricoverare i malati e i feriti negli ospedali ed offrire agli sfollati, sia pure provvisoriamente, cibo, acqua, medicinali e assistenza.
Sarebbe, se fosse possibile illudersi, un atto magnanimo di umanita', tanto piu' nobile e inaspettato in quanto in risposta a un crimine feroce che tanto sgomento e dolore ha suscitato. Sarebbe la dimostrazione, oggi piu' che mai necessaria, dell'asimmetria radicale tra la disumanita' incivile degli atti terroristici e la civile umanita' delle istituzioni pubbliche. Soprattutto sarebbe un atto politico di enorme efficacia. Avrebbe l'effetto, piu' di qualunque discorso, di dissociare radicalmente il popolo palestinese da Hamas, e perfino di disarmare - politicamente se non militarmente - le organizzazioni criminali che ne rivendicano la rappresentanza. Favorirebbe la liberazione degli ostaggi. Varrebbe a contraddire la logica distruttiva del nemico. Salvando decine, forse centinaia di migliaia di palestinesi innocenti, varrebbe a dissociare il popolo israeliano dalle politiche disumane e irresponsabili portate avanti fino a ieri da Netanyahu.
Sarebbe il segno di una svolta, di un primo passo verso la pace, altrimenti irraggiungibile, e comunque verso una soluzione politica del dramma. La spirale della vendetta, d'altro canto, puo' essere rotta soltanto da chi e' piu' forte e la sua rottura sarebbe la vera manifestazione di forza del governo israeliano, incomparabilmente maggiore di qualunque successo militare.
E invece, come tutte le risposte razionali, questa ipotesi e' totalmente irrealistica, null'altro che un sogno.
Del resto l'analfabetismo istituzionale e' generalizzato: tutti - esponenti politici e commentatori - parlano dell'aggressione di Hamas come di un atto di guerra, e non come di un atto terroristico, ed anzi non comprendono neppure la necessita' vitale di distinguere tra le due cose: esattamente come dopo l'11 settembre, quando alla strage criminale delle due Torri, subito chiamata guerra, si rispose con due guerre e centinaia di migliaia di morti tra le popolazioni civili, anziche' con la mobilitazione delle polizie di tutto il mondo per identificare e punire i colpevoli.
Ovviamente il linguaggio della guerra, benche' sia esattamente cio' che vuole il terrorismo, che come "guerra" si auto-rappresenta e legittima i suoi massacri, e' assai piu' congeniale del linguaggio del diritto alla demagogia dei Bush e dei Netanyahu. Ma e' altrettanto certo che il linguaggio e la pratica della guerra non potranno che avvelenare ulteriormente la questione palestinese, infiammare i conflitti identitari in forme sempre piu' esplosive, alimentare i fondamentalismi e rendere senza fine la spirale dell'odio e della vendetta, al termine della quale ci saranno solo rovine e la sostanziale sconfitta di entrambi i popoli.

6. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: L RISPOSTA AL TERRORISMO NON E' LA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 ottobre 2023 riprendiamo e diffondiamo]

La guerra provocata dall'aggressione di Hamas e' la conferma di un'ovvieta': la violenza genera solo violenza, l'aggressione violenta e disumana soltanto vendetta e rappresaglia.
Vendetta e rappresaglia di cui paghera' un prezzo altissimo il popolo palestinese. Gli attacchi di Hamas sono stati delle terribili azioni criminali, che hanno colpito centinaia di persone inermi e innocenti. Sono stati anche un regalo al premier Netanyahu, dato che hanno tacitato le proteste di piazza contro il suo governo, hanno neutralizzato l'opposizione, hanno fatto dimenticare le tensioni e i conflitti generati dalla sua assurda riforma giudiziaria e i suoi processi per corruzione e gli hanno conferito i pieni poteri. Naturalmente e' vero anche il contrario. Queste politiche di Netanyahu, a loro volta, hanno enormemente rafforzato Hamas.
La questione di fondo che un approccio pacifista e soprattutto razionale ha il dovere di affrontare riguarda pertanto la natura delle aggressioni, sia pure atroci e altamente organizzate, quali sono state quelle di Hamas. Si e' trattato di un atto di guerra o di un atto criminale di terrorismo?
Non e' facile, in queste ore di angoscia e di orrore per le stragi disumane provocate da Hamas, insistere sull'importanza delle parole. Ma proprio questi orrori impongono di chiarire che le due qualifiche sono tra loro incompatibili perche' diverse, anzi opposte sono le risposte che la nostra civilta' giuridica ha apprestato nei confronti dei due fenomeni. A un atto di guerra - quale soltanto gli Stati e i loro eserciti regolari, come insegnano i classici del diritto internazionale, possono compiere - si risponde con la guerra. A un crimine, sia pure gravissimo, si risponde con il diritto, cioe' con l'identificazione e la punizione dei colpevoli. Fu un enorme regalo al terrorismo la qualificazione come "atto di guerra", anziche' come crimine efferato, della strage dell'11 settembre 2001, che provoco' la risposta della guerra dapprima contro l'Afghanistan e poi contro l'Iraq, i cui unici effetti furono decine di migliaia di morti innocenti e lo sviluppo del terrorismo jihadista, divampato da allora in tutto il mondo ed elevato, come aspira qualunque terrorismo, al rango di uno Stato in guerra.
Fu un altro stupido regalo chiamare "Stato" - "Isis" o "Stato islamico" - anziche' semplicemente "organizzazione criminale" il successivo terrorismo jihadista e usare contro di esso, di nuovo, il linguaggio della guerra. Giacche' e' appunto la "guerra santa" che e' voluta dai fondamentalisti, ed e' come guerra santa che essi legittimano i loro assassinii e la loro ferocia.
Ma la politica non ha imparato nulla dalle tragedie del passato. E' cosi' che di nuovo, oggi, e' un regalo di Netanyahu alle bande di Hamas qualificare con la parola guerra i loro eccidi terroristici. Chiamare "guerra" un atto criminale e conseguentemente la reazione nei suoi confronti equivale infatti ad annullare l'asimmetria tra le istituzioni politiche e la criminalita' e a generare tra esse un'insensata simmetria, la quale abbassa le prime al livello della seconda o, che e' lo stesso, innalza la seconda al livello delle prime. La sola risposta razionale, oggi come in passato, dovrebbe essere invece quella asimmetrica - tanto piu' efficace e delegittimante quanto piu' asimmetrica - che si conviene ai crimini contro l'umanita': non quindi i missili e i bombardamenti, che provocando morte e terrore tra le popolazioni civili servono solo ad accrescere l'odio e le capacita' di proselitismo dei terroristi, bensi' le ben piu' difficili azioni di polizia, attuate naturalmente con mezzi militari adeguati ma dirette soltanto all'identificazione e alla neutralizzazione delle organizzazioni criminali.
E' poi evidente che se configuriamo il terrorismo come un fenomeno criminale, dovremo anche comprenderne le cause, onde rispondere a esso non solo con i mezzi della repressione ma con politiche idonee a rimuoverne le ragioni. Le origini del terrorismo di Hamas sono assolutamente evidenti. Non si possono tenere milioni di persone, l'intero popolo palestinese, in una condizione di oppressione e di apartheid senza che a un certo punto una parte di questo popolo esploda in forme criminali.
E' chiaro che la violenza non risolvera' mai nulla. Puo' solo, come l'esperienza insegna, inasprire il conflitto, accrescere gli odi e la volonta' di vendetta. La sola soluzione e' politica. E qualunque soluzione politica non puo' che consistere nel capovolgimento della politica dell'attuale destra israeliana: nella promozione della convivenza pacifica, basata sui principi di uguaglianza e di laicita' e percio' sul reciproco rispetto di tutte le differenze di identita', siano esse nazionali, o religiose, o politiche o culturali. E' la stessa risposta razionale, del resto, che occorrerebbe dare alle tante sfide globali che minacciano il futuro dell'umanita'.
Naturalmente, come sempre, la pace e l'uguaglianza, le loro condizioni e le loro garanzie sembrano soltanto un sogno. Cio' che, come sempre, il realismo politico preferisce e' l'incubo.

7. INIZIATIVE. L'ASSOCIAZIONE "RESPIRARE" DI VITERBO ADERISCE ALL'APPELLO "PORTIAMO A COMPIMENTO L'INIZIATIVA DI DAVID SASSOLI PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER"

L'associazione "Respirare" di Viterbo aderisce all'appello "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier".
Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e della Madre Terra, e' detenuto da 47 anni pur essendo innocente; anche dal carcere continua ad impegnarsi per il bene comune dei popoli nativi, dell'umanita' intera, dell'intero mondo vivente; e' un uomo ormai vecchio e malato: crediamo che sia necessario che ogni persona di volonta' buona, ogni associazione democratica, ogni istituzione intesa al bene comune, esercitino adesso il massimo impegno nonviolento per persuadere il Presidente degli Stati Uniti d'America a concedere la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
Ognuno faccia sentire la sua voce per la liberazione del nostro fratello Leonard Peltier.
*
Di seguito riportiamo:
a) il testo dell'appello "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier";
b) l'appello di Amnesty International del 3 aprile 2023: Urge clemency for native american activist;
c) un recente appello al Presidente Biden da parte di membri del Congresso degli Stati Uniti d'America sia democratici che repubblicani per la grazia per Leonard Peltier.
*
a) Il testo dell'appello "Portiamo a compimento l'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier"
Il 23 agosto 2021 David Sassoli, l'indimenticato Presidente del Parlamento Europeo che sarebbe deceduto pochi mesi dopo nel gennaio 2022, tenne una conferenza stampa in cui annuncio' il suo personale impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da quasi mezzo secolo prigioniero innocente.
L'iniziativa di David Sassoli si ricollegava idealmente a due precedenti importanti pronunciamenti del Parlamento Europeo, del 1994 e del 1999.
E si collegava anche al movimento che in Italia in quel momento riproponeva con forza l'esigenza e l'urgenza che Leonard Peltier venisse finalmente liberato.
In un suo tweet che accompagnava e sintetizzava la conferenza stampa del 23 agosto 2021 David Sassoli dichiarava, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
Lanciamo un appello a riprendere e portare a compimento quell'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier.
Chiediamo a chi legge questo appello:
a) di aderirvi, inviandone notizia agli indirizzi e-mail: freepeltierviterbo at tiscali.it e centropacevt at gmail.com
b) di diffonderlo ulteriormente;
c) di scrivere direttamente al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedere la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier: le lettere (il cui testo puo' anche essere semplicemente "Free Leonard Peltier") possono essere inviate attraverso la pagina web dedicata del sito della Presidenza degli Stati Uniti d'America: www.whitehouse.gov/contact/
d) di promuovere ove possibile iniziative di informazione, coscientizzazione, mobilitazione democratica e nonviolenta per la liberazione di Leonard Peltier che lo scorso 12 settembre ha compiuto 79 anni di cui 47 trascorsi in prigione da vittima innocente di una scellerata persecuzione.
Per un'informazione essenziale:
- Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996 (ora Roberto Massari Editore, Bolsena Vt).
- Peter Matthiessen, In the Spirit of Crazy Horse, 1980, Penguin Books, New York 1992 e successive ristampe; in edizione italiana: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, Milano 1994.
- Leonard Peltier (con la collaborazione di Harvey Arden), Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin's Griffin, New York 1999; in edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005.
- Jim Messerschmidt, The Trial of Leonard Peltier, South End Press, Cambridge, MA, 1983, 1989, 2002.
- Bruce E. Johansen, Encyclopedia of the American Indian Movement, Greenwood, Santa Barbara - Denver - Oxford, 2013 e piu' volte ristampata.
Nella rete telematica e' disponibile una notizia sintetica in italiano dal titolo "Alcune parole per Leonard Peltier".
Sempre nella rete telematica e' disponibile anche una piu' ampia ed approfondita bibliografia ragionata dal titolo "Dieci libri piu' uno che sarebbe bene aver letto per conoscere la vicenda di Leonard Peltier (e qualche altro minimo suggerimento bibliografico)".
Ulteriori materiali di documentazione possono essere richiesti scrivendo ai nostri indirizzi di posta elettronica: freepeltierviterbo at tiscali.it e centropacevt at gmail.com
*
b) L'appello di Amnesty International del 3 aprile 2023: Urge clemency for native american activist
3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE...
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/
*
c) Un recente appello al Presidentre Biden da parte di membri del Congresso degli Stati Uniti d'America sia democratici che repubblicani per la grazia per Leonard Peltier
October 6, 2023
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave, NW
Washington, DC 20500
Dear President Biden:
We are writing to you regarding the nearly five-decade imprisonment of Leonard Peltier. Now, more than ever, bedrock principles of justice warrant your consideration of a grant of executive clemency or support of compassionate release at the Federal Bureau of Prisons.
Leonard Peltier, a Native American activist and citizen of the Turtle Mountain Band of Chippewa Indians (ND), is now in his 48th year of incarceration. He is 79 years old and in failing health. Mr. Peltier is serving two life sentences in a maximum-security federal prison for aiding and abetting in a case where his co-defendants were found not guilty on the grounds of self-defense.
Over the course of his incarceration, particularly in recent years, key figures involved in Mr. Peltier's prosecution have stepped forward to underscore the constitutional violations and prosecutorial misconduct that took place during the investigation and trial that led to his conviction. Gerald Heaney, the judge who presided over Mr. Peltier's 1986 appeal in the Eighth Circuit, called for his release in 1991 and again in 2000 (1), and former United States AttorneyJames Reynolds, whose office handled the prosecution and appeal of Peltier's case, has called for a commute of the remainder of his sentence and observed that "his conviction and continued incarceration is a testament to a time and a system of justice that no longer has a place in our society." (2) In addition, the United Nations Working Group on Arbitrary Detention specifically noted the anti-Indigenous bias surrounding Peltier's detention, stating simply that he "continues to be detained because he is Native American." (3)
Retired FBI Special Agent Coleen Rowley, in her letter addressed to you on December 3, 2022, raised how the "long-standing horribly wrongful oppressive treatment of Indians in the U.S." played into Peltier's case and, critically, the "FBI Family vendetta" behind the agency's opposition to clemency. (4) We recognize the grief and loss that took place in both the FBI and Tribal community on that day but also recognize this opportunity for all to move forward.
As Members of Congress, we sign this letter with a deep commitment to the crucial role we play in upholding justice for all Americans - and to also hold our government accountable when we see a case of injustice, as demonstrated by the long incarceration of Leonard Peltier. We stand with the Tribal Nations of the United States, Indigenous voices worldwide, and leading voices on human rights and criminal justice around the globe in support of Mr. Peltier's release. We applaud your commitment to criminal justice reform and your administration's work to address inequities in the criminal justice system and rectify the past wrongs of our government's treatment of Native Americans. We urge you to take the next step by granting  Mr. Peltier executive clemency or compassionate release.
Sincerely,
Seguono le firme di 33 membri del Congresso degli Stati Uniti d'America
Note
1. Gerald H. Heaney, U.S. Senior Cir. Judge, 8th Cir., Letter to Senator Daniel K. Inouye, Chairman, U.S. Senate Select Comm. on Indian Affairs (Apr. 18, 1991), http://www.whoisleonardpeltier.info/download/Heaney.pdf
2. James Reynolds, Former U.S. Attorney, Letter to President Joseph R. Biden (Jul. 9, 2021), https://www.amnestyusa.org/wp-content/uploads/2023/03/From-US-Attorney-James-Reynolds.pdf.
3. United Nations Working Group on Arbitrary Detention, Opinion No. 7/2022 concerning Leonard Peltier (United States of America) (Jun. 7, 2022), https://www.ohchr.org/sites/default/files/2022-06/A-HRC-WGAD-7-2022-USA-AEV.pdf
4. Coleen Rowley, Retired FBI Special Agent, Letter to President Joseph R. Biden (Dec. 3, 2022), https://www.amnestyusa.org/wp-content/uploads/2023/04/From-Retired-FBI-Special-Agent-Coleen-Rowley.pdf
*
Giustizia e liberta' per Leonard Peltier.
Giustizia e liberta' per l'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Free Leonard Peltier.
Mitakuye Oyasin.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Simona Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. X + 150.
- Umberto Galimberti, Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, 2002, pp. 814.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5016 del 12 novembre 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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